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Ti prende sempre di più
Michael si sedette nella sua poltrona preferita; si lasciò sprofondare fino a quando non trovò la posizione ideale e chiuse gli occhi. La sua ex moglie non sopportava quella poltrona, in più di un’occasione l’aveva definita pacchiana e di pessimo gusto, fino a quando non aveva deciso che anche suo marito lo era altrettanto e lo aveva lasciato. Michael se ne era fatto una ragione, un divorzio è duro da sopportare, ma sono cose che si superano…si girò verso il tavolinetto bianco in tek e prese una bottiglia di birra. La aprì e cominciò a berla lentamente. Una birra era quello che ci voleva in una serata come quella e probabilmente anche più di una…anzi, una sbronza era proprio quello che andava cercandosi. Non si era mai sentito così depresso, neanche quando Mary aveva fatto le valigie e l’aveva piantato lì da solo in quello schifo di appartamento arredato con quei mobili ultramoderni che le piacevano così tanto e che lui invece non riusciva a sopportare. Gran parte del mobilio era bianco, dagli armadi a muri, al comodino vicino al letto; dava l’impressione di un laboratorio completamente asettico, dove si stesse portando avanti la ricerca di un virus letale. Sua moglie lo definiva minimalista e chic, ma l’unica cosa a cui Michael riusciva a pensare era che se avesse potuto gli avrebbe dato fuoco volentieri. Purtroppo il suo vecchio appartamento da scapolo ora era in affitto, coi suoi mobili così poco “glamour” e per questo si ritrovava bloccato lì, mentre Mary era tornata a casa dei suoi. L’unica cosa, che si era potuto portare dietro, era la sua poltrona di pelle nera e anche se Mary aveva fatto il diavolo a quattro lui non si era arreso. La poltrona restava, non c’era nient’altro da dire. Mary lo aveva guardato da sotto in su, con quella espressione imbronciata che Michael conosceva così bene, che voleva dire: “Ok, questa non me la dai vinta, ma tanto prima o poi te la faccio pagare in un altro modo” e così era stato. Per i successivi tre anni in cui erano stati insieme almeno. All’epoca, Michael Hootlan aveva dinanzi a sé un futuro roseo e promettente, un giovane scrittore di talento che aveva appena pubblicato un libro di discreto successo. Ed ora tutti si aspettavano il grande salto di qualità: il suo agente, la casa editrice, gli amici e non ultima sua moglie. Lui stesso lo stava attendendo: immaginava già il suo agente che gli stringeva calorosamente la mano, mentre gli diceva: “Michael, vecchio mio, questo lavoro è davvero sensazionale! Davvero, non so come tu abbia fatto, ma adesso siamo a cavallo! Le case editrici faranno a gara per pubblicarlo!” e mentre lui cercava di schermirsi e di minimizzare quella valanga di complimenti, ecco che gli scorreva dinanzi agli occhi una serie di premi prestigiosi, cene importanti, personaggi famosi, sceneggiature, contratti… come in un film stile Hollywood. Michael ci credeva; il successo lo stava aspettando. Doveva solo non farsi attendere troppo.
Le cose invece non erano andate come aveva previsto; aveva atteso l’ispirazione per qualcosa di grande, ma non era arrivata. Aveva scritto alcuni racconti, pubblicati da riviste non disprezzabili, e che erano stati ben pagati, ma l’idea per scrivere un libro davvero sensazionale non era arrivata. La mattina si alzava e si sedeva davanti a quello schermo bianco con la lineetta lampeggiante e lo prendeva il panico; era in quei momenti che gli veniva come un nodo in gola, dandogli una fortissima nausea e correva in bagno chinandosi sulla tazza del cesso, vomitando a vuoto, con la sensazione che gli scoppiasse la testa. D’altronde Mary non lo aiutava di sicuro; invece di rassicurarlo e di riconoscergli che dopotutto, con i suoi racconti riusciva a mantenere un tenore di vita più che decoroso, non faceva che trapassarlo con sguardi accusatori, che erano molto peggio di qualsiasi rimprovero. Lo guardava mentre lui scriveva al computer e scuoteva la testa con quel modo di fare irritante ed insopportabile di chi la sa molto più lunga di te e Michael in quei momenti sentiva montare dentro una collera indicibile. Avrebbe voluto prenderla a schiaffi, nonostante in tanti anni non le avesse mai messo una mano addosso; avrebbe voluto urlare e dire: “Va bene, siediti te qui davanti a questo cazzo di coso, scrivimi un libro se ne sei capace, fammi vedere quanto sei brava!”, ma invece non diceva nulla e rimaneva seduto alla scrivania, facendo finta di non vedere i suoi sguardi accusatori e immergendosi nella scrittura del suo ultimo racconto. Mary le definiva “storielle” e quando gli chiedeva: “Allora come va la tua ultima storiella?” avrebbe voluto prenderla e sbatterla contro il muro. Erano iniziate le liti, sempre più frequenti e accese; lei che lo accusava di essere un perdente e lui che le rinfacciava di non dargli sostegno e appoggio. Finché un giorno era successo: all’ennesimo “fallito” le aveva mollato uno schiaffo facendole saettare la testa all’indietro. Mary aveva spalancato la bocca in un’espressione di assoluta sorpresa, una “o” immensa e perfettamente tonda. Si era sfiorata il viso, poi con una espressione totalmente incredula gli aveva detto: “Mi hai schiaffeggiata”. Michael l’aveva guardata negli occhi: “Sì, Mary ti ho dato uno schiaffo e giuro su dio che se ti lasci sfuggire altri commenti acidi e sarcastici sul mio lavoro non sarà l’ultimo”. Da quel giorno in poi le cose avevano iniziato ad andare sempre peggio, fino ad arrivare al divorzio. Ed ora lui era lì, solo in quella stanza, con una birra in mano. Bello schifo di serata. Aprì una seconda bottiglia di birra, poi una terza…man mano che andava avanti si sentiva sempre peggio, ma non poteva farne a meno. Continuava a pensare che avrebbe dato tutto per poter scrivere un libro davvero sensazionale, qualcosa che lasciasse tutti senza fiato, che facesse ricredere Mary, il suo agente e tutti quelli che lo consideravano un perdente.
