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D. O. C.
Deve esserci stato, sinistramente nero come un frammento appuntito di ossidiana, un singolo istante, un infinitesimale attimo, un insignificante nanosecondo, in cui è accaduto che Mara abbia abbassato la guardia, allentato la tensione, ed abbia consentito ad un immateriale anelito di malignità di penetrare in lei.
Questo deve dapprima essere rimasto un po’ sorpreso dal trovare quella breccia, forse ha esitato sorvolandola in ammalianti spirali apparentemente disinteressate alla sua condizione, ma una volta appurato che la via era davvero aperta, deve essersi incuneato gelido e velocissimo in lei, conficcandosi con artigli uncinati in un angolo riparato dell’edificio della sua coscienza, e lì, abbia cominciato il suo perverso lavoro.
Forse se riuscissi davvero ad isolare quel momento potrei realmente fare qualcosa, potrei davvero aiutarla, ma non ci riesco, non riesco a ricordare come è accaduto, e probabilmente questa è un'altra immonda prerogativa dell’entità che è in lei.
Quella, cioè, di poter fare in modo che tutto quello che può ricondurre ad una razionalizzazione della situazione, ad una presa di coscienza oggettiva, resti sfumato nei contorni, dissonante rispetto alla colonna sonora dei gesti quotidiani, scanditi invece dai suoi ordini indecenti, schiavizzanti.
Mara è in bagno, si è alzata da parecchio, ma, come sempre, sta ancora eseguendo i comandi che le vengono imposti.
Ha lavato cinque volte, (non una di più, non una di meno), il lavabo, ed ora sta insaponandosi le braccia con movimenti ossessivi e violenti.
In breve, date le proprietà altamente schiumogene del sapone liquido, le si forma fino all’altezza dei gomiti una densa e soffice nuvola bianca, talmente spessa che è impossibile vedere al di sotto, ma tanto non ne ho bisogno, sò perfettamente che la pelle di Mara, violentata dalle decine di ripetizioni quotidiane del rito, ha completamento perso il suo strato superficiale ed ha ormai assunto un aspetto cadaverico, bianchissimo, tanto che quando camminiamo per la strada tutti si voltano straniti ad osservare la differenza tra il colorito naturalmente, gioiosamente roseo del resto del suo corpo e quelle braccia che sembrano appartenere a qualcun altro, che sembrano esserle state incollate addosso da un chirurgo schizofrenico dopo un qualche terribile incidente che l’ha privata delle sue.
Dopo essere entrata in cucina Mara afferra l’unico bicchiere non contaminato appoggiandosi sulle punte dei piedi, dato che anche il lavello lo è, e se dovesse inavvertitamente sfiorarlo dovrebbe tornare in bagno e ricominciare da capo a lavarsi, ed ogni singolo gesto ed ogni singolo movimento sono rigorosamente preordinati.
Per fortuna riesce ad afferrare il suo bicchiere, strategicamente posizionato davanti agli altri, senza toccare altro, ed ora sta versandosi il suo latte, prelevato dal suo comparto del frigo.
Siamo già in ritardo, dato che Mara mi fa perdere molto tempo, e so già che non riuscirò facilmente a dominare i nervi, è curioso…di solito riesco ancora a reggere la maggior parte delle sue manie ossessivo-compulsive, ma non riesco a tollerare il ritardo, e questo non dipende neanche da lei, è una cosa che mi porto dietro da sempre, non posso tollerare di fare aspettare qualcuno e men che mai di essere costretto io a farlo, bastano pochi minuti e dò in escandescenze.
Questo pensiero, il considerare che nessuno di noi è completamente libero da qualche piccola mania, da qualche piccola fissazione, contribuisce miracolosamente a far rifluire nella loro gabbia mentale i miei pensieri aggressivi, ed a farmi guardare Mara nuovamente in maniera normale.
Usciamo, la seduta era fissata per le otto, sarei dunque arrivato al lavoro comunque in ritardo, ma dato che usciamo alle otto e cinque accumulerò almeno quaranta minuti più del previsto, più che sufficienti per assicurarmi un litigio con quel coglione di Terenzi, il capo ufficio.
In realtà la palazzina con rifiniture lussuosamente discrete dove è ubicato lo studio dello psicologo non è affatto distante da casa nostra, ma gli irrefrenabili attacchi di panico che sventrano la psiche ed il corpo di Mara percorrendo certe vie e riducendola un ammasso informe di tremori e paura, mi costringono a passare dalla circonvallazione, che a quest’ora è intasata da fiumane di auto, camion, moto, motorini, e mezzi d’ogni genere, tutti diretti verso gli stessi posti, scuole, uffici, fabbriche, negozi, dove ognuna delle persone che li occupa sarà intenta per il resto della giornata a giustificare la propria appartenenza al consorzio umano. Questo richiederà altri trenta minuti di fila ed un aumento esponenziale della bile che mi sta già violentando la colecisti .
