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Il Diario
1. L’invito
La busta che trovai quella mattina di ottobre del 19.. nella mia cassetta delle lettere, mi lasciò subito perplesso.
A differenza delle normali missive che solitamente ricevevo, infatti, questa aveva un non so che di antico. Non per l’aspetto in particolare, se si esclude il mio nome scritto con svolazzi di foggia ottocentesca, ma nel suo insieme.
Rientrai in casa e fui subito curioso di aprirla, tralasciai di leggere le numerose pubblicità che avevo ricevuto e accantonai subito le bollette per non guastarmi l’umore.
Preso un coltello dalla cucina mi apprestai ad aprire la busta, con un misto di curiosità e di timore ingiustificato.
La lettera mi era stata spedita da un mio caro amico, che qui chiamerò A. per rispettarne l’anonimato, poiché le cose che accaddero in seguito sono troppo incredibili perché una persona sana di mente possa accettarle senza avere prove più che sicure.
Per quanto mi riguarda, avrei dovuto bruciare subito quella maledetta lettera, ma, come ho già detto, la curiosità in quel momento la faceva da padrona.
Mi sedetti in una poltrona del salotto e cominciai a leggerne il contenuto. A., dopo le formalità iniziali, mi scriveva che si era stabilito da un paio d’anni sulle Alpi, in una località che qui chiamerò San G. In breve, dopo essersi scusato di non avermi fatto pervenire sue notizie negli ultimi quattro anni, mi invitava a trascorrere un fine settimana nella sua casa, una villetta di caccia del XVIII secolo, che egli aveva restaurato per andarvi ad abitare, dove avremmo potuto parlare e raccontarci cosa fosse successo in tutto questo tempo.
L’invito era per il mese successivo, per cui avevo tempo a sufficienza per preparare quella mia breve escursione e riorganizzare adeguatamente i miei impegni di lavoro.
Subito mi accinsi a scrivere la lettera di risposta, poiché sulla missiva che avevo ricevuto non vi era un recapito telefonico, ma solo un indirizzo a cui recarmi.
Misi da parte la lettera ed uscii sulla veranda a godermi il pallido sole di quella giornata autunnale, dopodiché, preso dai miei soliti impegni, dimenticai la faccenda fino a pochi giorni prima della partenza.
Quando venne il giorno, decisi di partire con il treno e mi recai fino alla stazione più vicina, a circa dieci chilometri da San G., e da qui presi un taxi che mi portò a destinazione.
Lasciata la strada principale dopo un paio di chilometri dalla stazione di O., il taxi imboccò una strada parzialmente asfaltata che si addentrava in un’ombrosa pineta, per terminare in un tratto sterrato che curvava più volte seguendo il fianco del monte.
Dopo circa un quarto d’ora il taxi mi depositò di fronte a una villetta a tre piani, la cui struttura, perfettamente restaurata, dava contemporaneamente l’impressione di semplicità e di lusso di altri tempi.
Il mio amico A. uscì dalla porta principale e venne ad accogliermi, aiutandomi a portare dentro i bagagli.
Chiamò una donna per indicarmi la stanza dove avrei alloggiato, e mi lasciò per permettermi di sistemarmi e di mettermi a mio agio.
La stanza che mi aveva assegnato era quanto meno stupefacente: arredata con mobili d’epoca, aveva un gigantesco letto a baldacchino che troneggiava proprio al centro.
Un paio di arazzi decoravano le pareti e l’unica finestra dava sul lato della casa, verso la tenebrosa pineta che circondava quella casa per chilometri e chilometri.
Mi sentivo piuttosto provato a causa del viaggio, ma, avvertendo qualcosa di più di un semplice languore, mi preparai e scesi per la cena.
A. mi stava aspettando nella sala da pranzo, un enorme salone rivestito in legno di quercia e quando mi vide si avvicinò e cominciammo a chiacchierare amabilmente.
Poco dopo, la donna che prima mi aveva aiutato ad entrare, una bionda signora di mezz’età piuttosto corpulenta, entrò dicendo che il pranzo era in tavola.
La cena fu davvero squisita, non solo a causa del mio appetito, ma soprattutto per la maestria con cui erano state preparate tutte le portate.
Feci i complimenti alla signora, che si schermì con modestia, e cominciai a chiedere al mio amico cosa fosse successo in tutto quel tempo in cui non avevamo avuto contatti.
