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Storia di una chiamata - Capitolo 5° (prima parte)
È una ventilata mattinata settembrina dell’ 80. Il caldo acuto è già passato ed io mi guardo dentro: sono serena perché ho smesso l’aria cupa di “affossatrice della speranza” ed ora (dopo l’incontro con Francesco ad Assisi) non sono più disposta a “piangermi addosso” bensì ho ripreso a lottare per ricercare qui, a Catania, una comunità.
Certo sarà diversa dalla mia prima speciale comunità catanese nata lì a Lentini, tra i verdeggianti filari di pere, impreziosita dalle “nostre” Messe celebrate fra i campi a contatto diretto con la natura!
Ora sono pronta a ripartire perché ho portato via da Assisi il bastone … della speranza. Lo so, dovrò attraversare, ancora una volta, “deserti di città”, “oceani d’indifferenza” per vivere la mia unica, personale, ineliminabile chiamata, quella della comunità intesa come “luogo privilegiato” della presenza dello Spirito, anzi della Trinità.
<<… Neppure Tu ami restare solo>>
Sei un Dio di compagnia,
un Dio-comunità, un Dio-insieme,
un Dio: Trinità.
Ho chiaro perché tutte le anime
entrano in terra innamorate.
Ho chiaro perché l’insieme è medicina,
la solitudine veleno
perché l’uomo solo è in cattiva compagnia,
perché la gioia è a portata di cuore,
non a portata di mente.
Ho chiarito perché gli uomini risorgono
quando smettono di stare accanto
e si mettono insieme.
Solo insieme si parla,
solo insieme si canta,
solo insieme si ride,
solo insieme si ama,
solo insieme si è felici.
Ho chiaro tutto.
L’inferno è tenere le porte chiuse.
La felicità è spalancare le persiane.
(Anonimo)
Mi trovo ora già in via Etnea alla ricerca dei francescani e d’altronde, tempo fa, passando per la strada li ho visti uscire dalla chiesa di via Sangiuliano; convinta ci vado, giro l’angolo, salgo la scalinata, infilo la porta. L’ambiente è in penombra, mi trovo dentro una chiesa antica, ornata di belle pitture, ora mi avvio verso l’altare centrale, dove troneggia il tabernacolo; improvvisamente di fronte al coro di legno antico, un affresco attrae la mia attenzione: vi è raffigurato il profeta Elia che sosta sotto il ginepro e aspetta la morte, perché è troppo stanco e deluso, ma ecco, invece, un Angelo del Signore che gli porta una succulenta focaccia e dell’acqua pura per ristorarlo e per fargli continuare “Il progetto di Dio”.
Mi piace questo dipinto, mi è simpatico questo profeta “sconsolato”, ma il tema non mi sembra francescano. Ma lo è, invece, il vecchio monaco che improvvisamente spunta dalla porticina laterale ed io lo guardo attenta: ha i capelli bianchi, gli occhi vivaci di un colore tra l’azzurro e il violetto ed uno strano giovane sorriso che lo illumina.
Mi alzo e mi avvicino attratta dalla sua personalità ma, osservando il suo abito, noto qualcosa di diverso dai sai indossati dai francescani d’Assisi!
Sollecito e premuroso mi regala un sorriso e mi fa cenno di seguirlo in fondo alla chiesa dove si trova “la stanzetta per i dialoghi”.
“Come ti chiami?” chiede “Rosarita” rispondo pronta. Rifaccio il cammino dell’entrata e in un altare laterale (che prima non avevo notato) vedo la statua di una suora e sotto c’è scritto <<S. Teresa d’Avila>>. Ma Avila è una città della Spagna e che cosa c’entra con i francescani? Mah! Padre Ignazio (così si chiama) nota la mia perplessità e mi dice:“Rosarita, noi siamo carmelitani!” Mi sono appena seduta e di scatto mi alzo:“Mi scusi, padre, io cercavo i francescani” dico convinta, pensando al viaggio ad Assisi e lui subito, con decisione giovanile, mi afferra il braccio e, facendo una dolce pressione, mi invita a sedermi di nuovo e poi, rimproverandomi amabilmente, dice:“Rosarita, ma tu hai il fuoco del vulcano dentro di te, ti prego stai calma, io, invece, sono veneto e le mie reazioni sono lente ed equilibrate. Stai tranquilla ti dico, se il Signore ti ha mandato da noi carmelitani, proprio qui troverai il tuo posto e la tua pace. Proprio in questo periodo il mio giovane confratello P. Vincenzo che, come te ha il vulcano nel cuore, sta dando vita ad una prossima comunità, ora parlane con lui” propone.