“Qualsiasi cosa” biascicò, mentre cominciava ad appisolarsi. Si addormentò di colpo e non si avvide delle ombre scure che si rincorrevano sul soffitto, sovrapponendosi l’una sull’altra. Una di queste si staccò dalle altre e scivolò sul suo viso; indugiò un attimo, poi disparve.
Il mattino dopo, contro qualsiasi previsione, Michael si svegliò di ottimo umore; solitamente, era intrattabile appena sveglio, specie se aveva bevuto qualche birra di troppo la sera prima. Invece, quel particolare mattino si sentiva in ottima forma e con una gran voglia di scrivere qualcosa di buono. Si stiracchiò, sbadigliando rumorosamente, e si diresse verso la cucina per farsi un caffè. Mentre si accingeva a prendere piattino e tazzina, gli venne da pensare: “Cavolo, questa cucina è davvero deprimente… senza neanche un accenno di colore… giuro su dio che solo per fare dispetto a Mary la faccio ridipingere da cima a fondo!” questa pensata lo fece sogghignare, immaginandosi la faccia della sua ex moglie completamente sconvolta, entrando in casa e trovando la sua cucina candida e immacolata, dipinta di un colore orrendo e assolutamente inguardabile, tipo un giallo zolfo o un improponibile verde limone. Sicuramente le sarebbe venuta una sincope o qualcosa del genere; ridacchiando di fronte ad una simile prospettiva, si sedette davanti al suo PC con la tazzina del caffè, aspettando che arrivasse il giusto input per cominciare a scrivere. Non dovette attendere molto; quasi subito, gli venne un ottimo spunto e si lasciò risucchiare da quella voragine di parole che era il suo mondo, pestando sui tasti del computer come un forsennato.
Dopo circa tre ore e mezza era ancora lì, immerso nella scrittura, talmente preso da non accorgersi neppure del brontolìo insistente del suo stomaco; era quasi ora di pranzo e decise di farsi un sandwich al prosciutto e formaggio. Avrebbe potuto mangiarlo comodamente davanti al PC, rileggendo quel che aveva scritto fino a quel momento. In effetti, pensò, mentre si dirigeva in cucina per prendere l’occorrente, questo non era da lui; anche nei suoi periodi di maggiore creatività, era sempre solito non lavorare durante i pasti. Quelli erano gli unici momenti in cui poteva godersi un po’ di pace e staccare la spina; adorava scrivere, ma per Michael era altrettanto importante poter mangiare un boccone senza dover rimuginare su questo o quel personaggio o su quale fosse il finale migliore. Adesso invece faticava a staccarsi dallo schermo luminoso; sentiva affollarsi nella sua mente una serie di idee geniali e dover addirittura interrompere per mangiare… bé sì, era uno spreco di tempo. “Questa storia promette troppo bene… se non scrivo subito rischio di farmi scappare le idee migliori” pensò “mangerò qualcosa più tardi”. Si rimise a sedere dinanzi al PC e pochi minuti dopo era di nuovo immerso nel suo mondo.
