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Carla all'Ufficio Postale
"... e poi lei mi ha detto: - Oh no, Carla. Stavolta non posso darti ragione. Lo sai come sono fatta, sono fatta così. Dico le cose come stanno, e stavolta non posso proprio darti ragione".
Carla.
La stava ascoltando da quasi dieci minuti, ma per Stefano, in piedi dietro di lei e in fila come gli altri nell'ufficio postale, erano passati giorni.
In dieci minuti Carla aveva raccontato alla donna che aveva accanto (che molto probabilmente era sua conoscente) tutta quanta la conversazione che aveva avuto con sua cugina un paio di settimane prima, per filo e per segno, senza omettere nulla e interpretando entrambe le parti come durante una prova di lettura di un copione.
E il suo odore. Dio, era terribile. Carla era una donna grassa (non grassa da poter definire obesa, comunque) e le sue ghiandole sudorifere si stavano dando un bel da fare quella mattina.
Quindici minuti. Stefano guardò oltre la donna. C'erano altre otto o nove persone, prima di lui, Carla esclusa.
"Davvero?", stava dicendo la sua conoscente riferendosi a qualcosa che Stefano si era momentaneamente perso. "Che faccia tosta".
"E sai io cosa ho risposto?", continuò Carla la grassona, con la sua faccia rosea e con i suoi occhietti vispi.
"Cos'hai risposto?", la incitò l'altra, avidamente attratta dall'epica conclusione di tutta la faccenda. O almeno, di quella che Stefano sperava fosse la conclusione.
58. Allo sportello una giovane donna lasciò il posto ad un anziano che molto probabilmente doveva riscuotere la pensione.
Stefano guardò il biglietto che aveva in mano. Lui era il 66.
Sbuffò e abbassò lo sguardo massaggiandosi gli occhi.
"Eh no cara mia", stava dicendo Carla, ora. "Quando qualcuno mi pesta i piedi divento una belva. Sono buona e cara, ma quando qualcuno mi pesta i piedi divento una belva".
E come a sottolineare questa sua ultima affermazione, Carla ne mollò una. Niente di eclatante, solo una piccola fuoriuscita di aria.
Gesù, pensò Stefano. Rialzò gli occhi e tornò a guardare in direzione dello sportello. L'anziano che forse doveva riscuotere la pensione stava estraendo il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni, ma con una lentezza... La mano tremante, incerta...
Muoviti, lo spinse Stefano con la mente. MUO-VI-TI-
L'anziano depose il portafogli sul banco dello sportello e riprese fiato. La ragazza dall'altra parte sorrise e gli disse di fare con calma. Che non c'era nessuna fretta.
"Ma con quale coraggio si dicono certe cose?", tornò a bomba Carla. "E non è che sei una santa. Con tutto quello che hai fatto", era riferito a sua cugina. "E non farmi parlare, per amor di Dio, perchè uscirebbero solo cattiverie".
E anche qualcos'altro, aggiunse mentalmente Stefano ripensando alla fuoriuscita di gas di qualche minuto prima.
"Una così dovrebbe essere lasciata fuori da tutto. Isolata", stava dicendo l'amica di Carla. "Ma come si permette?".
"Già. È quello che le ho detto anch'io. Le ho detto: - Ma come ti permetti? -, e lei sai come mi ha risposto?".
Sentiamo, pensò Stefano. Ma si perse il resto, quando qualcuno lo urtò alle sue spalle.
Si voltò. Una ragazza di forse trent'anni con in braccio un bambino che scalciava ripetutamente desideroso di essere messo a terra.
"Stà buono", gli disse lei. "Non puoi scendere e andare in giro. Guarda quanta gente", poi, rivolta a Stefano. "Mi scusi tanto. Ma non ha nessuna voglia di stare in fila".
"A chi lo dice", rispose lui senza accennare l'ombra di un sorriso.
59. Finalmente quell'anziano era riuscito a riscuotere la sua pensione. Ora era il turno di una coppia.
"Me lo può tenere un attimo?".
Stefano si voltò di nuovo. Guardò la giovane mamma con aria interrogativa.
"Me lo può tenere un attimo?", ripetè questa.
