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QUELL'ESTATE DEL SESSANTOTTO
< Ciao. > Più che un saluto sembrava un’esplosione di entusiasmo. Istintivamente mi guardai attorno, eravamo solo io, lei e l’addetto al garage, tutto indaffarato a sistemare le auto.
Non c’erano dubbi, era proprio rivolto a me. La guardai con maggiore attenzione, cercando disperatamente di ricordare. Nonostante gli sforzi, non avevo la minima idea di chi fosse, < Come stai? > Mi chiese avvicinandosi con decisione < Bene, e tu? > Risposi in modo poco convinto.
Sorridendo mi prese sottobraccio < Non mi hai riconosciuta?!! Tu invece non sei cambiato molto. > Non riuscivo proprio a ricordare.
< Nella. Estate 1968, Hotel Moderno, mi aiutavi con i bambini; ricordi? >
Aveva pronunciato quelle parole con un tono normale, come se stesse parlando di qualcosa successo ieri, invece erano trascorsi esattamente diciannove anni.
Nella! Credo di avere smesso di respirare. - Nella! - Questa volta, quasi gridai. < Sei proprio tu. > Balbettavo, non riuscivo a controllare la tensione, la fissavo incredulo.
Per un attimo pensai allo stupore dei miei collaboratori se avessero potuto vedermi.
Per fortuna lei comprese e mi abbracciò. Era così anche allora, riusciva a cogliere i miei imbarazzi, le mie insicurezze. Faceva sempre la cosa giusta per farmi sentire a mio agio.
Come avevo fatto a non riconoscerla? Certo vent’anni sono tanti, ma il suo sorriso, le fossette sotto gli occhi, il broncio di eterna bambina erano gli stessi. Nemmeno il fisico sembrava essere cambiato molto, anche se, per la verità, la pelliccia lasciava intravedere ben poco..
Ecco cosa mi aveva tratto in inganno, non l’avevo praticamente mai vista con gli abiti addosso.
Non potrei descrivere cosa stavo provando, avevo ripensato a lei migliaia di volte, la sua immagine, il suo ricordo, la nostra storia, erano qualcosa di prezioso che conservavo gelosamente, ma era un capitolo archiviato. Trovarmela di fronte significava dover fare i conti con la realtà e io, non volevo rinunciare alle magie di quei ricordi.
Avevo diciotto anni, le idee confuse e grandi progetti inconfessati. Facevo il cameriere e lei era ospite dell’albergo.
Era una biondina poco più che trentenne, minuta, molto carina, era difficile credere che i due mocciosi che si teneva sempre appresso fossero suoi.
Un paio d’ore in spiaggia al mattino, altrettante al pomeriggio; per il resto non si muoveva mai dall’albergo. Quando non leggeva, stava seduta in silenzio, soprattutto la sera dopo aver messo a letto i bambini, scendeva nella saletta, quasi sempre deserta o si fermava in terrazza, al primo piano e sorseggiava una bibita in silenzio.
La sua presenza rendeva piacevole anche il turno al bar. Presi l’abitudine di fermarmi anche nelle serate libere.
Non avrei mai avuto il coraggio di avvicinarla, non avevo nessuna intenzione particolare. La sua presenza rendeva meno vuoti quei momenti e questo mi bastava.
Una sera ero seduto sul dondolo con un’aranciata in mano, ero arrivato prima, e questo mi toglieva dall’imbarazzo. La vidi alzarsi e dirigersi senza tentennamenti verso di me < Non ho potuto fare a meno di notare che anche tu non esci mai. Ti dispiace se resto qui? > disse sedendosi. < No.> Risposi secco.
Avrei voluto aggiungere qualcosa, ma ero totalmente impreparato e riuscii solo a dire < Vuole che le prenda qualcosa?> Per tutta risposta bevve un sorso d’aranciata dal mio bicchiere.
Non parlammo molto, ascoltammo musica, osservando quel che succedeva intorno a noi. Dal terrazzino si potevano scorgere alcuni locali e il viale che costeggiava la spiaggia. La ressa e i movimenti caotici della gente non facevano che aumentare il piacere di quel dolce far niente.
Salimmo le scale a notte alta, arrivati davanti alla sua porta (al personale di servizio era riservata un’ala dell’ultimo piano) lei mi ringraziò <Domani sera tocca a me offrirti l’aranciata. Ciao ….. e per favore, smettila di darmi del lei, mi fai sentire vecchia.>
Naturalmente passai la notte in bianco ripercorrendo a memoria ogni minuto, ogni parola.
Il mattino seguente, scesi prestissimo in sala, avevo fretta di vederla, temevo che tutto fosse svanito nella notte.
I bambini dormono ancora disse, chiedendomi un caffé ristretto, rigorosamente amaro. < Hai dormito? Io benissimo. > Avevo notato che non aspettava quasi mai le risposte. Le sue non erano domande ma affermazioni. Non c’era niente di perentorio o di arrogante nel suo comportamento, anzi, quella sua sicurezza era rassicurante.
L’osservai, i capelli tirati sulla nuca, non un filo di trucco, quell’aria un po’ imbronciata che non l’abbandonava mai. Elegantissima anche quando era vestita di niente. Era davvero molto bella.
< A proposito, non vengo a pranzo, siamo stati invitati per un giro in barca, puoi avvisare tu?> Probabilmente notò la mia aria delusa, perché ritornò indietro e incurante del proprietario che cercava di farsi notare < Ci vediamo questa sera > e sparì per le scale.
I giorni scorrevano veloci (per fortuna si fermava tutta l’estate), il dondolo e l’aranciata erano ormai un rito. Eravamo diventati inseparabili, anche se a volte faticavo a darle del tu.
