racconti » Racconti autobiografici » Storia di una chiamata - Capitolo 1°
Storia di una chiamata - Capitolo 1°
Si avvicina un anniversario, anzi L’ANNIVERSARIO che ha “rivoluzionato” tutta la mia vita. Dalla Bibbia aperta appare la colorata figurina che mi ricorda l’anniversario dell’anno scorso: “Rosarita, possa tu rivivere, grazie alla luce vibrante e calda dello Spirito Santo, “l’innamoramento” vivo, gioioso e appassionato per il tuo-nostro Gesù, affinché nel tuo cuore e nella tua mente ci sia sempre il canto stupendo della gioia e dell’amore”. È l’augurio fraterno-paterno di P. Andrea che ben conosce l’importanza di questa “data storica”, anche se allora (nel 1968) era solo un bambino di appena nove anni, mentre oggi è la mia valida guida spirituale.
Vieni ora, o Spirito santo, e guida la mia penna veloce sul foglio bianco e possa io scendere nel profondo del mio essere con pace… grande e memoria viva…
Ecco sono seduta sul vecchio, ansimante pullman, indosso il grembiule nero e il candido collettino bianco e da Canolo, paesello montano, sto andando a Locri, cittadina marina, dove si trova l’istituto magistrale. È il mese di maggio del 1960 e sto per conseguire il sospirato diploma!
Mi guardo, ma come sono esile! Con i lisci castani capelli ribelli, con la voglia prepotente di voler cambiare il mondo! Ma sì, ho vent’anni! Ho solo venti anni! Tutta la natura è in festa di colori e di profumi e vedo i due monti che si abbracciano, il fiume che li bacia e il mare in lontananza è un tremulo sussurro. Mi guardo, trascino una grossa cartella zeppa di libri, ma non pesa più di tanto: sono forte, ricca di affetti; mio padre è già andato in ufficio e, quale maresciallo, guida i nostri “baldi” carabinieri. Tutto è sicuro… il paesello già pulsa di canti e di quotidiane fatiche…
… Che strano! Sono ancora sul pullman, ma ora esso è nuovo, davanti a me la strada è ben asfaltata, tante macchine nuove sfrecciano veloci.
Mi giro di scatto, ma dove sono Erminia, Vanni, Emilio, Noretta, Annamaria? Ed io perché non indosso più la mia “divisa” di studentessa?
Ora, come abbigliamento, ho un fine, delicato cappottino ed un festoso foulard ma il viso è imbronciato, mi sento triste e sola. Sì, sono sull’auto, ma non nel mio vecchio pullman bensì sull’autobus che da Catania (dove ora abito) mi sta riportando in Calabria, a Gambarie, ma è solo la gita di un giorno, un breve giorno. Dal 1962 abito a Catania, città a me ostile fin dall’inizio, ma città natale dei miei e per loro “cara”.
Siamo già a Messina, salgo sul traghetto, osservo il gruppo sconosciuto e subito mi … isolo. Osservo il mare spumeggiante e aguzzo lo sguardo, si avvicina la Calabria: “bella terra, amate sponde pur vi torno a riveder, trema in petto e si confonde l’alma oppressa dal piacer!” così canto con il poeta. Penso ai “miei monti” lontani, alla grande, rossiccia rupe pericolante: la Timpa, che San Nicola, protettore del paese, tiene ancora con il suo bastone! Il paesaggio ora è vario, ma arrivati a Gambarie è superbo, non riesco a raccontare la bellezza, ma riesco a respirare “avida” il profumo dei boschi! Ammiro “le vette” ondeggianti … degli alberi che hanno saputo resistere alle “bufere”: io non ho saputo resistere al vento gelido dell’anonimato, alla mancanza di lavoro, all’istituzione della Chiesa tempio ma non “comunità”. Sì, certo cento chiese antiche e monumentali si snodavano nel centro storico, roccaforte di “arte” ma non di “fede e di vita”.
Le omelie che, nei primi giorni del mio arrivo a Catania, ascoltavo mi sapevano di teologia ma si disperdevano subito, non mi davano nessuna risonanza interiore ed io cercavo invece il cristianesimo delle prime comunità! Così io ho chiuso con la chiesa per ben sei anni (1962-1968): i sei primi anni cittadini! Lì a Canolo tutto il paese ruotava intorno alla mia persona, avevo già il gruppo da animare! Era possibile, perché fin dal 1950 esisteva una “vitalità politica, culturale e religiosa” nel paesello che ricalcava lo stile di vita raccontato da Guareschi nei celebri romanzi di “Don Camillo” e Peppone”. La chiesa non era gerarchica istituzione, ma servizio d’amore, carisma in movimento. Mi guardo, guardo dentro di me e mi chiedo:“Perché sono venuta seguendo l’invito di Margherita, mia unica amica e collega catanese?”.
