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IL TERNO A LOTTO
Napoli.
È uno dei primi giorni di dicembre. Già si avverte l’atmosfera delle festività natalizie: i negozi e le strade hanno iniziato ad addobbarsi.
Questa città, com’è noto, ha una sua particolare affezione al Natale, consolidatasi nel corso dei secoli. Nonostante il progressivo decadimento dei valori e degli usi ad esso connessi, resiste e persiste l’attaccamento dei suoi cittadini alla festa più sacra dell’anno, che trova il suo fulcro principale, la sua sublimazione, nella preparazione e nella cura dedicata all’allestimento della sua rappresentazione che si concretizza con il Presepe. Raffigurazione che si tramanda da otto secoli, da quando Francesco d’Assisi realizzò la prima ricostruzione vivente della nascita di Gesù, nel paese reatino di Greccio.
Questa sacra riproduzione conserva ancora a Napoli tutto il suo intenso significato, che ha prodotto una plurisecolare tradizione del Presepe, a cui hanno contribuito anche artisti di talento. Intorno alla “Sacra Famiglia” si sono creati gli scenari più diversi e collocati i personaggi più disparati, in aggiunta a quanto descritto nel Vangeli di Luca e Matteo ed in alcuni vangeli “apocrifi”, frutto della fantasia e della creatività dei napoletani.
Potevano rimanere immuni da questa magica e mistica atmosfera, i nostri due ineffabili “filosofi” napoletani: Gennaro Platone e Ciro Aristotele, già protagonisti di altre curiose e strampalate vicende?
Certamente no!
Cerchiamo, allora, di scoprire qual è il loro atteggiamento ed il loro “profondo pensiero” sulla festività dell’anno per antonomasia.
È un lunedì, giorno di chiusura settimanale della pizzeria di Ciro. Sono le undici circa di una giornata autunnale in cui il sole si alterna alle nuvole in un naturale gioco di rimpiattino.
Ciro e Gennaro, come sono soliti fare spesso, passeggiano tranquillamente per le vie del centro di Napoli, discorrendo, a modo loro, del più e del meno.
“Né Ciro, pure chist’anno s’accummincia a praparà o Natale primma d’a festa dell’Immacolata!”
Afferma dispiaciuto Gennaro alla vista di numerose vetrine con i primi ornamenti natalizi.
“È overo Gennà, ogni anno s’accumincia sempe primma: già so’ pronti i panettoni i pandori rinto ‘e pputeche, ‘e lluci in mieza ‘e vie”. “ Che se fa pe’ vennere sempe e cchiù”. Ciro s’interrompe un attimo per riorganizzare il suo pensiero in proposito.
“…e o senso religioso, cristiano de chesta festa scumpare sempe e cchiù!”
“Bravo Ciro!” Esclama compiaciuto Gennaro.
“M’hai tolto letteralmente le parole di bocca!” Replica Gennaro in buon italiano, come è solito fare quando affronta argomenti importanti, convinto di dare maggiore autorevolezza alle sue “filosofiche” affermazioni e considerazioni.
“La nostra fortuna, caro collega, è che siamo a Napoli. La decadenza della festa cristiana, che ricorda il più grande avvenimento della storia: la nascita di Cristo, rispetto alla realtà consumistica della società odierna, che ci ha indotto a privilegiare l’aspetto profano della festa contro quello mistico religioso, qui da noi, è meno accentuata che altrove.
Gennaro, che nel proferire queste parole ha assunto un atteggiamento ispirato, si ferma per riprendere fiato e per scorgere negli occhi di Ciro la sua approvazione. Constatato l’assenso del suo collega Aristotele, prosegue:
“Gesù Cristo, che ci si creda o no nella sua divinità, nell’essere figlio di Dio e che sia consustanziale alla Trinità… della consustanziazione, come ricorderai caro Ciro, ne parlammo a proposito dell’immortalità dell’anima…”.
“Sì, sì a tengo a mente buone chella discussione!” Risponde Ciro, con fare sufficiente.
“La nascita di Gesù ed i suoi insegnamenti, come dicevo, hanno rivoluzionato il mondo antico e segnato indelebilmente il corso della storia!”
