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Il sorriso di Shirley... (parte prima)
“Shirleyyyy, tesoro, non allontanarti troppo, resta qui vicino ok?” gridava sua madre, avvolta dalla naturale preoccupazione che una mamma nutre vedendo la sua piccola di 8 anni giocare in un giardino che confina con un bosco, dal quale può provenire di tutto e con i tempi che correvano non era il caso di allentare la guardia, nemmeno per un attimo. Ma la piccola Shirley, incurante del richiamo materno si avviò vero la zona boschiva, che attirava di più la sua curiosità e stimolava tantissimo la sua fantasia. Fra l’erba alta migliaia di piccoli insetti vedevano passare le piccole gambe della ragazzina, delle gambe che trasmettevano curiosità, fantasia……. innocenza.
La curiosità della bambina fu attirata da un debole suono, quasi un pigolio o un cinguettio, non di distingueva bene cosa fosse. Arrivata vicino alla fonte di quel verso Shirley vide un piccolo uccellino, un passerotto che probabilmente aveva tentato di spiccare il suo primo volo ma le sue ali erano ancora deboli e di conseguenza era finito rovinosamente a terra ferendosi a tal punto da non riuscire più a muovere nemmeno una zampetta. Il povero animale vide la figura imponente di Shirley sovrastarlo. Imponente lo era dal suo punto di vista ovviamente e tuttavia Shirley lo guardava stando in piedi e quindi capirete che anche 1 m e 20 di altezza sono paragonabili ad un grattacielo dal punto di vista di un uccellino inchiodato al suolo. Shirley lo fissò per qualche istante, poi si inginocchiò a terra e lo prese fra le sue mani. Il povero animale iniziò a tremare terrorizzato, essendo incerto sulle intenzioni di quella bambina, all’apparenza dolcissima.
Poco distante da lì un grosso gatto selvatico si muoveva con il silenzio e la cautela che solo un felino può avere. Si vedeva chiaramente che girava alla ricerca di una preda e si sa che le prede più ambite dei gatti oltre ai topi sono gli uccellini. Il cinguettio del povero uccellino nella mani di Shirley attirò l’attenzione del felino che iniziò ad avvicinarsi pian piano. Shirley poggiò l’animale per terra e si allontanò di qualche metro. Il povero uccellino tentò disperatamente di rialzarsi in volo vedendo il grosso gatto che si avvicinava con tutta la calma possibile e immaginabile consapevole che la sua preda non sarebbe andata da nessuna parte. Nel giro di pochi secondi Shirley fece in tempo a vedere l’uccellino imprigionato fra le fauci del gatto che si allontanò trionfante, pregustando l’ottimo spuntino conquistato fra l’altro con estrema facilità. Prima che il gatto, insieme alla sua preda, scomparissero del tutto si udì un ultimo debole cinguettio.., poi più nulla.
Shirley sorrise……
Rientrata a casa la madre gli corse incontro ed iniziò ad accarezzarla e a baciarla, come se non la vedesse da chissà quanto tempo. “Piccola mia, quante volte te lo devo dire di non allontanarti troppo da casa? E’un posto pericoloso quel bosco, dal quale può venir fuori qualche uomo cattivo oppure qualche animale pericoloso…”. La madre continuava a blaterare sempre la solita lagna quotidiana ma era come se stesse parlando al muro; Shirley pensava ancora con estrema soddisfazione alla fine che aveva fatto fare al povero uccellino; nella sua mente era ancora stagliata l’immagine del povero animale che imprigionato fra le fauci del gatto, aveva fatto in tempo ad incrociare il suo sguardo, come per dire..”Perché..?”. Gli piaceva immaginare che il gatto l’avesse inghiottito tutto intero in modo tale che la madre del povero uccellino avrebbe forse potuto sentirlo cinguettare almeno un’altra volta, da dentro la pancia del gatto…
Una mattina la madre la mandò a fare delle compere al supermarket; era un piccolo paese il loro, si conoscevano tutti e quindi non riteneva ci fosse alcun pericolo. A differenza del bosco…quello si, era un posto pericoloso…
Mentre la piccola camminava, un piccolo bastardino iniziò a scodinzolargli vicino; Shirley lo accarezzò conquistandosi la sua simpatia, difatti, per tutto il tragitto restante il cane si mise al suo fianco, come se fosse la sua padroncina.
Una volta arrivati agli Alimentari, Shirley gli disse di aspettarla e, cosa assurda, il cane si mise in posizione seduta, neanche fosse ammaestrato. Dopo una quindicina di minuti circa, Shirley venne fuori trovando il simpatico cagnolino ad aspettarla. Iniziarono a fare la via del ritorno e la ragazzina notò crescere a dismisura l’attenzione del cane verso la busta delle spesa, dalla quale fuoriusciva un odore paradisiaco di salumi e di pane fresco. Mise la mano nella busta e dopo qualche istante tirò fuori una bella fetta di prosciutto crudo che fece arrivare al settimo cielo il povero animale che, molto probabilmente era a digiuno da un bel po…essendo un bastardino.
