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Quando fui ingannato dalle rane giganti, e non parlai più con Giustina la matta
Sono seduto sulla tazza del mio gabinetto; un gabinetto molto bello, mi è costato un occhio della testa ma è bello, troppo bello.
È di vetro, ma all’interno del vetro, ovviamente separato dalla parte superficiale, ci sono delle comuni puntine, e ce ne sono di tutti i colori; sono davvero carine anche se non ci puoi mai stare tanto tranquillo, insomma è un modo come un altro per ricordarmi che fin dalla mattina devo stare attento a ogni cosa che faccio.
Sono seduto quando ad un certo punto la mia bella tazza con le puntine si allarga, e penso “cazzo adesso finisco nella mia merda” ed effettivamente il pensiero mi fa davvero schifo.
Però la tazza s’allarga sempre di più, non ci posso fare niente e allora cerco di aggrapparmi con le mani al bordo, per non cadere.
Guardo sotto, e vedo un enorme vortice, grande chilometri e chilometri, e l’acqua gira gira non si ferma mai. Il fondo della tazza non si vede, c’è solo il vortice ed io che cerco di non cadere, ma so che tra poco cedo porca miseria, e non so che fare sono in preda all’ansia e alla paura.
E poi cado.
Mi ritrovo in un fiume in piena, sono in Spagna, nel Medioevo, l’anno con precisione non lo so, e non so nemmeno come ci sono finito, ma sono che sono in Spagna, e sono in questo fiume in piena e non so dove sto andando e penso che sono ancora in pigiama e che stavo solo cacando.
Ad un certo punto quando non so più che pensare vedo da lontano arrivare un cavaliere: c’ha l’armatura, i vessilli spagnoli, che non so nemmeno io come faccio a conoscerli, e vedo che in mano ha un giavellotto. Penso “ma che vuole da me? che gli ho fatto?”.
Non faccio in tempo a pensarlo che comincia a lanciare il giavellotto, e io cerco di nuotare più veloce nel verso della corrente, anche se non so dove va, che devo fare, nuoto e nuoto, e non so se bestemmiare o pregare. Il cavaliere spagnolo ad un certo punto non mi lancia più giavellotti, li avrà finiti penso, e allora mi sollevo un po’, smetto di nuotare e aspetto che la corrente mi porti dove vuole. Però lo spagnolo mi segue ancora, anzi, il cavallo entra nell’acqua e comincia a correre come se nulla fosse, e va più veloce della corrente e di me.
Che faccio, mica sapevo che i cavalli correvano più veloci nell’acqua, ricomincio a nuotare, prima una bracciata e poi un’altra.
Il cavaliere mi ha preso, è vicino, sento il fiato pesante del cavallo su di me, e allora lo vedo estrarre una spada dal fodero e l’alza in aria; poi mi guarda, guarda la spada, e cerca di colpirmi.
Come cerca di sferrare il primo attacco io non ci sono più, sono caduto giù per la cascata.
Ecco dove portava il fiume in piena.
Lo stadio è piccolo, non piccolissimo, e sugli spalti una coperta colorata fatta di teste, cappelli, ombrelli e bandiere.
I tifosi che urlano, il bel profumo dell’erba tagliata e fresca.
Che devo fare, cerco di giocare pure io, però non so in che ruolo; allora vado sulla fascia, magari sulla fascia mi devono meno e non mi danno la palla.
Mi accorgo presto però che il 4-4-2 con cui giochiamo non mi permette di stare indietro a guardare, dovrò per forza prima o poi andare sul fondo e cercare di crossare.
E allora che faccio, corro, seguo l’azione, bestemmio, sputo, bevo, nessuno mi dice niente.
Passano dieci minuti e io ancora non ho toccato palla, e sono abbastanza fortunato penso.
Ad un certo punto sento una voce che mi chiama, è il mister.
Ma che cazzo stai facendo?
Perché mister?
Ma che cazzo, è una settimana che proviamo i cambi di fascia e tu stai sempre li fermo!
