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il cuore in un cassetto
“Il cuore in un cassetto”
Probabilmente non camminava ancora perché era nelle sue braccia. Faceva freddo, ma il calore della mamma in quel pomeriggio d’inverno la rendeva felice. Guardando la foto, Laura ormai ventenne quel contatto lo cercava ancora.
Era anoressica ormai da oltre un anno. Nella sua angoscia si era inventata un personaggio su misura e lo difendeva strenuamente.
Nei primi anni novanta in pochi conoscevano bene questo tipo di malattia, ancora meno in quella piccola frazione di poche anime, sperduta nella Pianura Padana, come Corvione di Gambara. Per questo si teneva tutta per sé quella sofferenza inaudita, senza consegnarla a nessuno. Passava da anoressia a bulimia come cambiare un vestito. Ingurgitava quantità enormi di cibo per vomitarle subito dopo, oppure divideva una mela in quattro parti e la centellinava per l’intera giornata. Aveva chiuso il cuore in un cassetto e non era intenzionata ad indossarlo di nuovo.
La sua mamma stentava a capire il perché di quello strano comportamento, lei che era cresciuta in campagna a polenta e salame.
Laura nei pochi momenti di lucidità si ripeteva che “da domani”non l’avrebbe più fatto. Non capiva che questo profondo disagio non era una questione di volontà, ma la conseguenza di un susseguirsi d’incomprensioni accumulate e radicate sin dall’infanzia.
Anoressia - era un termine ambiguo per una ragazza affamata d’amore e d’aiuto.
Daniel, il suo ragazzo, aveva intuito qualcosa. Da un po’ di tempo non era più la stessa, dimagriva a vista d’occhio e non le interessava niente al di fuori di rinchiudersi in bagno.
Quale viatico migliore del proprio corpo per gridare aiuto al mondo intero? Stava diventando invisibile ma forse Laura inconsciamente non cercava altro. Mettersi da parte sarebbe stata sicuramente la strada migliore. Non avrebbe ostacolato il lavoro della mamma, che in certi periodi dell’anno la portava via anche la domenica. Non poteva chiedere di più ad una donna diventata mamma molto giovane, che adesso doveva anche crescere tre figlie senza l’aiuto di nessuno o quasi. Così, dietro l’ossessione del cibo, si nascondeva la decisione di non pensare ad altro che ridurre la propria vita ad un interminabile ed estenuante controllo del proprio corpo.
Era ormai troppo tempo che le cose andavano male e nessuno si faceva avanti, Laura stava scivolando verso il baratro.
Daniel decise di fare la prima mossa sulla scacchiera della vita. Voleva ritrovare quella ragazza che conosceva bene, tutte lentiggini, sorrisi e con il sole negli occhi. <<Laura, ho letto un articolo riguardo ad una psicoterapeuta molto brava in questo campo; fa terapia di gruppo a Milano…che ne pensi, ci proviamo?>>. Daniel trattenne il respiro, aspettava una risposta che in ogni caso, nel bene o nel male, avrebbe cambiato molte cose. Laura, era seduta sul vecchio abbeveratoio in mezzo alla corte, con il mento sulle ginocchia. Lo usavano come fioriera e da piccola si metteva lì per ore ad annusare gli odori delle stagioni. In quei pochi minuti una carrellata di ricordi le passava davanti: sandali di plastica passati da sorella a sorella, braghe risvoltate in fondo, il profumo del fieno e del grano. Le tornava alla mente anche quando si faceva in quattro per fare vedere di cosa era capace e nessuno sembrava accorgersene, ma perché tutto questo soffrire? Piangeva e l’aspra primavera, già avanzata, si mescolava con il salato delle lacrime. Laura sapeva che doveva in qualche modo cominciare una battaglia dura. La risposta stentava ad arrivare e Daniel non sapeva più come muovere la sua pedina. Avrebbe dovuto usare più fermezza o lasciare che le cose facessero il loro corso? Era un bel dilemma considerando che la sua unica colpa fosse di volere bene a quella ragazza.