-Ti risponderò nella biblioteca, davanti a un cognac, se sei d’accordo.
Mi condusse in una stanza molto più piccola di quella dove avevamo cenato, ma anch’essa completamente rivestita in legno, nella quale un camino acceso rallegrava l’ambiente con la sua luce ed il suo calore scoppiettante.
-Allora, che mi dici? Come vanno le cose, in mezzo a questa foresta?
-Beh, non posso lamentarmi. Quando abbiamo perso i contatti, quattro anni fa, ero agente di commercio, ed ora mi ritrovi padrone di questa villa. Immagino che ti chiederai come sia potuto accadere…
-Effettivamente è così, anche se forse non avrei il diritto di chiedertelo.
-No, anzi… È un po’ difficile da spiegare… Sicuramente è difficile da credere.
Un vento gelido si era alzato e spirava dalla foresta contro le imposte della casa.
A. estrasse da un cassetto un libretto rilegato in pelle, che ad una seconda analisi si rivelò essere un antico diario.
-Credo che questa lettura ti farà comprendere e forse credere a quello che ti dirò in seguito. Leggilo ad alta voce, per favore.
La foggia della rilegatura, in pelle nera stampata recante un fregio dorato sulla copertina, fu la cosa che mi incuriosì maggiormente.
Mi sistemai nella poltrona, appoggiai il mio bicchiere e ne cominciai la lettura.
2. Il Diario Nero
Aprii la prima pagina e trovai annotate sul retro della copertina queste parole:
Non legga queste pagine chi cammina sul sentiero della luce.
Chiesi cosa significasse, ma il mio amico mi invitò a proseguire, perché quelle parole erano state scritte successivamente e non avevano niente a che fare con l’incredibile contenuto che ne sarebbe seguito, allora cominciai a leggere…
Mi chiamo I., e scrivo questo diario per preservare la memoria di questa esperienza che ritengo unica e di cui non ci sono altre prove documentate al di fuori di questo manoscritto.
Ho vissuto tutta la mia vita nel paese di P., quarant’anni tra pochi mesi, che qualche anno fa è stata segnata da un evento incredibile e raccapricciante al tempo stesso.
Ma andiamo con ordine: tutto è cominciato da un sogno che feci in una maledetta notte di novembre.
Nel sogno mi trovavo in un ambiente scuro, una specie di catacomba, e l’unica fonte di luce era fornita da un paio di torce. Vidi davanti a me un uomo e una donna, vestiti di lunghe tuniche grigie, che mi davano le spalle ed erano rivolti verso un altare, ossia un blocco squadrato di pietra grezza.
Mi avvicinai a qualche passo da loro e vidi che l’uomo teneva nella mano destra un pugnale, che stava sollevando per vibrare un colpo. Per un attimo osservai la forma del pugnale: sembrava d’oro con due pietre incastonate sui lati, poco distanti dalla base della lunga e lucida lama.
Ma fu soltanto un attimo, perché in quel momento vidi l’oggetto del sacrificio, poiché di sacrificio si trattava, ne ero certo, ovvero un bambino poco più che neonato, fasciato da una pezzuola, che piangeva ignaro di quel che stava per accadere.
La mia reazione fu istintiva: mi scagliai contro l’uomo e lo scaraventai a terra. Cadendo perse il pugnale, che cadde tintinnando sul pavimento. La donna, sorpresa da quella mia comparsa improvvisa, non ebbe tempo di reagire, così afferrai il bambino e corsi via da quel posto maledetto. Ma ci fu una cosa che mi trattenne dallo scappare: fatti pochi passi sentii la voce dell’uomo che mi diceva di non farlo. Fu la normalità della sua voce che mi convinse a fermarmi e a girarmi dalla loro parte.
Entrambi si erano tolti i cappucci, ma l’uomo non aveva raccolto il pugnale. Questo particolare mi diede fiducia e ascoltai ciò che avevano da dire.
-Non hai capito quello che stava succedendo.- disse l’uomo mentre la donna mi guardava con occhi imploranti.
-Certo che ho capito- tuonai in risposta?"volevate uccidere un bambino indifeso!-
-No- disse l’uomo tendendo una mano?"lui non è quello che tu credi.
