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L' orrore nella cantina
(Da un breve scritto, in rozza calligrafia, ritrovato sul letto di un paziente dell' ospedale psichiatrico "St. Germain" di Imperial Burg, in Germania.)
Le vicende che mi appresto a scrivere risalgono a circa 12 anni fa, nel 1980, quando all'epoca dei fatti avevo poco più di vent'anni; questo manoscritto è da intendere come ultimo resoconto tangibile di ciò che accadde in quella notte, la notte in cui fui arrestato con l'accusa di duplice omicidio, mutata poi in singolo omicidio, e che si concluse con la mia dichiarazione di "mentalmente instabile e soggetto ad allucinazioni".
Ho detto "ultimo resoconto tangibile" perchè di fatto, tutte le mie dichiarazioni alla polizia e in sede del processo furono distrutte, in quanto considerate "vaneggiamenti post-traumatici" e quindi pura invenzione del sottoscritto. Eppure, i poliziotti che allertai e videro lo scempio di quella notte, sanno di aver commesso un'ingiustizia: anzichè ringraziarmi per l'orrore che distrussi, mi relegarono qui, all'ospedale di igiene mentale St. Germain.
Finalmente, dopo dodici anni in cella d'isolamento, son stato trasferito ieri nel reparto 5B, al quinto piano: e finalmente posso sbarazzarmi degli incubi per cui non ho più dormito da quella notte; una volta concluso questo mio "testamento", mi getterò dalla finestra che ho scardinato dopo il passaggio dell' infermiera di turno. E se la fortuna, o dio, o qualunque cosa superiore all' uomo, vorrà, potrò finalmente riposare in pace.
Avevo 21 anni quando i miei genitori tornarono da un viaggio in Indonesia, coronando un sogno che avevano da tempo; ma il destino beffardo aveva fatto contrarre a mio padre una strana malattia locale, che lo portava, giorno dopo giorno, al stare peggio, presentando sempre più pustole e vesciche sul corpo.
Dopo alcuni mesi di falsa speranza e pronostici negativi da parte dei medici, mio padre spirò nel sonno, a detta di mia madre, che preferì non svegliarmi mentre veniva portato via, a causa del suo pessimo aspetto; il corpo fu cremato due giorni dopo, e le ceneri sparse nel mare come aveva chiesto nel testamento.
Divenni l'uomo di famiglia, essendo rimasti solo io e mia madre, e dovetti rinunciare a parte dei divertimenti che mi ero concesso fino ad allora, come tutti i miei coetanei; lavoravo tutto il giorno e mi occupavo di alcuni lavoretti fai-da-te, che in altri casi avrebbe fatto mio padre. Dopo il dolore iniziale, sia io che mia madre accettammo il futuro che si prospettava, anche per onorare la memoria del mio predecessore.
Nonostante abitassimo in una città tranquilla, dove la criminalità e la morte erano più unici che rari, alcuni mesi dopo la dipartita del mio genitore, si verificarono strani "furti": dico strani, perchè erano sì dei furti, ma la refurtiva erano organi umani, e spesso, il "ladro", se così si può definire, non si curava dello stato pietoso in cui lasciava le sue vittime, causandone quasi sempre la morte.
Inizialmente i furti furono un paio nel giro di un mese, ma, mese dopo mese, aumentarono raggiungendo la cifra di una decina al mese; di conseguenza, sia io che mia madre, evitammo di uscire la sera, e iniziammo a controllare con cura ogni sera, le serrature e le imposte delle finestre, nonostante i "furti" avvenissero sempre per strada, e spesso ai danni di balordi o vecchi senzatetto.
La paranoia aumentava, considerando che la polizia brancolava nel buio nonostante i crimini si seguissero da circa quattro mesi, e iniziai a passare sempre più tempo in casa, perdendo di vista molti amici e le attività che potevano caratterizzare un tipico ragazzo della mia età; iniziai a lavorare solo mezza giornata, non avendo un forte bisogno di denaro e temendo sempre più dover camminare da solo anche solamente per una manciata di minuti.
Stranamente, mia madre non mostrava lo sconforto che invece mi aveva invaso da settimane, ma leggeva le notizie sui misteriosi furti quasi con freddezza e distacco, ed in più volte ero convinto di averla sentita quasi farsi beffa di quei fatti di cronaca nera. Tuttavia, se doveva uscire per delle commissioni, la accompagnavo ben volentieri, forse perchè non volevo che andasse da sola o, forse, perchè non volevo io stesso rimanere da solo nella villetta dove abitavamo.
Un sabato sera, però, successe che uscì di fretta, senza darmi il tempo di prepararmi ed accompagnarla, dovendo così rimanere in quella casa che ormai detestavo per la sua grandezza, che la mia paranoia considerava solo un peso ed un pericolo per via del maniaco degli organi; passarono alcune ore, tuttavia mia madre non si fece viva: cercai di mandare la mente altrove, leggendo una buona tragedia del caro Shakespeare, che sicuramente mi avrebbe allontanato dalla realtà per un pò.
Credo fossero circa le nove di sera quando sentii quel rumore, una sorta di strisciare o un zoppicare lento e ritmico, che durò circa una ventina di secondi: un brivido corse lungo tutta la mia schiena, mentre le mie orecchie erano tese come quel del più abile segugio. Rimasi qualche minuto in silenzio, dopodichè mi dissi che doveva essere il vento, o forse i rami di qualche nodoso albero che si allungavano verso la casa.