Laura percepiva, dentro il suo piccolo corpo scolpito, che il personaggio difeso così ferocemente fino ad ora non reggeva, doveva cedere il passo ad una ragazza che non voleva più nascondersi. << Andiamo solo io e te però, sei d’accordo?>>. In quel momento Daniel, si tolse dallo stomaco un macigno che lo accompagnava da mesi. …
In quel piccolo attico, in centro a Milano, Laura si rese conto che ora doveva tagliare lei un altro cordone ombelicale. La dottoressa Caruso appariva una donna molto gracile, ma aveva un sorriso rassicurante e le ispirava fiducia, per la prima volta si sentiva a suo agio. Era una sensazione che non provava da molto tempo, quella di parlare a viso aperto con qualcuno che la capisse. La possibilità di sentirsi compresa e non giudicata le dava un sollievo che la incoraggiava a proseguire. Le sedute si facevano più intense e i ricordi si animavano come paesaggi davanti a lei. Aveva capito di essersi creata una corazza di cui doveva disfarsi al più presto, perché lei era Laura e nient’altro.
L’amore della mamma si era espresso nella preoccupazione di avere una figlia perfetta, che avrebbe raggiunto mete a lei sconosciute. Il suo corpo in quel momento rappresentava una piccola rivoluzione silenziosa, uno strumento per esprimere i suoi bisogni, intuiva solo adesso che bastava dire no e non rifiutare il cibo per respingere attese che non erano sue. Aveva cominciato a misurare tutto con il giusto metro, si rendeva conto che nemmeno tutto il cibo di questa terra avrebbe colmato il suo vuoto.
Erano trascorsi sette mesi dal primo incontro con la dottoressa, finalmente le era tornato il sorriso, sebbene la strada fosse ancora lunga.
Nel frattempo anche Lucia, la mamma, si mise in gioco e intraprese il cammino analitico con la figlia. Ora finalmente, dopo molto tempo, entrambe capivano che le loro diversità avevano uno spazio per esistere, loro erano due persone diverse, ma alla base c’era l’amore reciproco.
Gambara, 7 marzo 2003. In quella mattina quasi primaverile, al secondo piano dell’ospedale di Asola, Laura dava alla luce Aurora. Il nome, splendore che viene da oriente lo aveva scelto Daniel. Era il tramite, la luce della vita fra due ragazzi che avevano lottato con tutte le loro forze.
Quel giorno Laura toglieva definitivamente il cuore dal cassetto. Con la sua creatura fra le braccia guardava fuori, e il vetro le proponeva uno specchio che le ricordava molte cose. Sapeva, che il tempo trascorso nell’incubo dell’anoressia non si sarebbe cancellato dalla sua mente, ma ora c’era la consapevolezza di sapere affrontare i problemi nel modo giusto.
La finestra si era appannata, con la manica della vestaglia la pulì. Il riflesso era sparito, ora si vedeva il ramo della magnolia che sfiorava il davanzale con i primi boccioli.
Tutto il cibo del mondo adesso non serviva più, Aurora e Daniel lo colmavano ampiamente. Aveva la bambina attaccata al seno, quando dalla porta vide entrare un mazzo di rose gialle che nascondevano la sagoma di una donna. Laura sapeva chi era: <<dai mamma esci da li dietro!>>. Con le lacrime agli occhi, Lucia guardava quel piccolo gomitolo fra le braccia di sua figlia, quella ragazza caparbia, che fino a pochi anni prima era in uno stato di deperimento pietoso ed ora guardava alla vita con occhi diversi.(fiduciosi?)
Nell’angolo della stanza Daniel scolpiva la scena nella sua mente.
Aprile 2007. Oggi Laura ha due figli e lavora come assistente presso un centro per i disturbi alimentari, mette gocce di speranza nell’arsura della disperazione. Nel suo studio spicca in primo piano la foto di quel pomeriggio d’inverno…
Per non dimenticare.
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