La mia è stata solo una motivazione sentimentale nostalgica, volevo toccare la terra calabra, ma non volevo più relazionarmi con un gruppo e per giunta guidato da preti!! Certo che non volevo! Tutti si stanno disponendo per formare un cerchio ma io resto ferma “faccio parte per me stessa”, qualche persona del gruppo mi accenna un saluto, qualche ragazza mi sorride, ma io non rispondo a queste “provocazioni formali”. Ora, al centro di questa splendida naturale rotonda, i preti stanno preparando l’altare per celebrare la Messa. Il più giovane dei preti esordisce così: “ Mi presento, sono padre Fabrizio e voglio dare a tutti il benvenuto perché oggi per il Signore è un giorno speciale: siamo stati da Lui chiamati, anzi convocati. Noi siamo qui in questo tempio sui generis che ha per colonne portanti gli alberi secolari e per volta il cielo di Dio. Oggi siamo venuti qua da mille posti diversi perché Lui vuole dialogare con ciascuno di noi e vuole colmare il vuoto dei nostri cuori che sono assetati di … amore perché il Signore vuol farsi conoscere da noi quale Egli è: Dio-Amore, Dio-Comunità …” .
Io sussulto e svelta giro lo sguardo verso il lago che sembra capirmi e trema con un’argentea, rilucente luce, forse è complice anche lui di questo splendido Proclama!
La risonanza dentro di me è improvvisa e contraddittoria: paura e serenità, disperazione e speranza, dubbio e certezza. Le sensazioni si intrecciano e fanno ressa in tutto il mio essere e mi feriscono come “una lama di fuoco” che penetra dentro di me.
Ma come mai?" mi chiedo?" questo prete siculo sa parlare anzi sa presentare Dio in modo così splendido?
Ma certo, io questo Dio lo riconosco e lo amo, perché così l’ho conosciuto nella mia gioventù, nella mia chiesetta montana. Lo zefiro soave mi accarezza complice anche lui e la prima lettura attrae la mia attenzione: “Erano un cuor solo e un’anima sola … e tenevano tutto in comune”. Ma chi erano? Questo è un verbo al passato, al passato lontano ma “chi erano un cuore solo”? Ah! I tuoi discepoli, ma questa è veramente una bella utopia non più vivibile nel mondo di oggi immerso nel più bieco pragmatismo. Sconsolata mi ripeto, oggi non è realizzabile “la comunità”, non è più possibile, ma … strano … inizio a …. sperare … chissà!?
Ora arriva al mio cuore un canto: “Non so proprio come far per ringraziare il mio Signor, Lui mi ha dato i cieli da guardar e tanta gioia dentro il cuor!”. La lama di fuoco che si era accesa dentro di me si spegne piano piano e diventa una lama di luce rassicurante ed ora so sperare, riprendo a … sperare perché qui Ti ho ritrovato quale Signore della mia vita nel giorno della Liberazione (tempo) e nella terra calabra (luogo).
… Liberazione, libertà d’amore, parole da me amate e conosciute da sempre, scritte da Te per me da sempre, parole riscoperte e poi assaporate, con voluttà, sui banchi di scuola! Storica è la nostra giornata di Gambarie, perché ha segnato la conferma di una confusa, precedente “chiamata” ed è culminata in una ripresa chiara dello “strano progetto” che Tu avevi già per me. E il pensiero ritorna alla scuola e mi rivedo “libera”, “entusiasta” e mi rivedo “viva” nella mia chiesetta montana e già allora sentivo che la mia sarebbe stata una strada speciale, unica anche in seno alla Chiesa.
Mi rivedo ventenne con la voglia prepotente di voler cambiare il mondo, con la voglia di vivere una vita diversa, non mi bastava infatti una normale “famiglia”, troppo poco, troppo limitante per me, la mia era già allora una “chiamata diversa”, una “strada nuova”, strada ignota, ma proprio per questo “fascinosa e affascinante”, nessun convento poteva accogliermi, nessuna istituzione poteva “riempire” la mia “fame”, “la mia fame d’amore”, mi ci voleva la Comunità: ecco la chiamata, finalmente a Gambarie l’ho capita!
Certo avrei voluto una casa grande, immensa, avrei voluto un “impegno”, ma libero, vivibile in qualsiasi “spazio di chiesa”: spazio di chiesa, che strano pensiero, vero? Assaporo la parola: sì, mi è congeniale! Sì, volevo una famiglia, ma non “una normale famiglia formata da marito e figli”, non una famiglia nata dalla mia carne, bensì “generata” dal mio cuore dilatato dalla “donazione”, volevo una famiglia ecclesiale (ma solo a Gambarie ho conosciuto questa terminologia). E dopo un primo, lungo, fraterno dialogo-colloquio con P. Fabrizio ho iniziato a frequentare il gruppo da lui animato nella chiesa di S. Antonio. Il cammino di fede ha poi il suo epilogo nei tre campi estivi di Lentini (1970?" 1973). Ma per me, e credo per me sola, i campi non sono stati solo l’epilogo di un cammino, bensì sono stati l’incarnazione della mia personale ed unica chiamata del 1968!
