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Dove sono?
Questa era l’unica domanda che riuscivo a formulare con chiarezza nella mia mente. Non era molto, certo, ma era comunque un punto di partenza.
Cominciamo con le cose semplici: proviamo ad aprire gli occhi…
Mossi le palpebre, pesanti come il piombo, e dopo alcuni istanti un’immagine sfuocata cominciò a delinearsi di fronte a me.
Era buio… confortante, no?!?
Ma non proprio buio assoluto, tanto che potevo distinguere alcuni punti luminosi davanti ai miei occhi, in lontananza.
“Sono stelle!” sentenziai “Devo essere all’aperto, allora… e sdraiato sulla schiena.”
Lentamente la mia coscienza stava riprendendo il sopravvento e potevo ricominciare a controllare il mio corpo.
Provai a spostare il braccio destro, per fare leva e sollevarmi a sedere, ma questo ancora non ne voleva sapere di muoversi al mio comando. Tutto quello che riuscii a fargli fare fu un leggero tremolio incontrollato.
Richiusi gli occhi e persi coscienza per qualche tempo. Se fossero passati minuti, ore o giorni non avrei saputo dirlo, ma quando riaprii gli occhi era ancora buio.
Le stelle sopra di me brillavano fra alcune macchie scure che pensai fossero nuvole. Raccolsi tutte le mie forze e mi concentrai sui movimenti che avrei dovuto compiere per togliermi da quella fastidiosa situazione di stallo, poi in rapida successione mossi il braccio e con sufficiente forza lo usai come leva per girarmi parzialmente su di un fianco. Guadagnata la posizione seduta, riuscii a muovere le gambe fino a puntare un ginocchio a terra e infine (non ci avrei mai sperato in quella situazione) mi alzai.
Mi tastai le braccia per assicurarmi di non avere ferite o dolori, poi esaminai la testa e l’addome e infine le gambe, ma a parte un generale stato di confusione, mi rassicurai nel constatare di non avere nulla di rotto, o così pareva. Nulla tranne un ronzio che persisteva ancora nella mia testa e che stavo cercando di eliminare per riacquistare il pieno controllo di me stesso.
Cosa era successo?
Finalmente! Una nuova domanda! Allora il mio cervello funziona ancora… vediamo.
Girai la testa e alla mia destra vidi una sagoma scura. Mi avvicinai, non senza sforzo, verso di essa e vidi che si trattava di un’auto. Della mia auto! Incidentata, per di più.
Il muso era completamente distrutto per l’impatto contro un platano che, evidentemente, aveva più ragioni per rimanere ben saldo al terreno che di cedermi il passo.
Girai intorno alla vettura, cercando di scrutare l’interno, ma la notte senza luna non mi aiutava nella mia esplorazione. I fari si erano completamente distrutti nell’impatto e l’unica luce ancora funzionante era una fioca lampadina di posizione. “Farebbe più luce una candela votiva!” mi venne da pensare con disappunto.
Cercai di guardare l’orologio, ma non si accendeva. Evidentemente nell’impatto si era rotto. Cercai infine il cellulare nella tasca interna della giacca, ma non lo trovai.
Comunque fosse, mi sentivo un po’ meglio. L’aria fresca della notte mi stava restituendo vigore e allora guardai oltre la carcassa dell’auto per rendermi conto di dove fossi.
In campagna, non c’è dubbio. Forse tra poco riuscirò a ricordare anche il motivo della mia presenza qui. E anche qualcosa di quel che mi era capitato, ovviamente! Se da una parte era chiaro che avevo avuto un incidente (e per giunta grave, anche se per fortuna lo era stato più per l’auto che per me), d’altro canto non avevo nessun ricordo della dinamica dei fatti. Ricordai di aver sentito che in situazioni traumatiche il cervello tende a rimuovere temporaneamente i ricordi relativi a questi fatti.
Pensai comunque che dovevo essere riuscito a saltare dall’auto prima dell’impatto, evitando così conseguenze ben più gravi.
Quello che mi confortava, in fondo, era di essere lì in piedi e in salute a contemplare i poveri resti della mia automobile.
Poi di colpo ricordai anche che mi mancavano ancora una trentina di rate per finire di pagarla e questo pensiero mi seccò non poco.
