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FOLLIA
Greta Faraday era già a letto quando udì le urla, distrattamente pensò che i suoi genitori stavano discutendo, urlavano spesso quando si animavano per qualcosa ma non c’era da preoccuparsene, richiuse gli occhi pensando di rimettersi a dormire quando lo schianto di qualcosa che andava in mille pezzi sul pavimento la fece sobbalzare.
Accese la lampada e si mise seduta sul letto. Un colpo più forte ed il grido acuto di sua madre. La ragazza ora era completamente sveglia, scese dal letto ed a piedi nudi s’avviò verso la porta della sua stanza.
Il lungo corridoio era buio e silenzioso come sempre. Si mosse, un passo dopo l’altro cercando di ignorare il freddo del marmo sotto i piedi scalzi. La scalinata che portava all’ingresso non le era mai sembrata così lunga. I rumori e le grida venivano dallo studio di suo padre oltre ai suoi genitori riconobbe la voce di una terza persona che imprecava ed urlava. Sentiva vetri infrangersi sul pavimento e probabilmente anche sberle volare.
<<Mamma?!>> non ebbe risposta, la porta dello studio era semi chiusa, la luce era debole probabilmente s’era rotta una lampada e quel bagliore era quello del piccolo camino.
Ora nella stanza c’era silenzio, solo un singhiozzare leggero. Cercò di non far rumore ma persino lo strusciare della camicia da notte sul pavimento sembrava un tuono nella sua mente spinse piano la porta dello studio e la scena che si trovò davanti le gelò il sangue nelle vene.
Pieni di paura, così si potevano definire gli occhi azzurri di Greta Faraday mentre spiava dall’uscio dello studio di suo padre.
Sua madre era a terra in una pozza di sangue, la gola tagliata e gli occhi vitrei e sbarrati che la osservavano, era ancora viva o forse era quello che desiderava la ragazza, le gambe adagiate in una posizione innaturale così come le braccia, somigliava tanto ad una bambola di pezza, i capelli biondi erano ora completamente ramati.
C’era qualcuno davanti al camino, riusciva a scorgerne solo le possenti spalle larghe e i capelli corvini incolti che ricadevano sulla giacca classica ed elegante ma lo riconobbe comunque, era Walter non c’era dubbio. Conosceva quel ragazzo e se aveva perso la ragione era certamente a causa sua. Si chiamava Walter Black, l’unico figlio sopravvissuto di Sir Victor e certamente colui che avrebbe ereditato ogni cosa alla morte del padre.
Walter Black s’era presentato quella sera alla porta, ubriaco, urlando e bestemmiando, minacciando Lord Faraday ma era successo miliardi di volte, quasi ogni sera in effetti da almeno due anni quindi nessuno vi aveva dato peso era stato semplicemente ignorato. Purtroppo Lord Faraday non era tipo da ignorare qualcuno a lungo specialmente se voleva parlare con lui così, quando moglie e figlia s’erano ritirate aveva aperto la porta al ragazzo.
Più volte Walter aveva chiesto la mano di Greta ma Lord Faraday, uomo di sani principi, nonostante avesse la più alta stima per Sir Victor sapeva che aveva dato troppo a quel figlio fino a renderlo prepotente, violento e senza nessuno scopo per il futuro come avrebbe mai potuto concedergli la sua unica figlia in moglie? Non l’avrebbe mai rispettata e amata era soltanto un capriccio come tanti altri.
Il giovane si voltò lentamente, stava sussurrando qualcosa che lei non riuscì a sentire; fu allora che s’accorse che il ragazzo teneva suo padre per il bavero della giacca, sollevato da terra di almeno dieci centimetri e le punte delle sue scarpe nere annaspavano in cerca di un appoggio sicuro. Aveva il volto tumefatto e la camicia strappata ed un rivoletto di sangue gli scorreva all’angolo della bocca, parlava sottovoce, in modo rassicurante nonostante la sua posizione cercava di far ragionare il ragazzo. Walter Black teneva in mano un coltellaccio da macellaio, di quelli che si usano per sgozzare i maiali, era sporco del sangue di sua madre, gli occhi spiritati ed il volto chiazzato e privo di qualsiasi espressione, era una statua di cera che agiva secondo un istinto insensato.
