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La pietra filosofale
Napoli, sono circa le dieci del mattino.
È una soleggiata giornata di maggio che con il suo caldo abbraccio, avvolge tutta la città, vicoli compresi e n’esalta la magnificenza, insieme con quella del suo golfo, dove Napoli, con imperturbata bellezza, vi si adagia pigramente, mollemente cullata dal respiro del suo mare.
“Ué, Ciro, stai dinto?” Dice Gennaro con un tono di voce forte, per farsi sentire fin dentro la pizzeria di Ciro, che aveva la serranda abbassata per metà.
“Si Gennà, stò cà!”
“E che stai a fa? Oggi nun è o juorne e ripose?”
Ciro, rispondendo sempre da dentro: “Né Gennà, so’ trasite dinto a pizzeria, pe’ vedé si tutte 'e ccose sò a poste! Aspiette ‘nu pucherille ch’agge fernuto, vuò trasì?” “No Cì, t’aspiette cà, ma fa ampresse ch’ ‘a jurnata è bell’assaie! Nun a vulisse passà tutta annanze a pizzeria toia, né!”
“Uè Gennà, cumme si scucciante, t’agge ditto ch’agge fernute…statte carme nu mumiente!” Poi con voce sommessa: “Maronne, cumm' è agitate, sempre accussì, cumme s’avisse a fa quacche cose d’importante!”
“È ditte quacchecose, Cire?” “ No Gennà, n’agge ditte niente!” E con un filo di voce: “Che scassacazze, stu cristiane!”
I nostri due amici, Gennaro Platone e Ciro Aristotele, che si conoscono da oltre quaranta anni, fin da quando, appena ragazzi, le rispettive famiglie, abitanti nello stesso vicolo, fecero amicizia, da allora non fanno altro che stuzzicarsi a vicenda, si prendono sempre in giro e, la cosa più importante, dibattono spesso sulle cose più diverse, tanto sono compresi dei loro cognomi, dal filosofeggiare su tutto e tutti, con risultati il più delle volte ridicoli, per chi ha la sventura di ascoltare le loro discussioni.
Com’è costume a Napoli, sono stati soprannominati: ”E doie filosofe”. In questa definizione c’è tutta la bonomia e l’ironia tipica dei napoletani. Gennaro è o filosofe che nun fatiga e Ciro è o filosofe d’a pizza! Disoccupato il primo, gestore di un’antica pizzeria il secondo.
Li abbiamo conosciuti già, in occasione della “disputa filosofica”, avvenuta nella pizzeria di Ciro, su un bicchiere di birra, se era da considerare mezzo pieno o mezzo vuoto.
“Gennà, agge fernute, stò arrivanne!” “Buone, mo vade ad avvisà o prevete, don Giuseppe, pe’ suona ‘e campane!” Ciro di rimando: ”Cumme si spiritose e ppure nu pucherille strunze, Gennà!”
Finalmente Ciro esce, abbassa la serranda della pizzeria e, senza guardare Gennaro, fa l’atto d’andarsene, senza nemmeno salutarlo.
“Uè, Cire, ma che t’a sì pigliate, te sì innervosite, né?” Ciro fa trascorrere alcuni secondi e poi si gira verso l’amico e con il sorriso sulle labbra: ”Né Gennà, aroppo tant’anne, mò m’avisse a pijà collera cu te, ormai ‘o sacce che sì nu scassacazze e…ch’agge a fa…” segue una pausa.”E poi, nun putimme appiccicasse…simme duie filosofe…e filosofe ragionane, parlane, discutene, ma nun ponne litigà”. “Può esse che Platone ed Aristotele se pijene a male parole o se danne nu sacche e mazzate?”
Gennaro asseconda quest’affermazione di Ciro con ampi e sussiegosi movimenti della testa, gli risponde in italiano, come fa normalmente quando crede di dire cose serie e sensate: ”Hai pienamente ragione mio caro amico, la nostra condizione di filosofi, di pensatori insigni, non ci consente di scendere al livello del popolino ignorante e maleducato! Abbiamo sempre un nome da portare con rispetto e dignità!”
Dopo questa pomposa ed enfatica dichiarazione, Gennaro dice a Ciro:” E mò, iammuncenne a don Gaetà a vevere nu bello café!”