“Overo, parole sante Gennà!” Sottolinea compiaciuto Ciro.
“Già e noi oggi celebriamo questa ricorrenza più con i regali e con il cibo, che commemorando ed onorando i regali che il Cristo ci ha fatto ed il cibo del suo corpo che ci ha lasciato!”
“Azz…Ciro, chesta frase è proprio bella, m’è venuta buona eh? Che ne penze tu?”
“Ch’ave a dì Gennà, io me chiamme Aristotele ma a pietto a te che te chiamme Platone nun so’ nisciuno! Tu sì overamente nu granne filosefo!”
“Te piace sfrugugliamme ogni tante, eh?”
“No! So’ onesto, ogne tanto, non sempe, hai delle belle penzate!”
“Va buono, te voglio crerere, simme quasi a Natale e voglio essere buono anch’io cu te!”
“Grazie assaje scellenza! ‘E belle pensate ‘e tenesse pure, ma nu pucurillo strunze ‘o sì sempe…pure a Natale!”
Gennaro reagisce ridendo di gusto, contento di aver suscitato la reazione di Ciro che, come sempre, abbocca alle sue provocazioni.
Queste schermaglie ultraquarantennali sono diventate il sale ed il cemento del loro sodalizio.
“Meno male che a Napoli è ancora ben radicata la tradizione del presepe”. Continua Gennaro.
“Né Ciro, ma a te piace ‘o presepe?” Ciro lo guarda negli occhi e con l’arguzia e la prontezza dei napoletani…: ”No! ‘o presepe nun me piace!”
“Overo dici! In tutte quest’anne n’avisse mai saputo!”
“Mò, nun me piace cchiù! Ave sentuto: ‘O PRESEPE NUN ME PIACE!” Ripete ad alta voce.
Gennaro resta interdetto e lo squadra con uno sguardo compassionevole.
Ciro soddisfatto di averlo stupito e contrariato, prosegue: ”Avete sentuto buono signor Gennaro…Cupiello? Al qui presente Nennillo…Cupiello ‘o presepe nun piace!” A questo punto Ciro non resiste più e sbotta a ridere.
“L’anema e chi t’è…, m’hai preso in giro bene bene… e bravo accussì s’addà fa. Ce so’ trasuto cu tutte ‘e cazone…bravo!”
Argomentando così, tra facezie e serietà, i nostri due amici sono giunti a via Caracciolo.
Mentre camminano sul lato destro della strada sentono suonare più volte un clacson di un’auto, vicino a loro. Nell’ordinaria confusione di Napoli, non ci fanno caso più di tanto. Il clacson continua a suonare e ad esso si è aggiunta una voce femminile:
“Signori scusate!” I due finalmente si voltano e vedono, attraverso il finestrino abbassato dell’auto, una signora dall’età indefinita, forse intorno ai settant’anni, chinata verso di loro, alla guida di una Audi d’annata, di quelle che erano pubblicizzate in latino giocando sul nome della casa automobilistica che corrisponde all’imperativo del verbo audere: <Audi, hoc est sermonem latinum…>, così recitava la pubblicità che magnificava le virtù dell’auto in latino.
La signora di aspetto distinto ed elegantemente ma sobriamente vestita, sempre rivolta a loro:
“ Mi dareste un’informazione, per favore?”
“Certamente signora, dite pure!” Esclamano quasi insieme Ciro e Gennaro che, nel frattempo si accostano all’auto ormai ferma.
“Grazie! …ecco dovrei andare a via S. Gregorio Armeno, sapete, dove fanno i pastori e gli addobbi per il presepe”.
“Certo ch’o sapimme, simme e Napule, signo’!”
“Certo scusate, che stupida”. Risponde quasi mortificata la signora.
“Mi sapreste indicare come arrivarci?”
“Eh…signò, con l’auto non potete andarci”. Risponde Ciro “Ci potete arrivare vicino e poi andare a piedi”.
Sì, sì va bene, basta che m’indichiate la strada…”
“È ‘na parola signo’ è complicato spiecà ‘a via d’addò stamme mo’!”