Shirley gliela passò da vicino al muso e successivamente né fece una piccola pallina e la buttò in mezzo alla strada. L’animale, quasi ipnotizzato, si buttò sul gustoso spuntino che gli era stato propinato da quelle mani innocenti…;il caso volle che proprio in quell’istante stava sopraggiungendo un grosso camion che non si accorse della presenza del povero animale sul suo tragitto; difatti non accennò nemmeno a frenare ma proseguì tranquillamente mentre il cagnolino, non fece nemmeno in tempo a rendersi conto di quanto stava accadendo che una ruota lo travolse in pieno scaricandogli addosso tutto il peso del camion e quindi riducendolo ad una massa di carne informe e sanguinolenta. La gente presente gridò per l’orrore; anche il camionista sentendo gli strilli della gente si fermò e sceso dal camion vide quanto restava del povero cagnolino, cioè ben poco.
Quella poltiglia sanguinolenta che una volta era un cane venne rimossa subito e al suo posto rimase una macchia rossa.. e alcuni brandelli di pelle…
Shirley sorrise…
Un pomeriggio un’amica della mamma di Shirley invitò sia lei che la figlia a prendere un tè. Era una casa molto grande con un giardino immenso che ovviamente attirò subito l’attenzione della ragazzina. Prima di entrare in casa gli occhi di Shirley caddero in direzione di una grande gabbia dentro la quale vi era un grosso cane che aveva tutta l’aria di essere un incrocio fra un Pitt-Bull ed un Corso. Il cane ringhiava e sbavava con un espressione truce e inferocita. Shirley si avvicinò alla gabbia ed iniziò a fissarlo; il cane a sua volta accantonò per un attimo la sua grande rabbia dovuta probabilmente al fatto di trovarsi rinchiuso e fissò Shirley; per un attimo i due si fissarono, fermi…immobili, come se in qualche modo stessero comunicando l’uno con l’altro. Poi ad un tratto si udì: “Shirleyyy, allontanati subito da lì, muoviti!!!!”. Urlò la mamma preoccupatissima. Shirley fece un cenno con la mano al cane, come per salutarlo e si avviò verso la casa.
Entrate in casa vennero accolte da questa donna, amica della mamma di Shirley, che nonostante avesse già superato la soglia dei cinquanta era comunque una gran bella signora, curatissima in ogni sua parte. Salutò la sua amica senza troppe ed eccessive effusioni mentre riversò su Shirley una miriade di baci e di abbracci. Percorsero un lungo corridoio ed entrarono in un grande salone dove vi erano sistemate alcune sedie ed un tavolino, il tutto molto elegante. Era un ambiente che rispecchiava una certa aristocrazia, considerando anche la presenza di diversi quadri di artisti di grande fama, quali Picasso, De Chirico, Monèe, ecc. ecc.
Si sedettero e la padrona di casa ad un battito di mani richiamò l’attenzione di una cameriera che si congedò subito dopo aver ricevuto l’ordine di preparare e portare del tè con dei pasticcini. Successivamente la padrona di casa fece cenno a Shirley di venirle accanto e appena fu a pochi passi da lei la avvinghiò con le sue lunghe braccia e se la strinse al petto impedendole di muoversi. Le poggiò il mento sulla testa ed in quella posizione iniziò a discorrere con la sua amica. Shirley, completamente imprigionata dalle braccia, fu avvolta da un profumo, una fragranza che, se irrorata in maniera eccessiva, non trasmetteva piacere, bensì nausea. Cercò invano di liberarsi dalla stretta che, per amor del cielo, stava a dimostrare l’affetto che la donna nutriva per la ragazzina ma per Shirley era come una prigione. Allora pensò di ricorrere ad un sistema altamente persuasivo. Aprì la bocca e la posò sul braccio della donna che, tutta intenta a chiacchierare non si accorse di nulla. Prese un po’ di pelle fra i denti e…strinse…!!! La donna gridò e liberò all’istante Shirley con una tale violenza da farla finire per terra. Vedendola stesa per terra, la donna si alzò preoccupatissima ed iniziò a tempestarla nuovamente di baci incurante del dolore che il piccolo morso di Shirley le aveva provocato.
Poi arrivò il tè ma subito dopo averlo consumato, la mamma, resasi conto del fatto che la figlia si stava annoiando a morte, chiese alla sua amica se poteva permettere a Shirley di andare a stare nel suo giardino.
