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Amnesia
Mi ero risvegliato nel letto di un ospedale. Ero solo. Mi ricordo ancora il freddo, quel freddo che mi penetrava le ossa, e mi faceva tremare. E il buio che mi circondava. Un buio confuso come i miei ricordi. Si, sapevo chi ero. Non avevo perso la memoria. Ma la domanda a cui non sapevo dare una risposta era come mai mi trovassi lì, in un letto d’ospedale, solo. La mia mente era annebbiata, confusa. Qualcuno dapprima mi disse che avevo avuto un incidente in autostrada. Un semplice, banale incidente. Di quelli che capitano a decine tutti i giorni. Non so dire ora perché, ma a quella spiegazione, semplice e frettolosa non avevo mai creduto. L'ultimo ricordo che la mia mente metteva a fuoco era una lettera. Una lettera scritta a mano. Una calligrafia rotonda, un cuore disegnato in basso con un pennarello rosso. Un nome. Livia. Si, Livia la ricordo. Il suo corpo snello e le sue labbra, quelle labbra che ho sognato ininterrottamente per quattro anni, da quando la vidi per la prima volta a scuola. E ricordo anche i suoi occhi verdi, e i suoi capelli castani e quel modo di fare, sicuro, consapevole di essere desiderata, ammirata, amata da ogni persona. E io ero tra questi. In realtà non pensavo che si fosse neanche mai accorta di me. Io sono sempre stato troppo timido. Quelle rare volte che mi aveva rivolto la parola avevo fatto la figura del perfetto idiota, balbettavo, tremavo. Eppure ero certo di quello che ricordavo. Ricordavo che tenevo una sua lettera in mano. E ricordavo quel piccolo cuore rosso al fondo. Che fossi io il destinatario? Magari si era resa conto che io ero diverso dagli altri. Si, perché io la amavo. Ma non amavo di lei solo il suo aspetto fisico, attraente ed eccitante, amavo di lei tutto. La sua sicurezza. Il suo modo di essere sempre al centro dell’attenzione, era un sogno per me. Un bellissimo sogno. Ma non ricordavo solo lei. Ricordavo anche Carlo e Marco e i nostri progetti di un week end in montagna. I miei amici. Carlo detto Bongo per le treccine afro che si ostinava a far crescere aveva la mia stessa età, Marco aveva una anno in più. Non so dire se fossero dei veri amici. Di quelli che se ti fanno un favore dopo non vogliono nulla in cambio. Ma almeno mi parlavano, scherzavano e ridevano con me. Mi sentivo un privilegiato a frequentarli, perché avrei voluto essere come loro. Ecco, io da un certo punto di vista li invidiavo, perché erano sempre straordinariamente sicuri di se stessi, persino arroganti talvolta. Ho sempre pensato che se avessi avuto metà della loro autostima sarebbe stato tutto diverso. Livia finalmente mi avrebbe visto come un ragazzo, e non come un entità evanescente che arrossiva ogni volta che la guardava. Ripensai velocemente alla lettera e quel cuore rosso disegnato. Quel pensiero mi turbava perché non ricordavo nulla. Non ricordavo chi me l’ aveva data, forse Livia in persona, ne cosa ci fosse scritto. Ma questo non aveva poi molta importanza per me, quel cuore rosso di passione parlava da solo. Mentre facevo questi pensieri un sorriso mi attraversò le labbra, come un lampo.
Eppure questa amnesia diventava ogni giorno più difficile da sopportare. Già mentre ero ancora nel mio letto di ospedale la voglia di scoprire quanto mi era accaduto era forte. Mi accorsi che le risposte evasive di medici e familiari non mi bastavano più. Le mie condizioni miglioravano ma le mie ferite, all'addome e alla testa invocavano una spiegazione, un ricordo. E io stentavo a ricordare.
