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Fatima
“Non è il caso di fare nomi, sei Fatima, Fatima e basta”.
Certo, non è il caso di fare nomi, la donna lo sa bene, ormai i controlli sono serratissimi, ed anche un piccolissimo, insignificante errore, una parola detta in pubblico, ad esempio sull’autobus o al mercato, senza contare i delatori, può vanificare la buona riuscita di una operazione pianificata da molti mesi, ed a cui si sono dedicate molte persone.
Fatima infatti non è che l’ultimo, decisivo ingranaggio di una catena umana il cui fine ultimo è uno solo: portare l’esplosivo sul ponte, avvicinandosi quanto più possibile al posto di blocco costituito da un carro armato e due autoblindo con i relativi soldati, (dodici in tutto, l’operazione è preparata minuziosamente), e fare saltare tutto, cosciente del fatto che a saltare potrebbe essere anche lei, ma non importa.
“Sei pronta”?
La domanda le giunge dopo qualche secondo, ed a porgliela è stato Fez, l’organizzatore dell’operazione - chiaramente anche questo un nome di copertura?" ed il sentirsi chiedere se è pronta a compiere un’azione così incredibile, così inumana, un’azione a cui solo pochi mesi prima non avrebbe mai pensato, accende in lei la zona cerebrale deputata alla memoria, e fa in modo che Fatima riveda come dalla poltrona di un cinema le immagini della sceneggiatura che l’ha portata ad indossare, sotto il vestito, l’esplosivo che si prepara ad usare.
Solo pochi anni prima Fatima era ancora una donna normale, con una vita normale?" per quanto possa esserlo la vita di una giovane di questa zona arretrata del paese, ancora legata rigidamente alla divisione arcaica dei compiti tra uomo e donna, ed al seguire ossessivamente i precetti religiosi che gli addetti al culto non mancavano di ricordare giornalmente a tutti i fedeli?" un marito, dei figli, una casa.
Poi, dapprima a dispetto di quanto assicurato dal dittatore tramite tutti i mezzi di informazione possibili, successivamente come quasi auspicato dallo stesso per esaltare la forza della nazione e la vittoria sicura contro il nemico venuto dall’America, la guerra.
La guerra quella vera, quella fatta di urla, bombe, sangue, ferite, macerie, polvere, budella, orfani, granate, terrore, odio, panico, e morti, tanti morti……una lunga, interminabile, gelida sequela di morti.
La guerra……. Fatima sapeva che questa eventualità era possibile, lo sapevano tutti, ma vederla dal vero…...
Da quando al potere c’era quell’uomo, nonostante le dichiarazioni ufficiali, le strade costruite, le infrastrutture migliorate, l’economia artificiosamente gonfiata, le cose erano andate sempre peggio, specialmente per chi si opponeva, per chi dissentiva.
Alcuni conoscenti di Fatima, appartenenti ad un’etnia che prima stava tranquillamente in pace, erano stati perseguitati, alcuni erano scomparsi, e giravano voci incredibili su cosa quell’uomo aveva fatto, o consentito che si facesse a chi non era allineato.
Poi l’embargo, la necessità di fare tutto con le risorse interne, la scarsità di medicinali, di cibo, di tutto…. no, Fatima non era mai stata d’accordo con lui, ed anche se non ne aveva mai parlato apertamente nemmeno con il marito, aveva sempre avvertito la necessità di fare qualcosa.
Quando alla fine gli eventi erano precipitati ed anche il tiranno era stato spazzato via dalla follia che egli stesso aveva generato, Fatima aveva dapprima sperato che ciò fosse sufficiente a creare le condizioni per ricominciare, per fare risorgere il paese su basi nuove, libere, moderne, laiche, finalmente svincolate dai legacci religiosi, e, perché no?
Più umano con le donne.
Ma non era andata così, no, non era andata così…..
Quelle truppe una volta alleate, almeno formalmente, erano ancora in buona parte sul territorio del paese, e non accennavano ad andarsene.
Fatima sarebbe anche stata disposta ad aspettare il corso naturale delle cose, che non poteva che portare all’indipendenza, alla libertà, ma da quando suo marito era morto in un scontro a fuoco, ed anche il figlio di soli dodici anni era stato ucciso da un soldato perché reggeva in mano un giocattolo scambiato per chissà quale ordigno, anche la sua prospettiva era mutata per sempre, ed ora era disposta a tutto per accelerare le cose, anche a morire.
Non si rendeva bene conto dell’importanza di liberare quel ponte da quei soldati, ma non le importava poi tanto, ormai in lei viveva solo il desiderio di vendicare suo figlio, ed il perdere la vita era solo una variabile tra le tante, e nemmeno la più sgradevole, anzi…. in Fatima c’era fortissima la speranza di essere uccisa e di portare con sé quanti più soldati possibile, di produrre quanti più orfani e vedove era nelle sue forze.
Ora Fatima sta camminando con calma sulla via, svolta a destra, supera la piazzetta dove ogni settimana si svolgeva il mercato, e si immette sul viale che porta al ponte.
È a circa cento metri dalle autoblindo disposte a spina di pesce, il carro armato è alle loro spalle.
Due soldati sulla torretta di puntamento e sei in piedi dietro gli sportelli dei mezzi di primo sbarramento, gli altri in coda alla formazione.
Ai settanta metri i soldati cominciano a notarla e si scambiano qualche sguardo apprensivo, Fatima cammina con calma, un canestro sulla testa da cui si intuisce della frutta, ed un sorriso estatico a rasoiarle il viso.
Cinquanta metri, i soldati sono nervosi e si scambiano frasi eccitate, uno chiede lumi via radio al comando.
Trenta metri, Fatima vede suo figlio assieme ai soldati, è sospeso a dieci centimetri dal suolo, le sorride, la aspetta.
Venti metri, “Aufhalt! Aufhalt!!”
Il tenente Grosser ha ventisei anni, poca esperienza e troppa pietà, esita troppo.
Quindici metri, “Feuert! Feuert!!!!!”.
Troppo tardi, mentre i proiettili raggiungono la partigiana Rosella, nome in codice Fatima, il suo sorriso è sempre più radioso, all’ultimo secondo si è sfilata il vestito, sembra un osceno manichino nudo e mortifero.
Gli occhi invasi dal terrore dei soldati Tedeschi che si rendono conto dell’esplosivo che porta sono una ricompensa celestiale per lei.
Sto arrivando figlio mio, sto arrivando.
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