“Ma certamente. va’pure in giardino piccola…sono sicura che ti piacerà; forse uscendo troverai Sheila, la mia gatta; è affettuosissima e adora i bambini, giocaci un po’ se ti va ma sta attenta eh, trattamela bene, è come una figlia per me”. Shirley uscì fuori dal salone e si diresse verso la porta che dava nel giardino quando sentì qualcosa strofinarsi sulla sua gamba. Abbassò lo sguardo e vide un bellissimo gatto bianco che più di ogni altra cosa desiderava essere coccolato da quella dolce e graziosa ragazzina. Shirley si chinò su di lui ed iniziò ad accarezzarlo; aveva un pelo foltissimo e morbidissimo, poteva tranquillamente essere scambiato per un peluche, sia per la sua bellezza che per la sua docilità. Uscirono nel giardino e i due sembrarono essere già diventati buoni amici. Dalla finestra le due donne la videro e sorrisero, soddisfatte e rassicurate sul fatto che avrebbero potuto tranquillamente continuare la loro conversazione senza sentirsi in colpa. Se nonché i due amici, anzi, le due amiche, visto che il gatto in questione era una gatta, arrivarono nei pressi della gabbia del cane che, almeno per il momento, sembrava esausto per le troppe energie sprecate precedentemente e si stava concedendo un riposino. Alla vista del gatto però si alzò sulle zampe ed iniziò ad abbaiare furiosamente. La povera Sheila rizzò il pelo terrorizzata e fece un rapido dietrofront ma non fece tempo ad allontanarsi perché due mani la bloccarono come una morsa e sollevatala da terra la scagliarono nella gabbia del cane. La gatta, divenuta pazza per il terrore, iniziò disperatamente a graffiare le pareti della gabbia cercando in qualche modo di venirne fuori e soprattutto guardando Shirley con occhi increduli…allibiti, che non riuscivano a trovare una spiegazione al gesto appena compiuto dalla ragazzina; il cane, dal canto suo, in un primo momento fissò la gatta con un’aria quasi dolce ed amichevole; non gli sembrava vero di vederla lì dentro con lui; quando poi quest’ultima aveva iniziato disperatamente la salita delle pareti della gabbia cercando di venirne fuori, sempre miagolando come una forsennata, le si scagliò contro e afferratala con i denti la strappò dalle pareti della gabbia, alle quali si teneva avvinghiata e se la portò dentro la piccola casetta che era nella gabbia; la povera gatta si dimenò e cerco con tutte le sue forze di liberarsi dalla stretta che la teneva imprigionata, ma inutilmente.
I miagolii disperati si udirono solo per qualche istante altro, un altro grido lancinante che per un attimo sembrò quasi umano, poi silenzio…; anche gli uccellini smisero di cinguettare, come forma di rispetto per la morte della povera Sheila.
Poco dopo il grosso cane venne fuori, tenendo fra i denti serrati, quella che una volta era una bellissima gatta e che ora era solo un povero animale straziato. La posò a terra e dopo aver alzato il capo e aver fissato Shirley che era col viso incollato alla gabbia, come in preda ad un raptus spalancò le fauci e le calò sulla povera gatta divorandola in meno di un minuto. Della povera Sheila non rimase nulla, nemmeno una piccolissima traccia. Il cane tornò nella sua cuccia ed assunse un’espressione docile e mansueta. Di li a poco la padrona di casa insieme alla madre di Shirley uscirono in giardino; la donna si avvicinò a Shirley e tiratala di nuovo a se, la avvolse nel suo abbraccio implacabile ma allo stesso tempo affettuosissimo e disse: “Dalla tua espressione sembra tu ti sia divertita con la mia Sheila; sai, era di mia madre prima di essere affidata alle mie mani e ho sempre paura di non riuscire a trasmetterle tutta la cura e l’amore che aveva invece mia madre per lei; chissà dov’è ora, aspetta che la chiamo, sai, adora salutare gli ospiti che se ne vanno, strofinandocisi sopra. Sheilaaaaa, Sheilaaaaa, micinaaa, micettaaaa, dove sei?”….. niente. La chiamò un altro paio di volte, poi rassegnatasi disse: “Ok, chissà dove si è nascosta; strano però, non è mai successo che sparisse così dopo aver giocato con una bambina. Sai, ero convinta che non si sarebbe più staccata da te e mi sarebbe piaciuta vederla mentre ti dimostrava tutto il suo affetto. Pazienza, sarà per un'altra volta.” La donna non si mostrò affatto preoccupata per la gatta, dimostrando di conoscerne benissimo le abitudini. “Tanto non può essergli capitato nulla” disse; non esce mai dal giardino e l’unico pericolo in cui potrebbe eventualmente incorrere è il cane. Ma come vedi è chiuso in gabbia e non può farle alcun male….”