Udendo queste parole, sollevai il bambino per osservarlo.
Troppo tardi compresi le parole dell’uomo, che invece stava compiendo una santa opera.
Gli occhi del bambino erano diventati neri come gli abissi dell’Inferno, e due pupille gialle da rettile avevano preso il posto degli occhi azzurri che poco prima avevo visto.
Le fauci spalancate scoprivano due zanne lunghe ed aguzze.
Pietrificato dall’orrore, non ebbi il tempo di reagire. Quella creatura si protese con un guizzo verso il mio collo e mi morse.
In quel momento mi svegliai, madido di sudore, nel mio letto e con la coda dell’occhio mi parve di vedere un’ombra furtiva uscire con la rapidità di un lampo dalla finestra spalancata.
Mi girai, ma non vidi nulla.
Mia moglie si svegliò a questo mio scatto e mi chiese cosa fosse successo.
Le dissi di continuare a dormire e di non preoccuparsi.
La mattina successiva, però, mi svegliai febbricitante. Mia moglie chiamò subito il dottore del villaggio vicino che mi visitò in mattinata.
Stava per liquidare la faccenda adducendo come motivo l’influenza che aveva colpito quella parte del paese, quando visitandomi vide qualcosa che lo fece impallidire.
Mi chiese se fosse successo qualcosa di strano negli ultimi giorni, ma non trovai niente da dirgli, se non l’incubo che mi aveva tormentato la notte precedente.
Mi prescrisse un infuso di erbe e si preparò ad andarsene.
-Tornerò presto- disse uscendo.
Lo vedemmo la mattina successiva. Io mi sentivo debolissimo e prossimo alla morte. La cura che mi aveva prescritto, evidentemente, non dava gli effetti sperati o, come capii in seguito, era solamente un placebo per non farmi preoccupare.
Entrò insieme ad un robusto cacciatore del suo villaggio, che conoscevo di vista, avendo partecipato a battute di caccia o di ricerca con lui e i suoi compagni.
Tutti e due erano provati e stanchi, come reduci da una notte di veglia.
Subito dopo entrò anche un prete, che cominciò a vestire i paramenti sacri.
Il dottore fece uscire mia moglie e mi aiutò a spogliarmi.
Mi stese sul letto, prese una capiente fiasca che era legata al suo fianco e la stappò. Un odore penetrante si diffuse nella stanza. Conoscevo quell’odore: era sangue, ma nello stato in cui mi trovavo non riuscivo ad opporre resistenza ne’ tantomeno a fare domande.
Il cacciatore, di cui non ricordavo il nome, lo assistette per tutto il tempo. I due uomini mi cosparsero da capo a piedi di quella sostanza che ormai ero sicuro fosse sangue.
Al contatto con esso, il mio corpo reagiva in maniera contrastante: da una parte era come se quel contatto mi provocasse una forte reazione di repulsione, ma dall’altro lo accoglieva come una liberazione.
Il prete aveva cominciato una litania che riuscivo appena a percepire, senza capire cosa fosse.
Non so quanto durò quella cerimonia; mia moglie in seguito mi disse che fu più di un’ora dopo che le permisero di entrare.
Prima però, fui ripulito con l’acqua, evidentemente per non far preoccupare inutilmente la donna.
Le uniche raccomandazioni che il dottore fece a mia moglie furono che avrei dovuto riposare per almeno una settimana, ma che sarebbe tornato tutte le mattine per accertarsi personalmente delle mie condizioni, che ero ormai fuori pericolo e che sarebbe stato meglio non dire in giro cosa fosse successo in quei giorni, per evitare le chiacchiere dei paesani.
Lei obbedì, senza capire cosa fosse successo realmente.
La settimana trascorse tranquillamente e già al quinto giorno mi sentivo bene, forte come un toro, ma seguii ugualmente la prescrizione del medico ed egli, visitandomi l’ultimo giorno, mi disse che il pericolo era definitivamente scongiurato.
Lo ringraziai e avrei voluto pagarlo per le cure ricevute, ma egli rifiutò dicendo che il risultato, in un caso come questo, valeva già come ricompensa.
Ammetto che non capii questo atteggiamento, ma non insistetti, anche perché in quel periodo non navigavo certo nell’oro.
