“Amore e morte. La stessa cosa in fondo. Nell’uno e nell’altra si rinunzia alla propria individualità, ci si dona, ci si annulla.” Frank Graegorius
CAPITOLO PRIMO
Sembra incredibile, eppure questa estate rivedo le compaesane che ho amato e ammirato quando ero ragazzo. Una sartina bionda, che ho salutato. Una dirimpettaia che indossava sempre un vestitino verde con una collana per cintura. Una bruna coi capelli folti e l’espressione attenta.
Sono incontri fuggevoli, per strada. Adesso le ragazze sono diventate donne, alcune cambiate, altre più o meno le stesse. Erano 20 o 30 anni che non lo vedevo. Si erano sposate, trasferite. E adesso sono ritornate qui, a Zollen.
La vita è un sogno e il passato ritorna. Amiamo, crediamo, vogliamo; facciamo quello che abbiamo già fatto, amato, voluto, creduto. O forse non è così. Ma ci sono cicli nella vita e le cose si ripetono su un altro livello.
In questo caldo pomeriggio di agosto ho rivisto Mirella. Erano 30 anni che non la vedevo, da quando si è sposata e si è trasferita in un altro paese. Adesso è divorziata ed venuta per salutare la vecchia mamma. Io mi trovavo per caso davanti al suo giardino e ho visto Mirella mentre entrava dal cancello.
Mirella mi guarda e non dice niente. È bella e seria. Allora la saluto e poi restiamo a parlare. Mi racconta un po’ di lei e dopo mi chiede che lavoro faccio, se mi sono sposato. Ma una vita è lunga da raccontare, specie se ha avuto tante giravolte e cambiamenti. Mirella è la stessa ragazza di 30 anni fa, che io ammiravo quando passeggiava con la gonna pieghettata color blu.
La vita è un cerchio. Ritornano dopo intervalli di anni le stesse passioni, gli stessi oggetti; ritornano i desideri di una volta e tutto si ripete.
Oggi, in un pomeriggio piovoso ho rivisto Laura, l’amica di Mirella. Anche lei dopo 30 anni. È un po’ ingrassata, imbruttita; adesso porta gli occhiali. Era una delle più belle ragazze del paese una volta. L’ho incontrata improvvisamente davanti alla casetta di suo papà, vecchio e solo, che lei sarà venuta a trovare. Anche Laura è divorziata, dicono. Laura mi ha guardato, a lungo, in silenzio, forse aspettando che le parlassi; ma mi è mancato il coraggio e non sapevo cosa dire. La donna al primo incontro incenerisce il maschio. Così ho proseguito. Chissà fra quanti anni la rivedrò...
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Uno dei piaceri più grandi della vita è ritrovare gli amici e le amiche conosciute in gioventù. Fa tornare indietro negli anni, sembra di ritornare giovani. Oggi vado in bici da Nicholas. È un mio amico di infanzia e poi ha una sorella, Ketty, bruna, bella e nubile. È un pomeriggio di fine agosto. Il caldo si è guastato. Non c’è un filo di vento. Calma piatta in campagna, nei campi dorati dal mais secco o già tagliato. Il sole si è molto spostato e scalda meno.
Arriva la sera, aromatica, strana. La piazza di Zollen è sempre meravigliosa; nella luce gialla le querce e i tigli hanno i riflessi dell’oro antico. Profumo di mais e profumo di fieno. È una sera di capelli, di stagioni passate, di amori finiti.
Attraverso il paese e percorro sempre in bici la stradina di campagna che porta da Nicholas. Il sole al tramonto è una ferita di sangue sopra un campo di stoppie di girasoli.
Una ragazza con i capelli lunghi sta china per innaffiare i gerani. È Ketty. Indossa un vestito rosso ed è bellissima. La chiamo. Mi avvicino mentre lei si volta e si mette una mano sul cuore per fingere uno spavento.
“Ketty! Hai visto cosa è arrivato?” le dico indicando il suo giardino.
“No. Che cosa?”
“L’autunno.”
Entriamo in casa. Dalla finestra sul retro vedo l’orto e i campi. L’autunno strangola il paesaggio.
Ci sediamo in cucina. Nicholas parla delle sue passioni sportive: “Faremo il campionato di bocce da Mary. Partecipi anche tu?”
“Sì.”
“C’è in progamma una corsa ciclistica con Robert, Tullio e il barbiere. Ti unisci a noi?”
“Sì, sì...”
Come al solito l’amico tira fuori il mazzo di carte e giochiamo a scopa. Ketty è seduta vicino a me, ci guarda e non partecipa al nostro gioco. Mentre giochiamo sento il profumo di Ketty, il profumo amaro dei suoi capelli. È sempre colpa dell’autunno che sta arrivando. In questa stagione il bisogno della femmina si fa sentire, diventa viscerale. La Natura in sfacelo, i giorni corti, la luce gialliccia; tutte queste cose mi spingono a cercare conforto nelle braccia di una donna. Non è il bisogno sessuale. No! Voglio solo le mani bianche di una donna da tenere in mano. Voglio solo accarezzare i suoi capelli, sentire il suo respiro, il suo calore, la sua morbidezza.
La sera trascorre lenta fra giri di carte, pensieri, emozioni. La pendola del salotto batte le dieci ed è ora di andare via.
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Ho avuto molto lavoro durante tutto il mese di settembre e ho rimandato le mie visite a casa di Nicholas, che però vedo ogni tanto. Abbiamo tutto l’inverno per giocare a carte.
Invece quella è stata l’ultima volta che ho giocato a carte con lui.
In questo mattino di ottobre freddo e nebbioso, arriva l’amico Robert a casa mia. È serio e appare molto agitato: “Hai sentito la novità?”
“No!”
“Nicholas è morto. Stanotte di infarto.”
Rimango senza parole e Robert prosegue: “Era cardiopatico. Vado a comprare i fiori. Fra due giorni ci sarà il funerale.”
A mezzogiorno vado a casa di Nicholas. Suono il campanello e un signore mai visto mi apre la porta e resta a guardarmi in silenzio.
“Sono un amico di Ketty...” dico.
“Vuole vedere...”
“Sì.”
“Entri.”
Poi scompare dietro una porta e chiama: “Ketty”
Esce la sorella con una maglia colorata. Mi guarda e tace.
“Ciao...” sussurro piano.
“Hai saputo?”
“Sì.”
Ketty mi porta in salotto dove c’è la bara con dentro suo fratello.
Restiamo in silenzio con i nostri pensieri. È questo il secondo amico che scompare, questo anno. Mi dà un illusorio senso di durata vedere gli altri morire mentre io resto qui. Ma sono tristi queste perdite. La morte è troppo definitiva. Perdere un amico per 10 o 20 anni andrebbe bene; ma sapere che non lo rivedrò mai più... Mio Dio, c’è da impazzire.
Steso dentro alla cassa il mio amico sembra che dorma. Solamente la faccia ha un colore più scuro.
“Come è successo?” chiedo.
Ketty si avvicina e a bassa voce incomincia a raccontare: “Due anni fa, quando si era sentito male, aveva forti dolori al petto e abbiamo chiamato subito l’ambulanza per portarlo all’ospedale. Stanotte si è sentito male, ma senza provare dolori. Aveva solo un po’ di vomito. Ho fatto una limonata e abbiamo aspettato a chiamare il medico... ”
Ketty incomincia a piangere e a venirmi sempre più vicino, forse aspettandosi che la abbracci. Sento il suo alito profumato sulla mia faccia quando riprende a raccontare:
“Questa volta era una trappola. Lui non sentiva male perchè stava spegnendosi... stava morendo...”
Poi i parenti la chiamano. Arrivano altre persone e io mi preparo ad andarmene. Sulla soglia Ketty muove appena la mano; io gliela stringo e la ragazza mi attira vicino per darmi un bacino sulla guancia.
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Sembra impossibile come la vicinanza della femmina sia bastata a mandare all’aria tutti i miei interessi sulla Poesia. Sono bastati dieci minuti in compagnia di Ketty ed ecco che quasi rinnego la mia vita fondata sui libri.
Questa notte i ricordi cadono su di me; ritornano immagini, eventi, scene di vita vissuta; momenti che riaffiorano dal passato, che escono dall’oblio; piccoli particolari che fanno soffrire e ricordare.
Ricordo Nicholas. Era un ragazzo estroverso, espansivo; tutto il contrario di Ketty, chiusa e silenziosa. Nei freddi pomeriggi di inverno andavo a casa di Nicholas per giocare a carte o a dama. Giocavo, e intanto ammiravo Ketty china sul suo ricamo. La ragazza lavorava in silenzio, mentre io di sfuggita la osservavo e la desideravo. Ah, quanto la desideravo... Ma lei appariva fredda, lontana e non parlava mai.
A volte io e Nicholas stavamo in salotto perchè lui fumava molto, mentre Ketty stava in cucina a preparare i cibi. Potevo vederla dalla porta aperta o dai riflessi sui vetri della credenza.
Nei nebbiosi pomeriggi delle domeniche di inverno, mi piaceva andare da Nicholas per scaldarmi accanto al camino. Se Ketty si trovava in cucina, usciva subito per andare in un’altra stanza. Ma mi bastava vederla di sfuggita per sentire la mia anima illuminarsi durante tutto il giorno. E segretamente io mi dicevo: “Oggi è stato un pomeriggio fortunato; oggi ho visto Ketty”.
Altre volte la ragazza si trovava in cucina, ma poi inaspettatamente attraversava il salotto dove eravamo noi, e scompariva in un’altra stanza. Avrà un fidanzato, avrà la sua vita, pensavo. E seguitavo a giocare a carte con Nicholas. Ricordo che una volta gli dissi scherzando: “Mi piace Ketty”.
E lui mi ha risposto: “Mia sorella non può avere una vita normale. Aveva molti pretendenti ma non si è sposata per motivi di salute.”
“Mi pare che stia benissimo...”
“No. Tu non conosci il suo passato.”
Non ho più avuto il coraggio di chiedere altro.
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Al funerale siamo in pochi. Ci sono i parenti di Ketty venuti da lontano, gli amici di Nicholas. Qualche vecchia beghina.
Il cimitero di ottobre è triste e infangato. Mi trovo fra un gruppo di persone, alcuni amici, altri sconosciuti, in attesa sotto le colonne dell’ingresso. Guardo la sorella dell’amico morto, circondata da parenti. Guardo il sole giallo oltre i tigli quasi spogli, la foschia della lontananza.
Vicino a una colonna c’è una donna. È molto bella. Indossa un paltò grigio, ha i capelli lunghi e un viso serio e un po’ arrossato. Mi pare di conoscerla, mi sforzo di ricordare e improvvisamente un bel ricordo affiora nella mia memoria. Una sera di aprile, quando eravamo ragazzi e io la spingevo sull’altalena. Sono passati quasi 30 anni ma lei è sempre la stessa, anche se un po’ invecchiata. Non ricordo più il suo nome... Elizabeth, forse... ricordo che aveva un fratellino... È scomparsa da Zollen pochi mesi dopo che l’avevo conosciuta, trasferita, sposata, chissà!
A voce bassa chiedo a un amico vicino a me se conosce quella donna. Lui la guarda poi mi fa cenno di no con la testa. Ancora il tempo beffardo che gira su sè stesso e ritorna indietro. Ma no, sono solo coincidenze.
Arrivano altre persone, arriva il prete, arrivano i becchini con la bara. L’amico sta dentro quella cassa. Chissà se riesce a vedermi, chissà se riesce a leggere i miei pensieri. Forse no.