Percorrono un vicolo dopo l’altro, finché arrivano al bar di don Gaetano, situato in prossimità di via Caracciolo. Entrano e Gaetano appena li vede: ”Buongiorno a voi eminenti filosofi, che cosa posso servirvi?” Gennaro sempre pronto alla battuta:”Buongiorno don Gaetano, se voi faceste il caffè così buono quanto siete spiritoso, sareste chine è denare e nun avisse bisogne de sfottere cchiù a nisciune!”
Poi rivolgendosi a Ciro: ”Caro collega, prima o poi, dovremo deciderci a cambiare bar, questo qui, ogni giorno che passa, meno si confà a due personalità come le nostre!”
Ciro, che dei due è il più sempliciotto, non riesce a trattenersi e sbotta in una risata che coinvolge don Gaetano, gli altri avventori del bar ed infine anche Gennaro.
Gaetano rivolgendosi a Gennaro: ”Né Gennà, stamattina siccome m’hai fatto rirere ‘e guste, o cafè ve l’offre io!” Gennaro, facendo buon viso a cattivo gioco, gli risponde: ”Accetto con piacere la vostra offerta, siete un signore, spiritoso, ma pur sempre un signore!”
Lasciato il bar, i nostri amici si avviano verso via Caracciolo. Sono le undici ed il sole spande i suoi già caldi raggi, su tutto il panorama che si può scorgere da quest’imponente e bella passeggiata lungo il golfo di Napoli.
Grazie all’aria tersa, indotta da un moderato grecale, si può ammirare il panorama della città e del golfo con una buona nitidezza. Lo spettacolo è indubbiamente all’altezza della fama che ha acquisito nei secoli la città di Napoli, la veduta del lungomare, delle colline di Napoli, del Vesuvio, della costiera sorrentina, di Capri, rappresenta un’emozione degna del famoso detto: ”Vedi Napoli e poi muori”.
Mentre i nostri due ineffabili amici, passeggiano amabilmente sul lungomare, Gennaro si ferma un attimo e guardando Ciro, gli dice: ”Cire, iere, pe tramente passeggiave, so’ passate annanze a “Pietatelle”.
“A pietatelle…e che r’è sta pietatelle?” Dice Ciro, sinceramente stupito da questo nome.
“Né Cire…ma tu sii de Napule o francese, tedesco o che ne sacc’io? Nun canosce a Pietatelle?”
“No, Gennà io nun a sacce sta…Pietatelle, ch’agge a fa!”
“Virite nu pucherille con chi agge a cche fa…maronne do Carmine! E tu te chiame pure Aristotele…Gesù, Gesù”.
“Cire, mo’ nun accumenzà cumme o solite, spieghete meglio e famme capì!”
“Ahé, pe' fatte capì a te nun abbastassere diece e Platone cumme a me!” A questo punto Gennaro cambia tono e lingua.
“Caro il mio ignorante filosofo, della pizza, la Pietatella è l’antico nome dialettale di quella che oggi è conosciuta come la Cappella San Severo”
“Ah! E nun o poteve ricere subito che stive a parlà d’a cappielle d’o principe San Severo?”
“Già, hai ragione, dovevo capire che la tua ignoranza, anche della conoscenza della tua città natale, ti avrebbe impedito di capire di che stavo parlando”. Dopo aver tratto un sospiro, riprende:
“Ti dicevo…che sono passato davanti alla Cappella San Severo e mi sono venuti in mente alcuni pensieri, come spesso mi accade, su di essa, sul Principe e su quello che contiene”.
“Nun sacce pecché, ma tengo ‘a sensazione ch’accumenze n’ata discussione “filosofica”. Pensa subito Ciro.
“E…Gennà ch’avisse penzate? So’ curioso assaie!”
“Ho pensato alla persona del principe che ha ingrandito e arricchito questa cappella con delle opere d’arte straordinarie, commissionate a grandi artisti del settecento e che vi ha anche direttamente contribuito, con la sua attività e con il suo ingegno”.
“Ste ccose, ‘e sapeve anch’io Gennà!”
“Ma tu lo sapevi chi era e cosa faceva il principe Raimondo de’ Sangro VII principe di San Severo?”
“Io sacce chelle che sapene tutt’e quante, che era ‘no grand’omme, ma che era anche, nu po’ stregone, nu po’ diavolo, che jucave co’ i muorte, faceva esperimenti strani assaie e ch’era ppure Massone!”
“Ecco, tu sai quello che ha tramandato la tradizione popolare, il frutto delle voci e delle chiacchiere del popolino ignorante e pauroso di fronte al genio ed alla grandezza di un uomo come il Principe!”
