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Il giovane apprendista
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La profondità della notte era rischiarata da una luna quasi abbagliante. Ad osservare quello spettacolo incantevole, c’era un ragazzo, Fedor. Osservava, fluttuando leggero nei suoi sogni più profondi, sogni che presto si sarebbero avverati.
Niente a che vedere con i semplici e passeggeri sogni di un ragazzo della sua età: lui aveva agognato quei momenti di fibrillazione da quando aveva pochi anni.
Aveva passato la sua giovane vita sui libri, su tomi voluminosi che lo avevano tenuto chino dal mattino alla sera. Era il classico ragazzino che invece di giocare spensierato con i compagni di scuola, si riduceva a studiare anche di notte, alcune volte. Era stato proprio il suo carattere poco egocentrico, serio e cordiale a dargli la giusta costanza e umiltà per apprendere la magia.
Ora ripensava a quei momenti con serenità e rivedeva orgoglioso i visi stupiti e compiaciuti dei compaesani, ma soprattutto di suo zio e delle sue frasi incoraggianti che lo avevano spinto a non mollare.
Nel marasma delle emozioni si commosse, si sedette per tranquillizzarsi. Si asciugò gli occhi chiari e umidi, poi si alzò e tornò in camera sua. Si grattò in testa smuovendo la voluminosa chioma, sbadigliò stiracchiandosi completamente, esausto della serata trascorsa.
Dalla finestra della stanza, intravide la locanda dove il paese si era riunito a festeggiare l’avvenimento. Sorrise ancora compiaciuto e prima di addormentarsi rilesse la lettera che ormai sapeva a memoria:
Dopo un’attenta visione dei fatti, abbiamo ritenuto opportuno darti una possibilità, Fedor. I commissari, che a distanza ti hanno seguito, hanno confermato l' impegno e la dedizione notevole durati per tutta la preparazione.
Tra una settimana giungerà il tuo probabile maestro per constatare le conoscenze da te acquisite, il tutto avverrà attraverso una sorta di esame.
Calorosi saluti.
Ministero della Bacchetta
A svegliarlo, la mattina seguente, furono i primi raggi di sole che filtrarono dalla finestra. Si alzò, lo zio dormiva ancora profondamente, decise così di fare una passeggiata per il paese.
Le stradine erano martoriate di coriandoli e bottiglioni di vino. Il sol pensiero di esser stato lui a causare quella baraonda lo stupiva, facendolo riflettere sull’obbiettivo raggiunto: la possibilità di diventare uno stregone. Più ci pensava, più prendeva coscienza dell’enorme occasione concessa, tra l’altro, a pochissimi.
Era inevitabile non pensare all’esame: per prima cosa avrebbe iniziato una fase di ripasso degli studi teorici, per poi concentrarsi gli ultimi giorni sulla parte più difficile ed emozionante: i riti magici.
Era soprattutto curioso di conoscere uno stregone, aveva una voglia sfrenata di condividere le sue conoscenze con qualcuno che lo comprendesse, occasione mai verificatasi, neanche nelle sue gite solitarie fuori porta.
Ritornò a casa. Fedor abitava in una delle tante casupole in legno, vicino al centro del paese. Aprì la porta e lo accolse la figura scarna dello zio: sguardo vigile, capelli brizzolati e il solito abito di lana pesante,
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marrone che indossava sempre, in quei periodi autunnali. Stava facendo colazione:
-Fedor!- i due occhi azzurri diventarono vispi -come va?- gli chiese, abbracciandolo calorosamente
-niente male- rispose contento Fedor
L’uomo si appollaiò sulla sedia e si rimise i grandi occhiali da vista, che gli ingigantivano gli occhi azzurri.
-allora come è andata ieri sera?- chiese in tono freddo
-bene, è stata una grande festa- ammise il ragazzo
-ottimo, ottimo- replicò il vecchio come offeso
-potevi fare un salto giù in locanda…- disse Fedor sapendo già la risposta
-lo sai che non mi mischio agli ipocriti!- disse indignato aggrottando le folte sopracciglia
-zio... ne abbiamo già parlato…- replicò il ragazzo ormai abituato alla solita cantilena del parente
-di fatti, ma non ero sicuramente io che ti schernivo, dicendo che non ce l’avresti mai fatta - ribatté l’uomo energicamente
- me l’hanno detto solo alcuni miei compagni ai primi giorni di scuola- ripeté il ragazzo
-ah stupidaggini! Quella gente non ha mai creduto in te, ed ora che hanno un futuro stregone tra di loro, subito a lodarti come una divinità- disse corrucciando lo sguardo
-come vuoi tu- aggiunse Fedor - lanciando un sorriso remissivo allo zio -io comunque ho fame- disse rapidamente non dando tempo di risposta allo zio
-ti cercava Baldino prima- aggiunse il vecchio
-già a questa ora?- chiese incredulo -e cosa voleva?-
-non lo so, dice che voleva parlarti- aggiunse il vecchio
Baldino era il proprietario della locanda del paese, era l’unica persona, a parte suo zio, che riuscisse a capirlo veramente.
La locanda si trovava praticamente sotto casa sua. Anche se oramai conosceva quel posto come le sue tasche, faceva sempre effetto guardarlo in una bella giornata di sole: ciò che colpiva chiunque non l’avesse mai vista, era la strana collocazione della taverna.