A notte fonda era ancora davanti al computer; occhiaie scure gli si erano disegnate sotto gli occhi, mentre la luce bluastra dello schermo si rifletteva in maniera inquietante sul suo viso, dando al suo incarnato un colore innaturale. Inutile stare lì a raccontarsi balle: la verità era che non riusciva a smettere. Per quanto si sentisse stanco e affamato, per quanto gli bruciassero gli occhi e gli facesse male la schiena, era più forte di lui. Per Michael scrivere era sempre stato un piacere, un modo per evadere dalla routine di tutti i giorni, dal mondo squallido in cui era costretto a vivere; adesso era in catene, si sentiva sempre più debole e privo di energie, eppure era come se fosse stato sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente. Sentiva come una sorta di euforia malata, una corrente elettrica che percorreva incessantemente il suo corpo e che lo stava inesorabilmente consumando. Più rileggeva ciò che stava scrivendo e più lo trovava magnifico, non riusciva a credere che stava realmente accadendo: stava creando quella che sarebbe stata l’opera della sua vita. Gliela avrebbe fatta vedere a sua moglie, al suo agente, agli editori che lo avevano sempre snobbato e disprezzato; il suo nome scritto a caratteri cubitali fuori dalle librerie, file di ammiratori con il libro- il suo libro- per farsi fare l’autografo…
In una sorta di delirio Michael non solo immaginava, ma vedeva tutto questo accadere, mentre la notte cominciava a schiarirsi e lasciava il posto all’alba… mentre le sue dita continuavano a battere sui tasti… mentre la vista gli si annebbiava e si sentiva venire meno… poi il buio.
Venne ritrovato una settimana più tardi, quando ormai la vaga preoccupazione del suo agente per il suo prolungato silenzio era diventata panico allo stato puro; non ottenendo alcuna risposta alle telefonate e ai numerosi messaggi lasciati in segreteria, si era recato di persona a casa di Michael, bussando e chiamandolo ripetutamente; al panico era subentrata la certezza che fosse successo qualcosa di brutto. Aveva chiamato aiuto con il cellulare e poco dopo era arrivata una squadra di pompieri che aveva buttato giù la porta. Appena entrato, i suoi sospetti furono confermati da un odore nauseabondo che gli fece girare la testa e quasi svenire al primo impatto; dopo essersi abituato un po’ a quel tanfo orribile, si diresse verso lo studio. Ciò che vide lo fece smettere di respirare per alcuni istanti: Michael era lì, seduto alla sua scrivania, la testa riversa sulla tastiera del PC. La finestra era aperta ed alcune mosche passeggiavano sul suo volto; la luce dello schermo illuminava la bocca aperta, gli occhi spalancati in un’espressione di follia. Si avvicinò lentamente allo schermo, mentre i pompieri controllavano le altre stanze. All’improvviso ebbe una sensazione fortissima di vertigine; il sudore gli si ghiacciò sulla pelle, che di colpo si raggrumò in grossi bozzi duri. Non era l’odore, seppure insopportabile, ma come la sensazione che qualcosa o qualcuno fosse lì alle sue spalle e che lo stesse osservando. Un tonfo lo fece sobbalzare; si girò di scatto, giusto in tempo per vedere un pompiere che usciva dalla camera da letto chiudendo la porta. Si girò di nuovo verso Michael e vide- gli parve di vedere- un’ombra scura sul suo volto. Cosa impossibile, data la luce dello schermo del computer. L’ombra scivolò dal suo viso e disparve lentamente. L’uomo si sfregò gli occhi e non vedendo nulla di strano decise di uscire di lì immediatamente. Si sentiva male e stava per vomitare.
Dopo essere stato esaminato in laboratorio, allo scopo di trovare eventuali indizi sulla misteriosa morte del signor Hootlan, il PC era finito nelle mani della sua ex moglie e in seguito in quelle del suo agente; si scoprì che Michael stava lavorando a un racconto straordinario, degno di una delle più grandi campagne di pubblicazione. La sua casa editrice fece le cose in grande; oltretutto la storia dietro il libro era migliore del libro stesso. Arrivò al primo posto nelle classifiche di vendita e divenne l’opera dell’anno. La gente faceva la fila fuori dalle librerie per comprarlo e gli aspiranti scrittori sognavano di poter, un giorno, scrivere un capolavoro come quello. Non ultimo Adam Fornoy, uno studente ventunenne iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia. Adam non aveva fatto in tempo a scartare la copertina trasparente del libro, che già aveva cominciato a leggerlo per strada e non aveva smesso fino a quando non era arrivato a casa. Lo aveva finito in pochi giorni e da allora non faceva altro che pensare che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter scrivere in quel modo; qualsiasi. Quella sera stessa si mise a sedere alla sua scrivania, con la finestra aperta che dava sulla strada e iniziò a scribacchiare qualcosa. Ben presto, si immerse totalmente nella scrittura e, mentre con la fronte corrugata e lo sguardo attento si concentrava nel suo lavoro, un’ombra scura passò sul suo volto. Adam era così preso da ciò che scriveva che non se ne avvide.
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- Complimenti! Bello anche questo. Forse non ai livelli di "Una famiglia unita", ma senza dubbio originale ed inquietante. Tutti quelli che amano cimentarsi con la scrittura devono aver sentito un brivido gelido lungo la schiena di fronte all'idea della creatività letteraria che si tramuta in un ineffabile assassino. A me è successo! Complimenti anche per lo stile lineare ed essenziale della tua prosa, ma soprattutto per la botta di paura!
- bello!! mi hai tenuto incollato allo schermo fino alla fine... spero di non veder passare ombre scure!! brava, ottimo ritmo, inquietante! se posso permettermi ci sono alcuni errori di grammatica e di sintassi, rileggilo perchè è veramente buono! ciao, duccio.

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