Finita la cerimonia molti vanno via. Io, insieme a pochi altri, cammino verso il fondo del cimitero. C’è una buca e due grassi becchini, con le corde calano dentro la bara. I fiori vengono messi da parte. La sorella del morto piange in silenzio, sorretta dai parenti.
La donna bella e sola la ritrovo più vicina adesso. Sta dietro di me, vicino a una cappella diroccata. Vorrei parlarle, dirle qualcosa, ma come al solito mi manca il coraggio.
Le palate di terra riempiono la buca con rumori sordi. I parenti accompagnano fuori Ketty e poi vanno via. Mi incammino anch’io verso l’uscita per andare a casa. Fa freddo e umido. Improvvisamente rivedo la donna misteriosa che mi pare di conoscere. Sta andando via anche lei, seguendo la mia stessa strada. Provo il desiderio di parlarle, di salutarla, ma non so cosa dirle, perciò la sorpasso e proseguo verso casa.
Il giorno dopo penso ancora alla donna incontrata al cimitero. Sarà sola o sposata? Avrà figli? Con discrezione provo a chiedere a un altro amico che era al funerale, se conosce e sa qualcosa di lei.
“Ti sei innamorato?” mi risponde, senza dirmi quello che mi interessa.
Sono una natura passionale e sì, devo ammettere che mi sono innamorato. Quando la rivedrò?
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Alcuni giorni dopo ritorno a casa di Ketty. È un giorno autunnale, grigio e senza vento. È un giorno vecchio. Pedalo forte ma quando arrivo è già tardi perchè sta scendendo l’oscurità. Quando vedo la ragazza noto che è pallida, seria. Appare anche dimagrita. Ketty non mi invita a entrare e rimane sulla soglia. Io le chiedo come sta, le chiedo se ha bisogno di qualcosa. Lei scuote la testa senza parlare e io, non sapendo che altro dire, mi preparo per ripartire.
“Vieni a trovarmi qualche volta...” mi dice con voce triste mentre mi allontano.
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Adesso Ketty è libera e sola, ma il tempo ha consumato le nostre anime. Non so se andrò ancora da lei. Ho già avuto tante storie d’amore che mi hanno fatto soffrire. Mi sono innamorato tante volte nel passato, e adesso sarebbe ora di finirla. Non sono pronto per iniziare una nuova avventura, dopo tutte le esperienze accumulate.
Il sesso annoia; l’amore è un’illusione; tutte le donne sono stupide. Però pur sapendo questo... sento ancora il bisogno delle donne. Così parto in bici per andare a casa di Ketty.
Io abito a est di Zollen e la casa della ragazza è dalla parte opposta, a ovest.
Vedo il tramonto di ottobre. Sfregi di luce, coltellate di luce bianca. Riflettori obliqui. Cavalcata di streghe, di dinosauri. Nubi nere e gialle. Quelle due streghe con il cappello sono in fuga. Il cielo sopra di me è un coperchio di piombo...
Rivedo la casa di Ketty, il pilastro, il portone aperto a metà. I gradini dell’ingresso sono grigi, come le statuette nel giardino devastato dall’autunno.
Ketty mi fa entrare in salotto. Le chiedo come si sente; mi offro per fare qualche lavoro o commissione. Lei fa cenno di no e mi ringrazia. Poi mi chiede: “ Sei venuto al funerale?”
“Sì.”
“C’era molta gente in chiesa?”
“Sì.”
“C’erano tutti gli amici di Nicholas?”
“Sì. Ma tu non hai visto?”
“Io ero là davanti che guardavo la bara di mio fratello e piangevo.”
Poi tace e riprende a stirare le gonne e piegare la biancheria.
Io sto seduto in silenzio e la guardo. Mi piace osservare i riti misteriosi e affascinanti delle donne: quando stirano, si pettinano, si truccano...
Ketty a intervalli mi racconta vecchie storie che conosco già. La lunga agonia e la morte di suo padre. La perdita della cara mamma. A volte la sua voce si incrina per l’emozione e mi guarda con una espressione seria che mi rattrista. Lei se ne accorge e sorride un po’ per consolarmi. Ma poi è di nuovo seria e disperata.
Ascolto Ketty e imparo a conoscerla, penetro nelle pieghe del suo carattere triste e pessimista. Non immaginavo che fosse così. Ha avuto una vita incolore, solitaria, senza svaghi, senza amiche né amici.
Il lutto recente l’ha resa ancora più introversa e insicura. A volte ripete una frase più volte. Oppure ripete un gesto, quello di lisciarsi la gonna o i capelli. Ketty è una ragazza strana, nevrotica, forse con disturbi ossessivi compulsivi. Ha una psicologia complicata e difficile.
Prima di lasciarmi mi consegna la foto di suo fratello, pregandomi di portarla da Rodolfo, lo scultore di tombe. Servirà da mettere sulla lapide.
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CAPITOLO SECONDO
Il giorno seguente, di pomeriggio vado a passeggiare in campagna da solo, lungo l’argine del fiume Nike. A est c’è una ferita di luce bianca fra pennacchi di nubi blu. A ovest arde un braciere di luce rossa.
Penso all’incontro di ieri con Ketty. Non so se andrò ancora a casa sua. La sua compagnia mi ha stancato. Preferisco rimanere nella mia splendida solitudine, tanto luminosa da accecare, a volte, fino a sembrare buio. Io voglio rimanere libero e solo.
Però, però... provo il bisogno di rivedere Ketty. Il legame momentaneo con questa ragazza mi fa apprezzare di più, dopo, la mia solitudine.
Con questi pensieri arrivo alla casa dell’amico Rodolfo, scultore di pietre. È un sollievo entrare nel portico dove lui lavora. Rodolfo è forte e robusto, impolverato di bianco come un fornaio. Però non è farina, è polvere di pietra. La sua casa è un museo, oltre che un’officina e come entro vengo circondato da angioletti di pietra, vasi, gnomi, ninfe di fontane... Li scolpisce lui.
Più avanti ci sono i lumi allineati sugli scaffali, a forma di losanga, di spegnitoio, cilindrici, con cappuccio, con vetrini colorati. Li fabbrica lui, nell’officina, scaldando il ferro col mantice e battendolo a mano sull’incudine. Poi li rifinisce con la mola. C’è anche sua figlia Susy, una ragazzina bionda e lentigginosa, che lo aiuta ad applicare i vetri colorati.
Consegno la foto di Nicholas allo scultore e rimango a scaldarmi un poco.
“Tu hai il lavoro più bello del mondo” gli dico davanti a un bicchiere di sidro, “perchè con i tuoi lumi illumini l’eternità.”
Rodolfo ride e mi propone: “Tu sei un poeta. E allora vieni anche tu al Pozzo dei Poeti dell’amico Agostino. Ti troverai bene là. Si parla di poesia, di filosofia, di sesso... sempre in maniera libera e anticonvenzionale... Vieni, prendiamo la scorciatoia nei campi.”
Rodolfo si toglie il camice, abbandona il lavoro e usciamo.
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Percorriamo un sentiero nei campi nebbiosi. Seguiamo l’argine di un fosso e arriviamo sul retro di una casa grigia, col comignolo che fuma. Rodolfo batte i vetri sporchi di un finestrino illuminato e poco dopo Agostino apre la porta carraia e ci fa entrare.
Agostino è vecchio, con la faccia piena di rughe, i capelli spettinati e l’espressione severa. Entriamo in una cucina sporca dove si trovano altre persone.
Rodolfo mi presenta. Poi fa gli elogi del padrone di casa: “Ecco il poeta Agostino. Non si è sposato, non ha fatto figli ma il suo patrimonio non andrà perso. Agostino ha spiritualizzato gli spermatozoi, creando libri. I tuoi lettori ti ameranno come un padre.”
Interviene un tizio grasso, calvo e barbuto: “Questi ammiratori arriveranno troppo tardi, quando Agostino è marcito dentro la bara.”
L’uomo che ha appena parlato si chiama Deturry, ed è il filosofo del gruppo.
Poco dopo conosco tutti: Agostino il poeta; Deturry il filosofo; il Professore; Doriano l’esteta; Lino il musicista che ha passato la vita a suonare nei night e adesso è un po’ sordo.
Il Professore fa l’apologia del Club: “Noi siamo i fabbricanti di cultura, i fornai che fanno il pane per l’anima. Bisogna sforzarsi di costruire una vita realizzata, e Agostino lo ha fatto.”
Deturry contraddice: “Non serve a niente. Costruire la vita, vivere bene la vita... è come costruire un castello di carte. Tutto finisce con la morte. E la morte di un vecchio è peggiore di quella di un bambino. Con un bambino muore una pagina bianca. Con un vecchio muore un’intera biblioteca.”
Il Professore ribatte. “No. Non mi lascio intrappolare dalle tue parole. Tutti gli imperi filosofici sono fondati sulle parole. Noi letterati conosciamo bene le parole, conosciamo le loro trappole, tranelli e trabocchetti. E siamo diventati immunizzati. In realtà ogni persona è un edificio. Ci sono persone che sono solamente una stanza, altre persone che sono come castelli. Ma in periodo di uguaglianza e democrazia, dieci deficienti valgono più di un saggio, perchè contano dieci voti!”
Agostino conclude ed è ancora più amaro dei suoi critici: “I poeti hanno regalato tesori immensi all’umanità. Peccato che il popolo fruisca poco di questi tesori. Molte persone ne ignorano perfino l’esistenza. Io penso alle mie poesie, alle mie opere. Sopravvivranno? La loro sopravvivenza non dipende dal loro valore; dipende dal caso. Qualcuno troverà le mie poesie? Cosa farà? Le brucerà o le pubblicherà? È il pensiero che ossessiona tutta la mia vecchiaia. Io non ho figli, né nipoti. Chi toccherà le mie cose più care? Chi distruggerà il lavoro di tutta la mia vita? Sì, lo so, arriverà quella persona... forse esiste già...”
“Ma via, sei troppo amaro, lascia aperto uno spiraglio alla speranza,” suggerisce il Professore.
Agostino riprende: “Giocare con le parole è un lavoro faticoso. Più che rompere pietre.”
Il Professore interviene: “Verità sacrosante!”
Parla ancora Agostino: “Io voglio l’immortalità letteraria. Voglio conquistarmi l’immortalità nel mondo della Poesia. L’immortalità in paradiso, fra canti e lodi a Dio, non mi interessa. Quella la lascio ai preti e ai loro scagnozzi.”
Quando esco dal Club mi sento euforico e rincuorato. Finché al mondo ci sono persone come Agostino, la vita vale la pena di essere vissuta.
È una sera di ottobre, fredda di luna; la campagna è umida e desolata mentre ritorno a casa.
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Il pomeriggio seguente, domenica, sono di nuovo in bici sulla strada sinuosa che porta a Zollen. C’è una casetta celeste con un cortiletto solcato dalle ombre profonde dei gelsi. Alcune galline infreddolite sono radunate nell’unico angolo soleggiato del cortile. Le galline sono stranamente immobili, non fanno neanche un piccolo movimento.
Quando oltrepasso questo punto, è come se oltrepassassi una tenda: qui il paesaggio cambia, la campagna, la luce, l’atmosfera... tutto è differente. Zollen è un paesino oscurato dalla mole rosso cupo della chiesa gotica, enorme, sproporzionata in confronto alla piccolezza del paese. Aldilà la strada si snoda bassa fra i campi di stoppie, con fossati pieni d’acqua. Qui i pomeriggi delle domeniche trascorrono lenti e senza gioia. Non c’è niente che li distingue dai giorni lavorativi, solo un po’ più di fumo e di chiasso che esce dall’osteria.