-Ma cosa c’entra questo?- chiesi al mio ospite, che mi ascoltava assorto. ?"Perché devo leggere il resoconto medico di questo poveretto?-
-Prosegui…- mi esortò ?"…capirai…-
Ripresi la lettura dal punto in cui mi ero interrotto.
La mia vita ricominciò normalmente, mi recavo al lavoro, e mi sentivo piuttosto in forze, anche se già dai primi giorni avevo notato di avere sempre meno bisogno di dormire, durante la notte. Questo fenomeno si accentuò nelle settimane successive, fino ad assumere i contorni di un’insonnia cronica e persistente. Quello che mi tranquillizzava era che non ne risentivo affatto durante la giornata e quindi catalogai il fenomeno come una stranezza fastidiosa ma di certo non nociva.
Durante la notte cominciai a leggere, anche se mia moglie insisteva che avrei dovuto almeno provare a dormire. Le dissi di non preoccuparsi e quando dichiarò di voler richiamare il dottore, le dissi di non farlo, perché comunque stavo bene di salute e la convinsi che prima o poi questa faccenda si sarebbe risolta da sola.
Lei obbedì, ma forse avrei dovuto ascoltarla: forse mi sarei evitato gli orrori che seguirono. Ma non credo: da quella notte la mia vita era segnata ed ora, in punto di morte, spero che almeno la mia anima si possa salvare.
Fu in questo periodo che ebbi il mio primo e unico figlio.
Di mia moglie posso solo dire che mi fu vicina finché poté, perché circa due mesi dopo la nascita del bambino, ossia circa un anno dopo quella malaugurata notte, ella morì, precipitando in una scarpata mentre si recava verso i pascoli alti con le poche capre che possedevamo.
A seguito di questi fatti e della mia palese stranezza agli occhi dei paesani, il bambino mi fu tolto e fu affidato ad una lontana cugina di mia moglie, che abitava in una città a centocinquanta chilometri dal mio villaggio, e da quel momento non ebbi più sue notizie.
Anche questo fatto, unito al lutto che avevo subìto, non produsse in me quell’emozione che mi sarei aspettato. In quell’ultimo periodo, infatti, avevo progressivamente perduto la normale sensibilità umana e un senso di distacco e quasi di trascendenza aveva pervaso tutto il mio spirito.
Mangiavo pochissimo e dopo la morte di mia moglie scoprii che potevo sopravvivere anche non mangiando affatto.
Il mio aspetto diventava di giorno in giorno più cadaverico, ma in quello stato di perenne trance la cosa non mi preoccupava per niente, poiché sapevo che non rischiavo affatto di morire.
Mi sentivo completamente estraneo al resto della popolazione umana e stavo quasi sempre rinchiuso in casa, uscendo solo di notte per fare una passeggiata nel bosco, poiché avevo cominciato a mal tollerare la luce diretta del sole diurno.
Racconterò cosa mi ha portato fino a questo punto, ora che dal mio letto di morte scrivo queste ultime pagine. Non so se qualcuno crederà mai alle mie parole, ma posso assicurarvi che è tutto vero, ed io, almeno alla fine, sono tornato nel pieno possesso delle mie facoltà.
La mia mente vacilla a ripensare a ciò che ho fatto sotto l’influsso malefico dell’incantesimo che mi aveva avvinto, ma dopo la mia morte, se Dio avrà pietà della mia anima, potrò riposare e dimenticare questi orrori per l’eternità.
Il naturale bisogno di sonno non tornò mai più, ma cominciai ad avvertire uno stimolo diverso. La notte non riuscivo più a concentrarmi nella lettura e giravo per la casa deserta tormentandomi per capire di cosa avessi un bisogno così disperato.
Finché un malaugurato giorno lo scoprii.
Era notte fonda, e mi aggiravo come uno spettro nel folto del bosco che separava la mia casa dal villaggio vicino, incurante dei pericoli a cui mi esponevo girando di notte, da solo, nella foresta. Qualsiasi animale avrebbe potuto attaccarmi e ridurmi in pezzi, ma la cosa non mi interessava. Io mi sentivo come l’unico vero predatore di quel bosco.
Ad un certo punto sentii un urlo strozzato. Mi diressi verso l’origine di quel suono, e vidi un uomo avvolto da un pastrano nero estrarre la lama del proprio pugnale dal torace di una seconda persona che giaceva riversa al suolo, guardando con gli occhi sbarrati dalla morte nella mia direzione.
