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sulla stessa ANOMALA lunghezza d'onda
Un’altra serata.
L’ennesima passata e della quale non vi sarà nulla da ricordare. Mentre la città si concedeva al proprio sfogo settimanale, Roger annacquava i propri pensieri nella tranquillità di una spiaggia vuota. Avvolto nella penombra regalatagli da un paio di lampioni cui dava le spalle, seduto, con braccia e gambe distese, sentiva fin nelle ossa di mani e piedi l’incalzante umidità. A pochi metri dal bagnoasciuga l’eco della concitazione cittadina arrivava scarico e piccolo piccolo appariva, rispetto all’intangibile umore di una natura che non conosce festività.
Roger, quella sera, aveva scelto la compagnia del mare, della spiaggia e di tutto ciò che non appartenesse a qualcuno o a qualcosa. Aveva bisogno di rifiatare dallo smog di una routine statica. Questo e quello, quello questo e altro.
”Quale altro?” gli veniva da chiedersi. La sua vita era ricca, molto ricca. Di pensieri, riflessioni, emozioni sentimenti passioni. Diritti di credere e doveri di scegliere. Talvolta desiderava solo un caos calmo, uno stato dinamico che ti lascia spettatore osservante, sospeso su uno scorrere di cose momentaneamente ininfluenti.
Si sarebbe accontentato di una brioche di Miguel Flores, conosciuto come “Miguelito”, titolare di un piccolo ma conosciuto cafè, uno scatolone di intonaco bianco, incastonato in uno marrone edificato nei primi del novecento. Ne aveva comprata una e portata con sé, nel caso la solitudine gli avesse messo appetito. Lui e la fame, presto la sete. Poi svuotarsi per essere piu leggero per qualche ora. Praticamente un animale. Bramava un ritorno al primario, a quella fisiologicità ben conosciuta, contigua all’ istinto, in grado di nascere morire risorgere più volte. Alla sua destra, sinuosamente distesa, se ne stava silenziosa una sagoma nera. La forma era quella inconfondibile di una custodia per chitarra. Vi poggiò sopra il palmo della mano, come a voler infondere un tepore piu umano a quella bara per strumenti musicali. ”Hai freddo piccola?” sembrò chiedere Roger avvicinandosi col busto e il viso verso di essa. Subito prese la custodia, la aprì e tirò fuori la sua migliore amica. Premuroso la strinse delicatamente, e come tenendo un innocuo neonato, la dispose amorevolmente sulle sue braccia. Rimase a guardarla, rimanendo affascinato dall’eleganza delle sue cinque corde. Vi passò i consumati polpastrelli, che da soli cominciarono a danzare tra loro, muovendosi a tempo sul palcoscenico della Scala di do minore.
Accompagnava le note con un precario fischiettare, supplente di parole a casa per malattia. Se parlare è un mezzo per comunicare, perché farlo su una spiaggia deserta. Nessuno lo avrebbe mai sentito. Nessun uomo. Ora comunicava come fa il vento, con le labbra contratte a produrre sottili fili d’aria melodici. E il vento pareva gradire. Ricambiava con delicate passate di aria insolitamente tiepida, muovendo i capelli a fior di spalla di Roger. Riprese il suo sguardo, fino a quel momento rivolto verso il suo interno. Fluttuava, attirato ora da un pensiero, ora da un’emozione, reso quasi strabico dal loro continuo alternarsi.
Roger si ferma. Passano istanti in cui il vuoto è dappertutto. Ma non avverte ansia. Si sente stranamente ravvivato, vittima di un brio inspiegabile. Posa la chitarra e si alza in piedi. Ora fissa questo vuoto senza nome.
Davanti a lui un manto bagnato nasconde il fondo, di sabbia alghe relitti, un cielo spento gli racconta nuove stelle.
La baia avvolge questo piccolo mare stanco di essere oceano. Si stringe tra scafi appisolati, con loro si riposa, cullandoli con tenui onde che lentamente si trascinano a riva.
Dove terra e acqua si incontrano, riesce ora a vedere l’aria. Sembra un’assurdità, ma è così. Riesce a vedere l’aria perché per la prima volta non è sotto i suoi occhi. Essa lo sovrasta e lo nutre da una vita. La sua. Eppure non l’aveva mai notata con tale intensità.
Un’onda sta per terminare il suo cammino. Nell’attimo prima di fondersi, le goccie salate sopraggiungenti e i granelli di sabbia che le aspettano, l’aria capisce che è il momento. E senza farsi domande diventa un leggero soffio senza dimora.
Roger osserva.
Mentre schiuma e ciottoli si ritirano, sente che qualcosa è cambiato. L’equilibrio delle solite apparenze non lo convince piu. Sente che ora manca una cosa di cui ha già nostalgia.
Chiude le palpebre, come se quella forza prima avvertita fosse già scomparsa. Allora è quell’improvvisa estasi ad essersi dissolta, lasciandogli quella strana sensazione di abbandono?
Le braccia pesano, le gambe gli cedono e si ritrova a carponi, con le mani nella fradicia fanghiglia della riva. È debole, ma non fiacco, come convalescente da una stanchezza, una flebile stanchezza che lo lascia, mentre si spegne dentro di lui, colmo di luce.
Lì, nel buio dei suoi incerti sospiri, avverte un’incredibile energia.
Era come quell’aria. La ignorava. Quella stessa aria che impercettibilmente è già nuovamente manifesta, che, mentre ci si volge a cercarla, aspetta già la prossima onda per farsi da parte.
Comprese. Che ciò che non sembra esserci è in qualche modo presente, anche solo con la sua assenza. Che ciò che non conosceva non era assente, ma che lui non ne percepiva la presenza.
Aprì gli occhi. Si alzò.
Ecco. L’antisintesi tra un pensiero ed un emozione.
Una sintesi riassume i punti principali di un qualcosa, è un riassunto.
L’antisintesi è l'amore, qualcosa che prende forza da tutto per poi trascenderlo.
E diventando egli stesso un qualcosa, di piccolo grande immenso. Unico. L’unico in grado di essere soggetto e oggetto, umano ed animale, peccatore e moralista. Per gli altri. EGLI non è che Amore. EGLI non è Amore. Egli ama.
E Roger?
Egli aveva da tempo dimenticato perfino ciò che era ovvio, inseguendo la speciale realizzazione di un frettoloso futuro.
Si diresse verso i suoi oggetti abbandonati sulla spiaggia.
Prese la chitarra e la ripose nella custodia, chiudendola. Sollevò lo zaino con una mano, muovendo l’altra all’interno di esso. Tastò il soffice alternarsi di zuccherosi strati farciti. ”Ah, Miguelito!” esclamò, come se lo avesse veramente davanti a sé. Lo vide sorridere.
Ricambiando col pensiero il sorriso, raccolta la sua roba, si voltò verso il mare. Poi verso il cielo che, lontano lontano, pareva piu chiaro.”Una notte sta passando” pensò. ”Chissà se le stelle andranno a dormire?” si chiese tra sè e sè. ”Se ci vanno loro ci andrò pure io” disse, questa volta ad alta voce, respirando una nuova armonia con il creato. No, non quello creato da Dio, ma quello che lui aveva riscoperto, quello che ora viaggiava sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Si stupì per ciò che normalmente pare ovvio. Perché una volta, per lui, non lo era. Viveva ancora nella sua normalità. Camminò a piedi scalzi sulla sabbia, mentre il vento spazzava via certezze ed insicurezze.
E scoprì se stesso straordinario.
Un’altra volta.
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