L’edificio era completamente incastrato in mezzo a tre grandi diramazioni di un albero secolare enorme, a quattro o cinque metri di altezza, accompagnato da una scala a chiocciola che avvolgeva la taverna fino all’entrata.
Il locandiere inizialmente aveva studiato la progettazione, così da capire se il suo piano fosse fattibile, dopo essersi tutelato da disastrosi rischi, iniziò a costruire.
Fedor ricordava bene quei giorni anche se era piccolo, fu lui infatti ad inaugurare la locanda entrando per primo. Gli interni non erano niente di particolare; ambiente lurido e sporco, brulicante di ratti e ragni disgustosi. Ricordava di come la gente buffamente, fosse titubante e scettica a salire i primi tempi e di come facessero attenzione ad ogni movimento, timorosi di sprofondare.
Salì le scale ed entrò. Lo accolsero applausi calorosi da tutta la locanda. Lui ringraziò sorridendo. Non era molto a suo agio in quella posizione, ma non gli dispiaceva nemmeno. L’amico locandiere era dietro il bancone a parlottare con della gente, quando l’uomo si accorse di Fedor, che chiamò agitando il braccio:
-è lui!- lo presentò Baldino eccitato
Il signore dall’aria distinta fece una faccia sbalordita e strinse la mano di Fedor:
-complimenti sig. Fedor, complimenti!- disse continuando a scuotere la mano del giovane
-grazie- rispose spiazzato e un po’ scioccato da quel comportamento
-sono convinto che la prenderanno sicuramente!- aggiunse il signore che ora sembrò assumere un
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comportamento imbarazzato di fronte ad una probabile promessa della Magia.
-lo spero tanto, grazie ancora- disse cercando di staccarsi nel modo più garbato, per paura di farsi stritolare mano
L’uomo se ne andò, lasciando Fedor solo con il suo amico.
Si affiancò all’uomo per parlagli in intimità, era quasi sempre sgradevole averlo di fronte. Non capiva se fosse per le due braccia possenti, l’ingombrante pancia, gonfia per l’alcool e per i sostanziosi banchetti o magari quel grosso naso rosso sempre intasato. Di sicuro il buffo cappellino sgualcito, si intonava perfettamente con la maglietta che usava come tovaglia.
-quanta popolarità, sig. Fedor- disse ironico il locandiere
-non cominciare anche tu, ti prego!- lo pregò il ragazzo -Mio zio mi ha detto che volevi vedermi- aggiunse
L’uomo appoggiò la sua grande mano sul ragazzo, raschiò la voce profonda, poi parlò:
-ho avuto una fantastica idea- disse prima di tirare fuori dalla tasca un gran fazzoletto e starnutire energicamente
-ho pensato ad un’accoglienza regale per lo stregone che verrà ad esaminarti- aggiunse eccitato
-che tipo di accoglienza?-
-be’ si potrebbe pensare a un benvenuto qui in locanda, per esempio- propose mentre iniziò a pulire un grosso boccale
-non saprei, quella gente non è particolarmente cordiale, te l‘ho già detto- cercò di spiegarli Fedor
-capisco…ma una pinta non ha mai fatto male a nessuno, giusto?- replicò Baldino
-no, sicuramente…-
-benissimo! Non ti preoccupare sarà fantastico. Tu piuttosto…come ti senti?- gli chiese prima di sorseggiare della birra
-agitato- si limitò a rispondere il ragazzo
-già, immagino- si soffiò il naso ancora -comunque se ti serve una mano, lo sai, io sono qui- l’uomo non ci sapeva fare molto con le parole, ma Fedor lo conosceva bene e ormai capiva quando voleva mostrargli affetto
-ora vado- disse infine il ragazzo
-e... Fedor…- lo frenò ancora - studia! - lo ammonì coma faceva da circa dodici anni
Non perse tempo quando tornò a casa. Prese subito i suoi libri e iniziò a ripassare gli argomenti per lui più ostici o semplicemente quelli che ricordava meno.
Diede una veloce occhiata alla Storia Magica legata a quella Spadaccina, e finito l’argomento passò ai maghi più importanti mai esistiti: dall’antico Jion inventore delle Pozioni Velenose, fino ad arrivare a momenti storici più recenti come quelli di Sezan, costruttore dei Primi Scettri.
I primi due giorni trascorsero nel rivangare quei vecchi argomenti, nel frattempo arrivavano continue lettere di complimenti dai cittadini del paese e dintorni, esprimendo la profonda ammirazione per il suo lavoro.
In effetti era difficile complimentarsi con il ragazzo di persona, poiché egli passava intere giornate chiusa in casa a studiare. Di tanto in tanto qualcuno si fermava alla porta del giovane apprendista a sbirciare curioso, trovando solo un bisbetico vecchio a cacciarli.
Le giornate, che passavano tediose e faticose, non erano neanche lontanamente paragonabili ai quotidiani giorni di studio che aveva trascorso in precedenza.
Erano stancanti, ma necessari se voleva passare quell’esame, e lui lo voleva a tutti i costi.
Il sole stava calando dietro il paese, alla fine del quarto giorno.
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