L’assassino, intento a ripulire la lama, non mi vide finché non fui ad una ventina di passi da lui. Con la sua corporatura e la sua ferocia avrebbe potuto ridurmi come l’uomo disteso a terra, senza alcuno sforzo, ma quando mi vide emise un urlo inumano e corse via, lasciando la propria vittima dove l’aveva uccisa pochi attimi prima.
Non capii il motivo di quella fuga e la attribuii al mio aspetto che diventava più emaciato e pallido di giorno in giorno, senza che però io ne risentissi minimamente.
Mi chinai sul corpo per vedere chi fosse quel poveretto e in quella posizione, osservando la ferita in corrispondenza del cuore, capii che doveva essere morto immediatamente.
Sentii montare dentro di me un impulso irresistibile, alla vista del sangue che continuava a sgorgare dalla ferita aperta, e fu allora che persi completamente il lume della ragione.
Mi avventai come un animale su quel povero corpo e ne bevvi avidamente il sangue. Poi, ancora in preda a quel desiderio diabolico, lo squartai con le mani nude per assaporarne ancora.
Non so quanto durò quel banchetto infernale, ma rientrai a casa alle prime luci dell’alba. Ero completamente ricoperto di sangue, come mi ridussero quel giorno il dottore e l’altro uomo per guarirmi.
Non capivo perché l’avessero fatto ed ora che il furore era svanito, volevo cercare di capire cosa fosse successo in realtà.
Il giorno successivo trascorse in questo tormento, attendendo che il sole calasse, poiché ero arrivato al punto di non sopportare la vista della luce diurna senza provare un intenso dolore.
Notai però un radicale cambiamento nel mio aspetto quando mi guardai nello specchio: al posto del volto scavato e cadaverico che avevo visto negli ultimi mesi, vidi un volto florido e rubicondo, quale non avevo mai avuto neanche nei momenti di maggior prosperità.
Questa scoperta mi atterrì, insieme alla consapevolezza che ero uscito da quella specie di trance in cui ero caduto assumendo ora un atteggiamento assai più risoluto e sprezzante.
Scese la notte e mi azzardai ad uscire da casa. Avevo intenzione di percorrere la strada maestra per arrivare al paese, fino alla casa del dottore, che avrebbe dovuto darmi le spiegazioni che cercavo. Ero convinto che quello strano rito, di cui mi avevano tenuto nascosto il significato, racchiudesse invece un terribile segreto.
Ero sicuro che se qualcuno mi avesse incontrato quella notte, avrebbe visto solo un normale viandante, e niente di più. Ormai il mio aspetto era tornato quello di un tempo (ma a quale prezzo…).
Arrivai davanti alla casa del dottore senza incontrare anima viva. D’altra parte erano le dieci di sera e tutte le persone dabbene erano rinchiuse nelle loro case a dire le orazioni prima di coricarsi.
Bussai tre o quattro volte prima che mi fosse aperto. Il dottore si mostrò stupito di vedermi a quell’ora tarda, ma mi fece comunque entrare.
Non persi tempo in preamboli. Domandai subito cosa mi fosse successo quel giorno maledetto.
Il dottore si sentì a disagio. Evidentemente non voleva parlare, ma, come scoprii in quell’occasione, il radicale cambiamento del mio carattere mi aveva portato un altro dono diabolico.
Sentii la mente del dottore piegarsi come un ramo di salice sotto la pressione tremenda della mia volontà. Sapevo che avrei potuto spezzarlo a mio piacimento, quando avessi voluto. Ma non era ancora il momento.
Ad un certo punto le sue difese crollarono e cominciò a raccontarmi tutto dall’inizio.
Mi raccontò che visitandomi aveva visto due minuscoli segni sul mio collo, come due punture distanti circa un paio di centimetri l’una dall’altra, e per quel motivo, insospettito, mi chiese se fosse successo qualcosa di strano nei giorni precedenti.
Quando poi gli raccontai del sogno del bambino, non ebbe più dubbi, andò a chiamare il cacciatore che lo accompagnava quel giorno ed insieme si recarono al cimitero.
La descrizione che feci del bambino era tale e quale al povero figlio di un taglialegna del villaggio, morto due mesi dopo la nascita senza che il medico avesse potuto spiegarsi il motivo.
