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Storia di una chiamata - Capitolo 5° (seconda parte)
IL CONVEGNO DI RIMINI
Oggi, nell’aprile dell’82, mi sto preparando per vivere una nuova, unica esperienza di fede: il Convegno del Rinnovamento nello spirito che si terrà a Rimini. A Catania si formerà un treno speciale riservato per tutti i partecipanti della Sicilia. Che bello! Sono già sul treno ed ho con me i fratelli della prima ora: P. Vincenzo, Pippo, Aurelio, Salvo e Corrado.
Come sempre è molto emozionante per me la traversata dello Stretto e al rientro resto sempre affacciata al finestrino del corridoio, ma Corrado premuroso si avvicina: “Rorò” esordisce (è il diminutivo che usa in certi momenti, a me piace molto, perché mi fa sentire giovane come lui che ancora non ha compiuto vent’anni) “Stai attenta, facendo così ti stancherai e non potrai assaporare i sacri momenti del nostro convegno di Rimini, su presto vieni a sederti al mio posto, è vicino all’altro finestrino”.
Sorridendo convinta accetto il suo “velato ordine”.
A Bologna il treno si ferma per la coincidenza e abbiamo quasi tre ore libere a nostra disposizione.
È una città medievale, m’ispira molto, sto contemplando le due artistiche torri della “Garisenda” e degli “Asinelli” e Pippo propone: “Dai, lasciamo qua Rosarita, la passiamo a prendere al nostro ritorno”. Tutti ridiamo, quindi si riparte “Signori in carrozza!”.
Il treno riprende la sua corsa e noi ci muoviamo per fare una visita di cortesia ai fratelli del vagone accanto. Il nutrito gruppo di Palermo è guidato da P. Mari è deciso questo monaco con una chierica vigorosa e con i pochi capelli rimasti tenacemente attaccati alla sua testa. Gli occhi, indagatori e penetranti, pare siano avvezzi a leggere dentro i cuori degli uomini.
A vederlo così, a prima vista, mi dà l’impressione di un uomo “severo”, “deciso”, mi sembra un antico profeta biblico. Anche lui sembra scrutarmi con interesse, ma si limita a mormorare un formale “Benvenuta fra noi, Rosarita”. Mi allontano, lo guardo perplessa e mi dic “Questo monaco avrà un ruolo nella mia vita” e questo pensiero è “strano”.
Il treno continua la sua corsa, noi siamo già ritornati nel nostro scompartimento e mi chied “Dove sono i miei bagagli?”, Corrado si è assunto il compito di sistemarli e trascinarli via insieme al suo leggero borsone.
L’autobus all’uscita della stazione ci aspetta per portarci nel nostro albergo. Nella mia stanzetta a due posti viene Antonietta, proveniente da Paternò; la simpatia è istintiva e reciproca. Ora è mattina presto, l’autobus ci viene a prendere per portarci alla sala del convegno.
Ben presto arriviamo in uno slargo immenso riservato ai pullman che portano i pellegrini della Calabria e della Sicilia; non si riesce neppure a vedere l’asfalto perché l’enorme parcheggio è pieno di centinaia di pullman colorati con cartelli con su scritto il nome del luogo di provenienza e il numero di codice del posto assegnato ad ognuno.
“Ma che nordica organizzazione!” mi dico.
Scendiamo ed ora verso di noi arrivano due biondi, nordici ragazzi in divisa: camicia azzurra, pantaloni blu e una vistosa fascia bianca al braccio con la scritta Servizio d’ordine.
Noi scendiamo e siamo già incolonnati in fila indiana; ad ognuno di noi viene consegnata una colorata busta, subito apro la mia e vi trovo una targhetta autoadesiva da riempire, il codice del nostro pullman, l’indirizzo e il nome dell’albergo, il libretto dei canti ed un grazioso cappellino giallo, che subito indosso per difendermi dal “caldo” sole.
I due biondi atletici ragazzi chiedono chi è il nostro capogruppo e subito Pippo si fa avanti, anche lui riceve il nostro materiale, ma il suo cappellino è rosso e stavolta ha il ruolo di guida. Siamo meno di un centinaio contando i fratelli di Paternò, di Siracusa e di Messina, che si sono uniti a noi, perché quelli di Palermo hanno un pullman a parte.