“È lontano da qui?”
“No! Ma a piedi è un bel tragitto”. Risponde Gennaro
“E allora come faccio?” Si chiede la donna sconsolata.
Ciro e Gennaro si guardano negli occhi e s’intendono immediatamente.
“Signò!” Fa Gennaro “Se a lei sta bene, ce l’accompagniamo noi, la portiamo fino a dove può lasciare l’auto e poi per arrivare a S. Gregorio Armeno sono pochi passi.
“Grazie, molto gentili ma non vorrei disturbare…”.
“Non si preoccupi signora, non abbiamo impegni, oggi… e poi come si fa a non aiutare una gentile signora come lei”.
“Ma che gentili, è una bellissima idea. Salite pure”.
I due salgono nell’auto, Gennaro si siede accanto alla signora.
Appena seduto non può fare a meno di notare come l’auto, nonostante i suoi circa quarant’anni, sia in ottime condizioni. <Forse l’avrà restaurata da poco> Pensa.
Mentre procedono la signora gli dice che viene da Bari apposta per comprare una nuova serie di pastori, di figure, di casette e quant’altro, perché questo Natale vuole preparare un presepe eccezionale per i suoi nipoti che sono, ormai, abbastanza grandi da apprezzarne la struttura ed il suo mistico significato.
“Speriamo che non facciano come il figlio di Luca Cupiello, Nennillo, nella famosa commedia del grande Eduardo a cui il presepe non gli piaceva proprio!” Dice Gennaro sorridendo e ripensando alla schermaglia di poco prima con Ciro.
“Non c’è pericolo signor…”. “Gennaro, signora e lui, il mio amico, si chiama Ciro”.
“Non c’è pericolo signor Gennaro, i miei nipoti sono entusiasti del presepe e pienamente consapevoli di quello che rappresenta…come voi…presumo”.
“E già, come noi…” Replica Gennaro che ha provato un certo turbamento nell’udire: ”…come voi”.
< È un tipo singolare questa donna, non so perché ma c’è qualcosa che mi colpisce e mi turba, come se ci guardasse “dentro”…> Pensa Gennaro.
Questo pensiero è subito allontanato dalla richiesta d’indicazioni della signora sulla strada da seguire.
Giunti nelle vicinanze di S. Gregorio Armeno e trovato il parcheggio con una facilità che ha del miracoloso a Napoli ed in quella zona in particolare, scendono tutti dall’auto.
“Nun sule ha truvate a noie ma pure ‘o posto p’a macchina, sta femmena è propre furtunata e nu pucherillo strana…” Ciro annuisce.
A questo punto forniscono le indicazioni per giungere a piedi a S. Gregorio Armeno, senza più possibilità d’errore.
“Grazie, grazie tante, siete stati tanto gentili ed educati come…due filosofi… Il Signore ve ne renda merito!”
La signora stringe calorosamente le loro mani e gli augura un buon Natale, sorridendo ammiccante.
I nostri due, rimasti confusi ed inebetiti, la seguono, mentre si allontana, finché non scompare dalla vista tra i vicoli del quartiere.
Si girano l’uno verso l’altro e rimangono a guardarsi in silenzio, parlandosi solo con gli sguardi, in cui potevano leggersi, imbarazzo, perplessità ed incredulità.
Ciro interrompe quest’atmosfera:
“E sentute…gentili ed educati comme doie filosofe…comme si ce canuscesse…!”
“Che dice Cì, è solo una combinazione, un caso, la signora sa che i filosofi so’ brave persone e ci ha detto accussì…” Risponde Gennaro non senza imbarazzo.
“Nun ‘mbruglià Gennà, t’ave letto into all’uocchie che pure tu sì restà strane, da chesto incontro…aroppo c’avvimme parlato d’u presepe e de’ soie significati!"
“Ave raggione Cì, ave propre raggione…tengo ‘na strana ‘mpressione…”.
Così dicendo lo sguardo gli ritorna sull’auto della donna come se cercasse qualcosa per…capire…
“Né Gennà che stai facenno?”