Shirley sorrise…
Una sera Shirley fu invitata ad una festa di compleanno di una sua compagna di classe. Non andava particolarmente matta per le feste di compleanno ma in quell’occasione la festeggiata aveva avuto la cortesia di andare direttamente a casa sua per consegnarle l’invito, accortezza che non aveva avuto con tutte le altre invitate e quindi segno indiscutibile che ci teneva particolarmente alla presenza di Shirley; quindi alla festa non poteva non mancare. Si fece accompagnare da sua madre con la macchina, visto che era una gran brutta serata. Appena arrivata scese dall’auto ma la madre la bloccò bersagliandola con le solite mille raccomandazioni. Shirley troncò subito la gradevolissima situazione dando un bacio senza alcuna intenzione e sentimento alla mamma, dopodiché si diresse verso la porta d’ingresso della casa.
Suonò alla porta e venne ad aprirgli proprio la festeggiata in persona che appena la vide, le buttò le braccia al collo felicissima delle presenza dell’amica. La festa entrò nel pieno del suo svolgimento ma Shirley, non sentendosi particolarmente partecipe dell’euforia delle sue amiche, iniziò a vagare per la casa. Si trovò guarda caso, ad entrare proprio nella stanzetta della festeggiata. Era tappezzata di immagini di cantanti, protagonisti di alcuni notissimi telefilm, ma proprio sul comodino vicino al letto, vi era una cornicetta con dentro inserita una foto che ritraeva la ragazzina festeggiata insieme a Shirley in persona. Si avvicinò, prese in mano la cornicetta, la guardò con aria impassibile, poi la rimise al suo posto. Si guardò intorno, scrutò la stanza con aria, si potrebbe dire quasi annoiata, cercando qualcosa che in qualche modo stimolasse la sua attenzione. Niente da fare. Continuò a vagare per la casa, incurante delle altre bambine che le sfrecciavano accanto, rincorrendosi. Ad un tratto si trovò di fronte la festeggiata che si dimostrò visibilmente preoccupata per l’amica; la sua preoccupazione scaturiva dal fatto che non era riuscita a dedicargli nemmeno un po’ di tempo da quando era arrivata e in più non vedeva in lei un’espressione che stava a dimostrare che si stesse divertendo. Ma prima che riuscisse a dire anche mezza parola fu tirata via da alcune amiche che richiedevano a gran voce la sua presenza. I suoi timori tuttavia erano giustificati.
Shirley si stava annoiando.
Ad un trattò si udì strillare: “Bambineeee, correte, la tortaaaa!!!!”. La festa era praticamente giunta quasi al termine e quindi tutta la troupe di amiche si riversò nel salone dove, proprio al centro, vi era una bellissima torta, di dimensioni mastodontiche, con sopra un foglio di ostia che ritraeva una foto di gruppo e proprio sotto la foto c’era scritto: TI VOGLIAMO BENE!!!
Accesero tutte le candeline e ovviamente si misero tutte dietro la festeggiata per cantare il solito rituale delle feste di compleanno. Shirley era in prima fila su esplicita richiesta della festeggiata che desiderava averla accanto. Mentre stava per svolgersi il rito delle candeline, il papà della festeggiata chiese un attimo di attesa, per poter sistemare l’altezza del cavalletto sul quale vi era montata la fotocamera.
In quell’istante Shirley prese dalla torta una candelina. Accesa.
Nessuno se ne accorse.
La mamma contò: tre, due, uno.. via!!!
Iniziarono tutte a cantare il solito: “Tanti auguri a te…tanti auguri a…”
Shirley avvicinò la candelina accesa al vestito della ragazzina festeggiata.
Il vestito era di materiale sintetico.
Nessuno si accorse di quanto stava accadendo.
La fiamma della candelina si trasferì sul vestito della ragazzina.
Shirley rimise al suo posto la candelina.
Nessuno si accorse di quanto era accaduto.
La formula arrivò alla sua conclusione e le candeline vennero spente con un conseguente scrosciante applauso. Shirley si allontanò dall’amica cedendo il posto alle altre che erano ansiosissime di abbracciare la festeggiata.
Il padre volle immortalare l’affetto dimostrato dalle amiche della figlia.
In quel momento una vampata di fuoco avvolse interamente la ragazzina, trasformandola in un orribile torcia umana. In quel momento il padre scattò la foto. Le urla di terrore riempirono tutta la sala. La ragazzina avvolta dalle fiamme iniziò ad urlare in una maniera disumana agitandosi a più non posso mentre le altre ragazzine si allontanorono da lei per timore di essere a loro volta bruciate. La madre rimase paralizzata vedendo quella scena agghiacciante. Il padre invece afferrò una bottiglia di spumante e dopo averla sbattuta energicamente per qualche secondo, spruzzò tutto il suo contenuto sulla malcapitata a mo’ di estintore. L’idea fu giusta. Riuscì a spegnere le fiamme. Un’orribile odore di carne bruciata aveva avvolto l’intera sala mentre tutte le amiche della sventurata ragazzina si erano buttate a terra col viso coperto, paralizzate dal terrore.
