Mio padre dipingeva. Vivevamo in un cottage sulle montagne vicino Turigi. Su quelle alture era come se il mondo contemporaneo avesse imboccato ogni volta la stessa scorciatoia per evitare l’incontro con chi ci viveva. Lissù c’era solo spazio per i propri progetti, per le fantasie personali. E mio padre ne era la prova vivente.
Tutte le bozze che avrebbe voluto mostrare a quel mondo le spargeva sui muri del vecchio cottage. Ricordo quello che aveva piazzato di fronte la culla che lui stesso assemblò per me quando ero piccolo. Era un uomo di poche parole, ma riusciva a trasmetterti molto più di quanto può fare un abile retore, con la sola forza dello sguardo.
Ogni sera accostava lo sgabello vicino la culla, non mi raccontava storie né mi cullava, ma con la pazienza e la pacatezza proprie solo di colui che ha finalmente trovato il senso della vita, aspettava e aspettava e attendeva finchè io non chiudevo gli occhi e d’improvviso poi mi ritrovavo nella tranquillità del giorno nascente.
Ricordo ancora quel dipinto, come fosse stampato nei miei occhi. I suoi non erano colori vivaci come invece nelle altre bozze; erano colori scuri a sumature bianche.
C’era un castello…sì c’è un castello…esso è avvolto in una coltre di nebbia e di neve…ma c’è anche un particolare.
Nella luce fioca della lampada ad olio nella mia stanza, ricordo che tutte le finestre del castello erano…sì sono illuminate di un giallo così acceso, così vivo che sembra sia quasi reale…splende così tanto…chiunque gli attribuirebbe un aurea di realtà. Così mi diverto ad immaginare che ogni tanto da quelle finestre si affaccia qualcuno;e anche se mi appaiono come degli omini neri, scuri e in miniatura so che guardano verso quegli alberi al margine del rettangolo su cui vi è la bozza. Ma come nella realtà, quello è solo i margine di un bosco che si estende per miglia e miglia, e dentro quel bosco ci sono io. Così mi diverto a fantasticare, a pensare che loro si affacciano, scrutando a fondo(per quanto gli è possibile)verso il bosco, intimoriti del fatto che da un momento all’altro possa sbucare dagli alberi la terribile creatura che va in cerca di prede da agguantare e trascinare poi nella sua tana per divorarle. Sorrido, mi sento forte, chiudo gli occhi e d’improvviso poi mi ritrovo nella tranquillità dl giorno nascente.
Mio padre era, sì, un uomo di poche parole anche quando arrivava l’ora di mettermi a letto la sera. So benissimo che, accanto alla mia culla, osservava il dipinto insieme a me. Non gli chiesi mai il significato che gli aveva attribuito né lui mai me lo confessò.
Ora che lui è sepolto su quelle alture ed io sono stato costretto a stare al passo con il mondo contemporaneo per cercare di sussistere in un modo o nell’altro, imbocchiamo ogni volta la stessa scorciatoia;lui perché è ancora convinto che lissù ci abiti qualcuno, io per evitare l’incontro con chi ci è morto.
Soltanto ora mi rendo conto di essere come mio padre;con la maturità ho capito quale insegnamento avrebbe voluto trasmettermi con quel quadro:<Sii sempre predatore e mai preda, il mondo ha i denti ed è sempre pronto a mordere…non aiuta né perdona>.
Alla vigilia della mia infanzia non ho né figli, né moglie; dipingo bozze e le espongo nelle piazze; non voglio denaro né riconoscimenti;aspetto solo l’arrivo di colui che osservandoli riesca a coglierne il vero significato. Oggi sono speranzoso, sono certo che qualcuno arriverà.