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NASCONDINO AL CIMITERO
Quel giorno, noi bambini, non avremmo dovuto fare quello che di solito facciamo negli altri giorni, cioè, giocare. Il 2 Novembre, quando si va a fare visita ai cari defunti, bisogna essere seri, addolorati e silenziosi. E invece, proprio quel giorno, ci siamo comportati troppo male. Bisogna ammettere che, a parte la paura che abbiamo scatenato, siamo stati dei veri selvaggi, insensibili e maleducati.
Mia madre, Enza, con zia Antonietta, per quella triste ricorrenza si recavano insieme al cimitero per portare fiori freschi e lumini al loro caro padre morto. E il loro caro padre non era altro che il mio caro nonno morto, morto da circa due anni. Io, in quella luttuosa ricorrenza avevo da poco compiuto sette anni, e quindi, il mio caro nonnino lo ricordavo ancora benissimo. Penso a quelle poche volte che mi prendeva in braccio e al terrore che provavo nel guardare da vicino i suoi occhi, rosso fuoco, occhi di mostro o di chissà di quale altra specie di lupo cattivo. Mi terrorizzava anche la sua bocca sdentata in grado, però, d'ingoiare un bambino in un solo boccone. Non parliamo, poi, della sua voce cavernosa, simile a quella di un orco cattivo che avevo visto e ascoltato in un cartone animato. Poverino, come l'ho dipinto male! Ricordo che quando mi sussurrava qualche parolina sillabata, o tentava di rendersi accattivante ai miei occhi imitando il cane o qualche altro animale domestico, io scoppiavo a piangere. Lui, per dimostrami il suo affetto e zittire quel pianto inspiegabile, mi offriva delle caramelle alla menta. Aveva sempre la bocca e le tasche piene. Quand'è morto, difatti, la sua bocca odorava ancora di mentastro. Lo avvertii quando me lo fecero baciare in fronte, per l'ultima volta.
Io e mia sorella Clara, una piccola peste di appena cinque anni, non parlavamo mai del nonno, nemmeno con i miei cugini, Elisa e Marco. E questo, non per cancellarlo dalla nostra memoria ma, credo, soltanto per sfatare il senso della morte. Non era una bella sensazione il dovere constatare e ammettere che un familiare ci fosse stato rubato dalla morte senza il nostro preciso consenso. Per noi, la sua scomparsa, era stata peggio di uno scippo, anche se con un "mostro" in casa non era certo piacevole convivere!
Quel giorno, per il solito scrupolo affettivo, mamma e zia pretesero che noi, tutti i nipotini del loro povero papà, andassimo con loro al cimitero. Era un nostro preciso dovere quell'andare a far visita al nonno almeno una volta all'anno. Era un preciso gesto affettuoso il dovergli fare notare come nel frattempo, durante la sua essenza, eravamo cresciuti, diventati belli, buoni e giudiziosi. E noi, che stentavamo a credere di potere essere visti da un morto che se ne stava a dormire, beatamente, dietro una fredda lapide di marmo, non osammo contraddire quei magnifici e rari complimenti trasversali. In quell’occasione, però, non ci riconciliammo nemmeno con il nostro carissimo nonno-orco poiché, quella volta, anche a tutti gli altri abitanti di quel luogo sacro, mostrammo soltanto la nostra parte negativa, l’insensibilità di quei nipoti senza cuore.
Il cimitero, quel giorno, era più affollato della piazza quand'è festa. Incontrammo un sacco di parenti e un altro sacco di amici. Noi, bambini, incontrammo un sacchetto di compagni di scuola e un sacchettino di compagni d’asilo. Insieme formammo una sola e grande comitiva. Insieme decidemmo di dar sfogo alla nostra esuberante fantasia, alla nostra irrefrenabile gioia di vivere. Non era giusto sprecare del tempo! Bisognava soltanto trovare un modo per giocare tutti, un gioco piacevole per trascorrere quel lungo tempo sciupato tra lacrime e sospiri, lumini, fiori freschi e vecchie tombe. Dopo varie proposte e diverse votazioni a scrutinio palese, decidemmo di giocare a nascondino. Un gioco semplice e molto divertente.
E mentre le nostre mamme disponevano i fiori nei vasi, accendevano lumini e pregavano per alleviare le pene dell'anima dei loro cari morti, noi, cercavamo rifugi e nascondigli per sfuggire al "lupo" di turno che doveva acchiapparci e mangiarci crudi, in un solo boccone.