Una ragazza bruna dietro una finestra guarda i rossori del tramonto, malinconico come i suoi occhi.
La casa di Ketty è a ovest in campagna, oltre gli edifici enormi e diroccati usati per essiccare il tabacco. È la casa dove è nata lei e i suoi avi. Un albero spoglio ha ancora qualche cotogna appesa ai rami nudi. Una luce fredda, azzurra, ristagna nel cortile. Tiro il campanello e dopo un tempo lunghissimo Ketty vieni ad aprirmi, pallida e spettinata: “Vuoi entrare?”
“Sì...”
Nella saletta dell’ingresso la ragazza mi chiede: “Tu credi negli spiriti?”
“Io... non so...”
“Vieni.”
Ketty mi porta in salotto e mi indica l’orologio. È un vecchio orologio a pesi, molto decorato.
“Si è fermato stanotte... Mio Dio, cosa può significare?”
Mi avvicino, apro lo sportello dei pesi, carichi a metà.
“Si sarà guastato il meccanismo...” dico a bassa voce.
“Segna le cinque... mio fratello è morto alle cinque e mezza del mattino...”
“Può essere una coincidenza, o forse no... È un caso per Bozzano questo...” commento.
Ketty ha un brivido e sento che devo consolarla: “Non devi avere paura. Non devi pensare troppo a Nicholas o restare troppo tempo da sola. Una bella ragazza come te non deve rovinarsi con le preoccupazioni.”
Ketty si avvicina allo specchio: “Non sono bella... ho il viso stanco e i lineamenti segnati...”
Sono i soliti discorsi che fanno le donne che non vogliono accettarsi.
“Sei bellissima.” Le dico.
“Ho 42 anni...”
“Sei una bambina...”
Ci sediamo sul divano e io mi avvicino piano a Ketty. La ragazza pare ignorarmi. Allora provo ad abbracciarla leggermente. Ketty pare insensibile, immersa nei suoi pensieri. La abbraccio più forte, attirandola a me. È soffice e morbida e io mi sento svenire.
“Mio Dio... Mio Dio...” sospiro.
Lei si abbandona al mio abbraccio e sento che è lei il Dio del quale ho bisogno.
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Il pomeriggio seguente vado ancora a passeggiare lungo il fiume Nike. La campagna è infangata, il cielo livido e dai pioppi cadono foglie ingiallite. In questa solitudine ritrovo me stesso e provo forte il desiderio di rimanere libero e solo.
Perchè amo Ketty? Perchè Ketty è una donna del passato, appartiene al mio passato. Con lei ho condiviso momenti, ricordi, giovinezza ed emozioni. Allora non ho avuto Ketty, per molti motivi. E adesso vorrei averla.
Nel passato non ho spogliato Ketty perchè ero troppo inesperto con le ragazze. Adesso vorrei spogliarla. Questa è una rivincita, tardiva, ma sempre una rivincita.
Ma non solo questo. Ketty è il simbolo di tutte le ragazze che mi sono piaciute e che non ho avuto: Mirella, Laura, Grazia... e le altre, le molte altre. Avere lei mi sembra di tornare indietro nel tempo e possederle tutte.
È una operazione di magia questa, piena di incognite. Che sapore ha possedere una donna di cui ero innamorato 20 anni fa? Possederla con 20 anni di ritardo?
Il pomeriggio trascorre. È arrivato il tramonto di questa giornata breve. A ovest ci sono nubi a forma di draghi, a forma di vecchie megere col cappello che vanno al sabba infernale.
È meglio fare ritorno a casa; forse non ancora. Mi conviene passare dal poeta Agostino, per vedere se i suoi amici sono ancora là.
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Entro nel Pozzo dei Poeti, da dietro, dalla porta carraia che immette direttamente nella cucina, calda e accogliente. La cucina appare sempre in disordine. Sulla tavola c’è un macinino per caffé e tazzine sporche, vicino a un mazzo di tarocchi. Sulla credenza sta un piatto pieno di nespole. Anche divano e sedie sono occupate con giacche, paltò, pile di biancheria...
Gli amici Deturry, Doriano, il Professore e Lino sono già qui. Forse stanno sempre qui, come le cariatidi. Agostino è seduto su uno sgabello; Deturry su un bracciolo del divano; Doriano e Lino sulle sedie; il Professore sul focolare e io mi sistemo su una sedia occupata da un paltò. Fumo pesante di sigari e caraffe di vino nero.
Doriano l’esteta, eternamente innamorato di una donna sposata che non può avere, racconta: “Ricordo perfettamente il giorno, il 20 Aprile. Era di mattina e Sonia entrò per la prima volta nella mia vita. Non la avevo mai vista, ma era come se la conoscessi da sempre. I suoi occhi verdi mi colpirono, il suo vestito bianco... non sapevo più neanche parlare. Ero incenerito. ”
Deturry spiega: “È logico. Sonia è la donna dei tuoi sogni e tu l’hai idealizzata, l’hai divinizzata. Se avessi sposato Sonia, se avessi vissuto con lei la grigia quotidianità della routine che soffoca anche il più folle amore, allora non parleresti così.”
Doriano prosegue: “La tua logica perfetta è come una casa di cristallo. Al primo urto crolla tutto. No! Io sognavo Sonia ancora prima di incontrarla. La prima volta che l’ho vista non l’ho trovata, l’ho ritrovata.”
Deturry insiste con le sue spiegazioni razionali: “Le passioni sono come le onde, che nascono, si innalzano e poi si trasformano nell’opposto, cioè nell’odio; e alla fine si spengono nell’indifferenza. I primi momenti magici di una storia d’amore sono i puntelli dell’unione futura.”
Interviene il Professore: “Perchè non ce le insegnano a scuola queste cose? La psicologia amorosa dovrebbero insegnarla alle elementari... anzi no, all’asilo!”
Doriano riprende a raccontare: “Bisognerebbe credere nella reincarnazione, ma non è provata. L’amore è un mistero troppo profondo. Dopo 24 anni ho incontrato ancora Sonia. Siamo rimasti a parlare, ma c’era poco tempo... dopo 24 anni... Adesso vorrei solo un’ora per stare con lei; un’ora di infinito...”
“Interessante questo vino nuovo, molto interessante.” È il giudizio del Professore dopo due bicchieri.
Anche Deturry beve e commenta: “ La certezza che tutte le cose belle sono destinate a finire rovina un po’ la gioia che ci danno.”
Anche Agostino è d’accordo: “ Quando faccio un lavoro, spesso penso: chi sarà la persona che distruggerà il lavoro che sto facendo ora? Qualcuno ci sarà sicuramente. E quando avverrà? Questo pensiero mi disturba. Se avessi dei figli almeno...”
Deturry contraddice: “No. Hai fatto bene a non sposarti. I figli sono ingrati. Il tuo mondo interiore è troppo ricco. Non potevi accogliere anche quello di una donna. E poi Cenerentola è bella finché rimane tale. Se diventa regina, diventa despota.”
Agostino risponde: “La solitudine ha i suoi vantaggi. Nei momenti di pausa, in mezzo alla natura io guardo i tesori che ho dentro di me. Quando frequento le persone, io assorbo un po’ del loro veleno. Nella solitudine invece mi disintossico. Eppure la compagnia delle persone è utile perchè il loro veleno, in piccole dosi, stimola e ispira. Specialmente la compagnia dei poeti e delle donne... Ma attenzione! Le persone sono pecore quando hanno bisogno di te e diventano lupi quando tu hai bisogno di loro.”
Interviene il Professore: “Quando incontro un uomo onesto io mi chiedo: questo uomo ha già superato lo stadio della disonestà oppure deve ancora arrivarci?”
Riprende Agostino: “Io scrivo il più possibile. Voglio imbalsamare l’amata-odiata vita. E quando sarò sul letto di morte penserò a tutte le sofferenze, le delusioni, le brutture della vita. Questo mi aiuterà a non rimpiangere la Vita e la Realtà.”
Ancora Deturry: “Alcuni uomini non vedono la realtà. Essi percorrono la vita attraverso corridoi mentali: religione, dottrine fantasie; e sono felici così. Essi non vedono la realtà, non vedono i fatti come realmente sono. Ho conosciuto un uomo che ha amato follemente una donna, senza conoscerla veramente. Cioè ha amato un fantasma inventato dalla sua mente; quella donna era differente; quella donna non era come lui immaginava.”
Faccio anch’io una domanda a Deturry: “Sei sempre così tagliente?”
Deturry riprende la sua filosofia: “Io descrivo la realtà. Ma prima mi sono liberato dalla gabbia dove ero intrappolato. Educatori e preti ci hanno imposto di credere le loro dottrine, sciocche e puerili. Prima vedevo la realtà attraverso la gabbia di queste dottrine. Molti uomini non vedono obiettivamente. Essi vedono solo le costruzioni mentali inventate da preti, maestri ed educatori. Devi spogliarti dalle illusioni, se vuoi dominare la realtà.”
Doriano conclude questa discussione: “Le realtà profonde sono sempre contraddittorie. La donna ti ispira e ti affossa. Ma non esiste la vera Donna; essa si trova solamente dentro alla testa degli uomini! Le cose che ti salvano e quelle che ti uccidono, sono le stesse: la donna, la poesia, l’arte, il sesso... Variano solo le dosi. A piccole dosi ti salvano, a grandi dose ti uccidono. Chi trova un paradiso, dopo poco tempo si annoia, e si ritrova all’inferno.”
Pensando alla serata trascorsa, esco dalla casa di Agostino. È una notte fredda e nebbiosa. Domani pomeriggio andrò da Ketty perchè ho promesso di accompagnarla al cimitero.
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CAPITOLO TERZO
Il giorno dopo suono il campanello a casa di Ketty e lei mi apre. Senza un sorriso e senza parlare si scosta per lasciarmi entrare. Noto che la ragazza ha delle ferite sulle mani.
“Ti sei fatta male?” le chiedo quando siamo in cucina.
“No... Sono stata io... mi sono graffiata...”
“Ma come hai fatto?”
“Mi capita a volte... quando sto qui seduta da sola... Sono assorta nei miei pensieri e senza accorgermene mi graffio le braccia e le mani...”
Restiamo in silenzio. Lei prepara il caffé e il profumo si spande nella stanza.
In salotto ci sediamo sul divano a guardare il vuoto. Lei tace. Io non so cosa dire per consolarla. Le accarezzo timidamente la spalla e sento la lana soffice sotto le mie dita.
“No! Lasciami.” Fa lei con un sospiro. “Mi sento troppo male e non ho voglia di niente.”
Ancora il silenzio. Ancora il senso di angoscia, di solitudine, di distanza.
Ketty va in un’altra stanza per cambiarsi e io rimango ad aspettare. Nel salotto freddo e semibuio, tende e finestre sono chiuse.
Quando la ragazza è pronta, indossa un paltò, poi usciamo incamminandoci sulla strada che porta al cimitero.
Costeggiamo muri rossastri di mattoni con barbacani inclinati. Luce dorata. Peperoni marciti negli orti. Ci sono fossi pieni d’acqua color ferro e campi di stoppie. Pioppi gialli e spelacchiati si piegano al vento lasciando cadere le ultime foglie. Le pannocchie stanno ad asciugare sull’aia. I gatti si scaldano al sole. L’aria è fredda.
Il cimitero di novembre rivela squallore e abbandono. Il cancello arrugginito è aperto e alcune lance sono spezzate. Gli angioletti di tufo e il vecchio con la clessidra appaiono ancora più tetri.