In questa folla immensa temo di … smarrirmi, ma Corrado sollecito afferra la mia mano e mi dice: “Tu sai parlare la nostra lingua, l’italiano? Coraggio allora siamo tutti tranquilli”.
Aspettiamo il nostro turno per poter entrare nel settore a noi assegnato mentre l’altoparlante invita tutti i medici presenti ad avvicinarsi alle ambulanze, che sono già disposte in una lunghissima fila nella corsia laterale. Ma ecco alla destra, dal lato esterno del mio cordone, un medico riconoscibile dalla fascia della Croce Rossa, si avvicina sempre più, lo guardo e lo riconosco, ma anche lui mi riconosce, si avvicina svelto, alza il cordone, entra, mi abbraccia e, mostrando una sincera meraviglia, dice: “Rosarita, complimenti! Ti trovo proprio in forma, sei diventata anche più giovane di me: come mai?” Sorrido fra me e con la mano gli indico il posto di P. Vincenzo e poi aggiung “Nunzio, stai facendo volontariato? Ma così non potrai vivere la nostra forte esperienza di preghiera”. “Servire i fratelli sofferenti è preghiera!” afferma convinto.
Eh sì ?" penso?" la carità è la chiave speciale del nostro impegno cristiano.
Camminiamo in ordine, ben inquadrati e guardiamo le frecce per terra, che indicano il percorso da fare per raggiungere la nostra postazione numero sette. Vedo che tutto è rigorosamente organizzato, alcuni giovani del servizio d’ordine favoriscono il fluire della folla nei vari settori stabiliti. Ecco sono arrivata, mi siedo al mio posto numerato e mi guardo in giro, Finalmente!
Il salone è un immenso ottagono in cemento armato con sedici colonne portanti. quotidianamente è una delle sedi della fiera campionaria, ora è stato adattato per il nostro Convegno.
Sul grande podio infatti è sistemato già il palco per l’ orchestra che animerà gli incontri e tutti i cantori sono in “divisa”. Accanto all’orchestra un enorme tavolo rivestito con bianche, merlettate tovaglie, ornato di fiori rossi e di candelabri fa da “altare”. Nei lunghissimi circolari scalini, che sembrano formare un anfiteatro, via via prendono posto due rappresentanti per ogni gruppo presente.
Improvvisamente il chiacchierio iniziale si smorza ed una voce calda e potente così dice: “Benvenuti fratelli, c’è posto per tutti, vi prego rispettate l’ordine, occupate i posti che corrispondono al vostro numero e lo spazio del vostro settore”.
Ora il canto corale, amplificato dai potenti altoparlanti si estende in tutto l’enorme locale: “Io ho una gioia nel cuore, gioia nel cuore e dentro me … Tu hai una gioia nel cuore e dentro te … apri le braccia e loda il tuo Signor!”
E cento, mille, diecimila braccia nere e bianche si innalzano al cielo, ondeggiano, si uniscono al ritmo del canto e … mi sembra di vedere ora solo otto fiori con petali multicolore, che lentamente si aprono e si chiudono, e che hanno come stelo dei verdeggianti bastoni appoggiati nel calmo fiume della preghiera di lode!
Come separata dalla parte materiale di me, felice e libera, canto e anche le mie braccia naturalmente si alzano e si abbassano seguendo il ritmo comunitario.
E divento anche una testimone oculare di miracolo perché gli uomini, che tre giorni fa sono entrati in questa “fiera campionaria” hanno prodotto profitto, potere, denaro, noi oggi, invece, nello stresso luogo stiamo facendo qualcosa di “sacro”, stiamo producendo preghiera e a vicenda ci regaliamo gioia e speranza estensibile al mondo intero che vive, lavora, soffre fuori da questo posto, E il coro scandisce:
Vieni, Santo Spirito
manda a noi dal cielo un raggio
della Tua luce.
Vieni, Padre dei poveri,
vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfett
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica riposo,
nella calura riparo, nel pianto conforto.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la Tua forza
nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina,
piega ciò che è rigido
scalda ciò che è gelido
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te
confidano, i tuoi santi doni.
Dopo l’invocazione più di duecento sacerdoti salgono sull’altare immenso, degradante in scalinate. È significativa la prima parte della liturgia penitenziale, chi vuole può ricevere il sacramento della confessione parlando con il primo fratello sacerdote che incontra nell’area del proprio settore. Che modo “carismatico” per riconciliarsi con Dio e con i fratelli! Usavano questo modo anche le comunità d’origine??