Ci divertimmo da matti! Non udimmo la banda mentre intonava lo Stabat Mater. Non seguimmo la Santa Messa celebrata nella piccola chiesetta del cimitero. Non pregammo nemmeno sulla tomba del nonno per alleviare, con le nostre innocenti raccomandazioni, la sua povera anima, quella cosa trasparente, leggera e invisibile, di cui tanto ne parlava la mamma, che si era staccata dal nonno per volare in cielo e atterrare in qualche aeroporto vicino al paradiso.
Alla nostra allegra comitiva si unì un altro allegro gruppetto di ragazzi e poi un altro paio d'amici arrivati tardi alle funzioni, e altri amici dei nostri amici e altri amici delle nostre vecchie conoscenze. Insomma, diventammo un esercito! E come un esercito di barbari, calpestammo prati verdi e prati gialli, aiuole fiorite e aiuole senza fiori, tombe vuote e tombe piene. Sembravamo una nuvoletta multicolore di cavallette e farfalline in volo sulle croci, tra le fertili pianure di un paradiso terrestre fatto apposta per giocare a nascondino. E tra una contestazione e l'altra, il gioco proseguiva allegramente. Molti furono i "lupi" che sbranarono gli agnellini acchiappati o intravisti prima di rifugiarsi nella "tana", come molti furono quelli che rimasero digiuni e, per il digiuno, piansero gridando alla congiura. Ad ogni buon conto, nessuno, malgrado qualche muso lungo e qualche parola troppo parolaccia, ebbe il coraggio di ritirarsi dal gioco. Sudati e contenti, ci divertimmo tantissimo, come mai essere vivente ebbe a divertirsi tra esseri meno viventi. Ma, come ogni cosa bella, tutto ha un inizio, (il gioco) e una fine, (il gioco). E il nostro, anche in quella occasione, si concluse troppo presto! Mamma e zia, come due usignoli stonati, iniziarono l'appello:
- Tony!... Clara!...
- Elisa!... Marco!...
Altre madri chiamarono i loro figli nascosti ancora tra le tombe! Molti padri cercarono i loro bambini rintanati in qualche ossario o in qualche vespaio di loculi vuoti! Molti dichiararono che mai, a memoria d'uomo, si era udito, in quel cimitero, un simile coro di richiami e di rimproveri, un appello così lungo di soli nomi. La festa era proprio finita, finita male! Su molte guance erano rimasti i segni più brucianti quali testimoni di una sfrenata rigidità genitoriale.
Si era fatto tardi! Il custode suonò la campanella del viale d'ingresso per ricordare ai vivi di andare a casa e ai morti di tornare a riposare. Sudati, ansimanti e scontenti, io e i miei cugini ci presentammo alle nostre mamme per chiedere ancora dell'altro tempo.
- Ancora un po', mamma!
- Ti prego!... È ancora presto!
- Andiamo! È tardi! - disse la zia ai miei cugini.
- Non l'avete udita la campana? - echeggiò mia madre.
- No! - rispondemmo tutti in coro.
- Basta!... Andiamo!...
- E Clara?... Dov'è Clara?... - disse mia madre guardandosi intorno.
Ci guardammo, ci contammo, ci stupimmo! Clara non era insieme a noi. Clara non c'era!
- Dove l'avete lasciata, disgraziati? - disse piagnucolando mia madre.
- Buuh!... - disse mio cugino Marco.
- Dove l'avete vista per l'ultima volta?
- Al cimitero! - risposi senza riflettere.
E mia madre, senza riflettere, mi mollò un ceffone.
I miei cugini, per un senso di rispetto dovuto alla piccola dispersa o, forse, per non profanare quel luogo sacro, non risero subito, rimandarono di qualche secondo.
Zia Antonietta riequilibrò le sorti schiaffeggiando entrambi.
Io, invece, malgrado avvertisti un certo bruciore sulla guancia destra, risi subito.
- Dov'è Claretta? - gridò mia madre strattonandomi.
E giù un altro schiaffo e sempre dalla stessa parte indolenzita. Meglio così, pensai, almeno una guancia è salva!
- Presto, cercatela!... Cercatela!...
- Dove! - osò bisbigliare mio cugino Marco, prima di ricevere un tremendo schiaffone da parte di sua madre.
Lo guardai e compresi il suo mortificante dolore. La faccenda stava assumendo un acido sapore di angosciante realtà.
Facemmo un giro veloce percorrendo il viale principale, ormai quasi deserto. Le nostre voci echeggiavano sinistre fin dentro le cappelle gentilizie. Quel nome amato sembrava rimbalzare nelle nostre menti come l'ululato di un fantasma in agonia.