Due becchini sono al lavoro dentro una buca. Stanno tirando su i resti dei bambini e mettono le ossa dentro una cassetta di zinco. Ci sono costole sottili, pezzi di crani. Lo sterratore fruga fra le palate di terra per recuperare frammenti di ossa color marrone.
Camminiamo fra lapidi inclinate, sbeccate affondate nel terreno. Mazzi di fiori marciti spandono un odore dolciastro.
Arrivati davanti alla tomba nuova di Nicholas, la ragazza si inginocchia. Nel silenzio la sento piangere. La gonna nera si solleva un poco e rivela un po’ della sua coscia bianca. È terribilmente bella ed eccitante mentre accende una candela davanti alla lapide.
**************
È sera; sono ancora in bici sulla strada che porta a Zollen. Una luce d’oro scende dietro ai campi. Venere brilla bianca. Il salotto di Ketty mi aspetta, con i suoi misteri, le sue ombre, i suoi odori...
Arrivo davanti al pilastro della casa circondata di pini e cespugli di rose. Quando la ragazza apre la porta, mi appare seria, tremante e un po’ dimagrita.
“Come va?” le chiedo senza entusiasmo.
“Entra.” E mi precede su per i gradini dell’ingresso.
La cucina dove mi fa entrare è stretta e sporca. Ketty appare tesa, affaticata, stanca. Indossa un vestito colorato che contrasta con l’espressione triste del volto.
“Riesci a riposare?” chiedo per rompere il silenzio.
“No. Dormo pochissimo, solo tre ore per notte.”
“Dovresti dormire di più.”
“Appena mi rilasso vedo delle facce mostruose. Allora devo pensare a qualcosa per scacciarle.”
“Sono le immagini ipnagogiche. Come sono fatte?”
“Sono facce distorte e bruttissime...”
Una lunga pausa poi la ragazza mi chiede: “Tu... credi negli spiriti?”
“Non so... Perchè mi fai questa domanda?”
“L’accendigas, quello che adoperava mio fratello, l’ho trovato vicino al fornello. Ne avevamo due; il mio che usavo io e quello che usava lui. Ebbene, stamattina c’era il suo vicino al fornello.”
“Ti sarai sbagliata.”
“No! Sono sicura di no. Il mio ha il manico bianco, il suo è rosso. Lo avevo riposto nel cassetto...”
“È lo stress. Tu hai bisogno di riposo...”
Il nostro dialogo finisce e non so più cosa dire. Dopo un lungo silenzio mi alzo, saluto Ketty e vado via. Fuori è già buio. Quando attraverso il paese, una luna gobba corre fra i comignoli, sui tetti delle vecchie case.
*******
La strada che porta a Zollen è lunga, monotona, quasi ossessiva. Ci sono macchie di inchiostro nel cielo. È una sera di dicembre e il cielo ha tante tonalità di celeste. Io pedalo sulla strada deserta, oltrepasso il paese grigio, con la piazza nebbiosa. Portoni chiusi. Finestre con vecchie inferriate. Non si vede nessuno in giro.
La casa di Ketty con tutte le finestre chiuse, sembra abbandonata. Unico segno di vita, un lanternino acceso davanti alla porta. I gatti corrono a nascondersi in fondo al giardino. Venere brilla bianca nel cielo serale.
Suono il campanello attaccato al pilastro e resto in una attesa lunghissima. Il cortile deserto finisce nei campi grigi. Un’imposta sbatte al piano superiore. Finalmente la porta si apre e Ketty appare seria e dimagrita.
“Ciao. Come stai?”
Nessuna risposta.
“Hai un’imposta che sbatte là in alto” l’avverto.
“Strano. Non vado mai in soffitta...”
Attraversiamo il salotto semibuio con il pavimento a scacchi bianchi e neri. C’è umidità e gelo. Entriamo in cucina dove c’è odore di stantio e caffé. Una stufa cilindrica riscalda l’ambiente. Ketty mi invita a sedermi e mi chiede: “Sai mantenere un segreto?”
“Sono un affossatore di segreti.”
“In questa casa ci sono... gli spiriti.”
“Come fai a saperlo?”
La ragazza apre lo sportello della stufa e aggiunge altra legna.
“Alle cinque di mattina il campanello di casa ha suonato, ma non c’era nessuno. E ha suonato ancora ieri alla stessa ora... l’ora che è morto mio fratello...”
Ketty pare molto allarmata e prosegue: “Vieni. Vieni a vedere anche tu.”
Mi guida in uno studio gelido e severo, accende il lampadario e mi indica qualcosa là per terra: “Stanotte il quadro di nostro papà si è staccato cadendo con fracasso. Non ho avuto il coraggio di scendere... L’ho trovato così stamattina...”
In un angolo c’è un grosso quadro con la foto di un uomo con baffi, in piedi vicino a uno scrittoio. Il vetro è rotto e l’attacco di canapa è sfilacciato.
Cerco di calmare Ketty: “Forse era consumato lo spago... Da quanto tempo era là?”
“Da 23 anni, da quando morì papà.”
“Io non so...”
“E poi c’è un’altra cosa...”
La ragazza apre un armadio, tira fuori un cappello da uomo e me lo porge: “Mio fratello è morto da due mesi e il suo cappello non ha fatto la muffa... Guarda...”
E mi mostra un cappello dalla parte interna. Poi mi chiede: “Può significare qualcosa? I cappelli ammuffiscono se uno non li usa per qualche tempo...”
Anche stavolta non cosa dire. La stanza è molto fredda e decidiamo di ritornare in cucina per scaldarci vicino alla stufa.
************
Sono stato molte volte a casa di Ketty e incomincio a essere stanco della sua compagnia e dei suoi discorsi. Non vorrei più andarci, ma non posso abbandonarla proprio adesso. Oppure non è questo il motivo.
C’è qualcosa che mi attira là contro la mia volontà. Non vorrei andare da Ketty, però ci vado. Non vorrei più rivederla e ogni volta che esco dalla sua casa decido che non tornerò mai più. Invece... Questo conflitto perdura dentro di me e mi fa sprecare tempo ed energia.
È una sera di gennaio, gelida e tagliente. La campagna vetrificata sotto la brina, ha luccichii di cristalli. Tutto è statico, immoto, congelato. I salici sono scheletrici con i rami nudi; le pozzanghere sono ghiacciate; l’erba morta è piegata lungo le rive dei fossi.
Quando arrivo a casa di Ketty, la ragazza mi fa entrare in cucina dicendomi “Vieni, ti aspettavo”.
Come entro nella stanza vedo che c’è una novità. Sopra la tavola sta disteso una tabella con sopra scritte le lettere dell’alfabeto e due caselle con le scritte: SI’ NO.
“Che cosa fai?” chiedo. Ma poiché ho letto i libri di Allan Kardec, conosco già la risposta.
Con un senso di curiosità, accetto di fare una seduta spiritica insieme a lei.
Dalla scatola del cucito Ketty prende un bottone nero e lo posa capovolto sul tabellone. Poi lascia accesa solo la lampadina dell’acquaio. La ragazza si siede vicino a me e appoggia il dito sul bottone, tenendo sospeso il braccio. Io faccio altrettanto.
Ad alta voce Ketty prega sua fratello di farsi sentire. Mi sembra una cosa ridicola.
Passano i minuti. Dai vetri delle finestre vedo buio e nebbia, là fuori. Nel silenzio si sente il crepitio del fuoco, i nostri respiri, il ticchettio del pendolo nel salotto.
La vicinanza della ragazza mi dà una leggera ebbrezza. Sento il profumo dei suoi capelli, del suo respiro; vedo il seno sollevarsi e abbassarsi. A volte le nostre ginocchia si toccano.
Dopo quasi un’ora di attesa, il bottone pare incominci a muoversi. Sono movimenti lenti da principio, poi più veloci e scattanti. È lo spirito? Sono le nostre braccia stanche? La ragazza diventa rossa ed eccitata. Dopo alcune incertezze il bottone va a coprire alcune lettere, che la ragazza pronuncia ad alta voce, formando la parola: Condizione. E poi ancora formando le parole: Insicurezza. Interno. Situazione. Limite. Sprecato. Agonia. Ripetizione. Scrivo queste parole e quando smettiamo siamo sfiniti. Non so cosa pensare dei messaggi ottenuti.
È notte quando esco dalla casa per andare a dormire. Attraverso il paese silenzioso, immerso nell’inchiostro delle ombre. La luna di gennaio, piccola e bianchissima, lassù in cielo mi fa una smorfia.
*******
L’acqua del fiume Nike è color ferro, il cielo è grigio, la campagna fredda e nebbiosa. Con gli stivali, come al solito, passeggio sull’argine sinuoso e penso: io e Ketty siamo così diversi, infinitamente differenti, siamo agli antipodi. Però ci sono delle linee che ci uniscono, delle linee misteriose e sotterranee che ci legano e ci attirano. Io provo un rispetto fisico e psicologico per lei. Rispetto il suo corpo, ma anche i suoi pensieri, il suo modo di pensare, il suo modo di agire di comportarsi. Vedo dove sbaglia, ma non oso dirglielo per paura di perderla.
Durante la vita incontriamo gli scambi, dove possiamo scegliere quale via seguire. Da giovani gli scambi sono frequenti, poi col passare degli anni diventano sempre più rari. Ketty è uno scambio della mia vita. Dovrò seguirlo? Amo Ketty, la desidero, la voglio... Ma che cosa voglio? Un mucchio di budelli, di ossa, di sterco? Cosa è Ketty?
L’amore è un corridoio mentale. Si può stare una vita insieme a una donna senza conoscerla. Forse, volere stare insieme a una donna è una sfida con sè stessi, come scalare una montagna. Quando sto con Ketty voglio provare la mia forza interiore, voglio provare a me stesso la mia capacità di stare insieme a un essere differente, estraneo, totalmente differente da un maschio, e in fondo, incomprensibile.
L’amore è una sfida con sè stessi, un lasciarsi cadere dentro un vortice insidioso e buio, fatto più di dolore che di piacere. È una sfida per provare l’ebbrezza del pericolo, per camminare sul filo del rasoio che divide la vita dalla morte. In amore si perde in ogni caso: chi perde la donna amata soffrirà per tutta la vita e scriverà poesie nostalgiche. Chi sposa la donna amata soffrirà per tutta la vita, ma una sofferenza di forma differente, più arida e prosaica.
Con questi pensieri in testa sono arrivato in vista della casa di Ketty. Vedo la luce gialla della finestra della cucina. La ragazza sta là dentro. Dovrei proseguire la mia passeggiata in solitudine, per recuperare le energie perdute. E invece no. Trovo un punto dove l’acqua è bassa, entro dentro con gli stivali, risalgo sulla riva opposta e mi dirigo verso la sua casa. Sono ancora in tempo per deviare, ma una forza mi attira là...
******
Ketty mi apre la porta e appare agitata e allarmata.
“Guarda!...” e mi indica i vecchi essiccatoi abbandonati di fianco alla casa.
“Che cosa c’è?”
“Il fumo. Poco fa usciva fumo da un finestrino lassù.”
I vecchi essiccatoi sono edifici di mattoni, alti con finestrini sotto il tetto. Ma anche guardando bene, non vedo fumo.
“Andiamo a vedere” propongo.
Attraversiamo il cortile. Il portone dell’edificio è in legno marcito e semiaperto. Entriamo dentro, in un camerone vuoto e oscuro. Il pavimento è di terra nera, in parte allagato. Alte colonne di legno sostengono il sottotetto, fatto di tavole dove si appendeva il tabacco. La luce entra dai finestrini più in alto.
