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Le sere tristi
È una sera triste di autunno. Oggi non abbiamo mai visto il sole e alla sera sorge una caligine grigia che accresce il senso di solitudine. Una pioggerella persistente e monotona sta cadendo da ore, dilagando nell'anima, portando disperazione e dolore.
Mentre pedalo, col giaccone e l'ombrello aperto, sono tormentato da una sottile tristezza: i rimpianti della giovinezza fuggita, le donne che ho perduto, gli amori finiti tutti pensieri che alla luce del sole fanno provare una dolce malinconia, ma nelle sere piovose d'autunno questi ricordi feriscono come coltelli.
Sto ritornando a casa da Legnago, un paese vicino, dopo un pomeriggio vuoto, trascorso al bar a guardare vecchi alcolizzati che giocavano a carte. Il mio paese è ancora lontano, la strada è lunga, deserta, oscura
Prima di cena potrei andare a trovare mio cugino, che è appena stato dimesso dall'ospedale. Oppure il mio amico pittore che ha il padre novantenne, ma chissà se sarà a casa a quest'ora.
Improvvisamente mi ricordo che da queste parti abita il mio amico Antonio che non vedo da oltre un anno. È un compagno allegro ed è quello che ci vuole in sere come questa. Così, arrivato al bivio, devio a sinistra per andarlo a trovare. La strada si restringe diventando tortuosa. Gli alberi ai lati sono fradici di pioggia e a tratti le foglie mi toccano il viso. Cortili vuoti; aie piene di pozzanghere sfilano ai lati, case cupe che paiono abbandonate.
Dopo alcune curve arrivo in vista della fattoria di Antonio. Tutto è buio. Dalle finestre non esce alcuna luce.
Suono il campanello e viene ad aprirmi una ragazza col grembiule e i capelli lunghi e neri. È sua sorella Evelina.
"Disturbo? Passavo di qua e ho pensato di salutare suo fratello."
"No, entri, entri pure; mio fratello non c'è ma tornerà tra poco."
Attraverso una saletta buia arriviamo in cucina, sul retro della casa: è una stanzetta sporca e poco illuminata. Mi siedo su una sedia impagliata e guardo la tovaglia spiegazzata, l'acquaio ingombro di piatti e barattoli; un mazzetto di fiori secchi sta davanti a una foto di vecchi sulla credenza. Provo d attaccare discorso:
"Sono i suoi genitori in quella foto?"
"Sì. Mia madre è morta questa estate."
"Io Non sapevo mi dispiace."
Ancora il silenzio. Non so cosa dire perciò guardo fuori dalla finestra i mucchi di barbabietole nei campi.
Il tempo passa, l'amico non arriva e io sono pentito di essere venuto qui. La ragazza non sembra avere voglia di parlare e mi sforzo di tenere viva la conversazione:
"Siamo amici da tanto tempo io e suo fratello."
"Lo so."
"Mi ricordo quella volta in gita c'era anche Carlo e "
La ragazza ha un gesto di rabbia; il volto si rabbuia e sussurra:
"Lo odio lo odio "
Fa una pausa e poi: "È stato il mio fidanzato per quasi un anno e adesso non viene più qui "
Rimango sbalordito. Nelle sue parole sento tutto il terribile odio femminile; la donna odia come ama, con tutta sé stessa.
Poi, come pentita da questa crisi improvvisa, la ragazza incomincia a piangere, piano, tenendosi un fazzoletto davanti al viso. Vorrei consolarla, ma non so cosa dire. Percepisco l'atmosfera rigida, tesa, dentro alla stanza.
Quando si è un po' calmata mi alzo, perché si è fatto tardi, saluto lei e lascio un saluto a suo fratello.
Sto pedalando, con l'ombrello aperto, sulla strada verso casa. Con questa deviazione ho allungato il percorso di alcuni kilometri.
Nelle sere tristi e piovose dell'autunno, a volte entro dentro alle famiglie per trovare un po' di allegria e calore umano. Invece trovo ancora più tristezza, ancora più dolore, ancora più solitudine.
Settembre 2001
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