Scusi mister
Vedi che se prendiamo il gol è colpa tua
Loro sono forti mister
Ma che cazzo dici?
Che gli avversari sono forti
Senti, ti sei rincoglionito! Te lo ripeto allora: quando il portiere passa palla al centrale, tu e l’altra ala vi scambiate di fascia e cercate di prendere palla, andate sul fondo e crossate. Ti sta bene?
Si mister
Allora seguo le istruzioni del mister, il centrale prende palla, scambio uno sguardo con l’altra ala e corro veloce verso di lui, mentre lui fa lo stesso; intanto la palla è passata al regista, che si guarda in giro. “Non passarla a me, non passarla a me” penso e intanto cerco di stare il più vicino al terzino avversario, cosi mi marca.
Il regista però la passa a me, è una palla alta, è alta assai, la riesco a stoppare non so come e comincio a correre, corro corro non ce la faccio più, arrivo sul fondo e cerco di crossare ma non riesco a prendere la palla e faccio un liscio clamoroso; il difensore avversario però cade, come se non si aspettasse il liscio, e io ho la fortuna di rimanere in piedi e allora avanzo verso la porta; già che si sono tiro, t’immagini segno sai che bello.
Sto per caricare il tiro.
Vedo un uomo stempiato davanti a me.
È tutto nero; l’uomo è vestito di bianco. I capelli bianchi, la pelle bianca.
Pare trasparente. M’avvicino.
Qual è il senso della vita? ?" gli faccio
Che ne so?" mi risponde
Già. Perché siamo nati?
Non lo so
E perché si muore?
Non lo chiedere a me
E... e perché si vive?
Non me l’hanno mai detto
Già
Già
Perché sei cosi vecchio?
Lo diventerai anche tu
Perché sei qui tutto solo?
Perché ho passato la vita a farmi le tue stesse domande
Verde, tanto verde, un prato enorme.
Sdraiato, con due braccia e due gambe e tutto il resto. Troppo azzurro il cielo, e ci sono poche nuvole. Una rana gigante mi si avvicina; voglio dire, è una rana, ma è grande, più grande di me, grande quanto un camion.
Mi fa:
Bella giornata, eh?
C’è troppo azzurro
Dici? Hai ragione tu
Si
Senti... sai dirmi dov’è un bagno?
Ehm...
No, perché dovevo finire di fare una cosa...
Non saprei, prova ad andare sempre dritto e vedi
Grazie
Parlare con una rana gigante è appagante, tutti dovrebbero provarci.
Se poi la rana ti dice dov’è il bagno, allora la vita è bella davvero.
Cammino per due ore, senza stancarmi, e senza avere l’orologio. Poi trovo il bagno, c’erano due porte: da una parte le rane giganti (c’era la figurina di una rana) e dall’altra gli uomini (senza distinzione di maschi e femmine).
Che bei bagni puliti, non uno schizzo d’acqua, nessun odore, nessun rumore.
Allora mi siedo fiero sulla tazza, dovevo finire di cacare.
Mi sto mettendo a mio agio quando sento un rumore pazzesco. D’istinto mi alzo e mi aggiusto i pantaloni, se la morte mi deve prendere almeno non lo faccia quando sono in mutande, mi lavo le mani ed esco fuori.
Un sacco di rane, un mare di rane giganti che urlano e saltano, e quando atterrano trema tutto.
Insomma una rana gigante già è una bella sorpresa, vederla saltare e urlare fa un bell’effetto.
Oltre alle rane però ora ci sono anche degli scarafaggi giganti, più piccoli delle rane ma sempre più grandi della loro dimensione originale.
Le rane, da una parte, gli scarafaggi giganti, dall’altra.
Dietro, un bagno pubblico per soli uomini e rane.
Lo spettacolo è tutto sommato bello da vedere, le rane saltano e atterrano schiacciando gli insetti, che intanto cercano di sfruttare la superiorità numerica con delle cariche compatte.