“Da quanto tempo è abbandonato?”
“Da quando è morto mio padre. Era lui che coltivava il tabacco. Nicholas coltivava solo frumento e mais.”
Dopo un po’ decidiamo di entrare in casa. Ketty pare calmata.
In cucina la ragazza estrae dalla credenza uno strano mazzo di carte. Sono le 24 Rune.
Seduta a tavola Ketty mescola le carte a lungo, con le sue belle mani lunghe. Stando assorta, continua a mescolare il mazzo meccanicamente, finché arriva un intoppo durante la mescola. Allora si ferma ed estrae tre carte:
Runa 4 ANSUZ: Destino.
Runa 8 WUNJO: Donna.
Runa 3 THURISZ: Pericolo. Problema.
“Che cosa significa?” chiedo.
Ketty fissa le carte e mormora a bassa voce: “ Il Destino manda qualcosa. A una donna. È un pericolo o un problema.”
“Non credere in assoluto a questi responsi.”
Le prendo le mani e la attiro vicino a me.
Ketty si irrigidisce e diventa seria: “No. Lasciami; tu non conosci il mio passato, tutte le cose brutte che...”
“Non voglio saperle. Ti chiami Ketty tu?”
“Sì.”
“Questo mi basta.”
In queste parole e in questi gesti c’è tutta la logica o l’illogicità dell’amore.
La attiro ancora e lei cede lasciandosi abbracciare. Sento il suo corpo soffice, i seni, la carezza dei capelli sul mio viso, il suo profumo...
Ketty ha brividi di freddo e la sua voce trema: “No... No... No... Quanto tempo abbiamo perduto... quanti anni sono passati nel dolore e nella noia...”
“Non pensare agli anni passati... Adesso siamo qui, insieme.”
“Ma domani?...”
“Non pensare al futuro. Domani; non voglio sapere cosa accadrà domani.”
La ragazza si stacca da me e si allontana. Sul suo viso è apparso un sorriso malizioso: “Oggi ho indossato un reggiseno color fucsia...”
“Me lo fai vedere?...” dico a bassa voce.
Con infinita grazia, con semplicità, la ragazza si sfila la bluse. Ha 40 anni ma sembra una ragazzina da catechismo. Rimane con la gonna lunga e il reggiseno color fucsia. Va davanti allo specchio e si pettina, spargendo femminilità intorno.
Dopo essersi ammirata, lavora con le mani dietro la schiena per sganciare il reggiseno. Quando il seno appare, è un lampo di luce dentro alla stanza. Ogni seno femminile regala all’uomo un universo di vibrazioni e di emozioni.
Velocemente, la ragazza prende un asciugamano e si copre. Gioca con l’asciugamano a nascondere e scoprire i seni, che saltellano con lampi di luce. È torbida e sensuale. È peggio che se fosse nuda. La nudità è casta; ma ci sono millenni di seduzione in quel giocare a scoprirsi e ricoprirsi, a nascondersi e a mostrarsi.
Sembra una bambolina da adorare, ingenua e impudica.
“Sei bella da morire...” sussurro con voce roca.
“Ma ho alcune rughe qui, sul viso...” dice sconsolata.
“Non hai più 15 anni... Ne hai 16...”
Mentre cadiamo abbracciati sul divano, sento le sue ultime parole: “Tu per me sei padre e madre, sorella e fratello...”
Il silenzio della stanza è rotto dal crepitio della stufa e dagli ansiti dei nostri respiri...
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CAPITOLO QUARTO
Alcune sere dopo vado al Pozzo dei Poeti, a casa dell’amico Agostino. È una sera umida, fredda, nebbiosa.
Nella cucina sporca, mal rischiarata e surriscaldata, ritrovo i soliti amici. Sono tutti qui seduti, come tartarughe pietrificate.
Appena entro il Professore mi chiede: “Dì la verità. Ti sei innamorato di Ketty, delle sue belle tette, delle sue belle gambe...”
“Non le ho mai viste.” rispondo a bassa voce.
“Hai visto il suo bel culetto allora? No, non raccontarci bugie! Sappiamo già tutto.”
Dannazione! Come fanno a sapere queste cose. Chi li avrà informati? Mi conviene arrendermi: “Ma sì, forse mi sono innamorato di Ketty, mi sono innamorato di tante altre donne prima di lei. Ma ogni volta l’amore è inventiva che porta un bagaglio di sorprese.”
“Sappiamo che ti piace Ketty e vai a trovarla.”
“Ketty è una ragazza infelice che ha bisogno di aiuto.”
Ma il Professore che ha bevuto molto insiste: “Ci vai a letto insieme? E a che punto sei arrivato? Io dico che quando un uomo lecca il culo alla propria donna, ha raggiunto il massimo della confidenza con lei.”
Gli altri ridono. Deturry dissente: “No; il massimo è quando l’uomo si fa pisciare in faccia!”
Altre risate.
Doriano commenta dal suo punto di vista di poeta: “Ho passato la vita sui seni delle donne, ma ogni volta provo meraviglia e stupore. Il tempo trascorso insieme alle femmine è il tempo più ben speso. O forse è il contrario; dipende dal momento nel quale do il giudizio. L’amore sconcerta sempre, perchè prepariamo i cannoni per un nemico che invece arriva con mazzi di fiori. E allora ci chiediamo. Ma sarà vero? Non sarà un imbroglio? E quando scopriamo che è tutto vero, rimaniamo storditi dalla sorpresa. L’amore è una cosa che sconcerta, perchè spiazza, perchè non segue la logica del profitto. L’amore dona, e nella società dove tutto ha un prezzo, dove tutto si paga, i doni dell’amore sono incomprensibili e lasciano stupefatti. Questo perchè l’amore parla un’altra lingua, completamente differente e incomprensibile alle persone impegnate nella lotta per il potere e il denaro. È inutile sforzarsi di trovare l’imbroglio, perchè... non esiste nessun imbroglio. L’amore è un dono e basta.”
Deturry commenta, amaro come sempre: “La donna è come uno specchio posato sul fango. L’uomo vi vede il cielo riflesso, accorre e si ritrova impantanato. Un uomo e una donna insieme? Finché dura l’innamoramento questi due esseri si sforzano di avvicinarsi, si sforzano di colmare l’abisso che li separa. Ma tutti i romanzi d’amore finiscono sempre col matrimonio. Non raccontano mai cosa succede dopo...”
“Una bella ragazza è un essere che illumina il mondo e ne attenua le brutture. Ma è anche un rebus e richiede uno sforzo per essere chiarita.” Commenta Lino il musicista. Questa è una delle rare volte che sento la sua voce. Probabilmente anche lui ha avuto problemi con le femmine.
Anche il Professore dice la sua: “In qualsiasi modo uno imposta la vita, da scapolo o da ammogliato, perde sempre qualcosa. Però un uomo e una donna dovrebbero spogliarsi nudi subito, la prima volta che si incontrano. In questo modo si instaura una maggior confidenza e i due si conoscono psicologicamente più a fondo. La conoscenza psicologica va al passo con quella fisica. Finché i due rimangono vestiti, la confidenza e la fiducia arrivano dopo anni, forse non arrivano mai.”
Io interrompo: “Queste chiacchiere non risolvono i problemi della ragazza. Ketty vede gli spiriti.”
Il Professore commenta: “Non credo agli spiriti. L’umanità ha inventato gli spiriti per attenuare la paura del Nulla dopo la morte. Il vampiro che risorge, il morto che cammina e lo spettro che appare sono meno paurosi dell’annientamento della morte.”
Deturry martella più forte: “Sì, diavoli, fantasmi e vampiri fanno meno paura del nulla dopo la morte. Lo spettro che cammina è meno terribile del nulla. Almeno lo spettro, in qualche modo, vive ancora. Tutto finisce con la morte, che è troppo definitiva. Perciò gli uomini hanno inventato le religioni, le filosofie illusorie e consolatrici. Ma io voglio sfondare tutti i tabernacoli, voglio distruggere tutte le religioni...”
Il Professore lo zittisce: “No! ti conviene seguire le ideologie e le convenzioni. Solamente un re può permettersi il lusso di non essere ipocrita. Solamente un re o uno straccione, possono dire quello che vogliono.”
Deturry insiste: “Quando un uomo arriva alla maturità, cadono tutte le illusioni, l’amore, l’amicizia... rimane solo la sofferenza esistenziale, il dolore di esistere. Allora capisco che la vita è un circolo e tutto si ripete. La fine assomiglia al principio. Dopo la morte c’è quello che c’era prima della nascita: il Nulla. Ma una brutta realtà è sempre preferibile a una bella illusione; perciò distruggiamo gli spiritualismi.”
Il Professore non è d’accordo e lo dichiara col bicchiere di vino alzato: “No! L’illusione è importante. L’amore è illusione; l’amicizia è illusione; il sesso è illusione. L’illusione è una realtà psichica. I seni solo due ghiandole; la pioggia dorata è solo orina della femmina; un bel tramonto è solo luce colorata. E allora viva l’illusione. Mi piace e voglio illudermi se questo mi rende felice.”
**********
Il giorno dopo, sono di nuovo solo con i miei conflitti interiori. Ci sono uomini e donne che vivono l’amore come una tragedia, come una malattia. Io rientro in questa categoria.
Mi sono innamorato di Ketty. Mi sento male, sto male. Amare per me è questo pensiero ossessivo che mi opprime, che non mi fa dormire, che mi toglie il respiro.
Dopo essere stato da lei, ritorno a casa mia fra i miei scaffali pieni libri che amo molto. Eppure, adesso qui tutto mi appare morto e statico. Se faccio il confronto con Ketty, i libri che prima amavo adesso mi sono diventati indifferenti e li brucerei.
Continuo a frequentare la casa di Ketty. È eccitante e pericoloso. È come camminare sul filo di un rasoio teso fra due abissi sconosciuti. Da un lato l’io si annienta nella luce del sesso; dall’altro lato c’è la quotidianità con i suoi orrori nauseanti e densi. Perchè ci vado? Perchè continuo? Perchè devo! È una attrazione, una fiamma che mi attira e divora.
Stanotte ho fatto un sogno strano; dentro un bosco oscuro incontro Nicholas che mi dice: “Sul campanello di casa mia scrivi il tuo nome”
“Non vuoi che scriva il nome di tua sorella?” dico io.
“No. Scrivi il tuo nome”.
Mi sveglio tutto agitato ed emozionato. Che significato può avere? Possono i morti apparirci in sogno? E darci dei messaggi? Esiste uno spirito guida, oppure siamo abbandonati a noi stessi?
Questa sera, mentre siamo seduti sul divano, Ketty mi racconta gli avvenimenti tristi della sua infanzia. Fuori c’è buio, freddo e nebbia. La suora che le negava le caramelle; l’istitutrice che non le comprava i lecca lecca.
Sono piccole storie incandescenti, arroventate dal dolore e dalle lacrime. Sono ricordi dolorosi, storie sfortunate che hanno lasciato il segno sul suo carattere ipersensibile.
“Hai una bella collezione di brutti ricordi...” dico alla fine per rompere la tensione. “E adesso cosa intendi fare?”
Ketty prende dalla credenza un vecchio dizionario che apparteneva a sua zia Rosa morta alcolizzata.
La ragazza sfoglia più volte il libro, poi mette un dito in una pagina a caso e legge la parola che ha indicato: Proiettile.
Ripete e ottiene un’altra parola: Mirino. E poi Minaccia
Ripete ancora e ottiene: Carcere.
Ketty le interpreta come un avvertimento di pericolo.