Mi metto in fila indiana in attesa del mio turno. Una voce calda e chiara proclama:
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati. io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli. vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. abiterete nella terra che diedi ai vostri padri. voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio (Ez; 36, 25-29)
Mi trovo davanti un fratello sacerdote nero, riccioluto, alto. <<Salvatore>> leggo sulla targhetta bianca che spicca sulla camicia nera come la sua pelle. Mi sento come protetta da un sorriso bianco, bianchissimo, gioioso, luminoso che dal suo vivace volto si spande tutto intorno e arriva dritto al mio cuore e poi sento la nota nenia infantile che dolcemente dice: “Rosarita, benvenuta a questo sacramento della gioia. Lo sai, Gesù ti ama e ti accetta così come sei” e poi mi.. abbraccia ed io affascinata dalla voce e dal suo bianco e limpido sorriso, ricambio il suo abbraccio e inizio a parlare. Alla fine la sua larga mano nera è inondata di bianca luce quando si alza decisa nel gesto sacerdotale del perdono. Ma tu, Signore, pensavi anche a questi momenti quando lì in Palestina ai tuoi apostoli dicevi: “Tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli?”.
E provo ancora una strana sensazione liberatoria, perché il suo sorriso stranamente mi fa pensare ad un altro giovane catanese che, non ancora prete, lì a S. Antonio nel 1979 mi regalò il suo, P. Andrea.
Entrambi i sorrisi sono qualcosa di fantastico e di rassicurante, ecco hanno in comune l’azzurro verde della … gratuità. Piano ritorno al mio posto e l’enorme sala è illuminata dalla grazia di questi incontri di Grazia. Fratelli e sorelle abbracciati ad altri fratelli sacerdoti ricevono così il sacramento! E i tanti vescovi presenti tranquilli distribuiscono anche loro benedizioni e … sorrisi.
Improvvisamente mi rivedo nel ’70 a S. Antonio, vedo davanti a me il vecchio altolocato prelato romano che oggi amabilmente mi dice: “Ti trovi bene qua, vero? Ora puoi muovere le braccia come vuoi, “lo stile” stavolta te lo permette, vero?”.
Ma è solo una mia impressione interiore! Lui è già in Cielo, è certo più libero di esprimersi!
Osservo la folla festosa, ma silenziosa e compunta, poi guardo le colonne di ferrato cemento. Anche loro sembrano “stupite” perché appena tre giorni fa hanno udito ben diverse e febbrili trattative commerciali, ora invece guardano attonite gratuite trattative di pace, di perdono, di misericordia. Ah, se ci fosse presente il mio dotto vecchio professore di religione del magistrale di Locri direbbe: “Alt! Il sacramento non è valido. Amministrato così è nullo sia per la materia, sia per la forma! Che tempi! Che Chiesa! La chiesa è caduta in basso, si è fermata a dar peso all’emotività di una folla esaltata!”.
Ma non c’è il mio “dotto” professore del magistrale che io, già ragazzetta, per istinto contrastavo pur non avendo basi teologiche.
Ma così si respira lo Spirito Santo, tutto il mondo è presente come una nuova Pentecoste! Quanti pensieri frullano dentro di me mentre libera, leggera e felice ritorno al mio posto e sprofondo in preghiera, circondata da un sottofondo musicale. Mi sento sfiorare i capelli da una carezza delicata: è Corrado, lo guardo sorridendo. Anche lui ha gustato “sacri momenti” d’incontro col Signore! Ma è la terra che è già salita al cielo o è il cielo che è sceso sulla terra?
Questo dubbio mi resterà fino alla fine del Convegno, fino al mio ritorno a Catania. È vero gustare e vivere dei momenti forti di preghiera è una delle esperienze più complete che un uomo possa fare perché è simile all’innamoramento, ma lo supera la preghiera; essa, infatti, è un anelito universale perché non si ama solo l’altro oggetto dell’innamoramento, ma si può amare contemporaneamente l’albero che si intravede dalla finestra, il fratello che sta aprendo la tenda pesante di una delle uscite, la sorella sconosciuta che sta aspettando, stanca, un bicchiere d’acqua al posto di ristoro, il bimbo nero che dorme placido fra le braccia della sua giovane “mamma bianca”, il volto ancora giovane e splendente di una esile donna bionda che sorride serena pur essendo inchiodata su una sedia a rotelle, l’autista che esausto aspetta fuori al sole il nostro rientro in albergo!
