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La soglia N. E.
LA SOGLIA
Dove mi trovo? Fu il suo primo pensiero cosciente. Ricordò vagamente che prima era a casa, ma adesso sembrava che fosse tutto un sogno: era molto confuso. Come quella notte di tanti anni fa, era sdraiato in un letto, ma quella non era la sua stanza. Vide dei fili che lo collegavano ad una macchina. Notò, anche, l’ago di una flebo inserito nel braccio.
Era tanto stanco ma, ne era certo, avrebbe riposato. Avvertì il vento: era tornato. Questa volta, per portarlo via.
Entrò un’infermiera. Lui, con gran fatica, cercò di sollevarsi.
- Non deve muoversi – le rimproverò lei, dolcemente.
- Non lo farò – rispose – ma vorrei che mi ascoltasse non le ruberò molto tempo.
Lei si accostò al letto e si protese per ascoltare la sua storia: quella di uno strano incontro. Al termine, la pregò di aprire una finestra.
Lei, ebbe un attimo di smarrimento.
- Ma… non ci sono finestre qui. Cerchi di riposare.
- Ah! Sì, lo farò. Può esserne certa. Ascolti, lo sente? È il vento! Il vento porta sempre con se qualcosa.
- Il vento? – Chiese lei meravigliata.
Lui non rispose: non avrebbe risposto più a nessuno. Mai più.
* * * * * *
Aveva trascorso molto tempo appoggiato alla ringhiera, a fissare le stelle. Una volta brillavano di più, perché l’aria era più tersa e perché c’era meno luce diffusa: oggi si fa un gran parlare d’inquinamento luminoso, ma in pratica, non frega a nessuno. Eppure, abbiamo tutti perso qualcosa se non riusciamo più a vedere un cielo stellato come si deve!
L’aria era calda e non induceva il sonno. Forse non era neanche così tardi, ma quello, allora era un paesino di campagna; dove la gente lavorava sodo e dove, la mattina, erano gli uomini a svegliare i galli! Stimò che erano passate da poco le undici: la calma, il silenzio erano assoluti. Non gli restava che rimettersi a letto: il sonno, prima o poi, sarebbe arrivato. Doveva solo concentrarsi su qualcosa, magari di piacevole. Solo che sembrava non esservi nulla di piacevole nella sua vita, quella notte. Strane memorie riaffiorarono dalle profondità della mente. Le inseguì compiacente: sarebbe scivolato nei ricordi.
Il sonno è come il mare di notte: sembra ancora più nero e profondo. Si scivola lentamente verso il fondo, fino ad un luogo, a volte tenebroso, in cui la coscienza si potrebbe smarrire; perciò si attacca, come un tralcio di vite, all’ultimo pensiero cosciente. L’ultimo pensiero è la pellicola su cui s’impressionerà il sogno: se sarà bello o sarà brutto, dipenderà solo da quell’ultimo pensiero.
Affondò lentamente in diversi strati di grigio, sempre più cupo: forse si addormentò veramente. Forse no.
L’ultimo pensiero, quella notte, cadde sul nonno paterno; nonno che non aveva mai conosciuto. Era morto almeno dieci anni prima che lui nascesse, ma stranamente, quella notte, quel lasso di tempo gli sembrò fin troppo breve. Avrebbe fatto parte della sua vita, se solo fosse morto qualche anno dopo o se lui fosse nato qualche anno prima. In fondo la cosa sembrava fattibile.
Ma, suo padre aveva vent’anni nel 1941: aveva l’età giusta per andare in guerra; anzi, sembrava che la guerra fosse scoppiata al momento giusto per lui. Non credo accettasse la cosa con entusiasmo: ma partì ugualmente; cos’altro poteva fare?