Pensai quindi a una maniera per scoprire quanto mi era capitato. Durante le mie "passeggiate" riabilitative avevo osservato lo studiolo di un medico, con un computer che poteva fare al caso mio. All' ora di pranzo era sempre deserto, e con la porta spesso socchiusa. Era semplice, pensai. Era circa l'una del pomeriggio quando misi in atto i miei intenti. Dissi all’infermiera che preferivo non essere disturbato durante il pranzo. Osservai il corridoio deserto e uscii. Raggiunsi lo studiolo. Il computer era già collegato a Internet. Iniziai una ricerca nei giornali nazionali, probabilmente avendo avuto un incidente grave qualcuno si era interessato al mio caso. Quello che lessi mi raggelò il sangue. Mi sentii disorientato, e in seguito una forte nausea prese il soppravvento. Davanti ai miei occhi, a schermo intero, un articolo intitolato "Strage in montagna". "... i tre ragazzi, due di diciotto e uno di diciannove anni, provengono da famiglie rispettabilissime. Le ricostruzioni di quanto avvenuto sembrano ancora difficili. Pare che sia accaduto tutto tra la notte di venerdì e sabato. Di certo c'è che nessuno può aver visto o sentito nulla, per via della posizione isolata dell'abitazione. I primi ad arrivare sul luogo sono stati i carabinieri di zona allertati dai genitori di una delle vittime, preoccupati per il fatto che nessuno rispondeva ai cellulari. Doveva essere un tranquillo weekend tra amici a Morgex, invece si è rivelato il teatro ad uno degli omicidi più inspiegabili...". E ancora "... la scena che si è presentata agli occhi dei primi soccorritori è stata agghiacciante. Carlo B., 18 anni, era riverso in un mare di sangue nel suo letto, colpito da 6 coltellate. Marco S., un anno in più, era invece in soggiorno, anche lui raggiunto da ben 19 coltellate. Sembra miracoloso che il terzo ragazzo, Luca M., pugnalato anche lui tre volte, e caduto violentemente a terra, dopo aver sbattuto la testa contro un tavolino di marmo, che gli ha provocato un forte trauma cranico, dopo aver perso parecchio sangue sia ora in coma nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Molinette di Torino. Appesa a un filo non cè solo la sua vita ma anche la risoluzione di questo caso."
Ora posso dirlo. Ero shoccato. Pensai di svenire. E di colpo mi si presentarono alla memoria ricordi che credevo persi. Vedevo nitidamente Bongo e Marco contenti di quella vacanza in montagna organizzata all'ultimo. Vidi Marco che apriva con le chiavi la piccola Baita di Morgex. E Bongo che leggeva Stephen King. Poi più nulla. Il rubinetto dei ricordi pareva essersi chiuso nuovamente.
Tornai in fretta nella mia stanza. E finalmente piansi. Non so bene per quale motivo, forse per i miei amici, o più probabilmente per sfogarmi, nervosamente, dopo quello che avevo appreso. Rimasi a pensare per un po'. Poi presi la decisione. Avrei fatto di tutto per ricordare quella notte, l'assassino di Bongo e Marco doveva essere preso. Aveva tentato di uccidere anche me. E poi si faceva strada in me un idea, una pazza idea. Una volta che avrei aiutato a prendere un assassino avrei avuto la mia celebrità, e persino Livia avrebbe notato cosa valevo. Se non l aveva già fatto. Ripensai nuovamente alla lettera. Chissà quando avrei potuto rivedere Livia.
In ogni caso non raccontai a nessuno che avevo scoperto la verità su ciò che mi era accaduto. Non mi avrebbero più lasciato tranquillo un secondo. Dovevo ricordare. Si, ma i ricordi vanno e vengono. Non li puoi comandare, li puoi solo assecondare. Decisi di sforzarmi, a costo di dolorosi emicranie, eppure non riuscivo a ricordare un solo particolare in più. Poi una notte, mentre sognavo accadde. Lo vidi. L'assassino. Non lo vidi in faccia, lo vidi fisicamente mentre si scagliava con violenza contro Marco, inerme a terra. Vidi quella Polo a righe blu e gialle che indossava, era mancino, percepivo l’odio che emanava ogni suo movimento. Ancora una volta la paura mi assalì, come un onda. Vidi che era giovane. Poteva avere la nostra età. Mi svegliai di soprassalto. Ero sudato, tremavo ma ero felice, iniziavo a ricordare. Non ricordi nitidi, ma comunque era già qualcosa. Un piccolo passo avanti che faceva ben sperare.
