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CASTULFO (1)
E venne anche l’ora di Castulfo, ed egli era stranamente sereno.
Il trapasso fu traumatico è vero (un dolorosissimo infarto del miocardio), e fu altresì brusco trovarsi sbalzato improvvisamente dai luoghi che ben conosceva a quella stanza luminosissima (Castulfo non aveva con se gli occhiali da sole), però sapeva! Nell’istante stesso in cui la vita lo abbandonava venne pervaso dalla consapevolezza di quanto, nell’immediato futuro, lo attendeva. Sapeva che in quella stanza qualcuno - chi fosse non gli era noto, ma sperava nel Dio che aveva sempre pregato - avrebbe giudicato la sua esistenza per assegnargli una posizione definitiva per l’eternità, ed era tranquillo.
Una vita passata all’insegna della correttezza estrema, dell’onestà assoluta, ma non per questo rigida... Castulfo era sempre stato molto elastico nel giudicare le mancanze altrui, un po’ meno con sé stesso. Cercava di essere il meno invadente possibile, ma non si tirava indietro se il suo dovere gli imponeva di stigmatizzare qualche comportamento. Un brav’uomo, insomma, serio e responsabile, tollerante e tollerato. In fin dei conti qualunque dio avesse trovato quale giudice supremo, non avrebbe avuto motivo per dannarlo in eterno. Per questo Castulfo era tranquillo.
Sicuramente molto più tranquillo e soddisfatto di poche ore prima, quando, nell’ufficio del suo “capo” attendeva trepidante di poter tornare a casa...
Poche ore prima Castulfo - ancora nel mondo dei vivi - se ne stava seduto ad una scrivania con la biro in mano, in attesa che il suo datore di lavoro finisse la telefonata che li aveva interrotti. Certo che, a quarant’anni suonati, continuare a fare il tirapiedi del capo, soddisfacendo anche la sua voglia di dettare lettere personali... e fare il caffè la mattina... e fargli spesso da autista... e...
Ascoltava pensoso, aspettando di riprendere il suo modesto compito di scrivano - e pensare che ho un mare di fatture da controllare - la conversazione tra Lui e il suo assicuratore:
« Senta, non so come possano venire calcolati i danni in abitazione in caso di incendio, cosa denuncio? Che so... la pelliccia della moglie, un quadro, il forno a microonde... »
Castulfo pensò che se mai gli fosse capitato di dover denunciare i danni da un incendio avrebbe avuto qualche difficoltà. Non aveva mai registrato in un archivio i libri e i dischi, gli unici materiali infiammabili che avrebbe rimpianto in caso di distruzione del misero alloggio che abitava in affitto. Vabbeh, quand’anche gli avessero risarcito il danno economico, chi poteva ricordare quali titoli avrebbe dovuto ricomprare? Probabilmente il paragone tra pellicce e forni a microonde con i suoi adorati libri e dischi gli dovette dipingere una smorfia di disgusto sul volto, perché il “Dottore”, incrociando il suo sguardo, assunse un’aria desolata indicando l’orologio (cazzo! Erano quasi le sette!) e, alzando le spalle a mo’ di scusa, riprese tranquillamente la sua telefonata.