Ripensò al nonno, che si era “fatto” la prima grande guerra, e a suo padre, a cui era toccata la seconda: una guerra per ogni generazione! Per uno di quegli strani casi della vita, e qui entrò in gioco il destino, suo padre non finì in Russia, dove il corpo di spedizione fu quasi annientato, ma in Africa settentrionale. Se la vide brutta anche lì, ma invece di lasciarvi la pelle, si accollò due anni di prigionia. Niente male, direte voi, ma quando tornò a casa, il nonno era già morto.
Già! Era morto soltanto il giorno prima e quell’abbraccio, quel ricongiungimento che suo padre aveva tanto sognato, non poté più avvenire.
Per sette anni, la sua vita rimase come “congelata”: la guerra non gli permetteva di pensare ad un futuro, ne tantomeno di realizzarlo. Dopo sette anni, la sua vita riprendeva: fu un po’ come rinascere. L’Italia del dopoguerra non era il posto migliore per ricominciare a vivere, ma come tanti, pian piano riuscì a mettere a posto le sue cose e finalmente a sposarsi. È fu così che lui nacque. Ripensando a tutto ciò, si rese conto di quante cose gli avevano impedito o forse, avevano impedito a suo nonno, di incontrarlo. Però, quanto gli sarebbe piaciuto! Di lui sapeva solo alcune cose, quelle che suo padre gli aveva raccontato: una serie di eventi che non avevano certo soluzione di continuità. Erano piuttosto degli episodi isolati, non la ricostruzione di una vita! Ma quella sera, crebbe in lui il desiderio di conoscerlo e tenne stretto quel pensiero finché non si addormentò.
Senti bussare alla porta. Si svegliò.
- A Quest’ora, chi mai può essere? – Pensò.
No, aveva solo sognato: rimise la testa sul cuscino, ma non poté tenerla a lungo. Bussarono forte alla porta, anzi, più che bussare, gli sembrò che qualcuno prendesse letteralmente a calci il portoncino d’ingresso. Era spaventato. Ma possibile che l’avesse sentito solo lui? All’epoca era ancora un ragazzo e in casa c’erano i genitori, che dormivano nella camera a fianco. C’era persino il fratello che dormiva nel letto accanto: tutti profondamente addormentati. Dormivano tranquilli eppure, ne era certo, lì fuori c’era qualcuno! Qualcuno che aveva bussato, che forse aveva bisogno d’aiuto… decise di svegliare suo padre! Non ci volle molto, con sua sorpresa scoprì che dormiva di un sonno leggero. Ancora intorpidito – lui non aveva acceso alcuna luce – gli disse che effettivamente, gli era sembrato di udire dei tocchi sull’uscio che lo avevano quasi svegliato. Concluse dicendo: - Vai tu, a vedere.
E lui ci andò! Era spaventato, se ne rese conto, ma ormai doveva andarci: cos’altro poteva fare? Non accese le luci. Dalla fessura inferiore della porta filtrava un alone sottile che, amplificato dalla soglia di marmo bianco tirata a lucido, mostrava un’ombra inquietante. Come se fuori ci fosse una persona che, impaziente, si spostava di continuo, andando di qua e di là. Si avvicinò senza far rumore: fu facilitato dal fatto che era completamente scalzo. Appoggiò un orecchio direttamente sul legno: non sentì un gran che, forse un respiro, che lo convinse che la fuori c’era davvero qualcuno. Non gli restava che aprire. L’avrebbe fatto restando dietro la porta, se fosse stato in pericolo, la porta gli avrebbe fatto da scudo; inoltre gli sarebbe stato più facile spingere per rinchiuderla. Fece scattare la serratura, lentamente, ritardando l’apertura e cercando di fare più rumore possibile. Attese ancora un attimo, poi aprì. La porta fu spinta con violenza verso l’interno, ma era preparato a questo. Cercò di rinchiuderla ma trovò una resistenza fortissima! Era solo un ragazzo, ma era molto robusto ed abituato ai lavori pesanti: aveva la stessa forza di un adulto; tuttavia non riusciva a richiudere quella porta! Fu sul punto di gridare, di chiedere aiuto, ma, come tutti i ragazzi, credette di riuscire cavarsela da solo. Decise, prima di tutto, di dare un’occhiata all’intruso; forse si trattava solo di uno scherzo, di pessimo gusto magari, ma soltanto uno scherzo! Si spostò di fianco, quel tanto che bastava per sporgere il capo e sbirciare. Quello che vide lo lasciò estrefatto: non c’era nessuno!