Io mi domando: perchè la ragazza trova queste parole che alludono al pericolo? È uno spirito che dà messaggi? È l’inconscio di Ketty? È una coincidenza?
Nelle lunghe sere invernali di tedio io e Ketty interroghiamo il futuro con i tarocchi, le rune o la bibliofilia. Non so se facciamo bene a fare questi esperimenti di veggenza; non so se è questa la strada giusta; non so se c’è il pericolo di cadere nelle illusioni dell’inconscio...
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Ormai conosco a memoria il salotto di Ketty, ogni particolare mi è familiare: la crepa sul vaso di ceramica, la tovaglia di pizzo, la pendola... Vorrei poter dire altrettanto di Ketty, ma non è così. La sua anima è più complicata del suo salotto, molto più complicata. Sto ancora imparando a conoscere Ketty. La discesa nell’anima di una donna è una cosa lenta e tortuosa. A volte Ketty è leale e sincera, altre volte no. Ma è normale così. L’insincerità negli uomini è una cosa bassa e vile. Per le donne invece è diverso. La falsità è un attributo della femminilità. L’insincerità nelle donne mi affascina e la apprezzo. Rende questi esseri angelici ancora più femminili, ancora più attraenti.
Ketty è una ragazza con profonde ferite nell’anima, difficili da dimenticare. Sono fatti dolorosi avvenuti nel passato, ma le loro conseguenze arrivano fino al presente. Forse per questo a volte Ketty è diffidente, sospettosa. Ha paura che tenti di ingannarla. Non crede alle mie parole, cerca bugie che non ci sono. Ketty a volte fa discorsi sensati e altre volte parla per enigmi, per rebus. Allora diventa difficile seguirla; è difficile districare i suoi complicati giochi mentali. La ragazza passa dal pianto disperato al ridere gioioso in pochi minuti; o viceversa.
Ketty mi ha promesso che stasera mi mostrerà l’album di famiglia che contiene le foto di quando era bambina. Mi ha promesso... ma, si sa, le promesse delle donne sono fumo. Penso che le bugie sulla bocca di una donna sono come i fiori nell’aiola di un giardino.
Un altro pomeriggio tetro e nebbioso. Quando arrivo alla sua casa, Ketty appare stanca. Indossa un vestito sporco e mi dice: “Oggi è stata una giornata nera.”
La ragazza mi fa entrare in salotto e mi mostra una scatolina con dentro ombretti, smalto, cipria...
“È sparito il mio rossetto... Era qui, dentro alla scatola, vedi?”
“Sarà caduto per terra, sarà rotolato sotto un mobile...” le dico mentre mi chino per guardare sotto il divano, la libreria, le poltrone. Ma non c’è niente, solo polvere e ragnatele sotto i mobili.
“No. No. Ho già cercato io dappertutto. Il mio rossetto non c’è più. Ieri c’era e oggi non c’è più... Possono le cose sparire da sole?”
“No. Con la psicocinesi le cose cambiano posto; ma la spiegazione paranormale la accetto come ultima ipotesi. Tu invece preferisci la spiegazione irrazionale a quella razionale.”
Ketty ha un sospiro e poi: “Non sarebbe la prima volta...”
“Cosa vuoi dire?”
“Vieni a vedere.”
Mi precede sulla scala di marmo che porta al piano superiore. Dal corridoio intravedo le camere da letto. Entriamo in una con il letto matrimoniale. C’è molta penombra perchè il lampadario è schermato e manda poca luce. Ketty si avvicina a una consolle e mi indica un oggetto: “Guarda.”
Sul ripiano c’è uno strano oggetto.
“Che cosa è?” chiedo.
“È un dono ai miei genitori, per le loro nozze.”
Un altarino di ottone con un cuscino di raso rosso. Sul cuscino ci sono gli anelli degli sposi; più in su la coroncina di fiori d’arancio e il mazzolino di fiori. Ci sono 5 specchietti: uno per ogni anno di fidanzamento. Questo oggetto impolverato e corroso dal tempo ispira gioia e tristezza nello stesso tempo.
La ragazza incomincia a parlare sottovoce, come se temesse di essere ascoltata: “Questa mattina sono entrata qui per cercare dei documenti e ho visto... L’altarino si muoveva, saltava, faceva piccoli spostamenti allontanandosi da me. L’ho visto con i miei occhi.”
“Non è possibile.”
“E invece sì, ti dico. L’ho visto.”
“Forse è un fenomeno di poltergeist.”
“Perchè sono così sfortunata? Quanto karma dovrò ancora scontare? Arriverà mai un riscatto?”
“Non so se è questa la spiegazione. Tutte le vite sono difficili. Tu hai avuto una vita più difficile delle altre.” le dico tentando di abbracciarla.
“Non voglio essere consolata. Voi uomini dite tutti così.” dice staccandosi da me.
“Ho una ricca collezione di psicologie femminili, ma una come te non l’ho incontrata mai.”
Ritorniamo in cucina, dove si sta al caldo. Ketty incomincia uno antico rito contro gli spiriti cattivi, che ha imparato da sua nonna. Accende una candela, infila un ago orizzontalmente nella cera, scrive alcuni segni su un foglietto e recita una cantilena, a bassa voce.
China sulla candela, con i capelli sciolti che le nascondono il viso, sembra una strega. Ogni donna nel profondo del suo essere è strega, cioè femmina e dea, veggente, santa, puttana, perfida e salvatrice...
“Hai fatto un rito magico?” chiedo quando ha finito.
“Sì. Tu credi alla magia?”
“No, ma credo nella bellezza di questa arte.”
*********
Oggi è un pomeriggio tetro, nebbioso e decidiamo di esplorare la parte vecchia della casa, quella che apparteneva ai nonni e dove Ketty ha vissuto da bambina. Entrando da un camerone, attraversiamo stanze abbandonate, arredate all’antica. Armadi tarlati, poltrone e tavole rotte; specchi offuscati, tende polverose. In alcune stanze la ragazza si sofferma in silenzio, per ammirarle. In altre stanze cammina preoccupata, attraversandole senza guardare.
Camminare in una casa vecchia è un percorso fisico e mentale. Le cose che si vedono, le cose che si incontrano evocano ricordi dentro di noi. Siamo attratti da alcuni oggetti, altri ci provocano disgusto o perfino dolore. Ogni oggetto è un simbolo che lancia una lunga catena di associazioni dentro di noi. Seguire questi percorsi, significa entrare nei cunicoli dimenticati del nostro io e trovare risposte, verità, amori, dolori che sono ancora lì in attesa di essere risolti.
Al piano superiore, dentro un armadio, Ketty ritrova una bambola che credeva perduta. La ragazza diventa improvvisamente felice e mi abbraccia. La sua bambola è esile, sporca però ricorda i giorni spensierati della giovinezza. Più tardi, in una vecchia credenza ritrova alcuni disegni di scuola rovinati dall’umidità e li guarda uno alla volta.
Al crepuscolo, sporchi e infreddoliti, scendiamo le scale ripide di legno. Ketty con la sua vecchia bambola abbracciata, sembra aver ritrovato un po’ di serenità. .
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È difficile capire Ketty. La sua anima è un universo troppo vasto e strano. È come gettare una sonda dentro un infinito senza fondo né pareti. Nei labirinti della sua anima ci sono pensieri, sogni, frustrazioni, desideri, tensioni, paure...
Io vorrei aiutarla, ma non posso. Vorrei renderla più serena, ma sono incapace. Il suo pessimismo spesso diventa disperazione. Le sue introspezioni diventano dolorose. I suoi desideri diventano ossessioni.
Oggi Ketty è triste e mi racconta: “Io vivo in un castello merlato e a volte provo un senso di estraneamento. Ho rinunciato a una vita mia per dedicarmi prima a mia mamma malata e poi a mio fratello.”
“Non dovevi fare questo.”
“Ho costruito qualcosa, ricavato dalle sofferenze, dai dispiaceri, dalle rinunce... Io ho resistito per dedicarmi a loro e costruire tutto questo.”
“Sì, ma il prezzo era troppo alto e non conveniva.”
“Ma non potevo fuggire, non potevo ritirarmi, dovevo resistere, dovevo amarli e aiutarli...”
“Sì Ketty, ma adesso ama di più te stessa.”
***** ********* ************
Sono abituato a trovare Ketty stanca, quasi abulica. Invece questa sera appare agitata, quasi sconvolta. Agita le mani mentre parla e vedo che le belle mani lunghe hanno le unghie sporche: “Succedono cose strane... sembra incredibile eppure succedono... Ho paura.”
“Che cosa succede?”
“Le porte si aprono da sole, di notte. La mia bambola è caduta da sola. L’avevo messa là, sopra il comò e si è rovesciata!”
“Sarà stato il vento...”
“No. Trovo dei capelli... dentro i libri... dentro le mie cose... Non sono capelli miei... e neanche tuoi...”
“E di chi sono allora?”
“... Ho sentito odore di fumo provenire dalla stanza di sopra...”
“Ma no... ti sarai sbagliata...”
“Lo stesso odore del tabacco che adoperava mio fratello. Non mi credi?”
“Sì. Io credo anche alle tue bugie.”
“È la verità... Ero sola in casa. Ci sono gli spiriti.”
“Forse tu percepisci gli spiriti e sei una medium. Oppure vedi le immagini del tuo inconscio, cioè sogni ad occhi aperti.”
“Come faccio a saperlo?”
“Tu sei ipersensibile, intuitiva, psichica. Insistere con questi esperimenti per te è pericoloso. Prendilo come un gioco.”
“Ma non è un gioco.”
“Diciamo che ha la bellezza di un gioco.”
“Voi maschi siete tutti uguali. Non mi capirete mai.”
“Sì. È vero. Ma io incomincio a entrare nel tuo mondo. Ci sono ancora molti punti oscuri, molte zone d’ombra.”
“Meglio così.”
“Io non riesco ancora a collegare i dati; anzi non riesco nemmeno a impostare il problema. Adesso dammi la mano.”
Ketty mi porge il pugno chiuso.
“Non così...”
La ragazza distende la sua sottile mano bianca e io la prendo delicatamente. È morbida e preziosa. Poi riprendo a parlare, guardandola negli occhi:
“Io non ho un legame forte con la vita; è più forte quello che mi lega a te. Però la vita mi ha fatto il regalo più bello: tu.”
“Non ci credo. Dopo tu riderai di me, mi prenderai in giro coi tuoi amici.”
“No. Se farò una cosa simile graffiami la faccia.”
“Oh. Solamente questo. Farò molto di più...” dice Ketty ridendo.
“Lo so che l’odio femminile è molto profondo. Ma se ti tradirò piantami le unghie negli occhi.”
“Se uno tradisce la mia fiducia, mi perde per il resto della vita.”
“Lo so. Dopo la morte di tuo fratello eri così sconvolta che era un delitto non aiutarti. È toccato a me aiutarti.”
“Tu mi stai aiutando molto.”
“Non ho fatto nulla. Tu hai aiutato me regalandomi la tua giovinezza, il tuo tempo, la tua compagnia.”
********* ********* *********
Eccomi innamorato di nuovo. C’è un fuoco misterioso che alimenta questo amore. Tutto diventa languido, il mondo appare diverso, la vita scorre più fluida e ha una traslucidità che prima le mancava.
Sto più volentieri a letto anziché sui libri. Ma non dormo, no. In uno stato quasi ipnotico, penso a Ketty, distillo il mio amore per Ketty.
