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CINZIA: TUTTO EBBE COSI' INIZIO
Ora se ne accorge. Infatti, ecco lo stupore!
Finge discretamente di nulla, si guarda intorno nella speranza di distrarre con i suoi immensi occhi marroni il resto delle persone, ed ecco che, con discreta classe, volta il libro dalla parte giusta.
Qualcuno alle mie spalle, nel frattempo, intona una melodia straniera, molto probabilmente araba. Entrambi sembriamo accorgercene poiché non abbiamo ancora sfoggiato i nostri rispettivi iPod.
Come fa a sapere che pure lei ne possiede uno? Vi chiederete.
Siamo universitari e siamo nel duemilasette; tutti gli studenti ne hanno uno. Oramai i cd sono catalogati come specie estinta, materia per archeologi (può darsi, fra qualche mese, m’imbatta nella frequenza d’un corso di laurea riguardante la solare era dei cd musicali).
Una risata da destra: una ragazza mora, quasi sicuramente matricola, intenta a guardare sul suo portatile L’era glaciale. Di solito quei computer non sono l’ombra d’universitari in procinto della laurea? La ragazza mostra meno degli anni che effettivamente avrà?
“Chissenefrega”, mi rispondo estraendo l’iPod.
Scorro col pollice l’elenco dei brani, scelgo Angry Chair degli Alice In Chains.
Di tanto in tanto scatto qualche foto alla ragazza dagli occhi castani.
Deve esserle vibrato il cellulare nella borsa sdraiata sulle sue ginocchia: posa il libro, la apre frettolosamente, estrae il telefono rosa da una piccola calza rosa; mi lancia uno sguardo e nota io la stia fissando. La congedo con frettoloso disagio mentre lei s’immerge nella lettura.
Torno ad osservarla con velata discrezione: continua a leggere, ride, meglio, sorride, un sorriso sincero, solare, complice…
Ora risponde.
Resta immobile qualche secondo, giusto il tempo della conferma d’invio del messaggio, poi un ultimo sorriso mentre lo ripone nella borsa. Sguardo fuori: contempla il lago, si sistema i capelli dietro le orecchie, accarezza la borsa sulle ginocchia quasi fosse il suo gatto, dopodiché estrae anche lei il suo iPod (rosa) per isolarsi dal contesto.
Passo ad Happy Song dei Pagoda.
Devo essermi appisolato per alcuni istanti poiché è ora un pezzo dei Verdena a tenermi compagnia.
Che sogno assurdo che ho fatto! Sogno spesso ultimamente. Passeggio per un bosco, è autunno, gli alberi sono tappezzati da innumerevoli necrologi; uno per ogni singola foglia morta.
Estrae nuovamente il telefono. Porca puttana: sono già due.
Ora persino lei mi scatta qualche istantanea, proprio mentre, sempre sorridendo, legge e risponde a chissà chi e per chissà cosa…
S’innesca così una sorta di scambio di sguardi; di sfida da parte sua e di finta palese indifferenza da parte mia.
Spengo violentemente l’iPod e proseguo la mia lettura sugli acrobatici voli digiuni del gabbiano Livingston. Morirà di fame alla fine sto cazzo d’uccello?!
Nemmeno concludo la prima pagina che giunge a lei il terzo messaggio.
Eh no, cazzo! Ora basta! Devo fare qualcosa. Il mio disagio è oramai tangibile e lei sembra sempre più inebriata dall’etere.
Bene, ecco il piano: continuo a leggere, fisso le pagine, le foto dei gabbiani, dopo di che, con uno scatto simile a quello conseguente una scossa alle palle, fingo di toccare la tasca destra dei pantaloni, come a volere cercar conferma che ciò che mi pare aver percepito sia realmente un messaggio e non una mia loffa.
Pronti? Tranquillo, va tutto bene… Conta fino a tre: uno, due, tre! No. Ferma tutto! Cazzo, non sono bravo in queste cose! Se poi capisce che fingo? Che ciclopica figura di merda sarebbe?
Altra foto al suo viso.
Fanculo. Uno, due, scoreggia! Bene! Sei stato bravo… Ora estrai il tuo apparecchio a conchiglia ed aprilo! Così, molto bene. Mi raccomando, non alzare mai gli occhi verso di lei, altrimenti sei fottuto!
Ora fa qualcosa! Fingi di leggere… Vai nella cartella messaggi e riesuma quello vecchio di mesi che hai lì dentro: scorgi ancora le parole tra la muffa a cristalli liquidi?
In questo modo sarà più naturale l’andamento dei tuoi occhi da sinistra a destra.
Ti starà guardando? Sorridi. Ancora.
Ora seconda fase: devi rispondere al messaggio.
Potresti fingere di scriverne realmente uno e poi annullarlo… Che tristezza però! Meglio qualcosa d’altrettanto ipnotizzante ma meno masochista.
Non son nemmeno buono ad usare i giochi, e poi non funzionerebbe ugualmente.
Idea: l’ora. Vai nelle impostazioni e gioca con l’ora: spostala, cambiala, metti la sveglia, togli la sveglia, rimetti la sveglia…
Molto bene: ora sorridi nuovamente, posa il cellulare nella tasca dopo di che sguardo compiaciuto al finestrino.
Ti stava guardando, cazzo! È andata! Hai scorto il suo riflesso sul vetro e ti stava fissando! Bravo Fabio: ora è lei che ha tolto da te lo sguardo con fulmineo imbarazzo.
Nel frattempo la ragazza del portatile è svanita nel nulla.
Forse siamo soli nella carrozza. Forse.
Adesso? Si è rimessa a leggere… Che cazzo di libro è? Alto quindici centimetri… Qualunque cosa ma non Moccia, te ne prego!
Proseguo anch’io nella mia lettura…
Non può concludersi tutto così, magari tra qualche minuto insceno l’arrivo d’un secondo messaggio.
A pensarci bene, però, potrei fare di meglio: una chiamata! Se questa mi riesce ci scappa l’oscar, matematico.
Sì, ma cosa dico? Facciamo così: voce dolce, parole sussurrate, magari ogni tanto velo la mia bocca con la mano, e se proprio sono nella merda ricorro ai soliti versi od espressioni di circostanza.
Del tipo: “Eh, mmh, come? Non sento bene… Dicevi? Ah, Eh, boh… No, perché… Ah, beh allora! Sì però… Eh…”.
Uno, due, tre: scossa! “Eccomi!”, rispondo sorridente.
Riesco a fingere degnamente per trenta, forse trentacinque secondi, lei ora mi sta letteralmente fissando ed io non sempre riesco a distogliere i miei occhi dai suoi.
Cazzo quanto sono belli…
Che faccio ora? Che dico? Il treno sembra rallentare un poco, allora attacco con la solita squallida scenetta: “Ma guarda, Jenny (Jenny?! Che cazzo di nomi ti vengono in mente quando sudi dal panico, idiota?), non vedo bene… Penso di essere… Boh, scusa dove siamo?”, chiedo singhiozzando come un neonato abbandonato a colei la quale è oramai decisamente divenuta la sola donna della mia vita.
Lei tenta una soave risposta che, secondo me, avrebbe potuto suonare pressappoco così: “Siamo quasi a Verona, scendi con me?”.
Peccato ebbe giusto il tempo di socchiudere appena le sue nivee labbra sottili prima che quella puttana della sveglia del mio telefono si mise a suonare.
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