Castulfo si ricompose, con la sicurezza che il “Dottore” aveva letto i suoi pensieri e, con l’animo del bimbo sorpreso con le dita nella Nutella, attese la fine della telefonata. Alle sette e dieci Castulfo pensò che sarebbe stato bello infilarle negli occhi del “Dottore” le sue dita alla Nutella, se non la smetteva subito con quella telefonata! Immediatamente si pentì del suo pensiero, intuendo che un gesto del genere avrebbe quantomeno significato il suo licenziamento in tronco, con le ripercussioni economiche immaginabili. Pur non essendo proprio un benestante (tutt’altro!) Castulfo era comunque avvezzo a quella sorta di “benessere diffuso” che leva la voglia di ribellarsi. Un’occupazione stabile garantiva almeno di mangiare tutti i giorni! Lo sapeva bene, Castulfo, che in passato aveva ricoperto un incarico decisamente migliore, come retribuzione, in un’altra ditta. Ma aveva perso il suo impiego per un banale diverbio con l’allora datore di lavoro (-Non si scherza con chi ti dà da mangiare, idiota! -Non Le permetto di parlarmi così, Signore! -Sei proprio un imbecille, Castulfo! Guarda che ti caccio come un cane! -Non ci davamo del “lei”, Signore? -Sei licenziato!) e con ciò aveva perso invulnerabilità, fortuna, denaro, tranquillità e salute, o almeno questo pensava Castulfo... per qualche tempo si era arrangiato con il sussidio di disoccupazione e qualche lavoretto saltuario, finché non aveva trovato l’attuale impiego che, seppure orrendo, era sempre meglio di quelle interminabili code all’ufficio di collocamento. Certo la paga era solo di poco superiore al sussidio, e forse non giustificava le dodici ore di impegno al giorno, ma quel poco in più significava pagare i conti in tempo utile! E il decoro era salvo! Povero ma comunque dignitoso, accidenti! In passato Castulfo era stato dignitoso e un po’ meno povero, ma sembrava che tutti fossero un po’ meno poveri a quei tempi, forse si teneva meno scorta per l’inverno, chissà... Tutto quello che restava a Castulfo di un glorioso passato consumistico erano centinaia di dischi, tra i cui solchi si rifugiava nei momenti di maggiore sconforto. Per questo Castulfo stava maledicendo quella telefonata che gli impediva di andare a casa. Le sette e venti! Appena a casa Castulfo avrebbe cercato un bel disco e, siccome la tristezza può essere combattuta solo da altra tristezza, avrebbe scovato quel vecchio vinile della Albatros con le canzoni di Victor Jara, e avrebbe scelto di ascoltare Poema 15, dove Victor cantava una poesia di Pablo Neruda con voce calda e malinconica, modulando così l’abisso personale di Castulfo... Me gustas cuando callas porque estàs como ausente... Y estoy alegre, alegre de que no sea cierto...
Altre vestigia del felice e spensierato passato in cui Castulfo comperava di più e la corsa al “meglio” sembrava non doversi mai arrestare, erano alcuni capi di abbigliamento, tipo la giacca che stava indossando ora, firmata da uno stilista per una collezione molto alla moda, dieci anni prima. Quanto era bella allora! Era invidiato da tutti! E adesso... sa di miseria e sciatteria!
« Allora restiamo intesi in questo modo. La ringrazio. Buonasera.»
Finalmente la telefonata terminò.
Alle otto meno un quarto terminò anche la dettatura della lettera.
« Dottore, se permette le batterei il testo domani mattina... non mi sento tanto bene e vorrei andare a casa... »
« Suvvia, Castulfo, sono dieci minuti... vada nel suo ufficio e mi batta questa lettera. E non aveva altro lavoro da sbrigare? »
Castulfo tornò nei “suoi” locali e si sedette alla macchina per scrivere, mentre un bruciore forte gli opprimeva il petto, non sapendo spiegarsi se il cuore gli doleva per qualche malanno fisico o per la pena di dovere ancora restare in ufficio. Alle otto e dieci aveva terminato il compito a lui affidato e, decidendo che le fatture potevano aspettare, risolse di tornare a casa.
Fuori era buio e una pioggerellina fastidiosa sferzava il volto di Castulfo. Il dolore al petto era diventato insopportabile, ma a quest’ora il medico... magari domattina!
Erano mesi che Castulfo soffriva in maniera preoccupante, ma aveva sempre rinviato una costosa visita specialistica, per mancanza di voglia, tempo e denaro, minimizzando con se stesso la faccenda, anche se era davvero penoso, oltre che doloroso, doversi difendere da quegli attacchi improvvisi, che giungevano sempre nei momenti meno opportuni, quando più c’era bisogno di tutta la forza e la lucidità disponibili. É difficile concentrarsi su qualcos’altro, quando ti senti morire... eppure Castulfo, corazzato da un inusuale ottimismo, era certo che non si trattasse di un guaio al suo sistema cardiovascolare... qualche altro male, piuttosto... forse una sorta di attacco polmonare (e se smettessimo di fumare? ), o un colpo d’aria, o un’artrosi intercostale...
Alle otto e un quarto un infarto stroncò, in mezzo alla strada, il povero Castulfo.
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