Mi sono innamorato tante volte prima di adesso, ma ogni volta è una cosa nuova e differente. Ogni nuovo amore stupisce e sconcerta come un miracolo. Ketty sembra così fragile, così eterea. Forse non appartiene all’umanità. Penso che Ketty è un gioiello troppo bello, raro e prezioso per me. Lei non è come le altre, è differente. Ha qualcosa di più o di meno, non so, ma è differente. Ketty è una ragazza piena di luci ed ombre.
So che cambierà, invecchierà, diventerà brutta. Ma ormai ho accettato lei nel bene e nel male, con tutti i suoi pregi, difetti e cambiamenti. L’amore crea capovolgimenti e tutte le caratteristiche e i difetti di Ketty sono diventati pregi.
Ho la prospettiva di una vita difficile insieme a Ketty. So che dovrò soffrire molto insieme a lei. Ma adesso non importa. Non mi importa più niente. Ketty mi regala falsi paradisi ai quali non so rinunciare.
******* ********* ********
In un pomeriggio di nebbia sto andando ancora a casa di Ketty. Mi chiedo cosa vado a fare là? Vado a costruire la realtà. La realtà è una nebbia grigia che bisogna modellare ogni giorno per ricavarne qualcosa di bello. O forse non è così e noi siamo solo schiavi degli istinti e degli eventi.
Suono il campanello e dopo un’attesa lunghissima Ketty mi apre la porta. È spettinata, con i capelli sciolti; indossa un vestito nero che le modella il suo corpo sinuoso. Gli occhi verdi appaiono spiritati nel volto pallido. Adesso sembra proprio una strega. Ma forse è questo che mi attira in lei, questa aria stregonesca; da isterica o da medium; da santa o da indemoniata; da veggente o da pazza.
Oggi Ketty mi mostra delle cose che non avevo mai visto. E a poco a poco entro nel suo chiuso mondo femminile, fatto di frivolezze e meraviglie. In salotto la ragazza mi mostra le farfalle di perline che ha costruito lei, nelle lunghe sere invernali. Con le sue belle mani bianche, estrae le farfalle di perline, contenute in una scatola rotonda. Sono i suoi tesori che non ha mai mostrato a nessuno e li fa vedere a me per la prima volta. Io osservo che Ketty ha le mani psichiche; in chiromanzia si chiamano così quelle con il palmo lungo e le dita lunghe. Sono le mani degli artisti, dei geni, dei folli e dei suicidi.
Intanto Ketty mi racconta episodi della sua vita: “Per il mio 15esimo compleanno mi avevano regalato un fiore a forma di stella, un pane a forma di stella e una torta a forma di stella.”
Poi Ketty mi racconta i suoi sogni, i piccoli avvenimenti della sua infanzia, gli anni di scuola, la gita al mare, il suo primo bikini rosa...
E io rimango lì, ad ascoltare questi piccoli avvenimenti banali, incantato come un bimbo che ascolta le fiabe.
************
Un’altra settimana di pioggia, di giorni corti e tristi.
Vado a trascorrere il pomeriggio da Ketty, anche perchè non so dove andare.
La ragazza indossa il solito vestito, sporco di macchie; è spettinata, tesa mentre mi sussurra queste parole:
“Ho un forte mal di testa. Ho paura che ritornerò a star male.”
“Riposati, non affaticarti...”
“Impossibile. Ci sono delle cose che non vanno qui. Ci sono delle cose strane.”
“Che cosa?”
“No. Tu con la tua mentalità non mi crederesti. Succedono cose che mi fanno paura... Ho provato a difendermi con le erbe, con i segni, ma non è servito.”
“Che cosa c’è che non va?”
“Tutto. È un destino, o è qualcuno che... sta tentando di...”
“Vai avanti.”
“Stanotte ho sentito un gran fracasso giù nel salotto. Dovevo vedere cosa era successo. Sono scesa e...”
“E che cosa?”
“Erano cadute le tende insieme al bastone e ai supporti. Una cosa incredibile...”
“È stato solo un incidente.”
“No, aspetta. Ho messo le tende bianche dentro un secchio col sapone per lavarle... E al mattino... L’acqua era diventata viola... viola... il colore del lutto... della morte...”
“Non devi attribuire significati occulti a incidenti o coincidenze.”
“No. No. Non sono coincidenze. Sono successe altre cose strane e pericolose che non posso raccontare...”
“Hai girato attorno al problema come un gomitolo, ma il nucleo mi è ancora oscuro.”
“Meglio. Meglio così. Non puoi sapere. Non riusciresti a capire.”
“No Ketty. Non puoi dirmi questo! Io farei qualunque cosa per proteggerti. Ti prego, dimmi cosa ti è successo.”
La ragazza rimane in silenzio, poi riprende a raccontare. La sua voce è bassa e impaurita:
“Le notti precedenti vedevo un’immagine nera, tonda, minacciosa, accompagnata da un suono che era un misto fra un cavallo e un maiale... E stanotte è ritornato...”
“Chi è ritornato?”
“Lui. Il bambino. È un bambino brutto, calvo, asessuato; ha lineamenti insignificanti, occhi cerulei e parla... anzi mormora: <Sono molto potente. Posso far suonare i campanelli senza toccarli. E li faccio suonare, senza dirti come.> E in quel momento è suonato il campanello di casa.”
“È stato solo un brutto sogno, un incubo. Anch’io ho incubi talvolta.”
“No. Non era un sogno. Il campanello di casa suona da solo, di notte.”
Segue un lungo silenzio. Sono sconcertato. Poi dico alcune parole consolatorie: “Ketty. Adesso stai calma. Risolveremo questi misteri. Ma prima dobbiamo capire chi è il nemico.
******* ********* *********
È un pomeriggio di febbraio, bianco di brina e con lumi rossi nel cielo pallido. Mentre percorro la strada sento un freddo tagliente. I fossi sono ghiacciati, la campagna sta sotto una rete di brina.
Che cosa è Ketty per me? Un regalo del Destino, una consolazione alla mia solitudine, un gioiello in attesa della morte... Nonostante tutti i limiti umani, l’amore è una cosa sovrumana.
Ormai Ketty mi è entrata nel sangue, mi è entrata nel cervello e nell’anima. Riuscirò a liberarmi di questa ossessione? Mi sento confuso, sconcertato. Non so neanche io se sto bene o se sto male. Io e Ketty abbiamo raggiunto il feeling, l’empatia. Ma di più ancora; è un travaso di anime, un orgasmo psichico.
Questo mio rapporto con Ketty è impegnativo. Richiede tempo, sforzo e dedizione. Ci sono persone lineari, con una psicologia semplice. Ketty non è così. È una ragazza difficile, sospettosa, ermetica. A volte ha contorsionismi mentali, con funambolismi psichici. Fa dei ricami di pensieri, difficili da interpretare. Non sempre riesco a interpretare le sue parole o dare il giusto significato ai suoi accenni.
A volte è dolcissima, altre volte intrattabile. E io sto entrando nel mondo fragile e delicato di Ketty. Un mondo fatto di specchietti, veli, cristalli e labirinti.
Forse è meglio che io non vada più a casa sua. Si sta creando un legame che io non voglio. È come una ragnatela sottile che mi cresce intorno e mi imprigiona. Sì, è bello, mi diverto, mi piace ma... So che va a finire dentro la morsa del matrimonio. E mi lego a una persona piacevole per poche ore, ma insopportabile per una vita intera.
Sto trascurando libri, passeggiate in campagna e sto perdendo tempo per ascoltare le lamentele di quella ragazza. Mi sento anche io stanco e stressato. Mi sembra di camminare sul filo di un rasoio. Da un lato c’è la solitudine con i suoi fantasmi paurosi. Dall’altro lato c’è il legame con una donna, la noia, il tedio insopportabile per la perdita della mia libertà.
Questo pomeriggio andrò da lei per l’ultima volta, poi voglio lasciar passare del tempo per slegarmi da Ketty.
******** ********** *********
CAPITOLO QUINTO
Forse è meglio che prima vada a trovare gli amici al Pozzo dei Poeti. In questa sera di nebbia vado a trovare i filosofi. Nella spuma dei loro pensieri spero di trovare la soluzione ai miei conflitti e alle mie incertezze.
Agostino mi apre e mi conduce in una saletta piena di libri.
“Caro Agostino, tu sei un uomo realizzato.”
“No. La mia vita è stata un fallimento.”
“Ma cosa dici? E tutti i tuoi libri?” dico indicando una parete zeppa di libri dietro di lui.
“Quelli mi hanno fatto comprendere la mia ignoranza.”
“Sei solo? Dove sono i tuoi amici?”
“Quei vecchi caproni! Stanno dormendo e devono ancora arrivare. Tu sei il primo arrivato. Ma ti vedo preoccupato. Bevi un bicchiere di vino caldo. Cosa posso fare per te?”
“No, grazie, non bevo. Sono preoccupato per Ketty. Non riesco ad aiutarla. A volte ho paura anche io, delle sue paure, dei suoi problemi.”
“Ho studiato a fondo la psicologia anomala, infra e ultra.”
“Perchè?”
“Perchè la mente è il più bel giocattolo da capire.”
Agostino si siede su una sedia con la paglia mezza sfondata e mi chiede: “Di cosa parla quella ragazza?”
“Mi parla del suo mondo interiore, i suoi sogni, incubi o fantasmi. Non so cosa sono.”
“Cosa altro ti dice?”
“Mi racconta le sofferenze della sua giovinezza, continua a ricordarle. Io mi sforzo di rasserenarla. A volte parliamo per tutta la notte.”
“Le orge intellettuali sono più massacranti di quelle fisiche. Non dovete giocare troppo con le parole. Te lo dice uno che ha passato la vita con questi strani insetti, dispettosi, piacevoli, talvolta velenosi, che si chiamano parole.”
“Proverò a dirglielo.”
“Sei innamorato di Ketty?”
“Sì. Un poco sì.”
“Quando un uomo ama una donna, ama una proiezione immaginata da lui. La donna reale è differente. Però senza la donna reale questa proiezione non esisterebbe.”
“Ma tu Agostino, cosa pensi dell’amore?”
“Nel grande amore succede questo: l’uomo è il sacerdote che adora; la donna è il Dio che viene adorato.”
“Incredibile! Ma tu ami le donne?”
“Io sono un misogino. Però sono convinto che le donne sono le cose più belle che esistono al mondo.”
“Sei illogico.”
“Io accetto le contraddizioni. Le contraddizioni salvano la vita. Se segui una coerenza logica arrivi in un posto assurdo. Voglio dire che se ti imponi una regola, devi fare anche le eccezioni alla tua regola. Gli inquisitori del Medioevo non avevano contraddizioni, e bruciavano le persone.”
“Sei un pensatore profondo. E come vedi il problema della incomprensione fra i sessi? A volte io mi stupisco che uomini e donne vadano insieme. Sono esseri così differenti.”
“Se la donna fosse forte come l’uomo ci sarebbe la lotta fisica per conquistarla. Ma la donna è più debole; la lotta è impari perciò l’uso della forza è da vigliacchi. Allora l’uomo deve usare il cervello per conquistare la donna. E qui la donna è più forte.”
“Così noi maschi siamo in svantaggio. Qual’è la strategia da segiure?”
“Le donne sono incostanti, frivole, ma prendono la vita seriamente. Gli uomini sono seri, ma vivono la vita in modo frivolo L’uomo deve fare sesso e ha una dipendenza fisica verso la donna. La donna ha una dipendenza psichica verso l’uomo: deve sfogarsi, sentirsi consolata, compresa; perchè la donna è insicura nel profondo. Però l’uomo deve essere all’altezza. La donna si concede all’uomo che ha imparato la psicologia femminile.”