“Niente Cì. Sulo curiosità. So tant’anne che n’ave visto cchiù ‘sta macchina e vire cà, pare quasi nuova e pure a targa paresse nuova, vene a veré”.
Ciro si avvicina ed insieme leggono la targa: BA 254889.
“Venticinque, quarantotto, ottantanove ripete Ciro…25 48 89…” Continua a ripetere quasi ossessivamente.
“Né Ciro te sì ‘nzallanuto, pecché stai a arrepetere sti nummeri?” Gli dice Gennaro preoccupato.
“No Gennà nun so’ ‘nzallanuto è che chesti nummeri…me riceno quaccosa…Tu saie che me piace jucà a lotto, ogni tanto”.
“Sì ogni tanto…sempe vulive ricere”. Gli rinfaccia Gennaro.
“Vabbuò “spesso” jàmme! È o sulo vizzio che tengo e quacche vota ci vinco pure dei surdarielle…”.
“Allora tu stive penzanno de jucà chiste nummeri a lotto?”
“Penzo propre c’a sì, pecché sti nummeri so’…particolari!”
“Che significa, nun fa ‘o mesteriuso, particolari pecché?”
“Ancora nun so’ sicuro, jamme addu me, c’ave a consultà ‘a smorfia, ave a veré se ‘a mia ‘mpressione è vera!”
“C’aspiette allora, jamme a casa toia e verimme chiste nummeri…”.
Detto, fatto, i nostri due personaggi vanno a casa di Ciro.
Nel frattempo si è fatta l’ora di pranzo e Ciro appena a casa chiede alla moglie di aggiungere un posto per Gennaro, cosa che Carmela fa subito. Non si contano più le volte che Gennaro ha mangiato da loro, sia per l’amicizia ed ancor più perché Gennaro è da solo e la loro ospitalità gli fa sentire il calore di una famiglia.
Terminato il frugale pranzo, seguito dall’immancabile caffè, Ciro prende il libro della Smorfia ed inizia a verificare le sue intuizioni.
“Allora Gennà sente bene i nummeri d’a targa pigliati a paro di seguito so’ o 25, o 48 e o 89; o primmo è Natale, o sicondo è o filosofe e o terzo persona anziana!” Detto ciò si ferma ed aspetta la reazione di Gennaro che non si fa attendere.
“ 25, Natale e noi abbiamo parlato del Natale ed incontrato quella signora che cercava la “via” dei presepi. 48…scusa ma nun è o muorte che parla?”
“Sì Gennà ma anche ‘o filosofe: lo dice la Smorfia!”
“Allora 48 è il filosofo e noi siamo filosofi, ce l’ha detto anche la signora. 89, la “vecchia” e la signora era anziana, anche se gli anni se li portava bene!” Dopo un momento di riflessione:
“Ma che significa tutto questo?”
“Né Gennà nun l’ave capito? Chesto è nu “segno” del destino, del “Signore”, di Gesù bambino, cumme vuò tu, ma è nu segno chiaro. Pure tu ave ditto che la “signora” era nu pucherillo “strana”!”
“E ggià è propre accussì…”.
“Allora Gennà nuje avimme ‘a jucà chiste nummeri a lotto e ‘ncoppa a ruota di bari, e signale so' troppo evidenti…È cumme s’avissime fatte nu suonno a uocchie apierte e chella signora c’avisse rato e nummeri da jucà!”
“Tu dici Ciro!”
“È accussì Gennà, M’o sento ca è nu segnale che c’hanno mannato!” Dice a voce alta e con trasporto Ciro.
“Si è cumme penzo putimmo vincere nu po’ e denare Gennà, Siente a me! Dimane jamme o banco lotto e jucammo chesto terno ‘ncoppe ‘a ruota di Bari…so’ 4. 500 volte, meno ‘e tasse, ‘a jucata, si esce…”.
“Si esce…” Ripete con scetticismo Gennaro.
“Uè Gennà io ‘o capisco ca tu sì filosofe e nun crere a ‘ste ccose ma sì pure napulitane. ‘Na vota tanto lassate guidà dall’istinto e dall’irrazionalità a da chesto povero Aristotele c’avisse avute ‘a pensata justa!” “Gennà 25 Natale, 48 filosofe, 89 ‘a vecchia, che vuò e cchiù?”