La ragazzina in questione giaceva a terra, orribilmente ustionata su tutto il corpo. Fu chiamata un ambulanza che la trasportò d’urgenza in ospedale, anche se le speranze di salvarle la vita erano appese ad un filo. L’orrore e la tragedia avevano fatto irruzione in quella festa che aveva accolto dentro di se tanta gioia e felicità.
Mentre l’ambulanza si allontanava tutte le ragazzine presenti alla festa abbracciarono piangendo i proprio genitori che a loro volta stavano piangendo per la tragedia verificatasi.
Shirley chinò il capo per non farsi vedere.
E sorrise…
“Il Signore è il mio pastore…non manco di nulla…in verdissimi pascoli…” recitava il sacerdote al funerale della povera ragazzina, il cui nome era Sheryl. Le ustioni, di 3°grado, avevano interessato quasi il 90% del corpo e avevano dovuto somministrarle una dose di morfina tre volte superiore ad una dose normale; per calmarle il dolore terribile…;ma nella notte il suo povero cuore non aveva retto e tra il pianto straziante dei genitori e delle sue amichette se n’era andata…;al funerale vi era tutto il paese; non vi erano occhi che non fossero umidi di lacrime. Tutti piangevano, vecchi, adulti, giovani, bambini……. tutti! Alla fine della cerimonia funeraria, tutti sfilarono da vicino alla piccola bara gettando un fiore e poi passarono da vicino ai genitori abbracciandoli. Shirley camminava. Insieme a sua madre. Arrivate entrambi vicino alla mamma della povera Sheryl, la donna si inginocchiò, prese il viso di Shirley fra le mani e disse: “Guardando i tuoi occhi…io riesco a vedere i suoi..” poi la abbracciò forte forte iniziando a piangere disperatamente. La mamma di Shirley, diede la mano al padre, agli zii, ai nonni…mentre Shirley era ancora avvolta nell’abbraccio della povera mamma. All’indomani la mamma di Sheryl tornò al cimitero, si inginocchiò vicino alla lapide della figlia, e dopo aver versato fiumi di lacrime vi poggiò accanto una foto; nella foto vi erano due ragazzine abbracciate l’una con l’altra…. Shirley e Sheryl.
La mattina Shirley si alzò per andare a scuola ma la mamma cercò di dissuaderla pensando che la tragedia verificatisi quella sera aveva avuto un impatto devastante nella psiche della figlia e quindi..”Tesoro, non credo sia una buona idea andare a scuola oggi; sei ancora molto provata da quella brutta esperienza, su, resta a casa per oggi..”. Inizialmente, sembrò che Shirley avesse preso in considerazione il consiglio della madre, poi però ripensandoci mise in spalla lo zaino e uscì di casa, mentre la mamma, da dietro la finestra, la vedeva allontanarsi. In quel momento suonarono alla porta. La mamma andò ad aprire: era la sua amica, quella che era andata a trovare insieme a Shirley alcuni giorni prima, la proprietaria della gatta. Aveva un’espressione cupa e desolata.
La fece accomodare subito e andò a preparare un te’. Poco dopo le due donne, accomodate nel salotto, iniziarono a discorrere sugli ultimi avvenimenti e la mamma approfittò per chiederle il motivo per cui aveva quell’espressione. La donna rispose: “Mi sento un mostro a farmi vedere in questo stato, pensando a quella povera mamma che ha perso la figlia in una maniera così orribile; ma.. vedi…io…” e iniziò a singhiozzare. Allora la mamma, presale la mano, cercò di incoraggiarla a parlare e a dirle cos’era che l’aveva ridotta così: “Ecco vedi…si tratta di Sheila…lo so che stai pensando ora di me; che sono un mostro... o una povera imbecille; ma vedi…era l’unico ricordo che avevo di mia madre, gli ho promesso che mi sarei presa cura di quella gatta come se fosse stata mia figlia e invece…sono giorni che non la vedo più; mio Dio, cosa gli sarà successo?”. La mamma sospirò, cercando di trovare la parole giuste da dire in una situazione simile; poi disse: “Perché non stampiamo alcune locandine con la sua foto? Chi lo sa, magari è scappata e l’ha presa qualcuno che non sa che è tua e leggendo la locandina te la riporterebbe subito; almeno spero.” Ma la donna maggiormente avvilita rispose: “E’inutile.. inutile; Sheila non è mai uscita dal giardino in tutti questi anni ma anche se stavolta l’ha fatto nessuno me la riporterebbero mai indietro; è una gatta troppo bella e anche troppo maledettamente docile; basta fargli due carezze e te la sei già conquistata; proprio com’era accaduto con…” “Shirley..?” disse la mamma. “Shirley, lei l’ha vista per l’ultima volta, lei ci ha giocato l’ultima volta; lei deve sapere.. si ricorderà qualcosa.. Oddio, forse c’è qualche speranza allora” disse la donna e nel suo viso si intravide uno spiraglio di luce, come se ci fosse ancora una debole, sottilissima speranza.