Mi guarda, si alza ed io speranzosa lo seguo, perché la parola “comunità” mi vive dentro, è qualcosa di profondo, quasi d’innato per me: il modo unico per poter testimoniare l’Amore di Cristo al mondo!
Entro in sagrestia (vi trovo dei mobili identici a quelli del coro) scendo poi una rampa di scale e mi ritrovo nei locali della chiesa.
Ma che confusione di oggetti: tubetti di colori, pennelli, matite, forbici, cartoncini, lettere disegnate e ritagliate a caratteri cubitali e, in fondo, c’è un altro monaco, giovane, con ricci capelli neri, porta occhiali cerchiati di tartaruga, è bassino, ha un viso rotondo che ispira simpatia. Anche lui meravigliato e imbarazzato per tutto il disordine circostante, mi osserva, ma io non lo guardo subito perché, in un angolo, un robusto cartellone con la scritta appena abbozzata a matita attrae la mia attenzione: “Se sei alla ricerca di qualcosa di nuovo che dia valore e significato alla tua vita “Sta nascendo una comunità di fede per te!”
“Grazie Gesù sei proprio di parola, perché in modo imprevedibile, mi hai dato la risposta che mi avevi promesso ad Assisi per bocca del fraticello”.
Il problema è che io esprimo questo “grazie” ad alta voce e P. Vincenzo
(così si chiama) mi guarda in modo interrogativo, ma subito sembra capire e con fraterno sorriso commenta: “Alleluia al Signore”.
Già parliamo lo stesso linguaggio appena balbettato perché scoperto da poco, poi via via lo vivrò in piena adesione con tutta la carica esplosiva che mi caratterizza. Comincio a frequentare la chiesa di S. Teresa per la celebrazione Eucaristica.
Stasera è veramente ordinato e accogliente il nostro saloncino, P. Vincenzo mi ha invitato per il primo incontro; le sedie, disposte a semicerchio, sono solo dieci, la chitarra è al posto d’onore, vicino c’è la Bibbia!
Entro e mi ritrovo unica “sorella” fra quattro fratelli: P. Vincenzo, Salvo, Aurelio, Pippo, Corrado.
Ma che dolce ragazzetto è Corrado! “Faremo un bel cammino di fede insieme” penso dentro di me.
Ecco lui stringe la mia mano e mi sorride con i suoi limpidi, luminosi e profondi occhi azzurro-verde, mentre recitiamo in coro il Padre Nostro.
Il canto, che P. Vincenzo intona con la sua bella voce, mi colpisce profondamente: <<Siam le catene nessuno ci scioglie, siamo le lacrime nessuno ci asciuga, siamo le tenebre nessuno ci ama … Maranathà maranathà>>.
L’invocazione alla Spirito è insistente, ritmata con canti che mi coinvolgono liberando tutte le tensioni inconsce che ancora mi turbano dentro e (stupore nuovo!) anche il mio corpo partecipa alla preghiera, anzi vi si abbandona, così rifiorisce di giovinezza, di speranza e di fede.
“Tu sei la mia libertà
solo in Te potrò sperare
ho fiducia in Te Signore.
La mia vita cambierà.
La Parola arriverà fino ad ogni
estremità …”
Così sia, così sia, martella il mio cuore e comprendo che ho bisogno di farmi “ricostruire” dal Signore, ho bisogno ancora di lasciare le mie idee preconcette, il mio “stile” di vita ordinato e metodico, ho bisogno di accettare me stessa e la mia “forte emotività” che non deve essere più repressa bensì’ “incanalata”, vissuta quotidianamente godendo della comprensione dei fratelli di oggi. La mia personalità è tuttora caratterizzata dal “divario” esistente tra la mia età cronologica (sono già arrivata ai 40 anni) e la mia età mentale (sono ferma ai miei 20 anni)…
Ora mi sento libera di esprimere la mia “ingenua fede” e il mio “entusiasmo giovanile” e nessuno mostra perplessità, mi accettano come sono!