Una sera mi chiese di accompagnarla al Luna Park < Così mi aiuti con i bambini. > Fu una serata faticosissima ma divertente. La giostra, l’autoscontro, il tiro a segno. Tornammo all’albergo che non ci reggevamo in piedi < M’aiuti a portarli a letto?>. Presi in braccio Cris, non avevano toccato le lenzuola che già dormivano.
Nella si era abbandonata sul letto < Siedi vicino a me. Dammi un bacio. Non ho mai conosciuto una persona come te. > Fu una notte indimenticabile, avevo già avuto qualche esperienza, ma ciò che stavo vivendo era qualcosa di molto simile a un sogno.
Confesso che fui sorpreso, avevo sempre sperato che succedesse, ma era un gioco di fantasia, niente di concreto.
Mentre salivo le scale, avevo appena il tempo per una doccia, provavo sentimenti confusi, era stato bellissimo, ero felice e … deluso.
Per colazione sorseggiò lentamente il solito caffè, non disse nulla, incrociammo un paio di sguardi; i soliti, non c’era imbarazzo, né complicità, era come non fosse successo niente.
Stava già andando via < Ci vediamo questa sera? > fece un cenno di assenso senza fermarsi, poi tornando sui suoi passi < Anzi sai cosa pensavo, prendiamo una ragazza per i bambini e andiamo a ballare. Che dici?> Io non sapevo ballare, ma come sempre lei liquidò le mie obiezioni con un sorriso. Per tutto il giorno mi risuonò quel “prendiamo” nella testa, magari era solo un’espressione usata per comodità, ma l’avermi accomunato a lei, mi faceva sentire bene.
Il locale era affollato all’inverosimile, la musica assordante, le sedie scomode, non ci avevano ancora portato la consumazione al tavolo che afferrandomi la mano, mi trascinò verso l’uscita.
Ci ritrovammo in spiaggia, seduti su un moscone. Pensai alla notte precedente, ma non successe nulla, parlammo a lungo, camminammo sempre tenendoci per mano e rientrammo in albergo.
Davanti alla porta della sua camera mi sfiorò le labbra con un bacio e ci lasciammo.
Un’altra serata bellissima, ero felice e confuso. Una cosa era chiara, con lei non c’era mai niente di scontato.
Una sera fui trattenuto fino a tardi, c’era stata una festa di compleanno e toccò a me riordinare e predisporre la sala per il giorno dopo, < Sei stanco? > Mi aveva aspettato per quasi tre ore, se mi avessero punto il petto con uno spillo sarei scoppiato come un palloncino, < Non ti sei annoiata, tutto questo tempo? > Si alzò, mi accarezzò, mi strinse < La solitudine, se sei felice, può essere un’amica preziosa, discreta, ti tiene compagnia. > Infatti, dissi, prima di frequentarci stavi sempre sola.
Mi guardò in un modo che non seppi interpretare < Guai a stare soli quando si soffre, si rischia di morire lentamente. E non sempre s’incontra un angelo. >
Non replicai, lei non mi diede spiegazioni.
Facemmo l’amore per tutto il resto della notte. In quei momenti Nella era molto diversa, sembrava un’altra donna, senza inibizioni, senza limiti, si abbandonava completamente; ma quella notte fu diverso, sembravamo avvolti nella sofferenza, nella disperazione, per tutto il tempo mi gridò di stringerla, di non lasciarla mai. Sentivo le unghie sulla mia schiena, il dolore era sempre più forte.
Ero intimidito, ma cercai di comportarmi normalmente e soprattutto non mi feci sopraffare dalla curiosità.
Non feci domande, non ebbi risposte.
Restammo immobili, la accarezzavo delicatamente, il suo respiro era molto simile ad un singhiozzo, il silenzio era assoluto, si potevano sentire i più piccoli rumori, anche i più lontani.
Lei si addormentò e io, dopo aver verificato di non avere graffi visibili, scesi a servire le colazioni.
L’estate scivolò via veloce, trascorremmo insieme tutto il tempo possibile, mai una nota stonata.
< Di cosa ti occupi? Sei ancora nel ramo alberghiero?> Sono in politica, risposi genericamente. Questa volta fu lei a sorprendersi < No! Tu in politica?! Ma se eri timidissimo, quasi impacciato > .
Ordinammo due caffè < Ristretto e amaro, vero? > Quasi si commosse < Te lo ricordi ancora?! > Restammo seduti in silenzio per alcuni minuti, sembravamo tornati indietro nel tempo < Sono tornata l’anno dopo, ma tu non c’eri > Ancora una volta riprese a parlare come se si trattasse del giorno prima, mi raccontò che aveva provato delusione e allo stesso tempo sollievo per non avermi trovato. Non aveva mai raccontato a nessuno della nostra storia, non si spiegava perché era successo, né cosa avesse provato. Parlare d’amore, era esagerato, ma …… < Non ti ho mai dimenticato, la vita è stata generosa con me, mi ha regalato molti momenti felici, ma la serenità di quelle serate non l’ho più rivissuta, mi è mancata sempre. Mi è mancata, mi manca la tua dolcezza.>.
Quest’ultima frase la pronunciò al presente, se ne accorse anche lei < Non farci caso, mi sono lasciata prendere dall’emozione; sai, invecchiando …. > si alzò, mi baciò sulla guancia < Sono felice di averti rivisto>.
Rimasi immobile, mentre lei si allontanava, la mia mente non riusciva a concentrarsi, a rientrare nel quotidiano.
Quando alzai gli occhi, lei era già sparita, < Anch’io sono felice di averti rivista.>
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