“L’Amore scopre in tutto il mistero di Dio in ogni volto umano, ma anche in ogni granello di polvere, in ogni filo d’erba”. (Anselm?" Grun)
Stiamo vivendo la prima serata con la S. Messa che è dedicata ai fidanzati e alle famiglie. Ora, alla fine della Messa, arrivano da tutti i settori genitori con bimbi neonati o più grandicelli, c’è un cicaleccio delizioso e un mare multicolore di “piccoli” che salgono sull’altare e, stavolta, anche i giovani del servizio d’ordine sono più tolleranti.
E scroscia l’applauso, mi guardo le mani ; sono rosse come il fuoco dell’Etna!
L’indomani mattina partiamo presto dal nostro albergo così arriviamo puntuali alla sala del Convegno.
È sempre ricca di emozioni e di ammonimenti vari la nostra mattinata comunitaria perché “lo spirito santo è presente nella preghiera dei fratelli” (At. 4, 23-30).
Ora questa colonna di cemento armato che sostiene tonnellate di peso e dove io, alzata, mi appoggio, può essere “impregnata” di preghiera, ora “trasuda” preghiera. E non riesco neanche a meravigliarmi per il mormorio che via via sale dai primi posti della destra dove una sorella immobilizzata da anni, costretta sulla sedia a rotelle, improvvisamente si alza, muove i primi passi stentati, si avvicina al microfono e nell’assoluto silenzio di tutta l’assemblea, con voce stonata intona: “Alleluia! Gloria a Dio!”
Gloria! Gloria! ?" intona il coro.
Sul nostro pullman, nel ritorno all’albergo nessuno parla, qualcuno delicatamente recita il Rosario.
Anche il nostro pranzo, gustoso ed abbondante, viene consumato in silenzio, silenzio di … adorazione.
Nel pomeriggio torniamo nella sala dei Convegni, stasera la S. Messa è dedicata ai sofferenti e alcuni salgono sull’altare per ringraziare il Signore per la disponibilità dei loro fratelli sani che sono il loro “bastone” e i testimoni dell’Amore di Dio per loro.
È arrivato l’ultimo giorno del Convegno, stavolta la Messa sarà celebrata di mattina perché in tarda serata dobbiamo ripartire per le nostre “sedi”.
L’altare è tutto ricoperto di fiori gialli e bianchi e la S. Messa è dedicata a tutti i consacrati di ogni ordine e grado, sia quelli che sono inseriti nelle tante Istituzioni ufficiali della Chiesa, sia quelli che vivono in modo personale il loro impegno in comunità.
Ricordo che P. Vincenzo a pranzo mi aveva esortat “Rosarita presentati all’altare domani, io sarò fra i sacerdoti concelebranti. Sali fra i tanti fratelli e sorelle sconosciuti, questa è una conferma per la tua vocazione”.
Mentre uomini, donne, ragazzi, suore responsabili delle pastorali e laici saliamo sull’altare, il coro ripete: “nessuno ti chiamerà più abbandonata né la tua terra sarà detta devastata ma tu sarai chiamata “mio compiacimento” e la tua terra “sposata”. come gioisce lo sposo per la sposa così per te gioirà il tuo dio”
“Che bello!” mi dico “La mia strana chiamata è visibile in uno spazio di Chiesa e oggi è quello di S. Teresa a Catania”.
È l’ultimo giorno di permanenza a Rimini, usciamo, ci incontriamo con altri gruppi di Genova e di Torino e i ragazzi con le chitarre improvvisano un concerto e P. Vincenzo mette fuori il meglio della sua bella voce.
Sul grande piazzale le biciclette a due posti, i tandem, fanno bella mostra di sè, io guardo incuriosita i ragazzi che pedalano insieme ed ecco P. Vincenzo svelto ne affitta uno, si ferma, mi guarda e sorridendo mi invita: “Svelta, sali su” . Io lo guardo incerta, poi alla men peggio riesco a salire, sistemandomi sul sellino e lui, generoso, pedala anche per me, infatti io non sono mai andata in bicicletta, neanche da bambina.