"Oh. Sì. Certo". Stefano prese in braccio il bambino scalpitante, mentre la donna cominciava a rovistare nella borsa in cerca forse di una bolletta o di chissà che altro.
Il bambino grugniva. Era rosso in volto. Paonazzo.
"A quel punto non ci ho più visto", sentì dire da Carla. "E ho sbattuto tutte le sue cose a terra!".
"Davvero?", sentì rispondere l'altra donna.
Il bambino mandò un grido dirompente, stridulo e insidioso (come solo i bambini sanno e possono fare) e Stefano ebbe un sussulto.
"Buono, buono. Mamma ha quasi fatto", disse la giovane mamma che intanto si era chinata sulle ginocchia e aveva riversato tutto il contenuto della borsa sul pavimento.
60. La giovane coppia era stata veloce.
Fu il turno di una donna carica di borse per la spesa.
"E ha cercato persino di mettermi le mani addosso!". Carla.
"Da non credere".
"Era inferocita! Non l'avevo mai vista così. Mi sono spaventata a morte".
"Povera Carla. E dopo cosa è successo?".
Stefano tornò a guardare il bambino. Si era accorto che lo stava fissando. Ora era stranamente calmo. Immobile.
"Le toglierò la voce", disse il bambino. "È questo che vuoi".
Stefano sbattè le palpebre. Quel bambino aveva davvero parlato. E la voce che era uscita dalla sua bocca non aveva niente di infantile. Era la voce di un uomo.
"Un attimo e sono da te, amore", stava dicendo la sua mamma, ancora china sul pavimento.
"Posso farlo", continuò il bambino.
In quell'istante Stefano si accorse che stava succedendo qualcosa alle sue spalle. Carla aveva cominciato a tossire.
"Ora", sibilò il bambino.
Carla si portò una mano alla gola. Non riusciva a respirare. "Oh mio Dio! Carla", strillò l'amica. "Aiuto! Sta soffocando!".
L'uomo in fila davanti alle due amiche si voltò, sorpreso.
Carla mandava versi soffocati, adesso. Muoveva la bocca ma non uscivano parole.
"Aiutatela, vi prego!", gridava l'amica. Ormai l'attenzione di tutti i presenti era rivolta a Carla.
La mamma del bambino spostò Stefano da parte e la sorresse, un attimo prima che Carla piombasse con tutto il suo peso sul pavimento.
La adagiò a terra. "Non statele intorno! Lasciatela respirare!", disse mentre le sbottonava la giacca e la camicetta.
Carla ora respirava a fatica. Emetteva come un fischio, dalla gola. Un suono inarticolato che forse voleva dire "aiuto".
Stefano osservò la cosa che teneva in braccio. Era gelida, adesso. E pesante.
Il bambino ricambiò lo sguardo. I suoi occhi erano neri e lucidi.
Qualcuno nel frattempo aveva chiamato un'ambulanza. Stefano sentì la sirena arrivare in lontananza. Ma per Carla non c'era più niente da fare.
Alle undici meno un quarto di quella mattina, Carla era morta.
Soffocamento, avrebbero scritto i giornali il giorno dopo. Una fatalità.
La giovane mamma e Stefano guardarono i soccorritori portar via la donna sulla lettiga.
"Poverina", sussurrò la ragazza con un sospiro. Poi, ricordandosi di suo figlio: "Prego, lo dia a me". Stefano le porse il bambino con aria frastornata. "Grazie".
La fila si ricompose.
Stefano spostò gli occhi su tutti i presenti. Ognuno aveva qualcosa da dire su quello che era successo. Ognuno a voce bassa. Per non disturbare.
61.
Tra poco sarebbe arrivato il suo turno.
Stefano aspettò. E per tutto il tempo non potè far altro che rabbrividire nel sentire il respiro gelido della cosa che aveva alle spalle e che stava come un bambino in braccio a sua madre.
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1 recensioni:
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- Davvero un bel racconto, coinvolgente, originale e ambientato in una situazione, ahimè, che sento molto, le dannate ed infernali file all'ufficio postale. Ed infatti qualcosa di infernale o diabolico c'è. Stile di scrittura buono, diretto ed accattivante. Qualcosina da correggere, es. : sudorifere --> sudoripare, ma per il resto veramente un bel racconto. Complimenti.
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