Sbalordito lasciò che la porta si aprisse e, solo allora si accorse che qualcosa, in realtà c’era! Entrò come il vento passò su di lui, o forse lo attraversò: perché avvertì un gran freddo dentro. Entrò in casa come un turbine: era un piccolo tornado, un ciclone in miniatura. Questo vortice sembrava fatto di aria e di polvere, di particelle in sospensione simili a piccoli stacci o pezzetti di carta. Continuò a girare, per un istante sembrò volesse assumere una forma. Umana? Non lo seppe mai. Era arrivato alla strana consapevolezza che quello, fosse suo nonno e facendolo, probabilmente aveva spezzato un incantesimo. Aveva chiuso una soglia. In men che non si dica quella “cosa” si avvitò nel pavimento e scomparve.
Restò solo, in un silenzio che adesso gli pareva innaturale. Non capiva se il fenomeno si fosse manifestato con rumore, magari minimo: ora percepiva solo il silenzio.
Doveva esserci una spiegazione. La sua mente razionale faceva capolino. Tastò il pavimento in cerca del “buco” in cui quella cosa era stata risucchiata; ma non c’era nulla. Le mattonelle erano lisce e le fessure sigillate; come d’altronde erano sempre state. Fuori non c’era un filo di vento. Cominciò a dubitare di ciò che aveva visto e magari sentito. Era stato solo il vento? Accese la luce cercando traccia di quei brandelli bianchi e luminescenti, trascinati dal vortice; ma non c’era nulla. Nulla! Né carta, ne stracci e neanche polvere.
Decise di andare a dormire. Rientrando nella sua stanza passò davanti a quella di suo padre, che si era riaddormentato: non gli sembrò il caso di svegliarlo. Si coricò e ripensando a quello che era successo, quella notte non riuscì a riprendere sonno.
Per anni, per molti anni, tenne per se questa storia, non la raccontò mai a nessuno. Ma adesso che era vecchio e malato, molto malato; non voleva portarla via con se. Gli aveva dato la consapevolezza, del tutto personale, che c’è qualcosa oltre quella soglia che, ormai stava per varcare, ed era già molto per lui. In tutta la sua vita non aveva mai visto Dio; gli aveva parlato, gli aveva chiesto: a volte aveva ottenuto, ma Lui non si era mai fatto vedere. Inoltre, Dio sembrava insensibile alle mesti vicende umane. Suo nonno invece, lo aveva visto! Ora, a distanza di tanti anni, ne era certo: era lui quel “vento”. Era questa la sorte dell’umanità? Siamo destinati tutti a divenire vento? Con il tempo se ne convinse.
* * * * * *
Dalla macchina partì un sibilo acuto. Rapida, l’infermiera, azionò un pulsante d’allarme: alcuni medici arrivarono, quasi di corsa; ma non ci fu più nulla da fare.
- Lo abbiamo perso – disse poi l’infermiera al dottore – è strano il modo in cui se ne andato: mi ha parlato, sembrava molto tranquillo.
- Ha ancora un’aria distesa, sembra quasi…
- Felice? – Rispose lei.
- Non so se è un termine appropriato - rispose il dottore – ma cos’è stato? Ho sentito una corrente d’aria. Possibile? Qua dentro poi!
- È il vento.
- Cosa?
- Non ci crederà dottore, mi ha raccontato una strana storia; le sue ultime parole sono state: “Il vento porta sempre con se qualcosa”.
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