Così mi diverto un mondo e Pippo, vedendomi, è più divertito di me, così mi scatta una foto.
Nel dondolio ritmato del treno, rannicchiata nella mia cuccetta “rivivo” le tante sensazioni provate, ma non riesco a fermarle sulla carta nella profondità del loro valore esistenziale.
Una mattina, sul finire del mese di Aprile dell’83 (dopo tre mesi dalla scomparsa di mio padre) con il cuore nero, con la faccia smunta e pallida, con il passo trascinato, ricoperta dalla camicetta nera con le lunghe maniche nere, mi preparo a salire la seconda rampa di scale per andare da sola nella “mia” cappella a S. Teresa.
Stavolta ho veramente bisogno di riflettere per ricostruire me stessa, perché, dopo la forza interiore e la decisione mostrata nei primi momenti di emergenza, sono crollata e mi sono lasciata, in buon ritardo sulla norma, travolgere dall’angoscia.
Sto scoprendo, con un senso di sgomento, che non ho normali reazioni emotive istintive e primarie, bensì sono soggetta a periodi di “incubazione di dolore” che poi esplode fuori dopo lunghi tempi.
Qualcuno dei miei fratelli mi ha messo questo dubbio che, in certi momenti, non riesco a capire. Oggi, nel divino silenzio della cappella, analizzerò insieme al Signore questo problema.
Mi trovo quasi sulla soglia del lungo corridoio, sto per avvicinarmi ma ecco che di fronte a me trovo padre Mario, il monaco che ho intravisto a Rimini nel convegno del Rinnovamento nello Spirito e che da poco è venuto a Catania.
Per una reazione istintiva io cerco subito di tornare indietro, voglio evitare l’incontro diretto con lui, ma purtroppo mi ha già visto e allora a fatica mormor “Buongiorno padre Mario”. Si ferma, mi scruta dentro con i suoi acuti occhi indagatori e poi sorridendo mormora: “La tua non è una faccia da buongiorno” e così dicendo si avvicina ancora, allunga il braccio e mi tira un sonoro ceffone. Lo guardo allibita, poi, fragile come sono in quel momento, scoppio in un pianto dirotto e mi giro verso le scale per tornare a casa, ma non riesco neanche a fare il primo passo perché P. Mario appoggia il suo braccio forte sul mio e con espressione commossa, che non gli conoscevo, mi fa: “Rosarita, su piangi, ti fa bene, fermati, non scappare, vieni in cappella con me stamattina. Il Signore ci ha fatto incontrare perché vuole dirti qualcosa”.
Dubbiosa mi lascio trascinare in cappella, ritrovo il mio cuscino di juta, ora lui si siede sul panchetto accanto a me e mormora dolcemente: “Figlia (sussulto!) lo capisci che tu non sei sola, “orfana”, come ancora credi, tu hai il Signore con te, ti prego, ora lascia riposare in pace tuo padre, che ti vuole rivedere “serena” e “attiva” come ti ha lasciata quaggiù”.
Le lacrime che avevo inghiottito ritornano copiose a scendere sul mio viso sparuto e scivolano come perle sul mio nero vestito, apro la borsa e cerco i fazzolettini, ma p. Mario, sollecito mi precede, tira fuori dalla tasca della sua tonaca il suo ripiegato, bianco fazzolettone e con la sua manona, piano e delicatamente, mi asciuga il viso, mi accarezza lice i capelli, poi sempre piano inizia a parlarmi di pace, di pazienza, di amore e, alla fine, prende la Bibbia e trova il salmo adatto per me e sorridendo lievemente mi esorta a ripetere insieme a lui: “mi opprimevano tristezza e angoscia, ero preso dai lacci degli inferi, ma ho invocato il nome del signore ed egli mi ha risposto, mi ha tratto in salvo il signore” (Salmo 114)
Da quel momento riprendo quota ed inizio con lui un cammino di fede, certo breve come tempo, ma intenso come qualità.
Provo una sensazione speciale, ecco ho un nuovo padre, non è il mio della carne, ma il mio dello Spirito.
Il nostro dialogo è intenso, è fatto di momenti di preghiera comune, di verifica, di ascolto comune e di silenziosa adorazione eucaristica, secondo lo stile del Rinnovamento nello Spirito.
