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Finalmente
È contenta Leda, mentre percorre senza fretta le vie del centro.
È in anticipo, e può permettersi di procedere lentamente, guardando le vetrine dei negozi aperti da pochi minuti.
Ecco, quelle scarpe col tacco alto per esempio, starebbero benissimo con quel vestitino stretto che ha comprato l’altro ieri, così attillato, così efficace nel sottolineare le sue curve morbide, eleganti, e subito indossato per tutto il giorno, (Leda non è quel tipo di ragazza che, una volta comprato un qualsiasi prodotto, specialmente se è un capo di abbigliamento, aspetta l’occasione giusta per utilizzarlo, anzi, spesso mette nella confezione il vestito che indossava quando è entrata nel negozio e tiene addosso quello appena acquistato, anche se è inadatto all’ora o alla circostanza), e quella trousse contiene proprio tutte le sfumature di colore che lei preferisce, e allora Leda entra nel negozio, del resto non ha problemi di tempo, non più .
Una volta all’interno dell’esercizio la ragazza comincia a vagare tra gli scaffali, rapita da quella sinfonia ordinata di prezzi, flaconi, contenitori, stoffe, bottoni, cerniere lampo, tacchi, luci, camerini, tutto lì, tutto a sua disposizione, ed anche il personale, anche le commesse, la cassiera, i magazzinieri, e su su salendo con l’immaginazione tutta la scala gerarchica dell’esercizio fino alla proprietà, sono lì per lei, per soddisfare in ogni modo a loro possibile le sue esigenze, non è fantastico?
Non è una sensazione inebriante?
Non dà i brividi sapere di essere all’apice della piramide economica?
Sapere che tutta quella gente dipende dalle sue possibilità di acquistare i prodotti che dagli scaffali implorano un suo sguardo interessato?
Si, lo è, e Leda ne è completamente rapita, completamente dipendente, come drogata, lo sa e non gliene importa niente.
Esatto, non gliene importa proprio niente, (anche se Leda non userebbe esattamente questa espressione, ma tenderebbe ad esprimersi con una scelta di vocaboli un po’ più forte), non può importargliene, e mentre svolta l’angolo della via per immettersi sul viale principale della città, ancora più colmo di vetrine, Leda ripensa alla sua infanzia, che forse non è ancora terminata considerando i suoi diciotto anni, non del tutto almeno, ed a come è trascorsa alle prese con la sua pseudo-famiglia, con una madre disoccupata e subito abbandonata da chi l’ha inguaiata, (Leda non lo ha mai chiamato papà, ed anche se il guaio cui sua madre si riferisce è lei stessa, preferisce usare questa espressione poco lusinghiera verso sé piuttosto che gratificarlo della qualifica di padre), psicologicamente impreparata anche ad una gravidanza normale, figuriamoci alla sua, con tutte le conseguenze che comporta mettere al mondo un figlio senza mezzi di sussistenza.
Le privazioni patite passando da una casa famiglia ad un’altra, che nei primi anni erano scivolate su di lei senza lasciare traccia, avevano cominciato invece ad incidere profondamente quando, una volta venuta a contatto con i compagni di scuola inseriti in famiglie normali, con case normali, con stipendi normali, con vacanze normali, con macchine normali, aveva realizzato che c’era tutto un mondo al di fuori della stanzetta ricavata nel retro del convento e divisa con altre due ragazze madri e la relativa prole, e che questo mondo non solo le era precluso, ma non si interessava minimamente a lei, non faceva assolutamente nulla per cercare di accogliere lei, sua madre, le altre come lei al suo interno, anzi, sembrava adoperasi in ogni modo possibile per tenerla fuori, in modo da non dover dividere niente con nessuno.
Ed allora Leda aveva cominciato a provare uno strano malessere, una strana sensazione che in principio non aveva saputo definire compiutamente, ma che, con l’accrescere delle sue conoscenze e con il progressivo formarsi della sua personalità, aveva saputo definire semplicemente per quello che era: astio.
Un profondo, gorgogliante, malefico astio non rivolto verso qualcuno o qualcosa in particolare, ma indirizzato genericamente nel mucchio sociale, contro tutto e contro tutti quelli che, senza nemmeno apprezzarlo, vivevano……non sapeva nemmeno come dire…. facile, ecco, si, vivevano facile.
Avevano bisogno di un paio di pantaloni?
Li compravano.
Avevano bisogno di un maglione?
Lo compravano.
Avevano bisogno di un paio di scarpe?
Le compravano.
Di più, non avevano bisogno di niente di tutto questo?
LO COMPRAVANO LO STESSO.
Lo compravano lo stesso….. questo pensiero era veramente insopportabile per la psiche di Leda, il realizzare che c’era della gente che spendeva dei soldi per acquistare qualcosa tanto per il gusto di acquistarla, senza averne bisogno, mentre lei questi bisogni non era in grado di soddisfarli, nemmeno in forma minimale dato che l’unico bersaglio da centrare ogni giorno era riuscire mangiare con regolarità, era semplicemente troppo per lei, troppo.
Come poteva essersi creata una situazione simile?
Come poteva esistere una società così sproporzionata, così sbilanciata a favore di alcuni ed a svantaggio di altri?