Certo la mia comunità è solo agli inizi, infatti sta nascendo pian piano con me e vi posso “immettere” il mio contributo esistenziale.
Mentre sto ordinando nella nostra sede dei libri, da uno di essi cade un foglietto ripiegato, lo apro, scritto in una leggera carta velina con caratteri piccoli, tipici di una vecchia macchina da scrivere, leggo:
Un viandante
aveva un’anfora chiusa
nel dargliela gli avevano detto:
“Vi è racchiuso un tesoro”.
Passavano i giorni, i mesi,
passavano gli anni: uguali,
monotoni, duri.
Non uno sprazzo di luce gli allieta
il cammino, non un tepore d’affetto
lo riscaldava lungo il sentiero.
Teneva il tesoro racchiuso,
temeva, guardingo andava soltanto.
Ma che gli valse averlo senza conoscerlo,
senza metterlo in uso,
senza donarlo a qualcuno?
Morì il triste viandante con l’anfora accanto.
Noi tutti siamo viandanti con un’anfora chiusa.
Apriamola: dentro c’è un talento prezioso.
È grande? È piccino? Che importa:
è un talento, se trafficato produce, crea
qualcosa di nuovo, quello che soltanto noi
al mondo possiamo donare!
Oh, sì, ecco ho trovato anch’io il mio piccolo, unico, prezioso talento: la donazione alla chiesa, al mondo nell’ambito immenso di una comunità dove circola l’amore reciproco!
Ma ora è più ricca la nostra comunità, sono venuti: Nando, Nino, Carmelo, Antonella, Francesca, Gina e, alla fine, Nunzio, medico impegnato nel volontariato.
Ora, in ginocchio con il cuore, mi trovo nella nostra accogliente cappella e meraviglia e pace grande dentro di me, pian piano riesco a concentrarmi. tutti i rumori delle case vicine e perfino l’abbaiare di un cane lentamente si smorzano, poi spariscono del tutto: sento solo il ritmo del mio respiro leggero e soave e ti contemplo in me. Già riesco a “gustare” la tua Santa Presenza e mi basta, la mia tipica inquietudine si è come placata nel mare sereno della preghiera. Respiro la pace, godo del silenzio divino che regna in questa “nostra cappella” e il mio corpo riposa al sicuro e sereno nei rustici francescani cuscini di juta. Il mio sguardo è assente, si perde nella lucentezza di un rilucente prato verde! Che gioia dentro di me! Ma da quanto tempo son qui? Ora il sole prepotente riesce a penetrare nella stanzetta superando la protezione della pesante tenda di velluto verde e così capisco che è tardi e lo sguardo rapido al mio orologio me lo conferma è passato da un po’ mezzogiorno! Chi mi aprirà la porta d’uscita? Svelta prendo la borsetta e il quaderno, scendo le prime scale, continuo, scendo anche la seconda rampa di scale e mi ritrovo nei nostri locali; dalla stanzetta attigua alla segreteria si affaccia Pippo, io lo saluto premurosa: “Hai le chiavi per aprire la porta d’uscita? chiedo incerta “Sì, certo” risponde “Ma da dove vieni? Io stamattina non ti ho visto passare, ho lavorato poco e male, perché sono stato disturbato dai rumori provenienti dalle case, specie dall’abbaiare del cane vicino a noi”. Rispondo “Io stamattina sono stata in cappella un bel po’ di tempo, ma ho goduto di “un divino silenzio”, solo all’inizio ho sentito qualcosa mi pare, anche l’abbaiare di un cane”.
Ma che bello! La nostra cappella è veramente “il deserto nella città”. Pippo mi guarda interdetto poi si avvicina e mi abbraccia, congratulandosi con me per la mia ”speciale capacità di sapermi isolare dal mondo circostante”.
Scendiamo insieme le scale d’uscita, ma presto in via Etnea ci separiamo, abbiamo da raggiungere punti opposti della città per ritornare nelle nostre case.