Fu sicuro che si trattasse di lui, che tornava dalla tomba per dare la morte nel modo in cui qualcuno l’aveva data a lui. Era tornato come un vampiro.
Vegliarono per metà della notte, e finalmente lo videro tornare verso la sua piccola tomba. Fu allora che lo catturarono e lo decapitarono all’istante prima che egli potesse reagire. In quelle condizioni, anche un bambino appena nato poteva uccidere molti uomini adulti con la propria forza demoniaca e soprattutto con i perversi poteri mentali che io stesso stavo sperimentando.
Dopo averlo ucciso, il dottore ne raccolse il sangue in una fiasca, poi il povero corpicino fu bruciato e le sue ceneri gettate nel torrente che costeggia il cimitero.
L’unico modo per salvare una persona morsa da un vampiro era quello di bagnare il suo corpo con il sangue del vampiro stesso. Ma in questo caso, la cura aveva funzionato solo in parte.
Il mio corpo era salvo, ma altrettanto non si poteva dire della mia anima.
Il resto della storia già lo conoscevo. Ma quella rivelazione mi lasciò sbalordito e confuso, tanto che allentai la presa mentale sul dottore. Egli, riacquistando il controllo di se’, si scagliò verso il camino e afferrò una grossa ascia che vi era appoggiata.
Ma io fui più veloce. Senza muovere un muscolo, ripresi il controllo della sua mente, bloccandolo sul posto. L’ascia gli cadde dalle mani, facendo risuonare l’impiantito di legno della casa.
Di fronte a quell’attacco, il mio istinto di sopravvivenza ebbe la meglio, e la potenza che profusi nella mia reazione era talmente violenta che sentii la mente del dottore spezzarsi sotto quell’irresistibile pressione.
Il suo corpo, già esanime, cadde a terra come un sacco vuoto. Sentivo il bisogno di altro sangue, ma fu solo il ricordo di ciò che aveva fatto per me che mi trattenne dallo straziare il suo corpo.
Da quel momento non ritornai più alla mia casa. Probabilmente fui dato per disperso, poiché nessuno mi vide più da quelle parti. Vivevo come un predatore notturno, dando la caccia agli animali durante la notte, mentre durante il giorno stavo rintanato in un anfratto buio e umido, poiché la mia intolleranza alla luce del sole cresceva giorno dopo giorno.
A dire il vero il sangue degli animali aveva un cattivo sapore, se confrontato con quello degli uomini, ma quel barlume di umanità che ancora abitava in me mi impediva di cacciare i miei simili.
Inoltre la mia capacità di caccia si era affinata in modo innaturale. Potevo vedere nell’oscurità della notte, udire suoni molto fievoli, correre e spiccare salti in maniera incredibile.
Credo fossero passati mesi, forse più di un anno da quando avevo cominciato questa vita; ormai stava per verificarsi l’evento pose fine a questa maledizione.
Una notte, ero intento come al solito alla caccia, quando sentii un urlo di donna a qualche centinaio di metri da me. Corsi più veloce che potei verso quel punto e allora vidi uno spettacolo che mi gelò il sangue.
Accanto alla ragazza, svenuta a terra, non vi era un uomo, ma un essere che ne aveva conservato solamente l’aspetto fisico. Era qualcosa di peggiore persino dell’abominio che io stesso ero diventato, poiché egli era un vero vampiro.
Al suo confronto, io mi figurai di essere un punto intermedio tra l’umanità della ragazza stesa a terra e quel diabolico essere che non era vivo, ma neppure morto, e che calpestava il terreno facendo affronto alle regole che la Natura deve seguire nel suo ciclo vitale.
Mi scagliai su di lui e subito mi resi conto che la sua forza era molto maggiore della mia, ma ciononostante lo combattei con tutte le risorse a mia disposizione. Sentivo la pressione mentale che quell’essere esercitava su di me: mi raggiungeva in ondate irresistibili, ma io le ribattevo colpo su colpo, concentrandomi solo sulla lotta fisica.
Mi salvai solamente perché egli riconobbe in me un suo simile, se mai si può parlare così di una creatura infernale, e per questo ebbe un attimo di esitazione.