Ora come “memoriale” li rivivo e li offro al cuore dei tanti amici che li hanno rivissuti attraverso la mia appassionata testimonianza.
… Sono ancora giovane: indosso una fresca, colorata, estiva camicetta e un paio di pantaloni, sono appena le sei di mattina e sto per entrare nella “nostra cappella” allestita con amorevole attenzione, al centro il Tuo tabernacolo, ricoperto di piccole rilucenti scaglie di corteccia d’albero (opera di Lucio) emana “pace” e invita al “dialogo”, alla “preghiera”, all’ “adorazione”. Intorno i cuscini fatti di sacco di juta e disposti a cerchio, emanano uno strano profumo: di campagna, di casa, di serenità! Su uno di essi c’è già Piera che Ti parla inginocchiata, ma che dico, raggomitolata e sembra un rilucente, bianco gomitolo di seta pronto ad essere dipanato da Te, che ne tieni fra le mani il bandolo. Ti adoro Signore Gesù, Ti adoro racchiuso in una piccola ostia bianca!
Sto uscendo, mi affaccio al balcone e guardo verso la collina e il sole sembra salire, salire sempre più in alto, già risplende di luce e, nello spazio libero davanti alla cucina, qualcuno arriva, ma certo ci stiamo preparando per recitare le lodi prima di partire per raggiungere i filari di pere con un mezzo tipico della campagna: il trattore. Ma bisogna saltarci dentro perché alto è lo scalino, ma sono agile e ci riesco bene e svelta con lo sguardo abbraccio tutti i “miei”! ma che bella famiglia ecclesiale mi ha dato il Signore! Il trattore corre e tutti noi, protetti dai colorati cappelli di paglia, cantiamo in coro e ben presto riconosco la bella voce di Alba che, splendente di giovinezza, canta e ride. Margherita è ancora qui con me, come a Gambarie. Il trattore traballa e si ferma ed in fretta saltiamo giù. Ecco già si vedono i lunghi filari di pere (le cosce, le morettine) che aspettano solo di essere raccolte “come le uova” e messe delicatamente nelle cassette già pronte. Renata meditabonda ne fa la conta. Scegliamo il “nostro filare di pere e inizia la raccolta” dei frutti. Contemporaneamente ben altra, profonda raccolta avviene per ciascuno di noi! A turno si “dialoga” con P. Fabrizio e tra i … raccoglitori di pere e i raccoglitori di speranze e di grazie si lascia un lungo spazio libero. Anche gli uccelli liberi volano in gruppo lì tra i filari; anche loro vivono la fraternità?
Anche per me arriva il momento speciale del colloquio paterno-fraterno con P. Fabrizio e la gioia sale e si espande dentro di me in rapidi cerchi di luce … ora Tu mi indichi con chiarezza la via, mi proponi di seguirTi da vicino e per sempre per dedicare tutta la mia vita a Te e poi ai fratelli in un’alternanza armonica. Ecco la mia chiamata acquista carnosità e la posso vivere nell’ambito di una comunità! Risento “la lama di luce” di Gambarie!
Siamo di nuovo sul trattore per la via del ritorno, si salta giù e ci prepariamo per gustare il pranzo e siamo seduti nella lunga tavolata all’aperto, ma io sento nell’aria uno strano fermento, una vocina sussurra “ci sarà una sorpresa!” e alla fine il pacchetto passa, no vola di mano in mano: è un libro, nato dalla nostra esperienza comunitaria, ancora “impregnato” di tipografia e ne resta traccia nelle nostre mani, mentre i nostri cuori battono all’unisono: tutti vi abbiamo partecipato con la preghiera e con la vita. La copertina riproduce la reazione dell’atomo e così si aprono ai miei occhi orizzonti sconfinati, si realizza la testimonianza per il mondo di oggi e sento la voce nota del “Maestro” che invita: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Sul far del tramonto la campagna di Lentini si impregna di liturgici canti e Tu Signore Ti doni a noi nel pane spezzato, miracolo sempre nuovo di fede, pazzia d’Amore di un Dio Eucaristia= Corpo Reale di Cristo - Comunità=Corpo Reale di Cristo.
È ancora l’Amore, l’Amore-dono, l’Amore-servizio il grande tema della mia vita, che ne è travolta e, quale fiume in piena, corre verso di Te mio “mare”…
Ora la Messa è finita, ci avviamo a piccoli gruppi verso casa, ma la fraternità continua e sulla bella, lunga tavolata serale, condita di risate, risplende la luna che insieme alle luccicanti tremule stelle prega e canta con noi “Non so proprio come far per ringraziare il mio Signor, Lui ci ha dato i cieli da guardar e tanta gioia dentro il cuor”… e, miracolo, anche io canto e sento “la voce modulata”, ma dalla mia bocca non esce alcun suono è solo il mio essere che “inebriato” di gioia Ti loda o mio Gesù, Signore della mia vita!
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0