Ma pazienza, rimedieremo a tutto, una volta tornati a casa.
A casa, già, ma dove?
Evidentemente la memoria faceva ancora le bizze. Memoria selettiva, la chiamano. Memoria capricciosa direi, piuttosto! “Va bene, manteniamo la calma” mi dissi “è passata solo una decina di minuti da quando mi sono rialzato, è normale che sia in stato confusionale. Dico, ma hai visto che botto? Devo ringraziare di essere ancora vivo!”
Mentre pensavo a queste cose, vidi una luce in lontananza, al di là di un campo di frumento. Guardando meglio, vidi l’ingresso di una fattoria e appena nascosta da una costruzione di legno (penso fosse il fienile) si intravedeva una casa di mattoni a due piani, sopra la cui porta brillava abbastanza fiocamente una lampadina dalla luce giallognola.
Confortato da un segno di presenza umana, camminai sulla strada fino ad incrociare il viale di accesso della fattoria.
Mi ci vollero pochi minuti per varcare il cancello, poi udii due cani abbaiare dal lato della casa. Che stupido! Non avevo pensato ai cani, ma loro si erano sicuramente accorti della mia presenza. Non volevo essere attaccato da quelle bestie, ma non volevo nemmeno allarmare il padrone di casa.
Aspettai a ridosso del cancello esterno per vedere se i cani sarebbero arrivati a darmi il “benvenuto”, ma passò più di un minuto e non li vidi arrivare, quindi dedussi che i cani dovevano essere legati nei pressi della casa.
Mi avvicinai con cautela e girato l’angolo li vidi. Erano effettivamente assicurati ad un cavo teso dalla casa al fienile tramite una robusta catena, che permetteva loro di muoversi entro un rettangolo lungo una decina di metri e largo due o tre metri solamente. Ringraziai la provvidenziale avvedutezza del loro padrone e mi diressi verso l’ingresso della casa, dalla parte opposta.
Ero ancora diversi metri al di fuori della zona di luce giallastra proiettata dalla lampadina, quando vidi la porta aprirsi ed un uomo sporgersi cautamente scrutando nel buio della notte. Stavo per dare un segnale della mia presenza, ma dopo un attimo notai che tra le mani stringeva un vecchio fucile da caccia che (lo dedussi dall’espressione decisa e spaventata che gli leggevo in viso) sicuramente era carico.
Un uomo con un fucile che trova nella sua proprietà uno estraneo nascosto nel buio… beh, è una gran brutta equazione da risolvere!
Così mi accucciai dietro l’angolo e attesi che rientrasse, sperando di non essere visto.
Sentii l’uomo gridare ai cani di stare zitti, il rumore della porta che si apriva, poi quello di passi lenti e cauti diretti verso di me.
Cosa mi era saltato in mente! Cacciarmi in un guaio simile di notte e per di più senza essere in grado di dare spiegazioni soddisfacenti del perché fossi lì… sempre se mi fosse stato concesso di parlare prima di ricevere una rosa di pallettoni dritti nel petto.
Scacciai quel pensiero dalla mente. Mi feci piccolo e trattenni il fiato, quando vidi l’ombra dell’uomo entrare nella mia visuale. Lui, quindi, doveva essere a non più di un paio di metri da me.
Ancora passi. Mi sembrava che camminasse al rallentatore, come in quegli incubi in cui ogni azione pare durare in eterno.
Invece, dopo pochi secondi, vidi la sagoma scura dell’uomo stagliata contro lo sfondo luminoso. Lo vidi girarsi verso i cani, e quindi in parte anche verso di me.
Fu un secondo veramente eterno… Io e i cani eravamo quasi allineati, e in quella posizione anche alti più o meno uguali. Sapevo che se si fosse girato completamente verso di loro non avrebbe potuto non vedere anche me.
Così fece. Si girò… strinse gli occhi per acuire la visione e…
Mi sembrò che un brivido lo percorresse nel momento stesso in cui mi stava così vicino.
Urlò di nuovo ai cani di stare zitti. Poi si girò e, abbassato il fucile tornò verso casa, abbandonandomi nel mio buio rifugio ormai diventato sicuro.