Cammino attenta, devo riportare salva a casa mia “la pianticella” tenera della gioia: è delicata, ha un colore verde chiaro ed ha delle foglioline che sembrano di carta velina, deve essere curata ogni giorno: innaffiata con l’acqua della speranza e con la luce rilucente della … preghiera.
Il fiore azzurro della gioia è ancora vivo dentro di me ora che, sul finire dell’Ottobre dell’81, mi ritrovo a scuola, non più con i miei alunni di quinta classe, bensì con i piccoli di prima elementare.
Il mio motto è ancora “ricominciare con entusiasmo” e strano, più passa il tempo più mi sento realizzata, impegnata nella mia “missione di maestra”.
La scuola è per me una seconda “chiamata”, una seconda vocazione e vi porto dentro la carica esplosiva della mia “personalità” che vive anche il lavoro <<con animo perturbato e commosso>> come dice Vico, e lo posso fare pienamente perché sono ancora maestra unica. Che bellezza! Che grazia! Voglio offrire anche ai nuovi bambini la possibilità di apprendere in … modo gioioso, ricreando quel clima di serenità e d’intesa reciproca che caratterizza il mio “insegnamento”. Li guardo ora uno per uno. Ma come sono belli questi nuovi bambini nei loro lindi colorati grembiulini e con i loro limpidi occhioni dove si riflette la luce del cielo!
Di colpo con la memoria del cuore, che ho molto sviluppata, rivedo i miei alunni di quinta, non più alti e cresciuti come li ho lasciati negli ultimi giorni di giugno, bensì piccoli, graziosi, belli, incerti come erano quando, per la prima volta, nella loro prima classe prendevano in mano la matita per … scrivere.
Oggi frequentano la scuola media fisicamente, ma io, stranamente risento dentro di me le loro voci, le loro squillanti risate infantili, le loro domande, i loro “perché”. Ripeto a me stessa che tutti, proprio tutti, i piccoli di oggi devono avere la possibilità di esprimere le loro potenzialità, il mio compito è quello di essere una guida presente, sollecita, attenta! A me tocca solo intrecciare con ciascuno un rapporto personale, instaurare quella <<corrispondenza d’amorosi sensi>> di foscoliana memoria. È davvero “fascinoso” e “affascinante” l’intesa che ad ogni anno scolastico riesco a creare! Posso farlo, so farlo! Mi viene naturale comunicare con i bambini, li amo e loro ricambiano di cuore!
E la mattina tutti mi corrono incontro, felici di salutarmi appena scendo dalla macchina e in coro, cinguettano “Maestra, maestra Rosarita!”
Ora è il momento della ricreazione, sono in classe, recitiamo insieme la preghiera e poi si può apparecchiare! Tutti hanno una pulita, colorata tovaglietta, la bottiglia dell’acqua e via, possiamo consumare “lo spuntino”.
Anche sul mio tavolo c’è una colorata tovaglietta e ora gusto con piacere una matura banana.
Ma ecco che Orazio ha già consumato il suo spuntino, titubante si avvicina, mi guarda perplesso con i suoi grandi verdi occhi lucenti e chiede: “Tu sei una maestra o sei una bambina?” “Perché?” domando meravigliata. “Ecco mangi la banana come fanno le scimmie, non prendi il caffè, non fumi, non leggi il giornale!”
Rido di cuore e lo rassicuro sulla mia identità di “maestra” aggiungendo che il giornale lo leggo a casa mia la sera, il caffè non mi piace, il fumo mi fa male.
Orazio si sente rassicurato e per affermare il mio ruolo di “adulta” lo scelgo come mio segretario per distribuire i foglietti speciali del disegno individuale, così quando i compagnetti finiranno lui potrà ritirare gli elaborati. Orazio mi abbraccia forte alzandosi sulla punta dei piedini ed io gli faccio notare che sono molto più alta di lui.
<<se non vi farete come bambini non entrerete
nel regno dei cieli>>
“O Signore, ti prego, fammi conservare nel tempo “la freschezza” di questi momenti!” ?" penso e prego dentro di me.
Oggi stranamente mi sento una “bambina” in mezzo a loro!
Ho permesso agli alunni di darmi del tu e mi sembra molto personale questo nostro rapporto fatto di rispetto, amicizia, collaborazione.
