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Il morto candido
Questa notte improvvisamente è mancato il Cavalier Commendator Grand'Ufficial Bartolomeus R. Fergusson. Quattro medaglie d'oro al merito. Di anni 96.
Lo annunciano straziati dal dolore i cugini Ernest, Gustav, Bertand con le rispettive mogli.
Annientati dal dolore per l'incolmabile perdita di Bartolomeus R. Fergusson di anni 96 Membro onorario della Società per i diritti civili munifico presidente del Comitato Pro Humanae Caritatae che si è distinto per le eccelse virtù e gli altissimi meriti.
I nipoti e i pronipoti.
Gli avvisi funebri attaccati al muro sudano gocce di colla sotto il sole rovente di luglio. Il funerale di seconda classe si svolge nella chiesetta di periferia. La campana fessa si è stancata di suonare i rintocchi perché il morto è in ritardo di quaranta minuti.
Sono le tre del pomeriggio e fa un caldo che mi sembra di scoppiare. Il giardinetto del sagrato è tutto spelacchiato e i fiori nelle aiole sono bruciati dalla siccità. Sul cornicione della chiesa i colombi tubano. Ogni tanto cade giù il loro sterco. Il termometro della banca segna quarantotto gradi all'ombra.
La gente sbuffa dal caldo. Non ne possiamo più di aspettare sotto il sole che scotta, con lo sterco dei colombi che ogni tanto ci cade in testa. Un ciccione vestito di nero vicino a me sembra scoppiare dentro al vestito. Cola da tutte le parti grosse gocce di sudore e continua ad asciugarsi la testa e la fronte con un fazzoletto ormai fradicio.
Mi sposto all'ombra di un pinnacolo ma sento un formicolìo nel corpo per il troppo caldo. Il termometro di là della strada segna quarantanove gradi.
Eccolo che arriva, pianissimo, in fondo alla via. Precedono le bandiere listate a lutto e gli stendardi funebri. Sul carretto la cassa color antracite luccica sotto il sole a perpendicolo. Con questo caldo il morto ci starà bollendo dentro.
Un tizio in nero incomincia l'elogio funebre:
"Signori..."
"La merda!" grida un ragazzino.
É passato uno stormo di colombi e il loro sterco ci è caduto in testa e sulle giacche come tanti coriandoli neri. Per sfuggire ad altri inconvenienti il discorso è sospeso ed entriamo in chiesa.
Caldo asfissiante anche lì e sole che ci investe entrando dai finestroni. I petali dei fiori sono appassiti e cadono sul pavimento. I facchini sollevano la cassa sopra al catafalco e ha inizio l'ufficio funebre.
L'uomo delle pulizie sale sull'altare a fare da chierichetto. É un tizio magro, maldestro che rovescia i vasi sacri durante il servizio religioso. Il prete vecchissimo, zoppo ed estremamente lento non sembra accorgersene. Intona un canto stonato e qualcuno lo accompagna cantando fuori fase.
Accanto a me i parenti pregano. Poi sottovoce si domandano in quale giorno verrà aperto il testamento. Quelli nel banco dietro di me invece stanno facendo il conto delle probabili suddivisioni dell'eredità e fanno la stima degli utili che si possono ricavare.
Le candele sono curve, sgocciolanti, rovesciate. A metà della funzione è necessario interrompere per arrestare un principio di incendio. La base in legno del portacandele sta prendendo fuoco e alcuni dei presenti corrono a portarla fuori. Nubi di fumo si diffondono nella navata facendomi tossire. Alla fine il prete prende il fornellino dell'incenso e con qualche nuvoletta di fumo licenzia il defunto.
Quando usciamo di nuovo fuori sono investito dallo schiaffo del caldo: sudore che cola giù per la schiena, gola secca, senso di soffocamento come per eccessiva pressione. Sento un pizzicore per tutto il corpo mentre mi incammino nel corteo che serpeggia sulla strada assolata.
In cimitero ci dirigiamo verso la parte vecchia. Per i vialetti le pietre scottano e rimandano un calore d'inferno. Molte lapidi hanno la scritta illeggibile. Passiamo accanto a una cappella che ha il soffitto sfondato. Con le scarpe affondo in una pozzanghera prosciugata dove ci sono centinaia di girini morti.
Siamo rimasti in pochi perché molti sono già andati a casa. Intanto gli operai là davanti hanno sollevato la pietra tombale e stanno spargendo giù del liquido. L'odore acre del disinfettante mi fa arretrare. Quando mi avvicino, dalla stretta botola aperta intravedo pile di bare nere ai lati del loculo.
I becchini sollevano la bara e la alzano in verticale. Sento il rumore del corpo che si raggrinza e si piega su se stesso all'interno della cassa, sbattendo contro le pareti. Imbrigliano la cassa con le corde e poi la calano giù dalla botola tenendola in verticale. Al colmo dello sforzo agli uomini sfuggono sbuffi di rabbia e di fatica:
"Dai! Tira! Oooh..."
Un tonfo avverte che la cassa ha toccato il fondo. Adesso tocca a un uomo magrolino scendere giù e sistemare la cassa. Ha il camice grigio, la barba ispida e grigia come la sua faccia.
In silenzio, aiutato dagli altri si cala giù. Spinge la bara mentre gli altri operai da sopra tirano le corde. Riesce ad adagiarla per un lato sopra alle altre casse. Adesso prova a sollevare anche l'altro lato ma la cassa gli scivola giù con un tonfo. Si sentono imprecazioni, rumori e tosse catarrale giù nella polvere.
Al secondo tentativo l'operazione riesce. Con sforzi e sbuffate la cassa va a finire in cima alle altre. Gli operai ritirano le corde. Quello sotto si appresta a risalire faticosamente fra un gran polverone. Mette i piedi sulle casse servendosi come gradini. É quasi arrivato. Vedo la sua testa con i capelli pieni di ragnatele.
Crak! Uno schianto e un grido disperato:
"Aaaaaaagh..."
Segue un boato tremendo di casse che precipitano le une sulle altre. Evidentemente una cassa ha ceduto facendo precipitare tutte le altre.
Gli operai sbraitano e si muovono con movimenti concitati. C'è confusione e baccano. La polvere sale dalla botola come fumo impedendo di vedere cosa è successo.
Un altro operaio si lega con le corde e si cala giù.
Dopo molti sforzi il compagno viene recuperato, malconcio, sporco e insanguinato ma ancora vivo.
MAGGIO 1989
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