Gennaro sconcertato e disorientato dalla situazione nonché dalle bizzarre coincidenze e dalle connessioni fra i fatti accaduti, si lascia coinvolgere dagli argomenti di Ciro…mettendo da parte la sua filosofica razionalità.
“Va buono, dimane jamme a jucà chisto terno!”
“Bravo Gennà!”
“Ma quanto jucamme Ciro?”
“Gennà io sento ca chesta è ‘a nostra occasione, nun capiterà ‘nata vota…io penzo che ammeno ciento euro a capa…”
“Ciento euro? Maronna io so’ disoccupato, fatico ogne tanto e ave ‘na piccola penzione d’invalidità nun me puozzo permettere d’arresecà ciento euro ‘o lotto!”.
“Gennà pe’ ‘na vota sente Aristotele e scurdatenne de Platone… Se nun vincimmo vieni a mangià addo me o in pizzeria quanno vuò tu, accussì te facisse recuperà e denare! Accussì va buono?”
“Ma tu ce crere overamente a ‘sta cosa, sì propre sicuro…”
“Sì!” Risponde Ciro, senza esitazione.
“Maronna mia, penze tu a chesto marito mio!” Interviene ad alta voce Carmela.
“Allora simme d’accuordo, Voglio fa ‘sta fesseria cu te!”
“Brave Gennà!” “Ce verimme dimane mattina alle nove innanze ‘o banco lotto che sta ca addereto!”
“A dimane alle 9”. Ripete meccanicamente Gennaro.
Gennaro saluta Ciro e Carmela e se ne va verso casa, già prevedendo lunghe ore di ansia e di ripensamenti. Ormai, ha dato la sua parola e…sia quel che sia!
Puntualissimi entrambi, s’incontrano davanti al banco lotto.
“Dubbi, pentimenti?” Ciro chiede a Gennaro.
“Nun ne parlamme che è meglio! Trasimme e jucamme accussì nun ce penze cchiù!”
“Jamme…trasimme!” dice tronfio Ciro.
Il gestore del banco esprime la su perplessità su una giocata così alta rispetto agli importi abituali di Ciro ma, davanti alle sue insistenze, ha preparato le giocate per un totale di duecento euro sulla ruota di Bari, come richiesto.
Appena usciti dal banco Gennaro chiede a Ciro:
“Se nell’estrazione di sabato i nummeri nun asciono c’avimme a fa, continuiamo a jucà ancora?”
“La regola è che s’avisse a jucà ammeno tre vote!”
“Pe’ tre vote! E chi e tene treciento euro!”
“Già, anch’io nun m’o puozze permettere…ma nun dà aurienze che sabato i nummeri asciono!”
“Vulisse o cielo cumme dici tu!” Dice sconsolato e rassegnato Gennaro.
“Uh maronne cumme sì traggico Gennà! So ‘e nove e miezo jamme a pijà ‘o café…pave io!”
“Ato che café…’na cuccuma ‘e cammomilla ce vulisse…”.
Sono inziati i giorni più lunghi di Gennaro e anche di Ciro che, nonostante la sua sfrontata sicumera, in cuor suo teme di aver forzato troppo la mano.
Dopo le ambasce e le notti agitate è giunta finalmente l’ora delle estrazioni del lotto.
Sono le 20 e 25 del sabato successivo, Ciro e Gennaro sono nella pizzeria, la televisione è sintonizzata su Rai 2 che sta per trasmettere i risultati delle estrazioni del lotto.
Anche i clienti presenti nel locale, su richiesta di Ciro, si zittiscono per pochi minuti, tanto la ruota di Bari è la prima della lista.
Inizia la trasmissione. Il silenzio è assoluto. Una voce professionale fuori campo annuncia le estrazioni:
“Ruota di Bari: 18 - Ciro si morde il labbro - 48 - Ciro e Gennaro hanno un sussulto - 71?" Maronna su tre uno sulo! È finita! ?" lamenta Gennaro e Ciro pure -89- le coronarie dei filosofi hanno uno spasmo- 25!”