“Traversamme a strada Ciro, e assettammece in coppe a chella panchina, sotto ‘e piante, accussì continuammo a raggiunà più comodamente!”
Appena seduti sulla panchina, Gennaro riprende il filo del suo discorso.
“Il Principe era una persona speciale, un intellettuale, un letterato, uno scienziato ed anche un filosofo!”
“Azz, tutte ste ccose sapiva a fa!”
“Anche di più!” Sentenziò con enfasi Gennaro, pago di aver suscitato l’interesse di Ciro sull’argomento.
“Tu, certamente non sai che egli ha inventato un tessuto impermeabile che donò al Re di Napoli, una luce perpetua, una carrozza che camminava da sola per alcuni minuti e che le sue grandi capacità d’alchimista lo condussero a delle scoperte interessanti e a delle applicazioni pratiche concrete, come il fucile antivento, il cannone che sparava più lontano degli altri ed alcune sostanze che indurivano e metallizzavano i materiali più vari!” “ Lo sai che il panno velato che ricopre, in varia misura quasi tutte le statue della cappella, la più famosa delle quali e quella del Cristo morto disteso, a tutti noto come “il Cristo Velato” è opera del principe?”
“Allora era pure ‘no scultore?” Dice interessato Ciro.
“No, non era anche scultore, ma con le sue capacità d’alchimista è riuscito a trattare un tessuto velato con certe sue misture, riuscendo a far sì che dopo essere stato drappeggiato sulle sculture, dall’artista, Giuseppe Sanmartino per il Cristo, esso s’irrigidisse come il marmo della statua, senza perdere la sua trasparenza. Ecco come si è ottenuto quello straordinario effetto plastico che avvolge tutto il corpo del Cristo e che ha reso questa statua celeberrima ed una delle opere più belle in assoluto. Pensa che il Canova, che di statue se ne intendeva, l’avrebbe pagata qualsiasi prezzo, ma non riuscì a comprarla e l’ha definita la più bella statua dopo la pietà di Michelangelo”.
Una pausa di silenzio segue quest’erudita spiegazione, che ha lasciato Ciro letteralmente a bocca aperta.
“Maronna mia… Gennà, allora sto Principe oggi, avrebbe avute ‘o Nobbel?” Dice Ciro, sempre più preso dalla storia.
“Certamente! Era un intelletto enciclopedico e multiforme, tipico del settecento, dove personaggi come lui, ce ne sono stati tanti ed in particolare a Napoli, in ogni ramo del sapere. Non per nulla il settecento è il secolo dei lumi, dell’enciclopedia, della Rivoluzione Francese ecc. ecc.”.
Gennaro ormai sembra non fermarsi più. La sua ammirazione per il principe lo ha talmente rapito che se Ciro non fosse intervenuto, non si sarebbe più fermato per chissà quanto tempo ancora.
“Gennà, chesta è ‘na storia bella assaie, ma mo’ m’avisse a ricere dove iamme a fernì, pecché ‘o sacce che quando fai accussì, devi dimostrà quacche cose, che n’agge ancora capite!”
“E bravo Ciro! Sono tanti anni che ci frequentiamo ed ormai mi conosci così bene che ci capiamo al volo!”
“Ritornando a quando sono passato vicino alla cappella San Severo, uno dei pensieri che mi ha preso, è stato questo: è mai possibile che un uomo come il Principe, così ingegnoso e studioso, grande esperto di scienze alchemiche, non abbia mai pensato e tentato di scoprire anche lui la Pietra Filosofale, il miraggio scientifico e filosofico, rincorso da tanti uomini d’ingegno, nel corso dei secoli precedenti?”
“A preta filosofale? E che è sta ccosa? ‘na preta che raggiona?” Se n’esce Ciro improvvisamente, interrompendo Gennaro.
“Non conosci nemmeno la Pietra filosofale? Né Cire, vavattenne in coppe ‘o Comune e fatte cagnà o cognome. Nun te poi più chiammà Aristotele…sii troppe ignorante e trappane!”
“Né signor Platone…ce vulissime ì assieme in coppe ‘o Comune: io me cagne o nomme e tu…te cagne indirizze e te n’isse ad abità a via d’o cantere 23, accussì, nun c' intussicamme cchiù, cu ste strunzate!”
Gennaro, riconoscendo di aver esagerato un po’:
“Né signor Aristotele, Platone non può più scherzare con il suo illustre collega? E poi, all’epoca sua…non si parlava ancora della pietra filosofale, quindi, è comprensibile che lei non la conosca!”
