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Prima Volta
Mario Favancini, detto “Romoletto” è disteso sul letto in una caldo pomeriggio di fine Giugno. Il dottore è appena uscito dalla stanza con un’espressione sinceramente dispiaciuta. “Romolè, non passerai la notte” gli aveva detto abbassando lo sguardo. Era un amico prima che un dottore. Ma a Mario non importa ora. Sente la vita che gli defluisce velocemente dalle mani. La causa è una brutta parola che aveva usato il medico e che Romoletto preferiva definire “vecchiaia”.
“D’altronde che male c’è a dire che si è morti di vecchiaia?” pensa.
“Me lo vorrei proprio vedere scritto sulla lapide. Romoletto è morto di vecchiaia. Ha! Essere “vecchio” prima di tutto implica che tu lì ci sei arrivato! Alla faccia di tutti quelli che m’hanno voluto male.”
Chiunque avrebbe reagito diversamente alla notizia della sua morte imminente. Chiunque si sarebbe spaventato a sentire il proprio respiro spezzato e le membra intorpidirsi. Chiunque, ma non Romoletto. Chiuse gli occhi e stranamente sorrise. Pensò che quella probabilmente era l’ultima volta che lo faceva. Poi spalancò gli occhi.
Da lì a poco sarebbe morto. Per la prima volta.
Certo, da quest’ottica cambiava tutto. Non più l’ultima giorno di vita, ma la prima volta che muoio.
“Chissà quante prime volte ho avuto nella mia vita e non le ho godute per stare a crucciarmi delle ultime. Che poi, a pensarci bene, non ci sono seconde volte.
Né seconde prime volte.
Ogni esperienza è diversa.
E questa sì che è un’esperienza.
Andarmene.
Sereno.”
Sorride di nuovo, contraddicendo il suo pensiero di poco prima.
Nello stesso esatto istante Giulia guarda il soffitto. Anch’essa è distesa su un letto. Non il suo. Dei genitori del suo ragazzo. Infine il momento tanto atteso è arrivato. C’è voluto addirittura un mese ma alla fine ha ceduto. Hanno finalmente fatto l’amore. Ma Giulia non riesce a sorridere. Il suo ragazzo è girato di schiena e dorme. Ma lei neanche riesce a girarsi. È incredibilmente seria.
E le sembra che per un momento si veda dall’esterno. 15 anni, senza più paura di qualcosa di sconosciuto e triste. Incredibilmente triste.
“Perché?”
Una sola domanda le martella la testa.
Vorrebbe vedersi felice e abbracciata e coccole e baci e parole dolci e sogni lenzuola profumi carezze.
Ma tutto ciò che vede di sé sono due mani serrate sulle lenzuola che coprono un seno che ancora deve sbocciare del tutto. Infine comincia a sentire una difficoltà respiratoria non indifferente, un liquido salmastro le sale agli occhi. I muscoli delle sopracciglia le cominciano a fare male per quanto sono contratti. Non vuole piangere, non deve. Se piangerà sarà per la felicità.
Ma non c’è felicità alcuna in quel corpo. E si domanda ancora una volta perché. Lei lo ama. O almeno così crede. Per poi chiedersi cosa sia l’amore. Certo lei tiene a lui, altrimenti non si sarebbe concessa. Ci teneva così tanto poi!
Tanto che l’avrebbe lasciata.
Si sente vuota, incredibilmente vuota. Come una crisalide che non ha più la farfalla al suo interno, volata via per sempre. Ed attende con un nodo alla gola che un alito di vento la getti via dal ramo per ridurla ad un mucchietto di.. nulla.
Giulia sente l’amaro in bocca. Della consapevolezza e della prima lacrima che finalmente è uscita e le ha raggiunto l’angolo delle labbra.
Nell’aula 11, davanti allo sconsolato sguardo di un professore di filosofia nello stesso attimo Mirko si rende conto che ha fallito.
È stato bocciato. Per la prima volta in vita sua.
Lui, che sempre mirava al 30 e lode è stato bocciato. Per una stronzata poi. E non c’è scusante che regga, niente professori bastardi, niente domande sfigate. Lui non sapeva la risposta di quella maledetta domanda. Non aveva risposto nulla quando il docente gli aveva comunicato la sua irrevocabile decisione. Non una parola, non un cenno. Semplicemente si era alzato e se ne era andato. Dentro di sé il suo orgoglio di studente modello crolla, le sue convinzioni, la sua rocca di autostima e castelli di carte, di pagellini e di lodi impilati l’uno sull’altro, miseramente, deflagra.
Non è una semplice bocciatura. Qui la vita di Mirko si rivoluziona, svolta chissà per quale via. E in un attimo pensa a sé, agli amici sbalorditi, alla madre incredula, al mondo che lo guarda come un fallito. Ecco cos’è, un fallito, continua a ripetersi. Strascicando i piedi ed i pensieri si dirige fuori dall’aula. Ha fallito. E la sua vita ha perso il polo nord.
Nel frattempo Giacomo al buio nella sua stanza pensa al suicidio. Ragazzo modello, casa e chiesa, tutti gli vogliono bene. E per la prima volta gli balena in testa di suicidarsi.
Contemporaneamente Enzo, tossicomane e delinquente di periferia, si ferma davanti ad una chiesa attirato da chissà quale forza. Senza sapere il perché. Si inginocchia e piange. Sente una chiamata dentro di sé.
E Martina sente battere per la prima volta il cuore un po’ più forte quando aprendo il bigliettino del suo compagno di classe di terza elementare legge “Vuoi essere la mia fidanzata?” seguito da due caselle da barrare con scritto vicino rispettivamente “Sì” e “No”.
Mauro pensa che per una volta, non succede niente se prende un po’ di soldi della ditta per le sue spese personali, non se ne avrà a male nessuno, come giusto rimborso, non lo definirebbe furto. E Rebecca fa la prima confessione dilanaiata dai sensi di colpa di quando ha rubato il calippo a suo cugino.
La cagnetta di Matteo mette al mondo i suoi primi cuccioli, Emanuele si stacca inorridito dal suo primo bacio adultero giurandosi che non lo farà mai più, e un bimbo prende una nota e una casalinga debutta a teatro con la sua compagnia, sentendosi realizzata e un adolescente maledice per la prima volta il suo migliore amico perchè è più popolare di lui nella nuova classe.
Gli occhi di Romoletto si chiudono, un ultimo sospiro e poi nulla più.
I familiari lo vedono andar via con un sorriso sulle labbra.
Nessuno saprà mai che se n’è andato pensando alla prima volta e non all’ultima.
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