L’esplosione di gioia di Ciro infrange il silenzio tombale creatosi, esce da dietro il bancone di marmo con un panetto di pasta cresciuta in mano, urlando: ” So’ asciute, so’ asciute e nummeri, S. Gennà, a Maronne e puro S. Nicola c’avene fatto a grazzia!”
“Gennà avimme vinciute…o terno è asciute!” “Uè Gennà ‘e sentute so’ asciute e nummeri d’a signora…azz… m’o sentivo c’avive a jucà e nummeri d’a targa!”
Ciro in preda all’entusiasmo abbraccia Gennaro incurante della farina che imbratta entrambi.
Gennaro passivamente si lascia trascinare dalla gioia dell’amico, è basito ed intontito dall’esito dell’estrazione e dalla confusione creatasi nella pizzeria e stenta a credere ancora a quanto accaduto.
Per lui questa storia stride con i suoi convincimenti e con la sua razionalità “filosofica”. Ha partecipato alla giocata per non contrariare l’amico e “collega” e non mortificare la sua sicumera. <Ma per gli dei dell’antica Grecia, aveva ragione, devo ammetterlo!> Pensa, provando un misto d’incredulità e di amarezza per l’irrazionalità della vicenda con l’aggiunta della gioia di beneficiare anche lui di questa situazione irreale.
Tutti questi pensieri gli frullano nella testa mentre Ciro continua a stringerlo e ad imbiancarlo di farina scaricando così, anche lui, la tensione che i dubbi e i timori sulla giocata gli avevano procurata.
“Gennà stasera facimme festa! Guaglio’ a pizza stasera ve l’offre Ciro Aristotele, ‘o pizzajuolo filosofe e ppure furtunato. Stasera cà nisciuno pave! Offre tutto la ditta!”
Un’esplosione di consenso rimbomba nella pizzeria e tutti i clienti gridano:
“Viva Ciro o meglio pizzajuolo ‘e Napule!”
E così via fino a tarda notte.
“Ciro mò me vade a cuccà, so stracquo ma cuntento e t’ave a ringrazià ancora pecché si nun era pe’ l’insistenza toia, io n’avisse mai jucate!”
“Va bbuono Gennà, stavota Aristotele t’è rate ‘n’ata lezione de vita: la filosofia è ‘na gran cosa ma ce stanne pure ate ccose che essa nun puote spiecà…”
“È overo Ciro è overo…ce verimme dimane innanze o banco lotto, Buona notte e…grazie ancora!”
L’indomani mattina la notizia della vincita a lotto dei “doie filosofe” è sulla bocca di tutti gli abitanti dei bassi e del rione.
Mentre Ciro e Gennaro si recano al banco lotto, sono riconosciuti da coloro che incontrano per la strada e da chi, richiamato dal gran vociare, si affaccia dalle finestre e dai balconi e sono fatti oggetto dei loro lazzi e frizzi.
“O vì e doie filosofe furtunate!” “Scusate signò ve putesse alliscià nu pucherillo…s’azzeccase puro a me nu poco de furtuna!” “Bravi, bravi!” “ Beate a vuie!”
Centinaia d’invocazioni li rincorrono sul loro percorso alle quali rispondono salutando e ringraziando.
“Ciro e visto? Mò c’avimme vinciuto ‘o lotto ce salutano e ce fanno l’agurie! Primma ce sfottevano pecché eravamo e doie faveze filosofe! Mio caro Ciro il popolino è fatto così: prima ti dileggia e sberleffa, poi, come hai due denari, ti riverisce e blandisce!”
“Né Gennà, pe’ piacere nun fa n’ata discussione pure su chesta cosa mò. Statte zitto e jamme!”
Espletate le formalità per l’incasso delle vincite, Gennaro e Ciro si allontanano dal rione e vanno a prendersi un caffè in santa pace, lontano da chi li conosce.