Una rana mi viene vicino, mi fa:
Ti prego, devi farci un grande piacere
Se posso?" rispondo
Questi scarafaggi sono una rovina per noi, mangiano i nostri piccoli, si nutrono del nostro cibo...
Maledetti
Già, e ora ci stanno attaccando di nuovo
Cosa posso fare?
Devi andare a prendere lo spay insetticida per gli scarafaggi giganti
Ma dove si trova?
Nell’armadietto delle pulizie
E dove lo trovo un’ armadietto qua?
Vedi quella grande ombra?
Effettivamente non l’avevo notata prima
Si, la vedo
Bene, quella è l’ombra dell’armadietto gigante, seguila e trova la bomboletta
Ci proverò
Grazie, le rane giganti te ne saranno grate
Allora comincio a camminare, però mi viene in mente un pensiero strano, un dubbio, però ancora non riesco a metterlo a fuoco, so solo che c’è ma non so cos’è.
Dopo tre ore di cammino, arrivo all’armadietto. Pazzesco, immenso, con due ante ed una porticina piccolina.
Vicino alla porta due omini tutti bianchi
Di che razza è lei?
Sono un uomo
I due cominciano a confabulare, dopo uno mi disse
Bene, che cosa le serve?
Si... insomma sul mio pianeta sono finite le bombolette contro gli scarafaggi giganti
Ah
I due parlano di nuovo, e poi
Cosa mi assicura che non sia un alleato delle rane?
Le rane? No, sul mio pianeta non ci sono, non saprei nemmeno riconoscerle qua
Va bene, aspetti qua
Solo allora vedo un manifesto, su un’anta.
Dice
DIFFIDATE DELLE RANE GIGANTI, SONO UN PERICOLO PER TUTTI NOI
Ma non ci faccio caso, le ho viste le rane, stavano soffrendo davvero gli scarafaggi, eh.
Non ho motivo di credere che possano fare del male.
L’omino torna con una bomboletta viola, tutta viola.
Mi raccomando, faccia buon viaggio fino al suo pianeta
Grazie... si
Dopo altre tre ore di viaggio torno con la bomboletta dalle rane. Il dubbio di prima, mi ronza nella testa ed è fastidioso come le zanzare.
Già, le zanzare, ne ho vista una gigante mentre camminavo, era morta, in un lago di sangue. Mah.
La scena davanti è uguale a quella di quando me ne sono andato: le rane e gli scarafaggi.
Porgo la bomboletta ad una rana. Mi guarda, sembra sorridere, mi dice “grazie” e si mette la bomboletta nella bocca.
Dopo è solo spray puzzolente e grida di dolore degli scarafaggi.
Hanno sterminato tutti, le rane festeggiano ora.
Grazie, sei il nostro eroe!
No dai, non ho fatto niente di speciale
Hai fatto molto invece
Me ne stavo andando, quando uno scarafaggio piccolino, un superstite penso, mi si avvicina e mi fa
Perché hai ucciso i miei genitori?
Io?
Noi abitiamo qua da generazioni, le rane ci hanno attaccato e tu le hai aiutate
No...
Ti hanno ingannato, siamo noi le vittime; è bastato un bagno per corromperti
No, non è come dici
Basta poco agli umani per essere contenti...
Dimmi che non è vero
Avevo davanti uno scarafaggio in lacrime. E io ero la causa delle lacrime.
Me ne andai.
Ero proprio un idiota, tutte quelle rane e nemmeno uno stagno, ecco perché mi sembrava strano.
Non era il loro ambiente naturale. Avrei dovuto prevederlo, prima le zanzare e poi gli scarafaggi.
Mi hanno usato, le rane giganti mi hanno ingannato.
Ora sono nel mio letto, era tutto un sogno. Banale, ma mai quanto la giornata che mi si prospetta davanti, uguale da anni.
Mi alzo, ma non vado in bagno, sto bene cosi.
In salotto, il divano, telecomando.