- Clara!... ara... ara... ara... Dove sei!... eii... eii... eii...
Alla fine, col cuore in tumulto, ci trovammo all'ingresso dove ci attendevano le nostre mamme angosciate.
- Mamma, Clara è sparita!
- Non l'abbiamo trovata!
Apriti cielo! Non ripeto le parole e i rimproveri che abbiamo dovuto subire per non scandalizzare la tua sensibilità di lettore!... Ma sapessi com'è brutto sapersi vittime di una congiura e subirne tutte le più traumatiche conseguenze, fisiche e psicologiche! La colpa della scomparsa di mia sorella pesava come un macigno sulle nostre innocenti coscienze. Secondo mia madre, mia zia e tutte le persone che parlavano del caso, la responsabilità di tale scomparsa era da addebitarsi a noi in quanto, noi, rispetto a mia sorella, eravamo considerati grandi e da grandi l’avremmo dovuta seguire, accudire, proteggerla!
- La colpa è vostra!... - gridava mia madre. E tutti a dire:
- Sì, la colpa è vostra!
-Assassini!... - aggiungeva mia zia.
-Assassini! ?" rispondeva la folla.
- La colpa è tutta vostra!... - ripeteva mia madre. E tutti a ripetere:
- Sì, è tutta vostra!
- Delinquenti! ?" aggiungeva la zia.
- Delinquenti! ?" ripeteva la folla.
Sembrava un coro lugubre estrapolato da una tragedia Greca.
Per fortuna o per sfortuna, la gente continuava a far ritorno alle proprie case e così il coro diminuiva d'intensità. Alcune persone, le meno aggiornate, vedendo mia madre e mia zia così visibilmente esagitate, si fermavano per chiedere notizie fresche su cosa fosse successo. E mia madre e mia zia, come dei registratori ad alta fedeltà, ripetevano le stesse parole e lo stesso angosciante ritornello, ma con toni sempre più acuti e terrorizzanti. Il custode sollecitava l'uscita. Ma mia madre e mia zia, come due carri armati, gli si scagliarono contro quando questi, con le chiavi in mano, minacciò di chiuderci dentro. Il dramma stava assumendo le caratteristiche di una farsa inedita, cruenta e imprevedibile.
Io e i miei cugini, vigliaccamente, per non essere tra le prime vittime innocenti, ci tenemmo lontani dalle mani delle nostre rispettive madri. Decidemmo di continuare a perlustrare il cimitero. E quella volta, vi confesso, non si trattò più di un gioco divertente. Eravamo terrorizzati mentre ci aggiravamo tra le tombe deserte, tra l'olezzo dei fiori, la puzza dei lumini e le prime ombre della sera. Camminare tra quei viali silenziosi era peggio di camminare sui carboni ardenti. Le nostre voci rimbalzavano, come suoni acquosi, provenienti da una dimensione di terrore. Il nome di Claretta echeggiavano tra le lapidi violando la sacralità della quiete. I brividi sulla schiena gelavano il sangue ed i pensieri. Ero la brutta copia di un fifone.
- Clara!... Clara!... E il silenzio delle ossa scricchiolava nelle nostre menti. Udimmo tutti i rumori della morte compreso l'apertura di una cassa, lo stridore di qualche cancelletto e, persino, il fiatone di un morto ancora vivo: asmatico!
Ci rincuorammo quando vedemmo e sentimmo le nostre madri aggirarsi come spettri tra le tombe seguite da una folla d'amici, una moltitudine di parenti, larghi e stretti, e una marea di semplici curiosi, arrivati dalle vicine catacombe.
- L'avete vista? - gridò mia zia.
- No, - risposi - e voi?
- Nemmeno!...
Capimmo dopo l'inutilità di quelle domande.
- Clara!... Clara!...
E il cimitero si animò di voci e di sospiri. Il custode, per l'ennesima volta, suonò la campana: imponeva ai vivi di uscire.
- Tornate domani mattina! - disse qualcuno.
- Alla luce del sole è più facile cercare!... - rispose qualcun’altro.
- Scoperchiate le tombe! - suggerì una vecchietta.
- Ben detto! - rispose un vecchietto - Può darsi che sia nascosta in qualche bara!
- Ma state zitti! Come può una bambina entrare in una bara?
- Certo che può! In una bara possono entrarci anche tre bambine!
- Non è una bambina! Ho sentito dire che ha quasi vent'anni!
- Vent'anni? Ma cosa dice signora! La bambina ha circa due anni!
