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Il Dio in scatola
"L'infimo e il sublime sono le due vie di uscita dalla normalità."
Un tizio impegnato a costruire aeroplanini di carta sta parlando da solo vicino a me, ma non gli do ascolto. Seduto nella sala di aspetto della piccola stazione mi annoio ad aspettare il treno che non arriverà prima di due ore.
"Io ho scelto la seconda soluzione e ho costruito un Dio" prosegue la voce.
Mi volto verso l'uomo che ha parlato. É magro, vestito di grigio. Approfitta del mio sguardo per sorridermi e per allungarmi la mano:
"Mi chiamo Hartley e sono meccanico."
Fa una pausa: "Come le dicevo, poiché sono un meccanico ho voluto fabbricare un Dio logico, un Dio razionale. Mi capisce?"
"Ha fatto questo, dice? Chissà che fatica!" commento.
"No. Alcuni costruiscono imperi, altri fanno bolle di sapone. Io mi sono divertito a costruire un Dio."
"Un Dio? Non è nuova questa invenzione. Ce ne sono già tanti sulla terra" gli rispondo deluso.
"Ci sono tanti Dèi che sono i simboli delle aspirazioni, dei desideri e dei bisogni dell'umanità. Questi Dèi sono la materializzazione di un grido di dolore, sono solo surrogati. Il mio Dio invece, quello che ho costruito, serve a realizzare i desideri."
Questo tipo è un pensatore. Per metterlo in imbarazzo gli faccio la domanda che ha fatto impazzire per secoli i filosofi:
"A cosa serve la sofferenza sulla terra?"
Lui non sembra scomporsi e risponde con tranquillità:
"La sofferenza è come il pepe, serve a rendere meno insipida e più interessante la vita."
I discorsi dell'ometto incominciano a interessarmi.
"E come l'ha fatto il suo Dio? Come un uomo?"
"Un Dio antropomorfo sarebbe stato possibile, ma con debolezze e vizi umani. No! Ho preferito dargli un'altra forma."
"E serve per esaudire i desideri, ha detto?"
"I desideri dell'uomo."
"Sì, sì, certo ma... può provare quello che afferma?"
"Venga. Venga a vedere. Il mio laboratorio è qui vicino. Sa, io non devo partire" spiega l'ometto, "di solito vengo qui solo per studiare i treni."
Dopo un attimo di perplessità afferro le valige e lo seguo fuori dalla stazione. Manca ancora molto tempo all'arrivo del treno.
Seguiamo una strada lungo un corso d'acqua. Dopo un edificio diroccato con la scritta Albergo Lux imbocchiamo un vicolo trasversale, semibuio, mettendo in fuga decine di gatti rognosi. Qui molti edifici sono ancora semidistrutti dai bombardamenti della guerra. Dalle finestre escono i pipistrelli e nel silenzio si ode il lamento del gufo.
Penso che ho fatto male a fidarmi di uno sconosciuto. Forse ha intenzione di portarmi dai suoi complici per assalirmi e derubarmi.
Il quarto di luna nel cielo scuro è un gingillo dorato che tramonta dietro nubi di gommapiuma. Questa visione, chissà perché, mi rassicura e mi tornano alla memoria dei ricordi belli e tristi.
"Ho amato soprattutto due cose in gioventù" sussurro piano." Una donna che ho perduto e un cane randagio che mi hanno portato via..."
"C'è un Dio anche per i cani, signore, come c'è un Dio per gli artisti e per gli amanti" mi interrompe.
"Bene, lei pensa che sia possibile ritrovarli ora?"
"Sì. Anche se spostare un tassello della realtà spesso comporta spostamenti indesiderati di altri tasselli per riequilibrare il piano. Cosicché alla fine con la somma di tutti gli eventi modificati si ottiene un risultato equivalente alla situazione iniziale."
"Mi sta dicendo che non conviene modificare gli eventi. Si contraddice!"
"No. Ogni filosofia molto complessa sembra contraddittoria. Anche in natura sembra che ci siano delle contraddizioni! Ma eccoci, siamo arrivati."
Un edificio tetro. Mi fermo, lascio che entri per primo e quando vedo la luce tremolare attraverso i vetri sudici mi azzardo ad entrare. É una officina. Dappertutto c'è unto e fuliggine. Intravedo un tornio, mantice, pressa, alcune grosse pompe idrauliche. Pezzi di motore d'aereo sono smontati sui banchi. Seguo l'ometto facendo attenzione a non inciampare nella ferraglia.
Apre una porticina. Attraversiamo un sottopassaggio basso di mattoni che immette in un pollaio col gabinetto. In un cortiletto fangoso camminiamo fra uno scolo per l'acqua e lunghi edifici scuri con tele di sacco alle finestre. Sento l'uomo che tira dei catenacci e poi esclama:
"Eccola, la mia creatura!"
