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La morte di mio padre
Inaspettatamente la notte del 26 Novembre dell’82 un tremendo dolore si abbatte sulla mia casa e sulla mia vita: papà sta male.
Mia sorella, subito lucida e razionale, chiama l’ambulanza e insieme alla mamma accompagnano mio padre all’ospedale, mentre io resto sola a casa per fare il necessario collegamento.
Sento tutto il peso della situazione, è notte dentro di me, è ancora notte, sposto la tenda, guardo fuori e vedo la luna che impassibile manda la sua luce fredda sulla terra, mentre tutte le famiglie del mio vicinato dormono tranquille, ma non io.
Mi sento inquieta e mi accorgo di essere molto legata a mio padre, la sua presenza mi comunica un senso di sicurezza esistenziale. Io gli somiglio molto, sia nel temperamento irruento e passionale, ma fortemente volitivo, sia fisicamente ed ho una buona vena poetica che spesso trasforma la prosa del quotidiano in poesia. Mio padre ha avuto una buona formazione letteraria e i suoi poeti preferiti son Foscolo e Alfieri e spesso il motto del poeta astigiano affiora sulle labbra: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Mi avvicino alla libreria, prendo la Bibbia, l’appoggio sul tavolinetto accanto al telefono e l’apro; in un foglio interno c’è una piegatura, vi getto un rapido sguardo, ma ecco suona il telefon è mia sorella: “Papà si è ripreso, ma io e la mamma passiamo qua la nottata, tu cerca di riposare un po’. Fatti coraggio!”. Ma io non riesco affatto a riposarmi, tuttavia cerco di farmi coraggio nell’unico modo che conosc pregando. Prendo la Bibbia e leggo così nel foglio spiegazzato: "Sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte, Davide fece queste raccomandazioni al figlio Salomone: io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio procedendo nelle sue vie". (1Re 2, 1-2).
Che cosa significa questo messaggio biblico? <<Mio padre non guarirà, non tornerà a casa con me?>>.
Reagisco dandomi una spiegazione razionale: certo, il foglio sporgente dal bordo, perché spiegazzato, ha influenzato la mia mano nell’aprire la Bibbia. Vedo la luce della lampada sempre più fioca, perché le lacrime silenziose scendono dai miei occhi, non cerco neanche di asciugarle, il tempo lentamente passa e vivo tutta l’angoscia del momento anche perché sono sola e la solitudine mi pesa stanotte. <<Signore anche tu eri solo nell’angosciante salita al Calvario>> penso.
Ma ora non sono più nella mia stanzetta, bensì sono su una grande barca con molta gente sconosciuta attorno a me. Ma che strani costumi ottocenteschi indossano! Sto facendo una traversata su un fiume sconfinato.
Attorno a me la gente è tranquilla, parla, ride e i bambini indossano vestitini alla marinara. Ma che faccio io sulla barca vestita in abiti moderni? Ma un secondo dubbio mi assale, perché la gente attorno a me finge di non vedermi mentre io li vedo e li sento parlottolare? E poi io sono giovane con i lisci capelli al vento, ora in lontananza vedo un gruppo di uomini in divisa militare e al centro ne intravedo uno e resto subito colpita dal suo modo familiare di tenere il cappello in mano, mostrando i suoi ondulati neri, folti capelli. Cerco di avvicinarmi in mezzo alla folla anonima, ora lo vedo (ancora in lontananza) che sta indossando il cappello d’ordinanza sulla sua attillata, splendida divisa militare già adornata di stellette.
Ma questo giovane uomo con la virile, volitiva mascella quadrata ha qualcosa di familiare, corro più svelta verso di lui e lo chiamo sicura a voce alta: “Papà, papà”.
Ma improvvisamente non lo vedo più, dove si è nascosto?
Tuttavia continuo ad avvertire dentro di me la sua cara presenza e il barcone continua la sua corsa sul fiume e io continuo a cercare, ma la “visione” sparisce. I remi della barca toccano qualcosa di duro, forse un masso? E sento un forte rumore, sussulto, mi sveglio, sono a casa mia sulla sedia sdraio e ai miei piedi, a terra, vedo il grosso libro della Bibbia e la lampada ancora accesa. Ecco ho sognato, ho solo sognato! Guardo fuori, è giorno, c’è il sole, mi scuoto, mi alzo, vado in cucina per bere e sento girare la chiave nella toppa: è mia sorella. Le corro incontro, è avvilita, mi abbraccia e dice: “La situazione è un po’ migliorata, la mamma è voluta restare con papà. All’ospedale c’è una disorganizzazione terribile: papà è rimasto tutta la notte in astanteria. In cardiologia non c’è posto. dove lo metteranno?”.
La malattia di mio padre è particolare, perché è caratterizzata da improvvisi, lunghi miglioramenti e da altrettanto improvvise e rapide ricadute, dovute al suo cuore che ha molto lavorato, ha amato noi e, in modo del tutto speciale mia madre, alla quale tuttora lo lega un amore profondo, tenero e appassionato.
