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sottile disegno complicato
La vecchia signora Lodigiani appartenente a una famiglia nobile ormai decaduta, avvolta in un elegante cappotto foderato di pesante broccato che era stato un tempo proprietà di una delle donne della sua famiglia molti anni addietro, osservava stancamente il bel viso ovale della nipote che le parlava emozionata. Trasferendosi in uno dei migliori appartamenti del centro di Milano non avrebbe rischiato di morire da sola nella sua isolata villa di campagna; la ragazza non le aveva neanche risparmiato una raccapricciante descrizione di lei stessa accartocciata, accasciata su uno dei suoi tappeti in lana ponderosa riccamente decorati, sfiancata da un improvviso attacco di cuore, con in mano ancora un orecchino di lapislazzuli che stava per infilare al lobo destro. La signora Lodigiani era troppo vecchia per ribattere, quindi aveva deciso infine di accondiscendere alle moine della nipote, anche se al momento in cui il suo Signore avrebbe deciso di portarsela via lei l’avrebbe seguito volentieri, ripudiando l’idea di varcare la porta di uno di quei tremendi ospedali moderni per poter rimanere in vita attaccata ad un macchinario.
La ragazza era stata alquanto insistente, organizzando personalmente tutte le piatte faccende burocratiche e occupandosi del trasloco. In un mattino particolarmente gelido e trasparente le due donne osservavano dall’ampia via alberata i ricchi mobili ottocenteschi volteggiare nell’aria fredda, diretti verso la finestra del suddetto appartamento. Tutto procedeva come previsto, ma la signora Lodigiani sentiva una morsa ferrea che le stringeva il cuore, anche se non seppe perché. Accanto a lei sua nipote le stringeva il braccio emozionata, osservando di tanto in tanto affascinata i bagliori cremisi che la luce bianca produceva sul collo dell’anziana donna passando attraverso il rubino quasi nero che pendeva dal lobo rugoso.
La vecchia osservava ora la lenta ascesa di un vecchio pianoforte in mogano, a coda, che riportava all’interno squisiti dipinti ad olio rappresentanti “la tempesta” di Shakespeare. Sospirò.
Ruben sognava fra le lenzuola leggere del suo letto con un’espressione lievemente preoccupata sul viso.
Il suo sonno era turbato e volgeva al termine. Un tuono scosse il cielo e lui si destò improvvisamente. I suoi occhi percorsero brevemente un giro attorno alla camera da letto, poi si soffermarono sulla finestra; cielo bianco e compatto. Poteva percepire già il freddo che regnava all’esterno.
Rimase un momento fermo nel letto, rimuginando sugli avvenimenti della sera precedente.
Aveva cenato con una ragazza molto bella, della quale era perdutamente innamorato, ma benché avesse avuto innumerevoli occasioni per confessarglielo, mai aveva trovato il coraggio.
Quell’amore lo stava consumando lentamente. Il suo sospiro profondo riecheggiò fra le mura della stanza, simile al triste verso di uno spettro tormentato. Infine decise di alzarsi, bevve una veloce tazza di caffelatte e, mentre sciacquava il sonno via dal viso, ebbe un nitido momento di illuminazione, come quello che i monaci buddisti possono raggiungere con la meditazione. Indossò rapidamente un paio di jeans, un maglione, le scarpe abbandonate sul pavimento e corse fuori. La vita è breve e anche se lui era giovane doveva viverla appieno, respirarne profonde boccate fino a inebriarsene completamente. Si strappò la routine di dosso e la gettò via.
Piombò nel pianerottolo spaventando a morte la sua sorda vicina di casa e prese a scendere a perdifiato le tre rampe di scale, il suo respiro affannoso che si mescolava al suono confuso dei suoi passi rapidi, creando una melodia cacofonica che rimbalzò a lungo nell’intero palazzo. Non si fermò neanche per il rito giornaliero del controllo della posta, sicuro che avrebbe avuto tutto il tempo per controllarla, aspettandosi non altro che bollette da pagare. Aprì furiosamente il portone d’ingresso, che sembrava momentaneamente riluttante ad acconsentire, e fu finalmente fuori. Respirò l’aria fredda, immobile, e proprio in quel momento la corda che teneva il pianoforte si ruppe e questo cadde nel vuoto dal decimo piano, schiantandosi con tutto il suo poderoso e prezioso peso su Ruben, che morì all’istante.
Nessuno seppe spiegare come aveva fatto la corda a rompersi, perché era estremamente robusta e assicurata.
La giovane nipote della signora Lodigiani non seppe dell’amore che aveva provocato e la vecchia visse per altri undici anni e mezzo in quell’appartamento estraneo che non sentì mai veramente come suo.
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- Mah? non saprei... forse si forse no... secondo me puoi fare di meglio.
- la forza del testo sta nelle descrizioni che non servono solo a dare indicazioni e precisazioni sugli oggetti descritti ma danno anche corpo e rilievo agli eventi ponendoli su un piano più credibile e reale
- È uno dei testi più belli che io abbia mai letto! è fantastico! l'intreccio finale è stupendo.. sei bravissima! comunque per quanto possa finire tristemente, sono rimasto con un sorriso inquietante stampato sulle labbra!
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