“È vero. Se penso a Ketty...”
“Tu con Ketty hai un rapporto troppo intellettuale. Ricordati che gli amori platonici sono i più massacranti. Anziché districare i suoi problemi, accarezzala. Non costruite castelli di parole. Spogliala. Finché un uomo non vede la sua donna nuda, non può dire di conoscerla. E i pudori dell’anima sono più profondi dei pudori del corpo. Hai provato a dialogare con il corpo di lei?”
“Sì. Ma dopo ritorna l’interiorità. Mi sopraffa. È profondissima. È infinita. Possibile che la soluzione sia solamente carnale?”
“La carnalità attenua la complessità del mondo psichico ed è una soluzione temporanea.”
“Ma tu Agostino, pensi che il sesso sia così importante? Non è deludente?”
“Il sesso è deludente nella giovinezza, quando abbiamo poche cose per confrontarlo. Da vecchi impariamo che tutte le altre cose sono più deludenti del sesso.”
“E dopo? Così si cade nella rete del matrimonio, delle convenzioni.”
“Sì. Il mondo psichico si attenua e arrivano altri problemi, più brutali e materiali.”
“Beh, io voglio rimanere libero e solo. Sono stanco e deluso della vita.”
“Gli uomini liberi e delusi della vita sono quelli che hanno più bisogno del sesso. Così la Natura fa nascere nuovi esseri in sostituzione.”
“Un’ultima domanda: tu credi nell’aldilà?”
“Nel corso della vita sono entrato e uscito da molte gabbie mentali: circoli occultistici, spiritualisti, magici; sette occidentali e orientali; religioni tradizionali o eretiche... Le ho esplorate tutte. Sono diventato un ateo con fede. Io ho una visione mistica della vita; perciò tutte le filosofie per me sono inadeguate.”
**** ******** *********
Lascio Agostino e vado a casa di Ketty. È più tardi del solito. Nel buio freddo e nebbioso, la finestra della sua casa manda una debole luce gialla. È un faro per i naviganti o un fuoco per le falene? Non lo so. Intanto suono il campanello e aspetto...
Finalmente la ragazza apre; ha gli occhi arrossati il viso stanco: “Ho un forte mal di testa e temo che tornerò a star male. Ci sono gli spiriti.”
“Che cosa è successo?”
Ketty riprende a parlare gesticolando: “Stanotte ho sentito dei colpi. Era come se qualcuno battesse sull’armadio. Che cosa era? Mio Dio, che cosa era?”
“Non lo so. Allora cosa hai fatto?”
“Nulla. Dopo sono incominciati i tamburi. Tamburi, tamburi, tamburi... Battevano in continuazione. Sembrava un rito di Magia Nera, quello che si svolgeva giù in salotto.”
“Io per proteggerti darei la vita, ma non conosco il tuo nemico.”
“Ma non erano tamburi. Erano boomerang mentali; erano spade dentro spade. E io non sono pazza. Non sono pazza, c’erano veramente!”
“Sì. Ti credo. Però adesso calmati. Stai calma. È tutto finito adesso. Se potessi essere con te quando avvengono questi fenomeni...”
“Si sentivano anche delle voci provenire dal salotto.”
“Che cosa dicevano?”
“Erano voci lontane; sembrava un borbottio.”
Ketty ha un lungo sospiro. È agitata, sudata e ha brividi di freddo. Ricordare gli avvenimenti della notte passata, le fa male. A voce ancora più bassa riprende a parlare: “Alle due di notte sono andata in bagno e mi sono affacciata alla balaustra della scala. C’era una luce rossa giù nel salotto.”
“Forse era la luna o il fuoco nella stufa.”
“No. tutte le finestre erano chiuse e la stufa era spenta da ore. In quel momento è arrivato lui...”
“Chi lui?”
“Il bambino calvo e mostruoso. E parla. Ma io non sento le sue parole, le percepisco mentre sussurra: < Io sono il Diavolo...>”
“No! Quel bambino mostruoso non esiste! È solo la concretizzazione delle tue angosce, delle tue paure...”
Ketty non mi ascolta e prosegue: “E dietro di lui c’era Nicholas...”
“No! Nicholas è morto! Lo abbiamo visto mentre lo seppellivano...” grido.
Ketty riprende a parlare. La ragazza è tesa e molto emozionata: “Ho riconosciuto la voce di mio fratello rovinata dal fumo delle sigarette.”
“Basta! Sono solo brutti sogni, visioni della mente; incubi...”
“No. No. Non sono sogni. Ho visto realmente...”
“Calmati Ketty. Calma. Sforzati di stare calma. Troveremo una soluzione a tutto questo.”
“Quel bambino mi perseguita. Ho paura... ho paura... ho paura...”
Trascorriamo il resto della sera abbracciati sul divano, vicino alla stufa.
Alle due di notte faccio ritorno a casa.
**** ********* ******** ******
È un pomeriggio chiaro, ai primi di Marzo. Vado a casa di Ketty e la ragazza mi appare più serena e rassegnata.
Appena entro mi dice: “Stanotte ho sognato... Una suora bellissima, giovane, distesa su un letto, come morta. Poi la suora si alza e appare dentro un rettangolo della parete. È una creatura viva; vedo le luci, le ombre e la sua bocca che parla e mi domanda: <Indovina chi sarà quello che ti farà del male?> Allora mi sveglio tutta agitata. Che cosa può significare?”
“Non lo so. Forse è un sogno premonitore o forse no. Aspetteremo un paio di mesi per vedere quello che succede.”
Poi Ketty va alla finestra e la sento esclamare: “Guarda... Guarda...”
Io corro vicino a lei e la ragazza mi indica il cielo. È un fenomeno stranissimo. Tutto il cielo a ovest è pieno di nubi a forma di virgolette.
“Che cosa vorrà dire? È un segno del destino...” dice Ketty sospirando.
“Le nubi oggi hanno una forma bizzarra” tento di spiegare.
Ma Ketty insiste: “È un presagio. Le nubi racchiudono qualcosa, stanno imprigionando qualcosa... Ma cosa?”
Per sfuggire al freddo andiamo in cucina, vicino alla stufa e commentiamo il fenomeno. Il significato generale è chiaro. Ketty si sente minacciata; ma da chi? E da dove?
Sembrerà una coincidenza, eppure questa è l’ultima volta che ho visto Ketty nella sua casa.
CAPITOLO SESTO
Sono trascorse alcune settimane durante le quali le bufere della mente si sono calmate, o perlomeno assopite.
L’amore per Ketty mi ha svuotato. Il pensiero fisso e ossessivo di lei ha stancato la mia mente, ha esaurito tutte le mie energie. Io e Ketty abbiamo giocato all’amore come due ragazzini; abbiamo giocato alla morte come due disperati.
Adesso ho capito quanto siamo soli al mondo. Anche insieme all’amico più caro, insieme all’amante più focosa, l’uomo rimane solo, con i suoi fantasmi e le sue paure della morte.
Adesso siamo in Aprile. I giorni di Aprile sono così belli che bisognerebbe appuntarli sull’album per conservarli. Invece fuggono così veloci.
Il cielo è celeste con corone di luce rosa. Nuvole a forma di angeli corrono nel cielo.
Un’altra storia d’amore è finita, chiusa nell’armadio del tempo, da dove non uscirà mai più. Se ripenso all’inverno trascorso, comprendo che con una superattività mi sono illuso di creare una maglia fitta che mi proteggesse dal dolore e dalla paura della morte.
Ho corso insieme a Ketty come un forsennato. Non so se ho fatto bene; in fondo c’è sempre la morte. Però se rallentavo facevo meno esperienze. Ma è tutto inutile. Prima o dopo dobbiamo accettare la realtà convenzionale, oppure rifiutarla per sempre.
Ketty ha visto altre realtà? Più profonde e spirituali? Oppure ha visto solo le allucinazioni del suo inconscio? È una domanda che tormenta le mie notti insonni. Intanto però, la società materialista ha dato la sua risposta e ha rinchiuso Ketty in una casa di salute.
Gli zii pietosi, quelli che non sono mai venuti quando Ketty aveva bisogno di aiuto, hanno chiamato un dottore. Questo ha spedito la ragazza in una casa di salute e i parenti hanno ottenuto l’autorizzazione a “lasciarla dentro”.
Qualche vota vado fino ad Ader per trovare Ketty. Dopo i cancelli e la portineria, entro in un salone grande con vetrate, divani e piante di sempreverdi. C’è un tizio sdraiato per terra che urla e pugna il pavimento. L’infermiera tenta di calmarlo. Sento in lontananza le lunghe risate delle pazze...
Ketty sta seduta da sola su un divano. Io mi siedo vicino e guardo il suo fermacapelli a forma di stellina dorata.
La ragazza volta piano la testa e mi guarda senza parlare. Le chiedo come sta, se ha bisogno di qualcosa... Ketty risponde parlando lentamente a voce bassissima. Cosicché sono costretto a farmi ripetere le parole. E in equilibrio da psicofarmaci, dice la Direttrice.
Il tempo è ovattato qui dentro e passa più lentamente. Il silenzio è rotto dalle grida che provengono dai reparti. Alla fine le stringo la mano e vado via.
Prima di uscire dalla sala mi volto per l’ultima volta verso la ragazza. Ketty mi guarda. Sul suo viso c’è una espressione di speranza e di rassegnazione.
******** ********* *********
Adesso Ketty è rimasta sola con le sue visioni. Fantasie dell’inconscio o spiriti dei defunti? Chi può dirlo?
Ancora altro tempo passato e siamo in Maggio. È fiorita la robinia, i sambuchi. Nei campi ci sono papaveri e camomille.
Agostino ha fatto una paralisi e lo hanno portato all’ospizio dei vecchi. Non ho neanche il coraggio di andarlo a trovare. La sua casa è chiusa adesso. Il Pozzo dei Poeti non esiste più.
Il Professore non ha nemmeno la laurea. È uno scrittore fallito; moglie e figlia lo hanno abbandonato e lui vive alla giornata. È sporco, trascurato; scrive aforismi e intrattiene i passanti con i suoi discorsi.
L’esteta Doriano ha trovato finalmente una compagna e adesso abitano insieme.
Deturry si è trasferito in città. Il musicista Lino è completamente sordo.
È rimasto solo Rodolfo, lo scultore. Deve obbedire alla moglie bisbetica e lavorare duro per mantenere le sue quattro figlie.
******** ********* *********
Ketty vedeva veramente gli spiriti? Udiva veramente la voce di suo fratello? O erano tutte illusioni? E i fenomeni fisici erano reali? Fino a che punto?
E chi era il bambino? Cosa rappresentava? Era la drammatizzazione dell’ansia? Del pericolo? Della paura? O che altro? Sono domande che restano senza risposta.
La casa di Ketty ormai è abbandonata e vuota. Quando passo da quella strada sento un vuoto, sento l’eco della presenza di Ketty.
Ketty ha lasciato un vuoto che nessuno riempirà, dentro alla casa e dentro al mio cuore. La sua casa non risuonerà più dei suoi pianti e risate, delle sue grida e sospiri.
Qualcosa di bello e delicato è scomparso dal mondo; forse perchè questo mondo, con le sue brutture, non ha saputo apprezzarne, né comprenderne il valore. Il gioiello Ketty rimane per sempre nel mio cuore.
FINE
Marzo Ottobre 2007 Revisione Novembre 2007
Dopo Barbusse, Sartre e Camus, lo scrittore Bissoli tocca i temi che stanno alla radice della Vita: l’eros e la morte.
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