Nei mesi passati all’ospedale pian piano, altre alla presenza continua di mia madre e di mia sorella, mio padre si è abituato alla presenza di alcuni miei fratelli della comunità di S. Teresa: Alfredo, Angelo, Gianfranco, che si alternano al suo capezzale, portando conforto anche agli altri malati.
In un freddo pomeriggio di Gennaio dell’83 riesco a vivere da sola (mia madre e mia sorella sono rimaste a casa) un momento speciale con mio padre che trovo in gran forma. “Rosarita” ?" esordisce - “tu sola sai che sto per lasciarvi” - sussulto, non se ne accorge e continua?" “tu sai anche che ti voglio bene, sono orgoglioso di te, perché tu hai un buon lavoro che ti piace, so che i bambini a scuola ti vogliono bene, gli amici che frequentano la comunità di S. Teresa (sono riuscita a trasmettere anche a lui il concetto di comunità) sono bravi ragazzi, impegnati nella chiesa come te. Lo so e lo capisco, non hai voluto sposarti perché tu non sei disponibile per la vita matrimoniale. Tu hai rifiutato quella “magnifica possibilità” che io, tu e la mamma conosciamo bene. Lo sai, tua madre per questo tuo “ostinato, strano rifiuto” ha molto sofferto e purtroppo continua a soffrire perché lei guarda al nostro matrimonio che è così ben riuscito. Tu continua a fare bene il tuo “dovere”.
Dopo le ultime parole che riguardano “il mio dovere” mio padre mi sembra stanco, tace ed io, in silenzio sacro, metto la mia mano nella sua lievemente, ma la nostra intesa è “totale”; lui, infatti, capisce il messaggio e stringe (con la forza di sempre) la mia mano che è molto simile alla sua ed io, stavolta, miracolosamente, riesco a trattenere dentro il mio cuore amare lacrime e vane parole. E in questo momento straziante, che sento prelude ad un addio definitivo, riascolto dentro di me l’esortazione di Davide al figlio Salomone: “Tu sii forte e mostrati uomo e osserva la legge del Signore”.
Ma stavolta (contrariamente al mio solito) riesco a non fare traboccare fuori tutta la mia “angoscia” e mi permetto perfino di scherzare con mio padre e di fare bei progetti per il suo ritorno a casa!
Rasserenata penso anche alla grazia che il Signore ha dato a mio padre di potermi parlare in piena lucidità mentale e alla grazia che ha dato a me di potere conservare tuttora nel mio cuore il suo messaggio d’amore per me, sua figlia!
All’alba del 14 Febbraio una sensazione angosciosa e inspiegabile mi assale, mi vesto in fretta, corro all’impazzata all’ospedale, arrivo trafelata, appena in tempo per vederlo morire …
E mi ritrovo una forza “strana”, non mia (viene dall’alto?) che mi permette di svolgere con lucidità le varie incombenze: riesco a portare mio padre a casa, avverto amici e parenti, organizzo i funerali nella bella chiesa di S. Luigi, vicino casa mia.
Sostengo, conforto, rimprovero mia sorella e mia madre, accasciate dall’improvviso, inatteso dolore.
La chiesa è gremita all’inverosimile di amici e parenti: in prima linea tutto il Magistrale con il preside e tutti, proprio tutti, i colleghi di mia sorella; vicino a me c’è solo qualche collega della mia scuola, ma è presente tutta la mia numerosa e calorosa comunità di S. Teresa, con padre Vincenzo in testa. Io sono fredda e lucida e nei primi momenti vivo l’esperienza dolorosa con fortezza d’animo, con una sorta di autocontrollo speciale, ma anche strano per la mia natura emotiva ed istintiva!
La Messa è partecipata, quattro carabinieri danno il picchetto d’onore e la nostra bella bandiera sventola e alla fine della Messa tutti i presenti applaudono a lungo nel saluto finale.
È un momento solenne, sacro. In abiti neri, seguendo la bara, mi vedo “orfana” e mi lascio quasi trascinare da Alfredo, mio fratello in Cristo!
Il viale è pieno di gente sconosciuta e tutti gli uomini fanno il saluto militare alla bandiera, che è simbolo della patria che mio padre ha servito per circa 50 anni, sempre fedelmente e mi sento fiera di lui e di me che sono sua figlia! Queste sensazioni mitigano lo strazio del distacco.
Guardando la bandiera risento la voce calda del mio professore d’italiano, che con partecipazione leggeva gli scritti inediti di G. Mazzini: <<Chi può negare Dio davanti alla morte di una persona cara è grandemente colpevole o grandemente infelice>>.
<<O Signore proprio ora dal profondo del mio cuore ti invoco, dammi forza, fa’ che io non sia né “infelice” né “colpevole” per avere dimenticato la tua presenza anche in questo momento della mia vita. Amen>>
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- Un racconto impregnato di fede, coraggio e amore. Scritto con estrema sincerità ed affetto. Mi piace.
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