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LE CARBONAIE PIEMONTESI: Un tuffo nel passato - Dove nasce la leggenda dell'"Uomo Nero"
È curioso ed oltremodo entusiasmante per me sapere quante cose nuove, oltreché interessanti, si possono scoprire ogni volta che "si mette il naso fuori di casa". Appena fuori di casa, devo dire in questo caso: solo ad una sessantina di Km. da Fossano.
Ultimamente, col CAI di Fossano, ospite del CAI di Pinerolo, si parte alla volta del giro dei Tre Denti, in Val di Noce. Ad attenderci a Pinerolo un gruppo d’escursionisti simpatici e cordiali del CAI locale. Colazione veloce al bar e via verso la Frazione di Talucco, punto di partenza per l'escursione a piedi. Ed anche inizio del percorso ecomuseale della Carbonaia, come ci spiega la nostra guida dalla fulgente chioma bianca, Eraldo Quero, perché proprio nei boschi sopra questa frazione, si svolgeva, fino ad un certo periodo, un duro e faticoso mestiere, quello del carbonaio. Ed io, figlia di una terra di minatori, non posso fare a meno di essere incuriosita da questo racconto che ha un alone quasi di favola, anche se questo mestiere ha cessato di vivere solo intorno al 1975.
Il carbone di legna veniva prodotto col sistema delle carbonaie da almeno 5000 anni ed usato non solo per il riscaldamento delle abitazioni, ma anche in campo industriale, chimico e siderurgico e nella cottura della ceramica. Per la sua combustione senza fumo né fiamma e per la quasi assenza di zolfo, la produzione di questo modesto "oro nero" raggiunse il suo apice nell'impiego industriale nel 1700-1800; ed anche agli inizi del '900, tra le due guerre mondiali, nonostante l’avvento del carbon fossile, del petrolio e dell'energia elettrica, la sua richiesta si mantenne molto alta. Tant'è vero che, nei boschi di tutta Italia, massimamente in Umbria e nella Sila calabrese, oltreché in queste zone, dal mare ai 1500 m. d’altitudine, come in Francia, Spagna, Africa o nei paesi balcanici, si muovevano compagnie stagionali anche di circa 30 persone fra tagliatori, carbonai e aiutanti.
Il carbone vegetale si ottiene dal legno (faggi, castani, ontani, frassini, querce, pioppi, lecci) tagliato da alcune settimane, accatastato e bruciato in regime di ossigeno controllato, sia nelle carbonaie con una temperatura di 450°-500° che in particolari impianti di distillazione a secco.
Mentre la nostra guida prosegue nelle spiegazioni di questo procedimento, ci spostiamo lungo il percorso di questo "Ecomuseo della Carbonaia" su sentieri che sono stati ripuliti e ritracciati, grazie alla Comunità Montana Pinerolese, dotati poi della segnaletica e del corredo necessari, senza intaccare l'ambiente circostante. Attraverso la Borgata Borgogna, si entra nei boschi fino alla prima piazzola, dove Eraldo c’illustra la fase iniziale dell'allestimento di una carbonaia: la costruzione del castelletto, il cuore appunto della carbonaia sotto il quale veniva sotterrata una croce fatta di legnetti, per scacciare il diavolo. I carbonai, che dovevano sostare sul posto per più settimane, individuavano la zona più adatta, spianando una superficie abbastanza ampia, per la messa in opera della struttura che avrebbe sorretto l'intera costruzione. Dopo circa 15 minuti di cammino, sul colle Pairabue, ci viene mostrata la fase della "volgitura". del legname attorno al castelletto. Mentre respiro a pieni polmoni la vegetazione circostante, ascolto il nostro accompagnatore che ci informa, con la sua parlata pacata e scorrevole, sul proseguirsi della costruzione e mi vien da pensare, osservando la sua figura distinta ed aristocratica, che il suo ritratto ben figurerebbe tra quelli di conti e baroni d'altri tempi che spesso osserviamo nelle visite ai castelli reali.
La volgitura, dicevo, consiste nel disporre la legna attorno al castelletto sistemando i tronchi tagliati a pezzi di una certa misura con la parte più grossa in basso e con una certa inclinazione verso il centro, per garantire la giusta carbonizzazione sia di quelli grossi sia di quelli piccoli.
Superato il Colle Eremita, calpestando castagne e ricci, e allietando gli occhi con la bellezza del bosco circostante, giungiamo alla terza piazzola, dove possiamo osservare la fase della copertura. Questa operazione avveniva sistemando attorno a questa "capanna" di tronchi uno strato di 15-20 cm. di fogliame misto a terriccio, per isolare il legname dall'aria e farlo bruciare con la quasi totale assenza di ossigeno. Lasciamo questo sito e giungiamo alla quarta ed ultima base, in località Ruchet, dove si presenta ai nostri occhi incuriositi una struttura artificiale simile ad una carbonaia completata. La troviamo accesa e fumante. Attraverso il fornello, l'apertura superiore, si calavano all'interno delle braci ardenti prelevate da un fuoco accesso in disparte. Avviato il fuoco, si chiudeva l'imboccatura con una "losa" e poi, attraverso degli sfiati laterali, si controllava la carbonizzazione, osservando il colore del fumo che ne fuoriusciva. Ultima fase, lo smantellamento della carbonaia e l'estrazione quindi del carbone che veniva successivamente trasportato a spalla dentro dei sacchi fino alla pianura. Lavoro duro, quindi, quello dei carbonai, che i vecchi definivano "l'ultimo dei mestieri", una triste vita!"
Mestiere che richiedeva una grande maestrìa e che non si apprendeva sui manuali, ma veniva tramandato di padre in figlio ed i bambini l’imparavano osservando i grandi quando portavano loro da mangiare sul posto di lavoro.
Ed i Talucchini, il cui unico sostentamento allora era un po’ d’agricoltura e di bestiame, erano costretti a fare questo faticoso lavoro per poter sfamare la famiglia. E che i "Charbounii" del Taluc fossero dei veri maestri in quest'attività' è testimoniato dal fatto che si recavano addirittura nella vicina Provenza (accomunata a questa valle dalla lingua Occitana) a svolgere il loro "mestiere".
Ora nella frazione si contano appena una settantina di residenti, dai 1200 circa esistenti all'inizio del 1900.
"Se non la smetti, ti faccio portar via dall'uomo nero". I bambini di un tempo, soprattutto nelle zone collinari o montane, si sentivano spesso ripetere questa frase dai grandi. E "l'uomo nero" c'era per davvero. Veniva giù dai monti nero di fuliggine e un po' inselvatichito per le lunghe soste cui era costretto in mezzo ai boschi e certamente poteva incutere un po' di paura ai bimbi ignari che gli uomini erano "neri" proprio per poter sfamare le loro bocche insaziabili.
E noi, una volta giunti al rifugio “G. Melano”, immerso in un paesaggio incantevole, per dimenticare quella triste vita, affoghiamo i ricordi del passato davanti ad un buon bicchiere di vino nero e squisiti formaggi delle vallate pinerolesi e, tra una fetta di salame e un "tomino", possiamo goderci la scalata di alcuni temerari sulla sovrastante palestra di roccia di Rocca Sbarùa, “paradiso” dell’arrampicata, immersa nel sole caldissimo di questa bella ed interessante giornata.
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- Neanche questo è un racconto fantastico, ma di un'escursione.
La cosa mi ha interessato parecchio ed allora mi sono documentta presso l'Ecomuseo di Pinerolo (TO), le ho elaborate e ne ho tratto queste informazioni.
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