Era suonata la ricreazione a scuola e tutta la scolaresca era uscita fuori in cortile anche se non vi erano i soliti schiamazzi di ogni giorno: erano ancora tutti molto turbati per la terribile morte di Sheryl. Il cortile era pieno di piccoli gruppetti di ragazzi e ragazze che parlavano animatamente fra di loro e il tema di tutte le discussioni era facile da intuire. Shirley invece si era appartata non gradendo nessuna compagnia. Le altre sue compagne preferirono lasciarla a sé, pensando che fosse ancora sotto shock per quanto era successo; Shirley le guardava…tutte…indistintamente, erano tutte uguali per lei, solo una squallida accozzaglia di giovani esseri umani, niente di più. Le odiava. Con tutte le sue forze. Ad un tratto notò una farfalla che volteggiava proprio accanto a lei; restò immobile, per non spaventarla, poi molto delicatamente aprì la mano e…la offrì alla farfalla: aveva delle ali stupende, dei colori iridati…veramente un capolavoro della natura. La farfalla, tentennò un po’, poi si posò sul palmo della mano;
in quel momento una nuvola passò da vicino al sole.
In quel momento la mano si richiuse sulla farfalla. E si strinse.
Suonò la campanella che segnava la fine dell’intervallo.
Tutte le ragazzine rientrarono.
La nuvola si allontanò.
La mano si riaprì lasciando cadere proprio in corrispondenza di un formicaio la povera farfalla, ormai cadavere.
Le formiche ricoprirono completamente la farfalla. Per mangiarla.
Shirley sorrise…
La mamma nel frattempo stava facendo le solite pulizie di casa ed aveva iniziato proprio dalla stanza di Shirley, iniziando ad aggiustarle il letto, a passare la scopa di lana sul pavimento, insomma, un po’di tutto. Aprì il cassetto del comodino, quasi meccanicamente e vide qualcosa che attirò notevolmente la sua attenzione: il diario di Shirley. La mamma lo prese e lo aprì. Shirley lo aveva dimenticato. Aprì una pagina a caso e lesse: “…oggi un uccellino ha chiesto il mio aiuto e io dopo averlo preso fra le mie mani dandogli l’illusoria sicurezza di avere salva la vita… l’ho dato in pasto ad un gatto. Il vederlo imprigionato fra le fauci del gatto, consapevole che non ne sarebbe uscito più, che sarebbe stato fatto a pezzi e poi mangiato un po’ alla volta ha suscitato in me un senso di... purezza? Si può definire cosi? E perché no? Cosa c’è di più puro della morte…” Nel frattempo Shirley aveva aperto il suo zaino alla ricerca del diario. Non lo trovò. Strinse le mani. Con rabbia. Il suo viso si contrasse in una smorfia.
La mamma continuava a leggere: “Una ragazzina…una bambina, è questo che sono? E’per questo che tutti pensano sia una creatura pura e semplice? Lo pensava anche quella stupida gatta? Io l’ho vista, ho visto il terrore nei suoi occhi…mi guardava, oh si, mi guardava e mi chiedeva perché…perché l’avevo fatto e io l’ho guardata e ho sorriso.. ho sorriso quando il cane l’ha presa, quando l’ha portata nella sua cuccia e quando l’ha uccisa, l’ha uccisa…uccisa, uccisa, uccisa…ha spento una vita e poi alla mia presenza…sotto i miei occhi.. ha cancellato quella vita, privando il mondo della sua inutile esistenza…"
Shirley si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta. L’insegnante le disse: “Shirley, piccola, dove vai?” E lei “….. in bagno”
La mamma aveva iniziato a sudare, non riusciva a credere a quello che i suoi occhi vedevano e.. leggevano, le sembrava di vivere un incubo. La gatta, la gatta della sua amica, era stata Shirley ad ucciderla, dandola in pasto al cane.
Shirley aveva approfittato della confusione creatasi al cambio dell’ora per uscire dalla scuola. Nessuno se ne accorse. Si diresse verso casa. Il viso sempre contratto da una smorfia.
La mamma continuava a leggere: “Cosa siamo..? Solo dei pezzi di carne e di sangue nati per morire sui quali qualcuno ci ha soffiato sopra qualcosa che chiamano…VITA!!! Io la odio.. odio la vita, non l’ho chiesta io.. nessuno mi ha chiesto se la volevo..; e se odio la mia odio anche quella degli altri.” ; la mamma iniziò a piangere disperatamente, gli cadde il diario dalle mani. Shirley si avvicinava a casa. “loro non sapevano, non conoscevano il segreto del sangue.. e del fuoco.. il fuoco…il fuoco ha illuminato la mia mente.. il fuoco che distrugge, il fuoco che purifica…fuoco.. fuoco….”. Scaraventò il diario fuori dalla stanza e si accasciò sul letto; non piangeva più, gli occhi erano atterriti, spalancati, immobili, increduli.