Il gruppo-classe, in ordinato, sereno silenzio, ha già ripreso a lavorare.
Ognuno prova ad esprimere le proprie emozioni con un disegno personale, per completare il grande cartellone dal titolo <<L’amicizia>> che servirà per la prossima drammatizzazione con la presenza dei genitori che seguono con interesse e simpatia la vita scolastica.
Passeggio tra i banchi e … guardo il disegno ben fatto di Agatella (bambina con problemi) e chiedo sorridendo: “L’hai fatto tu?”. Sta zitta e subito Fiorella, sua compagna di banco, mi dice: “Maestra, tu hai detto che dobbiamo fare un disegno sull’amicizia, Agatella stava per piangere e allora prima ho fatto il suo disegno (per amicizia) ora faccio il mio, non preoccuparti, il mio non sarà uguale al suo!”.
Mi controllo a fatica, ho una voglia matta di abbracciarla, ma mi limito a dir piano: “Va bene”. Ora Agatella, più tranquilla, sta colorando tutto il suo disegno di uno strano colore: rosso fuoco il viso del pupazzo, il corpo e perfino i capelli … perché il disegno è “suo” e l’ha interpretato così … Ma forse è il rosso colore dell’Amore che lei ha sperimentato nel gesto della compagna? Chissà??
Sono contenta un mondo, Agatella ha già trovato un aiuto reale oltre al mio e diventerà “brava”.
Evviva la scuola dove la legge è l’Amore, non più le rigide caselle delle istituzioni! Evviva la libertà dell’insegnamento, evviva il rapporto magico che può nascere solo in una classe dove regna la libertà, il valore supremo della persona umana: ognuno dà in rapporto alle proprie possibilità raggiungendo il massimo grado d’impegno. Che meraviglia una scuola così! Che fortuna per una maestra il poter donare il meglio di sè, che fortuna per i bambini vivere in questo ambiente di gioiosa operatività!
Finalmente una radiosa giornata domenicale del Luglio 1981, mi ritrovo a vivere un’esperienza di fraternità con riflessione, deserto, pranzo comune e infine la Celebrazione Eucaristica pomeridiana!
Ma prima di iniziare la giornata comune do uno sguardo alla casa che ci ospita qui a Monte Carmelo, vicino Lentini.
Siamo in piena campagna: intorno alla casa alberi secolari disposti a semicerchio proteggono “la clausura” dei monaci, custodiscono e rendono sacra la loro vita spesa fra la preghiera e il lavoro dei campi. Passeggiando osservo i lunghi, bassi filari di … pomodori verdi e rossi e altri filari ancora, ma non più pere, bensì rilucenti e violette melanzane e più in là, un po’ più giù dalle serre di ortaggi, fanno capolino lunghe e lucenti le zucche verdi e lisce che si espandono in lunghezza occhieggiando appena fra le verdi grandi foglie ricoperte da una tenera peluria protettiva.
Mi viene in mente una preghiera dal titolo “Chi è il mio Dio?” e quasi senza accorgermene la ripeto a fior di labbra, mi è stata regalata da un’amica, ed immersa in questa natura sfolgorante, la faccio mia.
Chi è il mio Dio?
Il mio Dio è il Dio che pianse alla morte di Lazzaro,
il mio Dio è il soffio dolce del vento
sui capelli baciati dal sole,
il mio Dio è nel primo sorriso di un bimbo
che tutto guarda con dolcissimo stupore,
il mio Dio è l’alba che ogni giorno nasce per te e per me,
il mio Dio è l’aurora, è il tramonto
che ogni giorno muore,
per risorgere poi in una nuova alba,
il mio Dio è la luce,
il mio Dio è il buio,
il mio Dio è anche dolore,
il mio Dio cinguetta con i passeri nel cielo,
il mio Dio profuma come un fiore sulla neve
o su un prato,
il mio Dio è acqua limpida che disseta e dona la vita,
il mio Dio è la speranza che domani sarà con me,
il mio Dio è la forza che mi sostiene, mi è accanto
e che a volte mi porta in braccio,
il mio Dio mi osserva, vede la mia goffaggine,
le mie cadute, i miei errori.