Mentre sono seduti al tavolino a gustarsi il caffè e le brioches Gennaro dice:
“Ciro, m’è venuta in mente un’idea”:
“Né Gennà pe’ piacere, ogge so contento assaie e nun me siente e raggiunà!”
“Niente discussioni Ciro, ho capito! Volevo solo dirti che avevo pensato di ringraziare la signora che ci ha portato fortuna”.
“E cumme? Chi a canosce a chella?”
“Ciro abbiamo la targa dell’auto, no? Con quei numeri abbiamo vinto il terno e con gli stessi possiamo rintracciarla!”
“Overo, ma cumme facimme!”
“Vedi ho pensato di dare la targa al mio amico maresciallo dei carabinieri: Alfonso De Simone, te n’ave parlato quanno succiesse ‘o fattaccio de Luigi ‘o scarparo!”
“Bravo, m’o ricuorde, diamo a isso la targa e accussì sapimmo ‘o nome e ‘nderizzo d’a signora o di quaccheduno che ce pote aiutà a la truvà!”
“Sì facciamo accussì, un bel mazzo di fiori, almeno, se lo merita!” “Facimme doie passi fino a S. Vitale, si o trovamme gli dimannamme ‘a gentilezza e si nun c’è 'o chiamme io a casa stasera!”
“Buono jamme, ‘na bella cammenata ce fa buono, cu st’aria frizzantina c’addore e mare!”
Giunti alla stazione di S. Vitale, Gennaro chiede al corpo di guardia di annunciarlo al Maresciallo
De Simone.
“Il maresciallo è presente, chi devo dire?” fa con solerzia il piantone.
“Gli dica che c’è il suo amico Gennaro Platone in compagnia di Ciro, Ciro Aristotele…”
“All’udire questi nomi il carabiniere è rimasto un po’ perplesso…ma Gennaro e Ciro sono abituati a queste reazioni.
“Il Maresciallo vi aspetta: secondo piano, stanza 25 a sinistra dalle scale”.
“Grazie”.
Il piantone apre la porta e i due salgono le scale.
“È permesso sig. maresciallo?” Dice Gennaro con voce sussiegosa, bussando alla porta socchiusa della stanza. “ Trase Gennà, senza fa o scemo, trase!”
“Ciao Alfò, cumme staie?” “Buono Gennà, buono, ringrazziamme Dio”.
“Questo è Ciro Aristotele, l’amico pizzaiolo”:
“Ah chiste è l’ate filosofe, piacere assaie. Assettateve”.
Dopo alcuni convenevoli Gennaro chiede al maresciallo se gli può fare una cortesia.
“Dimmi pure Gennà, se posso, volentieri!”
Gennaro fa un breve riassunto della storia senza tralasciare nulla.
“Però che storia interessante e …fruttuosa!” Dice il maresciallo interrompendo Gennaro
“Già Alfò”. Replica
“Detto questo, vengo al punto. Noi vorremmo ringraziare quella simpatica signora che ci ha consentito, grazie alle intuizioni di Ciro ed alla sua fede cieca nei numeri, di vincere un terno. Ma non conoscendo nulla della donna, nemmeno il suo nome, ho pensato a te. Controllare i numeri della targa per vedere a chi corrisponde dovrebbe essere una cosa semplice per voi, dopodiché possiamo contattarla, ringraziarla e farle un omaggio, che so’: un bel mazzo di fiori…”
“Si può fare Gennà, dammi la targa che mi collego con il computer della Motorizzazione e vediamo di chi è questa Audi d’annata!”
“Bene, così lo sappiamo subito, grazie”.
“ Se non ci sono problemi, in pochi minuti sappiamo tutto della signora barese, eh, eh!”
Il maresciallo entra nell’archivio della motorizzazione, inserisce provincia e numeri e invia la richiesta.
Trascorrono un po’ di secondi…
“Strano- dice il maresciallo- le risposte di solito sono molto veloci…ci sarà traffico su questo archivio”.
Tutti e tre restano in attesa, Gennaro e Ciro si scambiano uno sguardo, senza parlare.
“Ecco la risposta! Ora capisco perché ci ha messo tanto, non l’ha trovata e la ricerca è stata lunga. Siete sicuri che la targa sia quella giusta?”