Non fa in tempo a finire la frase, che sbotta a ridere ed anche Ciro, che in questi duetti ci si ritrova sempre.
Anche stavota m’e fatte rirere, ma mo’ m’hai a ricere che è sta preta filosofale, ca sinnò vade a pijà ‘na preta e t’a tire in cape!”
“Va buone, agge capite, abbie pacienza!”
“In poche parole, caro collega, la pietra filosofale era quella sostanza che si riteneva fosse l’origine di tutta la materia solida inorganica”. “Hai capito il concetto?”
“Si! Te si scurdate cu chi stai parlanne?”
Gennaro continua senza replicare
“Gli studiosi, i filosofi, gli alchimisti, che spesso erano tutti queste cose insieme, hanno tentato per secoli di trovare questa sostanza che avesse la capacità di donare l’elisir di lunga vita e di trasmutare ogni metallo in oro”.
“Genna’, ma tu overe stai ricenne, sta preta pote cagnà o fierre in oro?”
“Si, Ciro! Così credevano, ed erano in tanti a crederci, anche personaggi sapienti e religiosi”. “Se non ricordo male, più che di una pietra vera e propria, si sarebbe trattata di una polvere?" L’Opera, come la chiamava qualcuno- che secondo come era usata: sciolta in un liquore, diveniva un elisir di lunga vita, una medicina contro i mali e che addirittura ti rendeva immortale!”
“Immortale…” fa eco Ciro con un’espressione di grande stupore.
“La stessa polvere unita all’oro o all’argento, in modo che si amalgamassero, avrebbe avuto la capacità di mutare qualsiasi metallo in oro!”
“Ma chesta cosa era nu miracole!”
“Praticamente si, Ciro, ma solo chi avesse tanto studiato e fosse diventato moralmente grande, avrebbe potuto gestire un potere simile!”
“Ma c’è anche un’altra lettura, forse più filosofica, di questa pietra. La “pietra”, non sarebbe altro che uno stato mentale al termine di un processo alchemico del nostro animo, al compimento del quale noi saremmo in grado di trasformare in “oro” quello che sta intorno a noi o compiere, quelli che gli uomini comuni chiamano, miracoli e/o magie. Ma questo è un discorso più complicato e più moderno sulla “pietra”.
A questo punto scende il silenzio fra i due, disturbato dai rumori della città che per alcuni minuti sono sembrati sparire grazie all’avvincente coinvolgimento che si è creato fra Gennaro e Ciro.
“Ecco Ciro, per chiudere l’argomento, così, dopo ce n’andiamo a mangiare ‘na fella ‘e pizza, mi sarebbe piaciuto che il nostro grande Principe di San Severo, con tutte le doti e l’ingegno che aveva, fosse riuscito a scoprire il segreto della “Pietra Filosofale!”
“E certo, fusse state ‘na cosa grande, pe’ Napule e p’o munne intiere!”
“E si, Ciro hai proprio ragione…anche se qualcosa del genere deve aver tentato se è vero quello che si racconta di quando è morto”.
“Ah si e ch’è succiesse quande murette?”
“Si dice, ma chissà che c’è di vero, che quando stava per morire, Il principe avesse chiamato un suo servo e gli avesse dato precise disposizioni su quello che doveva fare appena morto.”.
“Uh, maronne e ch’aveva a fa o serve?”
“Doveva fare a pezzi il corpo del principe, chiuderlo in una cassapanca e cospargerlo di una polvere da lui creata che l’avrebbe fatto ritornare in vita”.
“Pecchè a piezze, nun ce trasiva inte a cascia o principe?”
“Uè, Cire, e che ne sacc’io, forse era na cascia piccirilla e solo chella aveva… che te ne fotte a te! Accussì se dice e accussì t’o diche. Tanto aroppo aveva a resuscità…intere o a piezze era a stessa cose!”
Una pausa e Gennaro riprende la sua calma.
“È risuscitate o principe?” Incalza Ciro.
“No…ma quasi!”
“Quasi? Che stai dicenne…nu quasi risuscitate n’agge mai sentite!”
“È successo questo, sempre stando alle dicerie tramandate. Poco dopo la morte del principe, i parenti, che erano fetenti pure nel 1700, sono entrati dentro casa per prendere tutte le ricchezze e gli oggetti di valore che c’erano. Quando hanno visto la cassapanca l’hanno aperta, pensando che fosse piena di cose preziose e…”
Gennaro fa una pausa ad arte per stizzire Ciro.