Le ultime notizie, il telegiornale dice le solite cose.
Guarda il giornalista, è perfetto già alle sette di mattina, come fa non so, mi sta antipatico.
Dice le notizie, sembra chissà cosa, legge un foglio e basta.
E no, ammicca, studia le pause, la metrica, la dizione, la posizione delle braccia.
Un mezzo busto d’oro.
Poi, ad un certo punto, smette di leggere. Alza la testa dal foglio. Sul volto si forma un ghigno.
Mi guarda. Mi dice: tu adesso muori.
È un attimo, tutto si fa nero, la poltrona la tv il telecomando chissà dove sono. Dovrei gridare aiuto ma non penso che qualcuno mi possa ascoltare.
E poi vedo delle lettere, formano grandi scritte bianche, mi dicono TU MUORI e si dirigono verso di me pesanti, affilate, mortali.
Comincio a schivarle ma diventano sempre di più, più veloci, non so che fare.
Poi però intravedo una scritta blu, piccolina ma c’è si, ne sono sicuro.
NON ANCORA diceva la scritta. Le scritte blu diventavano sempre di più, le bianche non sapevano più che fare, era tutto un TU MUORI! e NON ANCORA.
Io ero al sicuro.
Era una cosa tra bianchi e blu.
Ad un tratto il nero incomincia a squarciarsi, luce, bianca, sono morto? Mah.
Il vecchio manicomio criminale era proprio uguale, un giorno dopo l’altro.
La vecchia finestra, il vecchia tivù, perfino la vecchia polvere. Era bello, il manicomio criminale, tutto molto interessante, pure la polvere si, pure al polvere ogni tanto ti parlava e diceva cose mica tanto male.
Era bello il manicomio, non eri obbligato a parlare tanto, non eri obbligato a conoscere le persone, scambiavi qualche parola, ridevi, e basta.
Molti diventano pazzi perché devono parlare, perché devono conoscere la gente. La gente non è bella da conoscere, scopri tutte le sue piccole manie, i piccoli difetti, fa tutto un po’ schifo.
Il manicomio, bel posto tutto sommato: si, non era male.
Poi c’era Il professore, un buon diavolo, era lì perché una volta aveva ammazzato un sacco di gente con una invenzione geniale, una specie di simulatore di gusto, non so bene.
Le multinazionali avevano convinto l’opinione pubblica che con il simulatore di gusto erano aumentate le morti per anoressia, e l’avevano fatto rinchiudere in un manicomio come questo. Era riuscito a scappare, ma poi l’hanno portato qui.
Intanto il simulatore di gusto lo vendono ancora, le multinazionali però.
Ogni che mi vede mi fa:
Chi?
Chi?
Chi è?
Chi?
Chi è?
A fare cosa?
Mah
Già
Già
Davvero?
Chi?
È vero
Mah
Già
Eh...
Chi?
Eh... e non parleremo più con Giustina la matta
Già
Poi mi alzavo, e ogni volta pensavo a Giustina la matta: troppe scariche al cervello, peccato.
No, era bello il manicomio criminale, anche quando dovevi prendere le medicine, una sapeva di caffè, si sentiva l’odore del caffè...
... mia madre sta preparando la solita macchinetta da otto, anche se siamo solo in due. Oh, più di dirglielo che posso fare. Ah, le lenzuola sono ancora calde e mi devo alzare.
In bagno, non ci devo andare, e come se ci fossi già stato: boh, magari sono sonnambulo e durante la notte vado a cacare sulla mia tazza con le puntine...
Mi devo alzare, devo lavorare, un’altra giornata persa...
La differenza tra il sogno e la vita, sta nel fatto che il sogno è bello, e termina con la vita che è alla fine dei conti grigia, monotona e cattiva, come queste tapparelle mezze rotte.
La vita... la vita è brutta, e il peggio è quando finisce non sai dove ti ritrovi, sempre se ti ritrovi.
Mah, chi lo sa.
Forse, Giustina la matta lo sapeva...
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