“Alfò non ci sono dubbi, la macchina era parcheggiata, l’abbiamo guardata da tutti i lati perché stava in ottime condizioni e la targa l’abbiamo vista e letta più volte, senza contare che Ciro con i numeri ci sa fare!”
“Allora faccio un altro tentativo”. Dice accomodante il maresciallo.
“Niente da fare guagliò, quando o computer risponde accussì vuol dire che sta targa nun esiste cchiù! Non sarà falsa?”
“Non ci sono altre possibilità di controllo?” “No, non ci sono!” Risponde perentorio De Simone.
“Ho capito Alfò, nun sacce che dirti, forse ce simme sbagliati. Non può essere che accussì!”
“E sbagliando avite pure fatto u terno? Ma chesto è propre ‘no culo tante…”
“Beh, pe’ ‘na vota inte a vita simme state furtunate eh Ciro?”
“E già furtunate, avive a sbaglià e nummere pe’ vencere. Si o sapevo primma…chissà quante denare avisse fatte!”
“Alfò te ringraziamme pe’ a curtesia, mò ce ne jamme, statte buono e saluti a casa”:
“Grazie Gennà e arrivederci”.
Gennaro e Ciro escono da San Vitale in silenzio. Nelle loro menti si accavallano i pensieri più strani e le spiegazioni più strambe.
Dopo pochi minuti iniziano a parlare simultaneamente…
“Uè Gennà simme sempe in sintonia eh?”
Già Ciro chesto almeno è overo!”
“Ma…tu che penze ‘e tutta chesta storia?”
“Ch’agge a penzà Ciro…nun ‘ngarro a penza a niente. So confuso, incredulo, meravigliato, sbigottito inzomma so into ‘o pallone e o cerviello se rifiuta d’accettà cheste cose…ma nun trova nisciuna spiegazione.
“Già accussì è!”.
“Ma tu che penze d’a signora di Bari? Noie ‘o sapimme de nun avé sbagliato i nummeri d’a targa e si sta targa nun esiste, nun esiste manco ‘a signora? Che c’è succiesse? Chi era chella femmena e chella macchina? Nuie ce simme saliti in coppe… Era ‘na fata, n’angelo o ‘a Befana? Maronna mia me sta a scuppià ‘a capa!”
“Ciro nun sacce che dirti…” Il discorso si fa serio e Gennaro prosegue in italiano.
“Per la prima volta in vita mia sono protagonista di un fatto irrazionale, innaturale, senza senso: la dolce signora che ci “appare” dopo aver parlato del Natale; noi che l’accompagniamo a comprare i pezzi del presepe; tu che intuisci il significato dei numeri della targa…Tutto questo era già abbastanza strano e poi scopriamo che quella targa e quella macchina non esistono e forse neppure la proprietaria, ammesso che fosse la sua”.
“E allora?” Interrompe Ciro con evidente ansia.
“E allora, e allora…io non credo alle favole, ai miracoli e simili…sono filosofo, sono razionale e non posso accettare tutto questo ma…poiché questo fatto è vero e l’ho vissuto, non posso dire che è solo fantasia, suggestione o altro, ma non riesco a trovare nessuna spiegazione”.
“Gennà nun t’arravoglià o cerviello, forse avimme incontrato ‘a Befana dei filosofi che ce vuleva fa passà nu belle Natale! Nun ce facimme o sanghe amaro e nemmeno schiattà a capa pe capì ch’è succiesse! Ringrazziamme chi vuò tu e turnamme a casa e speramme che ce danne ‘e denare primma e Natale”.
“Ma…Ciro…”.
“Gennà mò basta! Lasse perdere, nun ce penzà cchiù. O cerviello tuio, te capisco, è chiuso a ste cose ma o portafoglio s’arape ai denare ch’è vinciuto, né Gennà?”
Questa battuta semplice quanto profonda, scuote l’atmosfera creatasi.
“Ave raggione Ciro, ave propre raggione e c’agge a dì e cchiù se non Buon Natale!”
“Buon Natale Gennaro!”
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