Leda era veramente interessata a capire questo meccanismo, probabilmente nel tentativo inconscio di trovare una giustificazione a tutto questo, e, di conseguenza, una soluzione.
Era dunque diventata l’alunna migliore della scuola nello studio della storia, materia da cui supponeva di poter trovare delle risposte a queste domande, ma più crescendo approfondiva lo studio passando dalle elementari al liceo, più si rendeva conto che, a parte alcune considerazioni che potevano essere fatte circa le conseguenze sociali di guerre, invasioni, mutamenti politici, climatici e roba simile, l’unica vera ragione era che l’uomo faceva schifo, e lo aveva sempre fatto.
La sequenza cronologica degli accadimenti storici era in massima parte la cronaca dei vari tentativi, per lo più riusciti, di sfruttare i molti da parte dei pochi, e quindi non c’era molto da sperare per sé e per il suo futuro.
In questi anni il suo astio, dapprima ingenuo, quasi dolce, si era poi evoluto in una forma grumosa, ai limiti del puro odio.
Il non poterlo esprimere all’esterno per paura di subire qualche conseguenza disciplinare che avrebbe potuto avere un impatto irreparabile sulla sua permanenza e quella di sua madre nella struttura della casa famiglia, unica casa che potevano permettersi, aveva provocato in lei un leggero ritardo dello sviluppo, qualche tic nervoso, un carattere spigoloso.
Il tutto fino a quando, intorno ai sedici anni, Leda aveva invece incanalato tutte le sue energie mentali verso una possibile risoluzione del problema, che aveva individuato nel trovare un lavoro, una occupazione stabile e remunerativa, che avrebbe potuto regalare a lei ed a sua madre, (ma più a lei), una vita normale, agiata, anzi…ricca, si, perché no?
E questo aveva anche regolarizzato il suo sviluppo, trasformandola in una giovane donna aggraziata, soda e rotonda.
Ma a Leda non sarebbe bastata la semplice normalità, non più, quello che voleva era essere ricca e recuperare tutto il tempo sprecato, tutti gli oggetti non acquistati, tutte le gioie non godute, tutti i momenti bruciati dal rancore.
All’inizio questo pensiero era stato di per sé sufficiente per migliorare la sua esistenza, ma poi intorno ai diciassette anni, aveva cominciato a rendersi conto di dover concretizzare quel pensiero, di dover quindi focalizzare la propria attenzione sulla ricerca di un lavoro effettivo.
Stavolta però non si era lasciata schiacciare dalle difficoltà, ed aveva pertanto avviato la ricerca con metodo, comprando tutti i giornali di annunci economici, setacciando internet usando il Pc della scuola, osservando le vetrine di tutti i negozi per vedere se qualcuno stesse cercando una commessa, il tutto anche in previsione dell’imminente diploma.
Ed il lavoro lo aveva trovato, proprio come commessa, e solo il pomeriggio per non intralciare lo studio, ma, dopo che trascorso un mese la proprietaria sorridendo le aveva messo in mano quattrocentocinquanta euro con l’aria di una che le aveva appena versato quattrocentocinquanta milioni, aveva capito con non era certo quello di cui aveva bisogno, e se ne era andata.
I soldi però non li aveva spesi, li aveva messi da parte, neanche lei sapeva perché, ma sentiva che le sarebbero stati più utili dopo, e aveva ragione.
Il giorno in cui si diplomò la madre era raggiante, dato che lei non disponeva che della terza media, e quel diploma le sembrava un traguardo incredibile raggiunto da quella figlia così sfortunata rispetto alle altre, ma Leda invece, anche se la madre era troppo contenta per notarlo, prese la cosa con distacco, quasi come una liberazione da una enorme scocciatura.
Si, perché intanto Leda aveva finalmente scoperto che un lavoro facile e remunerativo c’era, e non occorreva nessun diploma per esercitarlo.
Era così semplice, sarebbe bastato prestare più attenzione agli altri annunci, quelli che cominciavano con AAA e tutto si sarebbe risolto molto prima.
Allora aveva preso i quattrocentocinquanta euro che aveva messo da parte, aveva affittato un mini-appartamento in un quartiere tranquillo ed aveva cominciato l’attività, ed in brevissimo tempo si era potuta permettere tutto quello che voleva, non era stato facile?
Leda è quasi alla fine del viale, è ora di tornare alla macchina, (non è grossa, ma è nuova e la rate le paga agevolmente, sua madre non ha neanche la patente) e recarsi al lavoro.
I clienti cominciano ad arrivare già verso le nove e l’agenda è piena, il primo è quel vecchio panzone che abita al terzo piano, è rimasto vedovo da molti anni, come biasimarlo?
Ogni tanto Leda con qualche cliente come lui deve interrompere brevemente il lavoro, recarsi in bagno e vomitare, vomitare e vomitare ancora fino a quando non le sembra di essersi svuotata dal marciume, ma poi torna di là; questi clienti più sono vecchi e più sono generosi, e quel cappottino firmato nella boutique di Via Bassi è così carino……e Leda ora può comprarsi quello ed altro.
Finalmente.
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