Inizia a S. Teresa una nuova realtà: si preparano gli incontri vocazionali per i “novizi” che guardano al carisma carmelitano e immancabilmente ci vado anch’io, in fondo sono ancora in ricerca “perché la mia speciale vocazione può alimentare e sostenere quella dei ragazzi” suggerisce P. Mario. “Giusto” penso “proprio giusto!”.
E tanti ragazzi vivono questa profonda esperienza: Santo, Renato, Gianfranco, Angelo.
E ogni volta che vado a Monte Carmelo il mio pergolato sembra rinverdire! Ora mi trovo ancora nella mia cappella, sono seduta ancora sul mio cuscino di juta e P. Mario è seduto sul suo panchett stiamo vivendo un ultimo momento di preghiera comune prima del suo ritorno a Palermo.
Ma ora il essere è più radicato nel Signore e il distacco dal mio padre spirituale è meno amaro, ci sentiremo spesso e potremo rivederci in qualche momento comune, così spera il mio cuore di “figlia”.
Nei primi di Agosto dell’84 mi trovo, per la prima volta nella mia vita, all’aeroporto in partenza per Lourdes con il mio padre spirituale, P. Mario. Che bellezza! Che grazia!
Tanta attesa ed ora eccomi sull’aereo in volo verso Lourdes. Ti vedo Signore, contemplo il cielo, opera della tua mano, la terra, baciata dal mare, diventa sempre più lontana, piccola, evanescente sfuma nello spazio infinito. Ogni nube è diversa e il vento dà loro la forma che vuole! E tu? Pensa, o Signore, non sei riuscito ancora a darmi la forma che vuoi, perché io ho resistito e ancora Ti resisto stupidamente! Perdonami Signore!
Le nubi passano, variano, brillano, ma quanti nuvoloni grigi sono passati nella mia vita, o Signore, e lo ricordo con una preghiera-poesia che prendo in prestito dalla mia amica Concita.
Calda neve
… Chi ha teso la mano di noi due,
Tu per farmi salire,
oppure io per farmi innalzare?
Dove sei Signore a lungo atteso?!
Sei opaco in me, tutto tace.
Il silenzio si libra sui miei passi
e come canto senza suono, Tu sei in me.
Eppure mi circondi, sei presente.
Ti ho scelto? O sei Tu che mi hai preteso?
Non lo so ancora,
sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta,
senza darmi la possibilità di capire
ed ora aspetto …
Aspetto che la neve smetta di cadere.
Concita Sambataro
Mi scuoto, sento su di me il Tuo alito di vita, queste nubi sembrano fiocchi di neve candida e calda. Ti lodo per il cielo, per il mare azzurro, per i monti innevati, ti lodo per tutte le creature animate e inanimate.
Ti lodo mentre l’aereo vola e il mio cuore, ora immerso nel Tuo, non teme alcun male!
Intravedo ora una striscia scura giù: è la dolce terra di Francia! La penna non sta dietro ai tanti eterei pensieri e non sta dietro al grazie che ti sussurro così, faccia a faccia: Tu sei nello splendore variopinto del creato, io, in questi atomi di materia che costituiscono il mio essere su cui hai alitato il Tuo soffio di vita e mi sento una piccolissima parte del Tuo universo! Mille anni per Te sono come un giorno solo e un giorno solo come mille anni.
Ecco Ti abbraccio, o Amore Santo, rispondi, Ti prego, ai nuovi problemi che mi porto dentro. “Sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta” è vero, quale angoscia mi stringe il cuore dalla quale Tu non puoi liberarmi?
Piccola e indifesa mi affido a Te. Liberami dal male oscuro e nascosto che vive nel mio cuore, da quello insidioso che c’è nel mio corpo, dai ricordi inutili del passato, che spesso diventano vuoti bagagli di nostalgia, liberami dai perché che turbano il mio presente, anche nella vita della chiesa. Tu che guidi l’universo puoi farlo, o potente, o Amore Santo!
Ecco non posso più scrivere, l’aereo comincia a ondeggiare, quanto verde splendente, quanta speranza, quanta luce!
Dopo l’arrivo e la prima sistemazione in albergo, tutti in gruppo con le targhette appuntate sui nostri vestiti estivi, andiamo a piedi verso il Santuario, che già in lontananza appare: immenso, luccicante di lucette a spillo, lontane e intermittenti.