Caricai tutte le mie forze in un ultimo, disperato tentativo di sopraffarlo. Lo aggirai, tenendo un braccio sotto il suo collo, e da questa posizione, facendo leva con entrambe le braccia in un rapido guizzo di forza bruta, staccai il collo dalle robuste spalle che lo sostenevano.
Il corpo si accasciò contro di me ed il suo sangue immondo mi inondò completamente.
Presi tra le braccia la ragazza e la deposi sul ciglio della strada, a circa un chilometro da lì. Speravo che non ricordasse niente di quello che poteva aver visto quella notte, e comunque ero sicuro che la sua candida carne non fosse stata violata.
Poco alla volta sentii riaffiorare tutti i sentimenti umani che un tempo mi erano familiari, la compassione e la pietà, insieme ad un senso di debolezza che mi pervadeva. Ciononostante tornai sul luogo della battaglia. Sapevo che cosa era necessario fare. Costruii una pira con alcune fascine di legna, vi deposi il corpo del vampiro ucciso e lo bruciai. Guardai quel falò estinguersi pian piano, poi dispersi le ceneri nel bosco. Durante questa attesa, vidi ad oriente le prime striature dell’aurora imminente. Sapevo cosa mi avrebbe provocato la luce solare, ma lo stesso non mi mossi. Ero troppo stanco e non m’importava di morire. Speravo che la morte avrebbe posto fine a quel tormento.
I primi raggi d’oro fecero capolino fra le montagne ma a quel punto, esausto, mi addormentai.
Al mio risveglio, ero ricoperto di luce solare, solo in parte schermata dai rami soprastanti. Con mio estremo stupore, mi accorsi che potevo tollerare la luce e che, anzi, mi dava una piacevole sensazione di calore, che non avevo più provato da tempo.
Mi girai e al mio fianco trovai la ragazza che avevo salvato la notte precedente.
Fu lei a portarmi qui, nella sua casa, dove ora le sto dettando le mie ultime memorie, insieme al padre, che ha avuto la bontà di ospitarmi nella sua casa.
È stato lui a raccontarmi che quell’essere bestiale era stato la causa della morte di un bambino appena neonato, circa un anno e mezzo prima.
Riflettei che forse avevo ucciso la fonte della mia dannazione, ed evidentemente il bambino era lo stesso che mi aveva morso tanto tempo prima.
Se ripenso alle atrocità che ho commesso, alla morte del dottore e alla mia vita come animale selvatico, provo una sensazione di ripugnanza e di distacco, come se tutte quelle azioni fossero state compiute da qualcun altro, e non da me.
Mi sento estremamente stanco. La morte, quando giungerà, porterà con se’ un essere umano, e non una nera creatura infernale quale stavo diventando.
Ora voglio dormire, spero che al mio risveglio le forze mi siano tornate.
3. Epilogo
-Qui il diario finisce. È uno scherzo?- chiesi ad A.
-No, non lo è- rispose pacato.
Ormai la notte era al suo culmine. Il vento non aveva ancora smesso di soffiare fuori dalle imposte.
-Ma cosa c’entra tutto questo con te?
-Vedi, ho comprato questa casa perché era la proprietà dell’antica famiglia che ospitò quello sfortunato uomo del racconto.
-Non è possibile… Mi stai prendendo in giro. Il racconto che ho letto non può essere vero. Deve essere il vaneggiamento di un pazzo in punto di morte. Mi rifiuto di credere che sia una storia vera.
Una raffica più violenta delle altre mi fece sobbalzare.
-Ma non ti ho detto ancora tutto.
Attesi incuriosito.
-Il protagonista della storia era un mio antenato. Capisci? C’è una discendenza diretta tra lui e me, una specie di strada dritta che ci collega.
-Non può essere!- dissi seccamente.
-Vedi, il figlio che fu tolto al mio trisavolo per essere affidato alle cure della cugina fu concepito nel periodo successivo al momento in cui egli fu contagiato dal vampiro.
-Ma lui non diventò un vampiro. Almeno, non completamente…
-È vero, infatti ebbe anche la possibilità di riscattarsi, cosa che non possono fare i vampiri veri, che sono a tutti gli effetti dei non-morti.
-Cosa vorresti dirmi, con tutto questo discorso?
-Vedi, nel corso delle generazioni gli effetti del contagio si sono molto affievoliti, ma non sono del tutto scomparsi.
