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Il giusto peso

Mi trovavo in quel particolare stato di grazia che fa seguito all’unione con una donna.
Non ho mai saputo come si chiamasse, o forse col tempo l’ho dimenticato, ma, ora che sono passati così tanti anni, ora che per vedere cose importanti devo girarmi indietro ed è arrivato anche per me il momento di separare il riso dalla pula, solo ora mi rendo conto che di lei almeno il nome vorrei mi fosse rimasto. Ma a quel tempo non mi sembrava importante.
Nel tepore del mio letto, sotto le coperte pesanti, ci godevamo la tranquillità di quei momenti, con la mente libera da qualsiasi tipo di pensiero. Ci lasciavamo trascinare dal lento moto dei sensi che pacificamente si dondolavano in quella sorta di oblio.
Stavo bene, proprio bene; sentivo il suo corpo caldo appoggiato al mio, soffice e dolce come il suo fiato, ancora lievemente ansimante. Ci conoscevamo solo da poche ore. Restammo uno accanto all’altra a godere del silenzio di quegli istanti, senza dover sopportare il peso di parole inutili e non sentendo il dovere di pronunciarle, in una condizione di intimità probabilmente ingiustificata, ma piacevole, e il piacere era, senza ipocrisie, l’unica cosa che in quel momento interessava entrambe.
Poi accadde. All’inizio, tale era il torpore al quale mi ero abbandonato, non compresi quale fosse l’origine di quel suono, ma poi, per la cattiveria che solo le cose normali sanno avere, mi resi conto che era il telefono che suonava. Nel momento meno opportuno. Pregai che quell’odioso trillo smettesse, che chiunque si trovava all’altro capo non si ostinasse nell’intento di parlarmi. Lo lasciai suonare per un po’, poi mi feci coraggio e, scusandomi, sgusciai da sotto le coperte per andare a rispondere, completamente nudo. Rabbrividii, la casa era fredda e il sudore mi si gelò addosso sgradevolmente. Nel breve tragitto che e mi separava dal telefono, il mio cervello, snebbiato dal freddo, passò in rassegna le diverse motivazioni che potevano spingere qualcuno a cercarmi in piena notte e calcolò quale fosse la più sconveniente in quel momento: ecco, in una frazione di secondo fui assolutamente certo di come sarebbe proseguita la serata. Riagganciai la cornetta imprecando, poi tornai in camera:
-Devo uscire, scusami.
-Cos’é successo? Niente di grave spero…
Era davvero carina, come carina era l’apprensione che si intuiva nel tono della sua voce. La lampada sul comodino dipingeva di luce il suo contorno, seduta sul letto si abbracciava le ginocchia. Non mi sembrava più carina, in quel momento la trovai veramente bella e sentii forte la tentazione di mandare tutto a farsi fottere e tornare a farmi scaldare da lei. Ma non potevo, come si dice…”il lavoro è lavoro”. Allora ci credevo, credevo alla dedizione e al sacrificio che nobilita; adesso, anche se il mio animo è diventato sicuramente più nobile, dopo che ho rinunciato a mille cose belle in nome di un malinteso senso della professionalità, mi rendo conto che è la più grassa bestialità che un uomo sano di mente possa pensare.

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9 commenti:

  • rosanna gazzaniga il 03/02/2012 19:21
    Letto d'un fiato, scritto con maestria. Mi ha trasmesso una grande compassione per quella povera bestia e il suo vitello trucidato. La stupidità umana è senza confini, quasi quanto la crudeltà. Complimenti!
  • Anonimo il 04/04/2011 10:52
    Avrei preferito non leggere questo racconto Enrico, mi ha commosso la storia incredibile e allucinante di quella povera bestia che dopo essere stata torturata per anni ha ricevuto come premio il mattatoio... ma lasciamo correre! Nonostante tutto è un racconto intenso che ho letto avidamente. Non hai sprecato uno spazio, una battuta tutta la vicenda scorre in modo impeccabile sotto la tua penna e il racconto che ne viene fuori è un piccolo capolavoro letterario. È difficile riscontrare in brani autobiografici tanto distacco eppure tu ci sei riuscito rendendo il tutto ancora più originale e intrigante, condendolo di quel pizzico di sensualità che accende la fantasia del lettore anche dopo la fine del racconto.
    Complimenti!
  • enrico ziohenry il 05/11/2008 18:31
    Grazie Max, sei sempre gentile. Il senso non lo ho ancora trovato, forse quando lo troverò mi verrà voglia di cambiare lavoro. È un racconto quasi totalmente autobiografico, e se dovessi scriverlo oggi probabilmente lo intitolerei "Lo spreco", perchè davvero ho rinunciato a molto per il lavoro e mi rendo conto che spesso non ne valeva la pena. Ti ringrazio ancora per le belle parole... mi farai arrossire! ciao, ziohenry
  • John Barleycorn il 11/10/2008 22:50
    Raccontato bene, come sempre faccio collego i luoghi ed i personaggi a posti che già conosco e do una fisionomia ai personaggi. Mi è sembrato di viverlo. Complimenti.
    Sicuramente non invidio il tuo lavoro.
  • Ada FIRINO il 25/09/2008 12:52
    Bel racconto, ben scritto dove trapela visibilmente l'emozione e l'amore per gli animali. No, non credo che tu sia un "freddo" pragmatico, come ti descrivi. Ciò che hai scritto denota parecchia sensiblità. E questo mi piace.
  • Antonello Gualano il 05/12/2007 10:43
    complimenti enrico, il tuo stile è molto lineare ed affascinante. Si arriva alla fine in un batter d'occhio. A rileggerti!
  • Maria Lupo il 09/10/2007 23:43
    È terribile, questo racconto. Bellissimo ma terribile.
  • francesco gallina il 08/09/2007 12:23
    Caro Gianfranco, su questo non c'erano dubbi. Enrico, il racconto è crudo, ma deve esserlo per descrivere certe situazioni, ed è scritto bene, sale man mano che si va avanti.
  • marilena rimpatriato il 04/09/2007 18:33
    gradito tantissimo il racconto.

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