- Due? A me sembrano pochi!
Mia madre, sempre più disperata, continuava a invocare quel nome tanto amato e piangeva. Mia zia frugava persino tra le aiuole basse, tra le ghirlande, e piangeva. La gente ci guardava in faccia e rompeva.
- Non si abbandona un bambino a cinque anni!
- Nemmeno una bambina, se è per questo!
- I genitori dovrebbero stare più attenti!
- I bambini sono imprevedibili!
- La colpa è del destino! - disse un signore dal naso a patata.
- Il destino se lo crea l'uomo! - disse un cherichetto col turibolo fumante ancora in mano.
- Ma non dire sciocchezze! - disse una zitella - Che ne sai tu della vita?
- E lei? - rispose di rimando il chierichetto.
E tutti si misero a ridere! Per pochissimo, s'intende, ma risero di cuore.
Noi ci guardammo in faccia e, come se fosse scattato un preciso piano d'intervento, riprendemmo a giocare a nascondino. Fummo additati, giudicati, portati come esempio di cinismo e di crudeltà mentale.
- Ecco la nuova generazione!
- Stiamo crescendo dei porci!
- Magari, almeno mangeremmo delle salsicce!
La conta era iniziata e nessuno, malgrado l'apparente insolenza e l'inesistente sensibilità, ci avrebbe potuto fare interrompere quella tiritera, quell'ultima occasione per fare uscire Clara dal suo inespugnato nascondiglio.
- Uno, due e tre,
corri forte, qui non c'è.
- Quattro cinque sei e sette
spacco pietra e taglio a fette.
- Otto nove e dieci
sto venendo con la bici.
- Se ti acchiappo questa sera
io ti mangio come pera.
- Ma se scappi e vai in tana
io ti offro una banana.
- Uno, due e tre
sto venendo e sono il re. Il re dei luuupiiiii!... Uhuuu!... Uhuuu!... Uhuuu!...
La folla, al servizio di mia madre e di mia zia, stava per linciarci per quella nostra palese insensibilità umana.
- Disgraziati!...
- Assassini!..
- Delinquenti!...
- Dove l'avete il cuore?
- Dove l'avete il cervello?
- Figli ingrati!
- Siete il risultato di questa società!
- La colpa è dei genitori!
- Questa gente non si dovrebbe sposare!
- Non è bello fare dei figli e poi abbandonarli al loro destino!
- Qui è questione di educazione, non di destino!
- Silenzio!... Silenzio!... - gridò una voce di tenore - Mi è sembrato di sentire una vocina!
E in quel silenzio improvviso, sovrumano, spettrale, simile ad un metafisico stato di quiete che di solito precede la tempesta, sentimmo una vocina lontana-lontana, gridare:
- Ta-na!... Ta-na!... Ta-na!...
- È Clara!... È Claretta!...
E mentre noi finimmo a terra semi pestati dalla folla, Clara, che non poteva sapere da quale incubo eravamo appena usciti, si sentì al vertice della bravura quando la mamma e la zia Antonietta, con le lacrime che ormai avevano inzuppato anche le loro scarpe, se la sbaciucchiarono tutta soffocandola d'affetto. La folla, commossa, applaudiva gridando quel magico nome, simbolo di coraggio e di vittoria.
- Cla-ra!... Cla-ra!... Cla-ra!...
Clara era stata la più brava di tutte! Si era nascosta così bene, ma così bene, che nessuno aveva scoperto il suo nascondiglio, nemmeno il lupo cattivo che l'aveva cercava per sbranarla. E malgrado le domande della mamma e della zia, malgrado le patatine promesse da noi e i cioccolatini offerti da un signore, la piccola Clara, di appena cinque anni, né allora e né dopo svelò in quale loculo vuoto si era nascosta. Sperava, la furbetta, di poterlo sfruttare alla prossima festa del nonnino.
Secondo le mie deduzioni, nella sua innata interiorità era germogliato anche un profondo senso di rispetto per la privacy di quei testimoni muti. Difatti, per un certo periodo di tempo, diceva sempre, cantilenando, che “i morti sono belli!” Alludeva, forse, che il giorno dei morti era un giorno piacevole, prevalentemente giocoso e festaiolo.
Io penso che in mia sorella era germogliato anche un profondo senso di stima e simpatia nei riguardi di chi “riposava” in quel luogo strapieno di nascondigli in quanto, quei cari signori, compreso il nonno, non avevano tradito la sua presenza, nemmeno con il più classico dei colpetti di tosse.
F I N E
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