“Che fortuna!” pensai “Evidentemente i suoi occhi non si erano ancora abituati al buio. E anche che non avesse una torcia con sé!”.
Attesi di sentire la porta richiudersi, poi mi ci volle almeno un intero minuto prima di costringermi ad alzarmi da quella scomoda posizione.
Pensai che sarebbe stato meglio andarsene, ma dove? Optai per passare la notte nel fienile; con la luce del giorno sarebbe stato più facile mostrarsi agli occhi del padrone di casa e farsi aiutare senza rimediare una fucilata.
Mi diressi verso la grande porta del fienile, scostai il fermo di legno e fui sollevato nel vedere che non c’erano altri catenacci ad impedirne l’accesso.
Entrai e, a tastoni, trovai un angolo in cui un po’ di paglia mi avrebbe fatto da materasso fino al mattino successivo. Non sapevo quante ore mancassero all’alba, ma non c’era nessun chiarore all’orizzonte, quindi la notte doveva essere ancora lunga.
Mi sistemai alla bell’e meglio, chiusi gli occhi e mi addormentai istantaneamente, credo, perché non ho alcun ricordo fino al mattino successivo.
Fui svegliato dal vocio di due ragazzini che correvano davanti al fienile. Il sole era ancora basso sull’orizzonte e non riuscivo a capire che cosa stessero dicendo.
Quel che era certo era che erano molto eccitati e chiamavano il padre perché uscisse di casa.
Mi avvicinai alla grande porta e uscii di soppiatto dal fienile. Lì, riparato dietro l’angolo vidi due ragazzini di dieci o dodici anni che parlavano gesticolando col padre.
Cominciai a capire di cosa stessero parlando così animatamente.
Un incidente.
“Beh, è ovvio” mi dissi “devono aver trovato la mia macchina distrutta.”
E ancora le voci parlavano, descrivendo la strada, il platano, la vettura.
“È appena arrivata l’ambulanza” disse quello che mi sembrava il più grande dei due.
Ambulanza?!? Immediatamente mi resi conto che nell’incidente potevo aver investito qualche passante incolpevole, e averlo abbandonato sulla strada, senza nemmeno vederlo nel buio della notte.
“Come sta?” chiese il padre “È morto verso l’una e mezza, ma lo hanno trovato i nostri vicini solo pochi minuti fa, mentre andavano al mercato del paese.”
Udendo quelle parole, mi pervase un terribile senso di colpa; allora, senza farmi scorgere e correndo dietro il fienile, attraversai il campo che mi separava dalla strada e, col cuore in gola, vidi il carro attrezzi che stava agganciando l’auto e due infermieri che stavano caricando sull’ambulanza una lettiga coperta da un lenzuolo bianco.
Mi avvicinai, ma nessuno faceva caso a me. Mentre gli infermieri stavano per caricare la lettiga, il dottore si avvicinò e scoprì il viso della vittima.
Fu in quel momento che vidi il vero volto della Morte.
Vidi il mio stesso volto che mi guardava impietoso come una sentenza senza appello.
E tutto nella mia mente fu chiaro. Il velo dell’oblio che mi aveva celato la verità si levò istantaneamente e fui cosciente di tutta la tragedia della mia condizione.
Mi venne da pensare alla mia famiglia, ai miei amici, al lavoro, al mio hobby preferito… Tutto era tornato a me con tanta nitidezza che mi sembrava assurdo pensare di essere morto. Era impossibile, lo rifiutavo con tutto me stesso.
Capii anche perché il fattore non mi aveva visto quella notte. Ripensando agli eventi di poche ore prima mi sentivo quasi ridicolo… avevo temuto per la mia vita quando in realtà ero... assurdo, proprio assurdo!
E poi, tutto d’un tratto, mi resi conto di non volere più tutti questi ricordi, volevo solo andarmene, allontanarmi, fuggire verso un posto dove questa assurdità non esistesse.
Lentamente il mondo intorno a me divenne sbiadito come una vecchia fotografia, fino a diventare etereo, per dissolversi infine in un alone di luce bianca.
Non vedevo nient’altro che questa luce che permeava tutto il mio essere.
Mi lasciai andare ad essa, e mentre perdevo la coscienza di me ebbi solo il tempo di pormi un’ultima domanda…
Dove sono?
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