La porta si aprì e Shirley entrò. Percorse il corridoio ed entrata nella sua stanza vide la mamma accasciata sul suo letto con le lacrime agli occhi. La mamma la guardò con aria miserevole, distrutta, il mondo le era crollato addosso in pochi istanti, la sua vita non sarebbe più stata la stessa dopo…. aver letto. “Perché Shirley…perché hai scritto…quelle cose?” La ragazzina non rispose; si voltò e raccolse il suo diario da terra. Poi aprì lo zaino e ce lo mise dentro, nella maniera più naturale del mondo. La mamma scattò in piedi, la sollevò in aria e la sbattè al muro e le urlò in faccia: “Non è vero, ti sei inventata tutto, ti prego Shirley, dimmi che non è vero…non sei stata tu ad uccidere Sheryl, lo so che non sei stata tu.. dimmelo, ti prego, dimmelo”. Shirley la guardava con aria, si potrebbe dire, quasi annoiata; la tragicità di quel momento non sembrava scalfirla minimamente, come se si trattasse solo di un gioco, un gioco…; la mamma la lasciò, poi si accasciò a terra ed iniziò a piangere, portandosi le mani al viso: “Mio Dio…. Mio Dio…..”. Poi si alzò, andò a sciacquarsi il viso e tentando disperatamente di sorridere, disse con voce tremante: “Co.. coraggio piccola, andiamo, il pranzo è pronto.”
Quel pomeriggio trascorse veloce come un lampo; le ore diventarono minuti e i minuti secondi; Shirley rimase chiusa tutto il pomeriggio nella sua stanza, probabilmente a studiare mentre la mamma non riusciva a darsi pace per quelle parole sconvolgenti che aveva letto nel diario. Decise di uscire e di recarsi da qualcuno, qualcuno a cui chiedere aiuto; se Shirley aveva scritto quelle parole, nella sua piccola mente vi era un orrore più grande di lei ed era compito suo aiutarla, aiutare sua figlia. Prima di uscire passò da vicino alla porta della stanza di Shirley, fece per aprire ma si accorse che era chiusa a chiave. “Shirley tesoro, esco un attimo, tu…stai bene?”. Nessuna risposta. “Tesoro…ci sei?”disse iniziando a singhiozzare. Inutile, nessuna risposta.
Dopo una mezz’oretta circa la porta si aprì, lentamente, cigolando…;un’ombra si stagliò sul pavimento e dei piedi…nudi…iniziarono a camminare. Entrarono in cucina e sopra di loro si udì un rumore, di un cassetto che si apriva. Una mano entrò nel cassetto e tirò fuori…un grosso coltello da cucina.
Fuori pioveva a dirotto e minacciava di proseguire per tutta la notte. Si era scatenato un violentissimo temporale che aveva fatto saltar via la luce. Tutto il paese era piombato nel buio più totale. La mamma parcheggiò l’auto ma visto che la pioggia era violentissima decise di aspettare che diminuisse un po’di intensità prima di scendere. Da una finestra della casa, qualcuno guardava l’auto ferma.
La pioggia non accennava a diminuire di intensità e ad un certo punto la mamma fu colta dal timore che se fosse accaduto qualcosa a Shirley in quell’istante lei non avrebbe potuto soccorrerla perché si era chiusa in macchina per paura di bagnarsi. Decise di scendere. Aprì lo sportello e la pioggia violentissima la investì in pieno rendendola bagnata fradicia in poco più di due secondi. Con fatica riuscì ad arrivare alla porta di ingresso e a buttarsi finalmente dentro casa. Una volta dentro si accorse di trovarsi nel buio più totale. “Shirley, tesoro, ci sei?” disse, ma nessuno rispose.
Si diresse verso la cucina e presa una torcia in mano la accese. Si accorse che la casa, oltre ad essere avvolta dal buio era anche piombata in un silenzio surreale, sinistro. Si sentiva solo lo scrosciare della pioggia e il fragore dei tuoni. Nient’altro. La mamma uscì dalla cucina, facendosi luce con la torcia e si diresse verso la stanza di Shirley. La porta della stanza era aperta. Entrò e…illuminato il letto, vide che era sistemato. Nella stanza non c’era nessuno. Illuminò anche il resto della stanza ma era tutto in ordine. Uscita dalla stanza disse con la voce quasi rotta dal pianto:
“Shirley…tesoro…dove sei? Dove ti sei nascosta..?”