Ma il mio Dio mi ama come solo un folle può amare,
il mio Dio è l’Amore che non potrà mancarmi mai.
Concita Sambataro
lo vivo e lo respiro sensibilmente ancora immersa in questo piccolo grande spazio della creazione.
Ho appena finito di fare il primo giro esplorativo e mi ritrovo davanti al saloncino vuoto. Le sedie sono già disposte a semicerchio e, strano, sul tavolo, oltre ad alcune Bibbie ci sono diversi foglietti che formano un mucchietto, ne tiro via uno e lo guardo: <<Il Signore per più di un anno ti ha fatto camminare con l’aiuto dei fratelli (la tua comunità), ora devi impegnarti tu di persona per aiutare i nuovi fratelli che il Signore vorrà mandarci>>.
Istintivamente, a voce alta, rispondo: <<Sì, lo farò volentieri, devo restituire ad altri fratelli la gioia che tu, Signore, mi hai donato>>.
Stavolta sono proprio fortunata perché il saloncino è vuoto, solo un passero curioso, appoggiato al grande albero che si intravede dalla finestra aperta, ha ascoltato il mio proposito e cinguetta il suo allegro “cip” di … approvazione.
Mi avvicino all’ingresso del salone e cerco i miei fratelli: P. Vincenzo e Pippo sono vicino alla macchina e stanno trasportando il microfono e la chitarra, più in là Aurelio ha già in mano i libretti dei canti. Più lontano si intravedono Nando, Francesca, Nino, Antonio, ma … dove si trova Corrado? Non è venuto oggi?
Ci avviamo tutti verso l’entrata del saloncino; mentre girata sto per entrare, mi sento passare una mano davanti agli occhi e una voce nota mi chiede: <<Chi sono?>> rispondo sicura: <<Corrado>> e girandomi di scatto lo abbraccio forte.
mani e fiumi benedite il signore,
uccelli dell’aria benedite il signore
recitiamo con le lodi mattutine.
Le vicine colline sembrano rispondere alla lode mostrando lo sfolgorio dei loro colori giallo e verde, anche il mare in vicina lontananza offre il suo “sorriso” espresso dall’incresparsi delle onde e infine gli uccelli uniscono il loro canto al nostro e, guarda un po’, riescono ad essere intonati!
Noi tutti lodiamo il Signore e lo vediamo visibile nel volto dei fratelli. Certo non posso guardare il mio volto, ma vedo il riflesso della mia gioia in quello di Corrado.
Con il salmista ripeto
com’e’ dolce e soave che i fratelli stiano insieme
Aurelio con la sua bella dizione, prende il foglietto che gli porge P. Vincenzo e legge: <<Signore tutti noi siamo dei chiamati convocati dal Tuo Amore fatto carne, La nostra vita cristiana è dunque una vocazione che ha come motivo qualificante l’Amore Tuo per noi. L’Amore è il modo in cui Tu ci chiami, ma tutto ciò non basta, occorre capire a che cosa siamo chiamati e per che cosa siamo interpellati.
(Sussulto: ma io lo so! Lo so già!)
<<Ogni vocazione infatti implica un’azione, una dinamica, un compito. Fa’, o Signore, che la Tua chiamata provochi in noi una risposta totale e decisiva, fa’ che sappiamo ascoltarti e fa’ che possiamo scoprire qual è il nostro posto nel Tuo disegno>>. (A. Pronzato)
Nel totale silenzio P. Vincenzo ci esorta:<<Buon deserto a tutti. Ci rivedremo tra due ore!>>
Esco, nessuno disturba la mia “riflessione”. Mi incammino fra gli ampi spazi della campagna di Monte Carmelo, trovo un sentiero appena accennato, vi entro decisa e alla fine arrivo vicino ad una rupe lavica circondata da ciuffetti di erbe e da fiorellini di campo: <<Dio mia rupe, mia potente salvezza!>> prego poi volgo lo sguardo intorno, ecco laggiù lontano il mare infinito sembra toccare il cielo infinito. <<Padre nostro>> mormoro <<che sei sulla terra>>, Padre mio, ti ringrazio di questa “sosta” che mi hai regalato in modo gratuito e poi mi è sembrato “congeniale” il passo offerto alla mia riflessione personale. Ho riconosciuto lo stile provocatorio, incisivo e fraterno di A. Pronzato, che è da sempre il mio preferito.