Le stradine sono caratteristiche, mi sembra di essere a Taormina, i negozietti che espongono oggetti vari sono ben forniti, ma P, Mario, solerte, ci invita a non fermarci per poter partecipare alla processione Eucaristica.
Ecco siamo arrivati, cerchiamo di immetterci in questa immensa folla proveniente da tutto il mondo conosciuto.
Ma ora, dentro questa “fiumara Umana” noto giovani corpi macilenti, mutilati, offesi, di fratelli e sorelle di tutte le età, perfino bambini inchiodati, con strani invisibili “bulloni della gioia” alle terribili sedie a rotelle.
Questo immenso fiume di dolore ha una caratteristica sconvolgente per me: è un dolore pudico, silenzioso, accettato con infinita pazienza, persino con gioia, oserei dire!
Mi sento sconvolta da tanto eroismo e piano mi avvicino a P. Mario e lo guardo interrogativamente, comprende, mi prende per mano e mormora: “Rosarita, il segreto della gioia è accettare la volontà del Signore, poi bisogna “dimenticarsi” e camminare. Ho voluto che tu venissi a Lourdes con me per dare una svolta alla tua fede, anzi al tuo modo ci credere”.
Ora cammino in fila, sono più calma e, strano, sono io che ricevo sorrisi e timidi cenni di saluto da qualcuno che può muovere solo le dita. L’immensa fiumara a stento comincia a muoversi negli immensi spazi sacri di Lourdes, perché abbiamo lasciato alle spalle la città turistica colma di alberghi, ristoranti e negozi.
“Ave Maria, piena di grazia” ripete il primo gruppo della lunga fila, e in lontananza il gruppo finale fa eco recitando la “Santa Maria”. E la Madre di Dio unisce, in un unico coro devoto, questo mare di pellegrini, pochi, e di sofferenti, quasi tutti.
L’indomani mattina sento prepotente il bisogno di “isolarmi”: sono troppe, varie e profonde le sensazioni che mi invadono, dentro ho bisogno di luce, di pace, di gioia, di dialogo.
Ho con me la targhetta con il nome del nostro albergo e con gli orari di rientro stabiliti.
Calco sulla testa il mio colorato cappellino, sistemo bene lo zainetto, metto gli occhiali da sole e piano svicolo dal mio gruppo; qualcuno mi chiama, ma P. Mario suggerisce: “Lasciate stare Rosarita, ha bisogno di ritrovarsi, perché si era smarrita”.
Ora svelta mi immergo in questa folla “dolorante”, cammino, mi fermo, prego, sento come un lieve gorgoglio d’acqua, ecco è il fiume che, irruento, libero, scorre verso il suo mare. “O Signore fa che la mia vita scorra libera, limpida, feconda di bene e fa che fluisca sempre verso di Te, sicuro porto dell’anima mia! Ecco il mio arido cuore Ti ascolta, ora il mio spirito risposa in Te, anche il mio stanco corpo, al calore benefico della Tua presenza, si sente rifiorire!”.
E sono davanti alla grotta, rispetto il religioso silenzio e mi fermo per un po’ anch’io in preghiera. Fra alcuni minuti ci sarà la Messa nella Basilica di S. Pio X, mi avvio.
L’interrogativo che mi pongo è profondo, un’intera umanità sofferente e dolorante si aggira in questo luogo sacro e il vero stupendo miracolo è la serenità stampata sul volto dei fratelli sofferenti, l’accettazione di situazioni assurde con “naturalezza e speranza”.
Qui c’è la pace, quella che “il mondo irride, ma che rapir non può” (Inni Sacri; A. Manzoni).
Ora alla lettura del Vangelo con gli occhi dello spirito vedo e sento Pietro implorare <<signore comanda che io venga a te sulle acque>>. E lo vedo sicuro scendere dalla barca e camminare per un attimo tranquillo sulle acque, ma il vento sibila e Pietro ha paura e anche io ne ho ancora tanta. Ma lui ha l’umiltà di chiedere il soccorso. “salvami” implora e anche io Te lo ripet “Salvami da tutte le mie paure, dalla mia stupida ansietà e fammi vivere alla luce del Tuo Amore”. (1984)
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