L'amico Alfredo, che non vedevo da anni, mi invita a casa sua, e un pomeriggio di agosto vado a trovarlo.
Dopo i saluti e la rievocazione degli anni passati, Alfredo mi mostra la sua casa, ricavata da una vecchia fattoria. L'arredo è originale: gioghi, catene agricole, pentole attaccate al camino.
Ai piani superiori, sul pavimento lucidato, ci sono i letti in ferro, bauli, armadi e cassapanche. Nel sottotetto si vedono le belle travi lucidate.
Dopo avermi offerto la macedonia usciamo all'aperto; passeggiamo nel pioppeto dove ci sono le amache per riposare. Restiamo all'ombra a parlare di letteratura, mentre i bambini giocano, cani, gatti e galline si rincorrono. Alla sera arriva sua moglie ad avvertire che la cena è pronta.
Io vado via con una sporta di mele che Alfredo mi ha regalato e con la promessa di ritornare la sera seguente.
Sulla strada del ritorno penso che è tutto molto bello e piacevole. Alfredo ha costruito un vero eden che rilassa e ristora e rappresenta la realizzazione dei suoi sogni.
Per un po' provo invidia, ma non per molto. Anzi, suppongo che non andrò più a trovarlo. Alfredo si è costruito una prigione con le sue mani, dove la vita si svolge rallentata e alla fine diventa noiosa. Casa, terreno, moglie e figli rappresentano una prigione dorata, ma sempre una prigione.
Alfredo se ne sta accorgendo e vede in me una via di uscita, un diversivo, un passatempo nella sua noiosissima prigione.
Preferisco andare a passeggiare da solo in campagna o a spasso per i paesi. La sua prigione mi opprime e mi soffoca.
Agosto 2002