Signore ti lodo perché con ciascuno di noi usi “una speciale tattica” per incontrarci nelle nostre strade.
Alla donna samaritana hai chiesto dell’acqua per estinguere la tua sete di uomo e poi hai donato a lei < l’acqua di vita eterna>, a Zaccheo che ti aspettava curioso sul sicomoro solo per vederti passare, tu hai chiesto ospitalità e il povero usuraio con uno slancio di conversione sincera afferma: <signore se ho defraudato qualcuno ne restituirò il quadruplo>. Che grossa fortuna per i poveretti “defraudati” da Zaccheo!
Su, ti ascolto <<Hai qualcosa da proporre anche a me?>>. Riprendo a passeggiare nella bella campagna e improvvisamente un alto, grande pergolato appare alla mia vista. Che bello! Ho capito mi hai sempre “parlato” attraverso gli alberi: la prima volta mi hai aspettato sul lago vicino agli alberi secolari di Gambarie, poi mi hai aspettato a Lentini tra i filari di pere e ora mia stai aspettando presso le viti di Monte Carmelo.
<<Fa’, o Signore, che io non mi distacchi mai da Te mia “vite” mia “vita”>>
Com’è dolce il venticello che mi accarezza complice di tanta pace! Sento dei passi svelti, tutti stanno per ritornare per “condividere” con i fratelli, le riflessioni del deserto.
Inizia a Settembre ’81 il nuovo anno sociale. Il mio cartellone speciale <Sta nascendo una comunità di fede per te> fa bella mostra di sè all’ingresso della chiesa e via via ben presto intere famiglie vengono da noi coinvolte dalle nostre speciali Messe animate da canti corali e da testimonianze singole e fra esse non manca la mia.
Ora fra noi arrivano Pina e Antonio che, quale docente universitario, arricchisce di fede e di cultura teologica i nostri incontri comuni. L’affinità elettiva che, ricca e spontanea, nasce fra noi tre è profonda e duratura e diventa una bella amicizia personale.
Ecco “l’amicizia” è il “dono” nuovo che scopro e vivo nell’ambito di questa comunità.
È una bella sera, infatti, per la prima volta in tutta la mia vita, usciamo per divertirci insieme ed andiamo al Luna Park.
Nando, Nino, Antonella, Aurelio camminano sicuri verso la ruota panoramica, ma io mi sento indecisa. Nando e Nino si voltano, mi danno la mano, mi rassicurano e, non so come, mi ritrovo seduta sulla ruota panoramica; per prudenza (ma in realtà per un’istintiva infantile paura) mi metto al centro e ai lati ho due “fratelli” . La paura va via pian piano, vivo intensamente la nuova, strana esperienza che avrei dovuto fare da ragazza, no ora, ma Nando mi sussurra:<<Lo spirito non ha età, divertiti!>>. Ardita tiro la leva e andiamo ancora più in alto <<Volare oh, oh, cantare oh, oh, oh>> e mi sento tanto vicina alle stelle. Provo una sensazione di libertà e gusto in pienezza questo “momento” grazie alla disponibilità dei miei fratelli che godono nel vedermi così <<elettrizzata, come un’adolescente!>>.
Il nuovo anno si conclude con una giornata comune a Monte Carmelo e stavolta siamo in molti, le giovani famiglie sono ricche di figli e i bambini corrono, saltano, giocano, ridono nella bella campagna sicula.
Particolarmente festoso è il nostro domenicale Banchetto Eucaristico con tre sacerdoti concelebranti, con l’animazione musicale, con il momento di testimonianze di vita per confermare <<le meraviglie operate dal Signore Gesù>>. E la Parola di Paolo risuona ancora dentro di me: <<e se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità non sono nulla …. la carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità, tutto copre, tutto crede, tutto sopporta>> (1 Cor. 13, 11).
La carità diventa il tema dominante dei nostri incontri con l’attenzione agli ultimi: ai poveri di salute, ai poveri di speranza e specialmente ai più poveri dei poveri: i poveri di Dio.
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