-Vorresti dire che tu hai l’abitudine di bere sangue?
Il mio ospite rise sommessamente.
-No, certo che no. Però la parte mentale di quei poteri diciamo, si è tramandata di generazione in generazione, mentre gli altri aspetti demoniaci si sono affievoliti fino a scomparire. La mia è la settima generazione da quella del mio antenato e, se vogliamo vederla in modo mistico, diciamo che questi poteri sono la ricompensa elargita alle generazioni successive per compensare il tormento che quel pover’uomo dovette subire.
-Spiegati meglio.
-Hmm, diciamo che un semplice agente di commercio non potrebbe permettersi una casa così, se non avesse “qualcosa in più”. Mi è bastato dare qualche “spinta” alle persone giuste per avviarle nella direzione a me più favorevole. Tutto questo passa inosservato, se sono decisioni plausibili come un aumento di stipendio o la convinzione di firmare un contratto con me. Se un giorno dovessero ripensare profondamente al perché di certe scelte, probabilmente attribuirebbero queste stranezze all’incertezza del momento. Nessuno tranne te conosce la verità.
Un senso di orrore mi assalì. Quei fatti contro natura non erano una ricompensa, ma lo strascico della maledizione che incombeva sul mio amico e sulla sua famiglia.
Non ricordo precisamente cosa successe dopo, ma mi alzai in preda al panico dalla poltrona e uscii nella notte, mentre il mio amico mi guardava, stupito del mio comportamento.
Corsi a perdifiato per non so quanto tempo, finché vidi le luci di un villaggio. Entrai in una locanda e il mattino dopo partii con il treno verso casa mia.
Da quella volta non vidi più A., ne’ ho intenzione di contattarlo in futuro.
C’è un particolare che ho taciuto, ma senza il quale non si può spiegare cosa mi spinse a fuggire da quella casa in piena notte sfidando il bosco e il vento furibondo che soffiava.
Fu un attimo solo, quando A., probabilmente per convincermi della verità del racconto, esercitò sulla mia mente quel potere di cui mi stava parlando. Non posso spiegare cosa provai sotto quell’influsso, ma a differenza delle sue ignare “vittime”, io ero a conoscenza della natura di quel potere, e di conseguenza riuscii a vedere chiaramente le diaboliche forze che glielo avevano concesso. Non le vidi nel senso comune del termine, ma percepii qualcosa di informe e orrendo, che posso descrivere solo come qualcosa di vischioso e freddo, che cercava di impadronirsi del mio corpo e, ora ne sono sicuro, soprattutto della mia anima. Forse, se non fossi fuggito, ora non potrei scrivere questa storia, per mettere in guardia altri che, come me, potrebbero trovarsi di fronte ad un pericolo mortale come quello che ho raccontato. Si, sono certo che i vampiri non siano spariti, ma che abbiano trovato modi più raffinati di catturare le loro prede.
Questo è il mio ultimo manoscritto, sento che non ne avrò ancora per molto.
Da qualche notte faccio strani sogni, e sento mille occhi che mi spiano dalle finestre di casa, dopo il tramonto.
Ora sono nello studio, è calata la sera e un vento gelido soffia intorno alla mia casa, sussurrando cose innominabili.
Però le porte e le finestre sono tutte sbarrate, ed io so esattamente cosa devo fare.
Nel cassetto ho un revolver e sei colpi, ma se il coraggio non mi tradisce all’ultimo istante, ne userò solamente uno.
Che Dio abbia pietà della mia anima.
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- molto interessante il susseguirsi degli eventi, complimenti :9
- ben scritto e scorrevole nella lettura, trama che ti prende molto
- Una buoba prova! Continua così!
- Racconto davvero pregevole! Una prosa visionaria e al tempo stessa lucida ed espressiva, sorretta da un ritmo serrato ed incalzante che non abbassa la tensione e da una trama che, seppur complessa, non lascia il minimo spazio alla confusione. Non so se l'hai letto e se ti ha ispirato, ma lo stile del racconto ricorda gli scritti di H. P. Lovecraft, un maestro indiscusso della narrativa horror! Complimenti sinceri!
- bravo il tuo stile di scrittura è scorrevvole mette emozione ed è comprensibile!!!! complimenti
- complimenti, molto bella
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