Durante l’ultima seduta il professor Mari, (un Mari che cura una Mara, ih ih), le ha spiegato le tutte le sue paure di essere contaminata, tutti i suoi rituali obbligati, tutte le sue fissazioni ed anche la sua allucinante gelosia nei miei confronti, sono molto diffusi tra le giovani donne, e la sua malattia ha un nome che viene sintetizzato in una sigla: D. O. C., Disturbo Ossessivo Compulsivo.
A me questa sigla ricorda solo del buon vino, serate con gli amici, allegria, risate, ma a noi queste cose sono ormai negate, ed allora quella sigla indica soltanto solitudine, isolamento, stress, crisi nervose, pianti, depressione.
Spesso, ha proseguito Mari, questi sintomi si manifestano in presenza di improvvisi e profondi cambiamenti nella vita delle persone, specialmente delle donne, (ma perché specialmente delle donne? Devo chiederglielo), che, incapaci di gestire il cambiamento e sopraffatte dall’ansia, si creano valvole di sfogo psicologiche per conservare il controllo della situazione, ma in realtà isolano irrimediabilmente sé stesse e chi sta loro vicino.
Venire a capo di una situazione del genere può richiedere molti anni, e non sempre si ottengono i risultati sperati.
Mentre siamo in coda, chiusi in macchina e tentando di tenere gli altri fuori dall’abitacolo utilizzando “Blackenday” degli Eldritch come scudo sonico, realizzo quanto sentenziato da Mari:
“Non illudetevi che in poche settimane se ne possa venire a capo, ci vorranno forse molti anni, e sarà necessario il sostegno di tutta la famiglia, e soprattutto molta, molta pazienza e sacrificio, e lei Signora Mara, dovrebbe considerare anche di dover affiancare l’assunzione di certi farmaci assieme alla terapia psicologica. Del resto i farmaci moderni non hanno quasi più gli spiacevoli effetti collaterali di quelli di una volta. Io da parte mia sarò al vostro fianco e Bla…. Bla…. Bla….”.
Anni……. ci vorrano molti anni……quanti anni?
Due?
Tre?
Dieci?
Centotre?
Quanti, cazzo? Quanti?
Ci vorranno molti anni……. e intanto?
Intanto che cazzo facciamo? Ci chiudiamo in casa senza più rapporti sociali?
Ci annulliamo lobotomizzandoci davanti a “Buona Domenica” o qualche altra immensa stronzata del genere?
E Lorenzo?
Che cazzo diciamo a Lorenzo?
“Sai piccolino, la mamma soffre di DOC, dovresti passare dai quattro ai ventiquattro anni senza rompere troppo le palle e poi vediamo come siamo combinati, d’accordo?!”
Si, certo, semplicissimo caro Mari, che cazzo ci vuole?
E tutte quelle che non ce la fanno?
Tutte quelle che trascinano nel gorgo della follia sé stesse e chi le circonda?
Di quelle non ci hai mai parlato nelle tue fottute sedute a centocinquanta euro l’una vero?
Quelle non esistono no?
Così magari non ci spaventiamo e continuiamo a portarti i tuoi centocinquanta a settimana, che uniti ai centocinquanta di chissà quanti altri Cristi ti consentono di avere lo studio di proprietà e l’Alfa Brera parcheggiata sotto.
E se invece Mara non guarisse mai?
Se invece continuasse a peggiorare intaccando come acido tutto quello che la circonda? Eh?
Il pensiero che questo posso accadere mi centra al cervello come una scarica elettrica da un milione di Volts, ed è un momento…. davanti a noi una grossa bisarca in senso opposto, ingrano la marcia, ti guardo, ti sorrido, ti amo Mara, e parto a tutta velocità.
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0 recensioni:
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- Molto ben scritto, forse nella parte iniziale è un po' più lento ma poi va via cme un razzo.
Adesso leggo anche l'altro. Il finale non mi piace, perchè mi piacciono i finali lieti ma lo trovo... "plausibile". Non concordo con chi dice che non si devono mandare "certi messaggi", almeno io non scrivo con intento educativo. otto
- Uno spaccato di attualità scritto molto bene. Il realismo con il quale hai affrontato l'argomento denota conoscenza sui disturbi della psiche umana, purtroppo ormai innumerevoli... Complimenti ancora a Francesco.
- Ti ringrazio, terrei molto ad avere un tuo commento sulla prossima opera che inserirò.
- non entro nella discussione, il racconto è bello e ben scritto. ciao, duccio.
- Non bisogna sempre cercare messaggi o soluzioni politicamente corrette. È chiaro, e parlo x esperienza se non è chiaro, che la medicina permette da tempo di scongiurare situazioni del genere. Questo è solo un breve racconto-romanzo in cui si descrive una situazione drammatica possibile, per quanto indubbiamente negativa, nè più nè meno come si potrebbe leggere la sceneggiatura di un film. Quando si va al cinema non sempre si condivide lo svolgimento della storia, ma ciò non impedisce di apprezzare il film. Può solo servire ad aprire un dibattito magari, ed il tuo commento dimostra proprio questo. Se si avviasse un discussione sul problema avrei centrato un grosso risultato.
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