Niente miracoli piovono per le mie lacrime, né in cielo né in terra.
Mi scivoli addosso come l’abito nero di una gran signora vecchio stile, e resti lì, a non guardarmi un altro po’, a fumarti la mia anima come l’ultima del pacchetto, quella che si concede all’ergastolano o al futuro padre nevrotico che va avanti e indietro per la sala d’aspetto di un qualsiasi ospedale.
E tu vai avanti e indietro per la sala d’aspetto di un qualsiasi ospedale e fai cenere di me.
Jazz, e io mi lascio sgretolare, ma polvere di Argento non divento, mentre mi guardi sparire come fuliggine da dietro ai tuoi specchi. E infondo credo, vorrei soltanto mi potessi vedere, vedere per quella che sono, quella che sono per tutti gli altri, gli altri che come me arrancano nella corsa contro il tempo, quel tempo del "C’era una Volta" che ha fretta di salutarmi con la mano, e con le mani, le mie, prego tutte le religioni del mondo per l’opportunità di scrivere con nero inchiostro nelle tue pupille e per scavarci dentro, come tante altre prima di me, o forse nessuna. Per scavarci dentro, come tante altre, che forse la mia mappa del tesoro non possedevano.
Ma ci dev’essere una ragione divina, un fottuto perchè, anche per questa fermata non-sense apparente. E allora aspetto, impaziente di mettere il cappotto e la sciarpa, che sarai pur simile agli altri, eppure con te tutto è semplicemente primavera, e corro mentalmente la maratona per arrivare in alto, con tutte le forze che ho in corpo, perché quando trovi qualcosa per cui scrivere, non sei in grado di non fare chiasso di sotto. E allora sto qui, sguazzando con noncuranza nelle pozzanghere di chi c’era prima di te, con la stessa ingenuità di chi rischia per la prima volta la sua bella secchiata d’acqua fredda.