Non ebbe nemmeno il tempo di gridare quando il coltellaccio penetrò violentemente nel petto di suo padre, il grido le morì in gola e dalle labbra esangui le uscì soltanto un singhiozzo strozzato. L’assassino si voltò, fino ad allora non aveva notato la sua presenza e lei era troppo paralizzata dallo shock per far qualcosa. Un sorriso storto e folle si dipinse sulle labbra del giovane, la sua mano s’aprì lasciando cadere a terra il corpo morente di lord Faraday, come si getta uno straccio e con passo deciso s’avvicinò a lei.
Greta gridò e tentò di fuggire ma il giovane s’aggrappò con violenza ad un lembo della diafana camicia da notte. La ragazza inciampò ed urlando si trascinò verso la grande porta d’uscita, se nessuno l’aveva chiusa a chiave forse sarebbe riuscita a nascondersi nel parco, riuscì a rimettersi in piedi e con un ultimo balzo s’aggrappò alla maniglia ma non saprì, era incastrata, la provò ripetute volte prima che egli la raggiungesse ma quando finalmente la porta cedette era troppo tardi, l’aveva raggiunta e dopo aver bloccato la porta la immobilizzò contro la parete, il coltellaggio accanto alla sua testa
<<non puoi trattarmi così>> la sua voce era quella di un pazzo, e il suo sguardo quello di un demone <<Ora siamo liberi di stare assieme… non vedi cosa ho fatto per te? Io ti amo…>>
<<E io ti odio… sei solo un pazzo…>> gli sputò in faccio e riuscì a trovare la forza di liberarsi tirando una ginocchiata fra le gambe del suo assalitore che si accasciò a terra urlante
<<Puttana…>> le gridò mentre si rimetteva in piedi e si gettava all’inseguimento su per le scale se quella fosse riuscista a scappare avrebbe spifferato tutto e lui sarebbe finito in galera.
Greta fece appena in tempo a voltarsi per vedere l’assassino che guadagnava terreno, non credeva che sarebbe arrivato a tanto per soddisfare i suoi voleri, la ragazza cercò di correre più veloce ma le sue gambe iniziavano a cedere, la disperazione le cadde addosso tutta di colpo perché scappare? I suoi occhi si posarono sulla grande finestra panoramica dell’ultimo piano ed improvvisamente capì cosa doveva fare. Non c’era più nessuno per lei. Si lanciò verso il vetro, Walter fu immediatamente convinto delle sue intenzioni e tentò di bloccarla in qualche modo, non voleva ucciderla veramente ed ormai la sbornia iniziava ad andarsene, era confuso non sapeva cosa fosse successo realmente e cosa soltanto nella sua mente. La ragazza si spostò all’ultimo momento lasciando che lui, molto più pesante e meno agile finisse diretto nel vetro chiuso. I vetri che andavano in frantumi gli penetrarono la pelle come mille lame e poi il vuoto sotto i piedi, il vento della notte che gli sferzava le ferite. Ebbe appena il tempo di aggrapparsi alla prima cosa che trovò, una caviglia della ragazza che s’era fermata improvvisamente non appena lui aveva attraversato in vetro, forse per accertarsi che morisse. Greta scivolò a terra, Walter pesava troppo rispetto alla sua esile figura, tentò invano di fargli lasciare la presa, man mano scivolava vero il basso trascinava anche lei verso la finestra e verso quei vetri rotti che parevano lame.
<<Sei mia>> urlò vittorioso Walter <<Nella vita o nella morte!>> strattono la gamba della ragazza che urlò nel momento in cui si rese conto di non potersi liberare.
Ora stavano cadendo insieme nel vuoto, venti metri di volo e poi la terra fredda, il buio e l’ultima stella prima dell’alba che si rifletteva nei loro occhi vitrei.
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