Poi udì un rumore, dei passi…al piano di sopra. Mentre saliva le scale sentì: “.. Notte senza luna, notte silenziosa, notte di attesa, notte paurosa, notte di anime che fuggono urlando perché c’è la Morte che sta arrivando…” La donnà rabbrividì nell’udire quelle parole ma ancor di più rabbrividì riconoscendo in quella voce la sua Shirley. Salì al piano di sopra e…sempre facendosi luce con la torcia, la vide…in piedi d’avanti a lei…completamente nuda. “Mio…Dio…ma cosa? Shirley…ma….” Non fece in tempo a terminare la frase che una risata satanica fuoriuscì dalla gola della ragazzina. “Io sono nella stadio della perfezione, nell’orrore supremo; l’adolescenza…con la mia adolescenza sono entrata nel tunnel dell’orrore della vita…” La madre continuava ad illuminarla ma non riusciva a credere a quello che stava vedendo; e sentendo. Poi si accorse che nella mano destra stringeva un grosso coltello da cucina. “Shirley…per l’amor del Cielo…non so cosa ti hanno fatto, chi ti ha ridotta in questo stato ma ti prego di lasciarti aiutare…stai soffrendo, lo so; io sono tua madre Shirley, ti prego, ti voglio bene….”. A quelle parole un’altra risata beffarda colpì la donna rendendola ancor più impotente: “Stupida cagna…vuoi aiutarmi? Vorrai ancora aiutarmi dopo quanto ti dirò? E allora ascolta.. mio padre, tuo marito, non è morto per un colpo di sonno o per un malore, ma per uno shock anafilattico causatogli dall’ingestione di penicillina che io stessa ho sciolto nel suo caffè…quella mattina…; quella piccola puttana di Sheryl, sono stata io a darle fuoco come sono sempre stata io ad uccidere quella stupida gatta e come sarò sempre io ad uccidere anche te….” La donna ascoltò atterrita quelle parole…;la sua mente si rifiutava di comprenderle, di accettarle; era un incubo. Si rifugiò nella consolante prospettiva che fosse tutto in incubo e che al suo risveglio Shirley sarebbe tornata ad essere…una bambina.
“Ascolta piccola…io credo che.. che tu non ti sia resa conto di quello che hai detto…tu, tu sei malata Shirley, non so di cosa, ma so per certo che hai bisogno di aiuto e che…”ma non fece in tempo a finire la frase che la ragazzina iniziò a correrle incontro urlando e brandendo il grosso coltello. La mamma indietreggiò e cadde per terra e Shirley arrivatagli addosso mollo il fendente. Riuscì a bloccarle il braccio in tempo e a ribaltare la situazione passando lei di sopra e bloccando quindi col suo peso la ragazzina. Cercò di strapparle di mano il coltello e per convincerla a mollare la presa le tirò un ceffone. Poi prese la mano che impugnava ancora il coltello e iniziò a stringerla forte e il coltello inavvertitamente si rivolse verso Shirley. In quel momento la porta si spalancò e un uomo entrò dentro con una pistola in mano e vedendo quella scena in cui una mamma sopra sua figlia stava apparentemente cercando di ucciderla, fece fuoco.
Il sangue schizzò sporcando il muro.
La mamma allentò la stretta e con gli occhi allucinati guardò Shirley, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dalle labbra.
Poi cadde di riverso.
Gli occhi le rimasero sbarrati.
Shirley si liberò del corpo della mamma che la teneva prigioniera e si rannicchiò vicino al muro piangendo. L’uomo, un poliziotto, salì le scale e accovacciatosi vicino a Shirley disse: “E’tutto finito piccola, non ti farà più alcun male”.
In pochi istanti la casa si riempì di gente e di poliziotti. Il vicinato era sconvolto per quanto era accaduto visto che la donna era conosciuta e stimata da tutti proprio per la sua mitezza. Una vicina di casa abbracciò Shirley consolandola e rassicurandola di non aver paura, che non sarebbe restata sola. In quell’istante la barella con su la donna passò proprio vicino a loro e Shirley si voltò. La mamma era lì, con gli occhi ancora sbarrati, increduli. “Copritela, accidenti a voi!!!” urlò la donna tirando a se Shirley per non farla guardare.
Shirley la abbracciò.
La barella con la mamma venne caricata sull’ambulanza che partì subito dopo.
Una terribile tragedia si era consumata in quella casa a distanza di pochi giorni dalla morte di Sheryl.
L’ambulanza si allontanò sparendo dalla vista delle persone presenti.
L’acqua continuava a scrosciare.
“Vieni piccola, per stanotte mi prenderò io cura di te” disse la vicina che teneva stretta a se Shirley.
Shirley si abbandonò all’affetto della donna.
E sorrise…
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0 recensioni:
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- Spero di non sognarla stanotte! Brrr!!
- Veramente superbo! Sotto certi punti ti lascia senza fiato, in alcune situazioni ti fa chiedere: "Perchè l'ha fatto?" Provando pietà per le povere vittime inesistenti di una bambina altrettanto inesistente. Ti tiene davvero incollato allo schermo! Complimenti!