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Senza sogni
Prese la parola, alzandosi, con la stessa facilità con cui nel locale un avventore avrebbe ordinato una birra. La cosa strana, perché di stranezza si tratta, è che stemmo tutti ad ascoltarlo. Non so cosa ci colpì tutti, colpì non solo me ma tutti gli altri. Forse era la dignità che dimostrava, o meglio, che aveva dimostrato fino a poco tempo fa, come un aroma distante e lontano che arriva al naso. Quello che è sicuro, ci colpì la storia, che di avventuroso non aveva nulla, ma proprio nulla. Io vedo ancora le sue labbra che si muovono, ma non sento alcuna sua parola.
Ma rimane la sensazione, il gusto amaro di quelle parole di una lingua sconosciuta e lontana, esotica e disperata. Non era una storia, era un avventura umana quella che ho ascoltato, un viaggio attraverso una vita che ti toglie tutto, o almeno, così fu per lui. Non tolse soldi, non tolse famiglia, non tolse affetti, ma tolse sogni. E tutto crollò con essi. La sua tragedia non si era consumata così come potrebbe immaginare il lettore; tutti noi, e io non sono da meno, crediamo nei sogni. Se non crediamo nei sogni, o almeno così pensiamo, non è vero: noi smettiamo di credere di lottare per i sogni, di dibatterci nelle difficoltà, nella routine o nella semplicità della vita quotidiana. Noi smettiamo di credere nella lotta, non nei sogni. Ci abbandoniamo cadendo all’indietro a quello che c’è, smettiamo di correre e dibatterci per quello che non c’è. Ma, sapete tutti, non è un abbandono. La voglia di lottare torna, torna spesso, torna cattiva, torna implacabile, specie per chi è giovane e ha vita e speranze davanti a se. Se non torna, se continua a dormire e non c’è modo di svegliarla, se perciò pensiamo di aver abbandonato i nostri sogni, cominciamo a credere nei miracoli, nella scorciatoia, nella vita facile.
E così passano gli anni, i lunghi anni della nostra vita, e quei sogni rimangono vivi e sorridenti, ma sotto terra. Noi abbiamo scavato la buca quando abbiamo lottato, abbiamo lanciato via la pala quando abbiamo iniziato a sperare nei miracoli, smettendo di cercarli sotto terra; poi, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno della nostra vita, armati di martello e legna ci fabbrichiamo una bara, colpo dopo colpo, con una vera perizia di chi fa questo mestiere da sempre. Ci chiamano, ci sussurrano suadenti da sotto terra, ma la pala è troppo lontana e noi siamo troppo impegnati a tagliare legno, battere chiodi e disegnare progetti per la nostra bara. Ma non sempre va così. Chi non è rimasto deluso da un sogno? Sembra quasi che sia il sogno stesso, in quanto materia celeste, che ci interessi: scaviamo scaviamo e non sappiamo nemmeno cosa cercare, ci accontentiamo di quello che troviamo sotto terra, di quello che si trova tra la terra smossa, di quello in cui incappiamo rovistando e rovesciando. C’è chi continua a scavare per trovare il proprio sogno, dunque, oppure chi, accecato da quando trova, scivola nei sogni altri, qualunque essa sia la forma. Scivola dentro ai sogni di altri, dentro alla ricchezza che ha trovato sotto terra, come l’acqua scivola dentro ad un secchio. Ci si adatta alla forma, si sta quieti e si aspetta di evaporare, consci che anche le ultime gocce di noi stessi, dentro al sogno, avranno una forma, finché vi sarà il recipiente. L’unica sua paura, con la quale convive ad ogni ticchettio di orologio e che gli è ricordata da ogni tramonto, è la paura di perdere il suo sogno. Ma quando assaggi un sogno, quando ci dormi assieme, quando lo accarezzi, ne senti l’odore, la fattura, come fosse un oggetto di lusso non solo da mostrare, ma anche di cui cibarti, e poi lo perdi, affondi nella tranquilla pazzia di chi ha avuto qualcosa ed è convinto di averla ancora: dormi su un materasso di ombra.
Siamo consci del fatto che chiunque non sia stato appagato dai sogni o li stia ancora cercando, sia parte dell’umanità. E chi non fa nessuna delle due cose? Non riusciamo nemmeno ad immaginarlo, mostro senza gambe e senza forma, senza materia, una stella caduta dal cielo che è diventata carbone, rotola come un sassolino tra i piedi delle persone che corrono affannosamente a scavare o costruire. Ma se solo pensassimo, se solo volgessimo il nostro pensiero alla possibilità che esistano essere tanto sventurati, così svuotati da ogni sogno da risuonare vuoti perfino se toccati solo dal nostro sguardo, chi non si commuoverebbe? Chi non penserebbe per quale ragione essi, esistano o si chiederebbe da dove vengano? Come Icaro, si sono allontanati dalla Terra, spiccando il volo verso il cielo estivo con le ali delle loro domande, a cercare se ci fosse qualcosa oltre i sogni, oltre i sogni nascosti in questa Terra impregnata di sangue; ma, silenziosamente, sono precipitati come angeli dal paradiso del nulla, si sono bruciati nei loro pensieri, e adesso, ridotti a carbone, non possono nemmeno decidere cosa essere, o semplicemente, cessare di esistere. Senza forze si trascinano, miserabili esseri eterei e distanti, marcendo nella loro miseria, insensibili a quello che sta dietro o davanti a loro. Sono marci dentro, le loro stesse lacrime li nutrono, e se, ascolti una loro storia, non si può fare a meno di commuoversi e regalare loro un pensiero per loro prima di addormentarsi. Ma il loro sfogarsi, se sfogarsi si tratta, non è l’inizio di qualcosa: è solo il delirium tremens di qualcuno già morto, concio che di lui non rimarrà nemmeno il ricordo, perché la storia non ha posto per chi non ha sogni.
Ma quante pagine si potrebbero scrivere su di loro e quanto inchiostro potrebbe essere sprecato per far piangere il lettore…
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