Chiudo gli occhi e trattengo il fiato prima di entrare.
Fuori fa freddo, a scapito della condizione più che propensa alla serata, le macchine che sgasano, la gente che si grida addosso puttanate e complimenti alle signorine. È un viale alberato d'autunno, dove strenue le foglie mordono i rami leggeri e flessibili sotto il vento.
Varco la soglia e ancora tutto è in stallo. Moquette rosso scarlatto, incredibilmente lucida vista l'affluenza, energumeni in maglietta sintetica e teste rasate mi squadrano, cercano il mio vacillare sotto il peso di ciò che ho già assunto. Niente da fare. Il mio sorriso cerca la cassiera, mora, riccia, gli occhi con taglio orientale. Prende il denaro con mani affusolate e unghie tinte di nero, piccolo vezzo che mi regala un brivido.
Scendo le scale senza abbandonare il sorriso, piano piano: sono l'ultimo, come al solito, giunto da solo così come da solo me ne andrò.
Ora sì: in meno di sei secondi vengo avvolto da un frastuono celestiale di musica elettronica, mentre mi specchio su ambo i lati delle scale. Non so quale profilo mostrare alle giovani fanciulle assetate di falso amore.
Uno spazio immenso si apre dinanzi a me: 2 piani di puro delirio, una balconata di cristallo che da alla sala principale, grande quanto un palazzetto, dove i colori non si distinguono, le voci non si odono, i sentimenti si mischiano con gli istinti.
Non ho nemmeno il tempo di avvicinarmi al bancone per chiedere l'ennesimo cocktail della serata. Dentro di me il locale si svuota, la musica elettronica si ovatta e genera eco, il fumo stile eighties svanisce al mio sguardo e tutto me stesso è catturato.
Sei seduta ad almeno trenta metri da me, ma ti sto già accarezzando. Non sai nemmeno che esisto, ma ti prendo già per mano, non so come ti chiami ma ti sto già amando. Le gambe accavallate sbarazzine, un paio di scarpe nere con il tacco basso, calze coprenti, una gonna da capogiro, una maglia a collo alto attillatissima che ti disegna il corpo meravigliosamente, le forme perfette. A sovrastare hai un viso limpido, dolce, senza un filo di trucco, gli occhi castani verdeggianti, un naso piccolo e ben disegnato, labbra carnose. Ti sto già toccando i capelli, castani anch'essi, lisci e morbidi, sciolti.
Sei sicura d'amarmi? Perchè io sono già in tua balìa, mio notturno amore.
Ora sì comincio a notare gli altri visi: tutti ti guardano, non sono solo i miei occhi a baciarti. Li odio. Come possono anche solo per un momento pensare di aver accesso al tuo respiro?
Ora sì che il terrore mi avvolge come un cellophane che mi soffoca. Le gambe tremanti non reggono il mio seppur irrisorio peso, mi appoggio ad un corrimano lucido, appiccicaticcio, freddo.
Rinvengo dal coma e tento lucidamente di pianificare come chiederti in dono un pezzetto del tuo cuore. È così bello e difficile riincontrare la vecchia amica paralisi fisica e mentale. Segue le fasi lunari della mia vita. Tutto appare già servito nella maggior parte delle futili occasioni. Il piatto è già pronto e facile da assaggiare, assaporare, gradire un istante e provare immediatamente repulsione. Tu sei il mio cibo degli dei, l'unica pietanza dell'universo, l'alimento che contiene il nutrimento e la vita. Vorrei ballare per dissimulare, scatenarmi e distogliere da te il mio sguardo, è una notte di festa e tutto ci si aspetta fuorchè incontrare tutto ciò che si ha sempre cercato...
D'improvviso vacillo. Urge la fuga, mio dolce dono. Ancora non dispongo della forza per sopportare il gemito d'amore che mi inali.
Sei il traguardo di un percorso che devo ancora percorrere quasi nella sua interezza.
Mi volto per non vederti. Mi lascio avvolgere dalla musica, per non udire i tuoi movimenti. Cerco innocenti e lucidi occhi da catturare, da ghermire, per far sì che tu possa odiarmi.
Tornerò, un giorno.