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Storia di una chiamata - Capitolo 3°

Sul finire del caldo giugno del 1978, inizio con la scuola il mio primo “distacco”, infatti lascio i miei primi alunni ed i ragazzi (ora sono tali) andranno già in prima media e una strana sensazione mi invade.
Questo mio primo “distacco” ne preannuncia altri che verranno, sia nella scuola sia nella… vita. Inoltre, mi fa toccare con mano “la partecipazione emotiva” che metto perfino nel mio… lavoro! Eh sì, Signore, lo riconosco: nonostante le bastonate avute fin dal lontano 1962, la mia è ancora “una fede istintiva - emotiva” che parte dal di dentro, ma si fortifica e si alimenta grazie alla fede dei fratelli! Certo, io devo accettarmi con questi miei limiti, con questa carica di entusiasmo che mi caratterizza e che sembra “esplodere” nei momenti forti del mio cammino e che, a volte, mi procura attorno dei sorrisi di affettuoso compatimento, o in qualcuno un senso di stizza malcelata perché ancora “alla mia età guardo il mondo con gli occhiali rosa!”.
“E questo non va!” sentenzia la cara Rita R. lo riconosco, è vero, esiste in me un dislivello fra la mia età cronologica che avanza inesorabile e la mia età mentale che resta “una fresca fontana di acqua zampillante”.
Sì, ho gioia da donare, ho speranza da regalare, perché per me il tempo dell’incanto, iniziato dopo Gambarie, culminato con i tre campi di lavoro di Lentini, non è ancora finito, pare che continui nel nostro gruppo impegnato in un cammino di fede.
Ancora ho bisogno di respirare l’aria salubre della comunità.
Ma, dapprima non riesco a capire. Solo oggi ne afferro il senso: all’interno del gruppo, guidato da padre Fabrizio, sorgono pian piano tematiche diverse, esigenze diverse; proprio ora che il gruppo è ricco di varie presenze traballa, non è più un’unica voce, un’unica comunità. Alcuni si guardano attorno e si indirizzano per la strada del matrimonio. Nino s’interroga e si avvia sicuro verso il sacerdozio. I membri del movimento di spiritualità che ci hanno ospitato per anni nella loro chiesa sottolineano il loro carisma… Ed ora io che faccio?!
Stanca, sfiduciata, isolata non provo nemmeno a definire la mia chiamata, perché è strana, unica e non rientra in nessuno schema prestabilito fra quelli già esistenti nella Chiesa catanese e così riconosciuti “giuridicamente”.
Il termine “giuridico” mi dà l’amaro sapore della struttura definita, sigillata, stretta, troppo stretta per me “avida” di spazi di libertà e d’amore; e poi non sono adatta a viverci dentro, perché “quando parlo muovo le mani” e perché, esile come tuttora mi mantengo, non riuscirei a sopportare e gestire con equilibrata calme le emozioni, nemmeno quelle esterne che mi possono piombare addosso inaspettate; pertanto non potrò essere capace di vivere bene il voto dell’obbedienza cieca. Così sentenzia l’alto prelato romano!
Mi fermo, mi rassereno di colpo e guardo speranzosa verso “i laici liberi” e osservo le universitarie di oggi, le belle, intelligenti colte liceali di un ieri lontano che, in neri grembiuli di brave studentesse, la mattina, recitando le lodi, riempivano la nostra chiesa di festa, di canti esaltanti, di giovinezza, di fede e di tanta speranza! In questo momento storico, ormai laureande, hanno cominciato a ricercare insieme una loro identità. Sicuro, lo capisco, io non posso fare parte di questa giovanile ricerca, perché non ho l’età!... Quella cronologica s’intende!

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