Decisi così di dire apertamente a mia madre che sapevo ciò che mi era successo. Raccontai di come avevo scoperto la triste verità e del fatto che volevo fare il possibile per ricordare. Parlai anche con l'ispettore Paschi che conduceva le indagini sul caso. Mi fu affiancato uno psicologo, il Dottor Ramponi con il compito di affiancarmi nel mio "viaggio di recupero attraverso il tempo". Con lui potevo parlare dei miei ricordi e lo vedevo prendere appunti su progressi e lacune. Ogni tanto mi portava delle foto della mia scuola, della mia classe, di Bongo e Marco. Ma anche foto della baita di Morgex. Ma per una settimana circa, i miglioramenti furono tanto piccoli quanto inutili. Finche successe. Quella mattina Claudio mi portò una foto che aveva scattato Bongo a me e Marco durante una sosta del viaggio in auto. Il mio sguardo era sereno, guardavo fuori da una finestra, sembravo un’altra persona. Ma non fu quello che mi fece tremare. Per essere certo mi avvicinai alla foto. Dovevo essere certo che quello che avevo notato fosse reale e non solo frutto della mia immaginazione. Sotto la mia giacca nera invernale si intravvedeva chiaramente un polo a righe. Blu e gialla. E così come un uragano i ricordi mi travolsero. E iniziai a rivivere quella maledetta sera. Vidi noi tre che entravamo in casa. Bongo era andato a riposare dopo la cena. Marco lavava i piatti in cucina. Io ero in soggiorno che mettevo a posto quando l'occhio mi cadde su quel semplice foglio di carta che spunta dalla giacca di Marco. È una lettera, la calligrafia non mi è nuova. Ricordo ancora le parole "... Voglio che sia così per sempre, Marco. Così per sempre, io, te e Bongy. Siete i miei angeli, anzi no, potrei considerarvi i miei diavoletti. In fondo, come dici sempre tu, andremo all’inferno tutti e tre insieme, nel girone dei lussuriosi.. a volte mi chiedo come mai non era mai successo con voi prima. Adoro il fatto che abbiate una voglia infinita di me, e io ne una infinita di voi, e dei vostri corpi. Mi piace come mi desiderate e come soddisfate ogni mio desiderio... e poi c’è chi dice che i triangoli non funzionano. Quello che facciamo non è solo sesso, ma è qualcosa di ancora più fisico di cui non riesco a fare a meno. Vi Amo Livi..". Non finii di leggere il nome. Non ce n'era bisogno. Avevo capito tutto. Avevo capito gli sguardi complici che si lanciavano Carlo e Marco quando incontravano Livia. I pomeriggi che spesso passavano insieme senza dirmi nulla. Livia era la loro puttana. O forse erano loro i suoi schiavi. Ormai questo aveva poca importanza. Avevano profanato il mio sogno più bello e irraggiungibile. Ero in preda a una rabbia, una folle e cieca rabbia. Andai in cucina, presi il primo coltello che trovai sottomano, mi diressi in camera di Bongo e lo colpii, mentre era ancora nel letto. Pochi colpi in maniera che Marco non se ne accorgesse. E poi di là. In soggiorno su di lui. Sfogai tutta la rabbia. Il sangue era dappertutto, alcuni schizzi avevano macchiato persino il soffitto. E mentre marco era ormai a terra morto in un lago di sangue, mi voltai alla mia sinistra e mi vidi, riflesso nello specchio che colpivo con tutta la forza che avevo in corpo. Era l'immagine che mi era apparsa in sogno. Mi alzai sfinito e in preda al panico inizia a girare per la casa, non sapendo cosa fare. Come giustificare un doppio omicidio. Bruciai la lettera. Non potevo fare nulla, il mio gesto sarebbe stato scoperto. La rabbia ormai era passata, ma non provavo nemmeno un pizzico di rimorso per il mio gesto. Da quando ero nato non avevo mai fatto qualcosa di così giusto. Pensai poi ai miei genitori, al dolore che avrebbero provato scoprendo che loro figlio era un assassino. Così tentai l’ultimo e definitivo gesto. Raccolsi le ultime forzo e mi pugnalai, prima debolmente, poi più forte, e poi ancora di più. Persi i sensi e cadendo sbattei la testa, provocandomi l’amnesia. Le immagini passavano come un film nella mia mente. Mi svegliai da questo momento di trance con lo psicologo che mi chiedeva cosa mi stava succedendo, e se ricordavo. Tremavo ma non dissi nulla. Lo pregai di lasciarmi solo per un momento. Mi alzai. Avevo poco tempo. Scrissi una lettera per i miei genitori. Spiegavo tutto, tutti i particolari. Non perché mi sia pentito di ciò che ho fatto, per nulla, anzi. Ma la verità prima o poi verrebbe a galla. E certe volte è meglio correre incontro al proprio destino piuttosto che aspettarlo con la testa china.
Ora sono qua che aspetto. Tra un minuto aprirò la finestra e mi lancerò nel vuoto. Non ho alternative. Spero solo che qualcuno mi capisca. E che Livia si ricordi di me, nel bene o nel male.
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