Non vedo niente. Poi accende una lampadina fioca e anch'io entro.
Lo stanzone è occupato dalla mole alta e massiccia di un congegno che sembra un incrocio fra un orologio da torre e una macchina per tipografia. Ruote dentate, leve, contrappesi, stantuffi, un lungo bilanciere di ottone.. Nel silenzio si sente il lontano rumore d'acqua di una cascata.
Il meccanico non mi lascia il tempo per ammirare la macchina perché sembra impaziente di darmi subito le sue istruzioni. Mi fa salire su una scaletta di ferro fino a un seggiolino sistemato là in alto. Davanti a me c'è un complesso sistema di lenti e prismi e più in sotto la tromba di un megafono.
Da lassù vedo Hartley indaffarato a far scattare delle cremagliere. Forse ha aperto delle chiuse perché il rumore della cascata è aumentato.
Poi vedo Hartley che compone alcune sigle su una tastiera: (una vecchia tastiera Remington modificata) N 10022 T. A A J W X 23 Y.
Si ode uno scricchiolìo come di una ruota sotto sforzo che gira. Tutto il castello di acciaio dell'apparecchiatura si mette a vibrare e la stanza si riempie immediatamente del ronzìo basso degli ingranaggi, intervallato a tratti da duri scatti metallici. A quanto pare la macchina è partita.
Ora vedo che il meccanico preme un tasto rosso con la scritta: RICHIAMA. Il rumore diviene più intenso e si sentono le ruote aumentare di velocità. Seguono rumori di caldaie in pressione, risucchi di stantuffi, gracidii di seghe... Un indice rosso si alza e le lancette di alcuni strumenti si mettono a vibrare.
Adesso l'ometto pare indemoniato. La sua testa calva è sudata, ha lo sguardo sbarrato e si muove fra i congegni con movimenti sempre più frenetici. Mi grida qualcosa che non riesco a comprendere bene fra il rumore:
"Si tenga pronto -- -- arrivare..."
Tira alcune leve, spinge dei pomelli. Preme un tasto nero con la scritta: REALIZZA.
Sullo schermo in fondo al tubo appare un filo di fumo nerissimo che rotea come un mulinello. Il filo di fumo attira tutta la mia attenzione e mi pare che assomigli a una donna nuda, esile, che rotea e si contorce a incredibile velocità. Contemporaneamente sono disturbato da un sibilo, da un fischio sempre più acuto e insopportabile.
Segnalo a Hartley che mi faccia scendere, ma lui pare fuori di sé ed è impegnato a spargere olio sui congegni con un grosso oliatore.
Semistordito dal rumore assordante e dalle vibrazioni della macchina grido più forte aiutandomi con i gesti. Il rumore diviene ancora più acuto.
Adesso voglio scendere di qui. Non mi importa più niente dell'esperimento. Provo a muovermi ma mi sento intrappolato sullo stretto sedile e non riesco a trovare i gradini.
"Hartley, Hartley. Aiuto!"
In un ultimo tentativo di difesa mi tappo le orecchie per non udire più il sibilo e socchiudo gli occhi. In quella confusione infernale vedo sciami di faville bianche incandescenti.
La macchina sembra impazzita. Le vibrazioni sono sempre più forti, le leve corrono sempre più rapide, gli ingranaggi girano sempre più veloci, sempre più veloci... Al colmo della disperazione grido:
"Aiuto! Fatemi scendere! Voglio tornare in stazioneee..."
Odo uno stridìo. Un suono lacerante poi la stanza si riempie di un'esplosione di luce seguita dal buio.
Quando riapro gli occhi mi ritrovo seduto nella sala d'aspetto. Cosa è successo?
Mi passo le mani sugli occhi per scacciare la stanchezza. É stato solo un sogno. Devo essermi addormentato.
Gli altoparlanti sotto il soffitto gracchiano che il mio treno sta per partire. Devo affrettarmi se non voglio rischiare di perderlo.
Salgo sul treno e sistemo le valige. Mi siedo sui sedili di legno ascoltando il fischio del capostazione e gli sbuffi di vapore del treno che si muove.
Guardo le mie scarpe. Sono tutte infangate. Sui miei pantaloni ci sono macchie scure di olio.
Che occasione mancata!
Resto sbalordito dalla sorpresa. Che occasione perduta!
Il treno aumenta di velocità ed io non riesco ancora a riprendermi dalla terribile avventura.
Ma un giorno tornerò dall'inventore, e al suo Dio artificiale chiederò denaro, donne, giovinezza, potere...
APRILE 1989
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1 recensioni:
- bello e pungente! Ottimio
- Massacrante...

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