“Ohè…e… ch’è succiesse, fernisce e raccuntà…!”
“…e il principe si solleva dalla cassa, con gli occhi strabuzzati e lancia un grido bestiale e poi ricade dentro. A quel punto era morto davvero, ma penso che pure i parenti non siano stati tanto bene. Nessuno saprà mai se il principe di San Severo sarebbe resuscitato completamente…se la polvere avesse avuto il tempo di agire…”.
“Aizammece e jamme a magnà quacche cose!”
Per qualche minuto Gennaro e Ciro proseguono in silenzio, ancora in preda all’emozione di quel racconto antico ed incredibile.
Piano piano, cominciano a sciogliersi e riprendono l’atteggiamento di sempre, dei due amici sin dall’infanzia.
Percorrono ancora un gran tratto del lungo mare prima di raggiungere il locale dell’amico di Ciro, pizzaiolo anche lui.
All’improvviso, Ciro si ferma, si guarda tutt’intorno respirando profondamente l’aria del mare, e rivolgendosi a Gennaro dice:
“Gennà, adesso vulisse parlà italiano anch’io, anche se non sono bravo cumme a te, perché agge pensato una cosa seria e bella anch’io e te la voglio dire!”
Gennaro, rimasto interdetto da quest’uscita inusuale dell’amico, si ferma anche lui e gli dice:
“Prego signor Aristotele ci mancherebbe che Platone dopo aver tanto parlato, non consentisse al suo illustre collega di manifestare il suo profondo pensiero!” Inutile dire che questa frase è stata pronunciata con evidente ironia, ma Ciro, non raccoglie e con voce calma e bene impostata:
“Gennaro, guardati intorno fin dove l’occhio può arrivare”.
Gennaro si guarda intorno, non capisce, ma non interrompe.
“Tu poco fa hai parlato della pietra filosofale, dell’elisir di lunga vita, di miracoli, di magie, di uomini potenti e studiosi, che volevano trasformare in oro il ferro, fare miracoli ed altre cose belle. Io non sono un uomo potente, né uno studioso, non faccio miracoli…faccio le pizze. Però, forse, agge capite na cosa che tutti questi uomini importanti, come il principe, non sono riusciti a capire. Mi sono guardato intorno, ho visto Napoli, ho visto il mare, il Vesuvio, il Golfo, Capri e ho pensato a tutto quello c’è vicino e non si vede da qui, ma si “sente”, Positano, Amalfi, Ravello, Ischia e tante altre località. Ho sentito mentre camminavamo le voci, i rumori ed i suoni della nostra gente e me so' ditte: abbiamo parlato della pietra filosofale, dell’immortalità e noi ce l’abbiamo a casa la pietra filosofale, o meglio noi abbiamo la “terra filosofale”, benedetta da Dio per quant’è bella. Abbiamo la “gente filosofale”, tanto è brava ed ospitale, nonostante tutto. Abbiamo l’aria filosofale, o mare filosofale e…perché nò, la “pizza filosofale” o “café filosofale”, a “musica filosofale”.
Ciro recupera il fiato perso nell’enfasi del suo discorso e prosegue sempre con trasporto.
“Qui c’è il vero oro dell’anima, qui c’è l’immortalità della gente…tutte o rieste, so sole strunzate! C à sulamente nuie stamme buone…chiste è o miracole!”
Gennaro è rimasto impietrito e commosso da questa dichiarazione semplice, spontanea ma densa di filosofica schietta verità.
S’avvicina a Ciro, gli passa un braccio sopra le spalle e gli dice:
“O vede ch’anche tu nun te chiamme Aristotele pe’ ccase e che sii nu grande filosofe!”
“Jamme a mangià a “pizza filosofale, jamme!”
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- complimenti, molto bella
- Caro Sergio molto gustosa. Sembra un pezzo teatrale (e forse lo è. Fa venire alla mente i grandi duetti della commedia napoletana dai De Filippo fino a Troisi. Scritto molto bene si fa divorare fino in fondo. Complimenti.
Rudy
- Godibilissimo, e, per chi non lo sapesse, la storia del Principe di Sansevero è in gran parte vera.
- Un misto tra italiano e dialetto napoletano... Peccato io non conosca il napoletano, ma ho provato comunque a leggerlo ad alta voce e non so cosa sia uscito dalla mia pronuncia, comunque sia mi pare un racconto interessante...
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