Ma quel suono si presentò ancora, ora più distinto, e capìì che proveniva dalla cantina; successivamente qualcosa toccò la porta della cantina, in fondo alle scale, qualcosa che aveva inutilmente strisciato sulla porta, ma che non aveva toccato la maniglia, stranamente.
Buttai il libro sul comodino, incurante di tenere il segno, e, a passo felpato, raggiunsi una torcia lasciata per le emergenze, in cucina. Sentii di nuovo quel fruscio, che durò un circa un minuto, ma che diede l'impressione di allontanarsi sempre di più; ormai ero certo che in cantina c'era qualcuno il quale, forse allarmato dai miei passi, se n'era andato dalla porta.
Salii di corsa, conscio di aver perso l'effetto sorpresa, entrai nello studio di mio padre e presi la sua vecchia colt nell'ultimo cassetto; di sicuro la sotto non poteva esserci mia madre, e qualsiasi altra persona che poteva esserci non aveva sicuramente buone intenzioni.
Scesi di nuovo le scale, ma quando fui sul punto di aprire, mi fermai a riflettere: era da diversi mesi che non entravo in cantina, e mia madre aveva accennato ad alcune sostanze chimiche lasciate da mio padre, ora andate a male ed esalanti vapori malsani e pericolosi, conseguenza per cui andava solo lei, dopo aver indossato una maschera a gas usata in passato da mio padre.
Stavo forse compiendo una sciocchezza ad avventurarmi la sotto? E dove teneva quella dannata maschera, mia madre? No, non potevo perdere altro tempo: qualcuno era la sotto, e di sicuro non girava con una maschera a gas, quindi potevo benissimo andare anche io. Aprii lentamente la porta, illuminando con la torcia la facciata subito di fronte alle scale: solo la vecchia libreria di mio padre, impolverata quasi del tutto, tranne che un un angolo: mancavano parecchi libri di medicina, se non ricordavo male, e la polvere mancante poteva essere causata proprio dal fatto che qualcuno li avesse presi di recente.
La cantina aveva una forma quadrata, al centro del quale si trovavano le scale che portavano al piano terra; di conseguenza, potevo vedere solo la facciata frontale e metà delle due laterali: con calma afferrai la colt con la destra, mentre la sinistra reggeva la pila. Effettivamente vi era un' odore nauseabondo e carico di sostanze chimiche, però non ravvisai nessun malore o fastidio che aveva preannunciato mia madre; esploraio con cura la metà della cantina, ormai sicuro che, se c'era davvero qualcuno, era nella metà dietro alle scale. Imboccai il corridoio a destra delle scale, sempre puntando la torcia il più lontano possibile e con la colt ferma e pronta all'uso nella destra; l'odore nauseabondo aumentava, anche se ora sembrava comparire l'odore tipico delle ferite infette e gonfie di pus: abbassando lo sguardo per tapparmi il naso dal tanfo, scorsi qualcosa muoversi per terra, tra la polvere e lo stucco caduto: piccole larve biancastre strisciavano in ogni direzione e, illuminando verso l'angolo destro di fronte a me, capii che erano sempre di più, fino a coprire interamente il pavimento. Iniziai a girare a sinistra la torcia, quando un curioso bastone attirò la mia attenzione: sembrava sbucare da dietro ad un bancone pieno di alambicchi e provette, ed era poggiato a terra; la sua forma era curiosa, leggermente nodoso, ma man mano che saliva, per quanto potei vedere, era sempre più rigonfio e putrido.
Urlai come il più pazzo dei cani, un urlo breve ed acutissimo, mentre i miei occhi si sbarravano, dopo aver visti quel bastone nodoso ritirarsi dietro il bancone; rimasi impietrito e, mentre la concentrazione tornava in me molto lentamente, mi accorsi di sentire di nuovo lo strisciare, ora decisamente più vicino a me, precisamente in direzione del bastone. Avanzai tremante, incurante delle larve che calpestavo sempre di più, puntando la luce sul bancone, cercando di scorgere qualcosa la dietro; il tanfo malato e putrefacente aumentava, ma ormai ero lì, e dovevo scoprire e uccidere qualsiasi cosa fosse la sotto: il raziocinio mi diceva che poteva, anzi, doveva essere un vecchio cane malato, forse rabbioso o con la lejsmaniosi, e che per il bene mio e, forse anche suo, dovevo ucciderlo.
Il destino però non mi volle bene, perchè quello che vidi non era un cane, ne un tasso, ne qualsiasi creatura vivente di madre natura; indietreggiando dopo averla vista inciampai, andando a finire contro un vecchio scaffale, spalle al muro: ed ora, che la luce illuminava quella cosa in tutta la sua figura, un urlo ancora più acuto e lungo uscì dalla mia gola, ignorante del bruciore che ciò mi causava.
Quella creatura si reggeva sulle zampe anteriori, aveva un busto gonfio e putrescente, pieno di tagli ricuciti alla buona fin dove potevo vedere; gli arti inferiori erano mozzati, credo, e due elastici emostatici confermavano questa mia teoria. Sulla testa, tozza e dal collo taurino, scaturiva una massa di capelli arruffati, bianchi e disordinati, mentre la faccia mi fissava quasi con lo stesso stupore che doveva avere la mia.
Dopo alcuni attimi di silenzio, la cosa gorgogliò dalla bocca carnosa, un verso simile ad un rantolo molto forzato, che mi fece raggelare il sangue nelle vene: mi rialzai subito e, spalle al muro, punto pistola e torcia a quell' essere, e gridai: "stai indietro, stai indietro o sparo!". Quell'orrore vivente rimase fermo, dopodichè ripetè il verso di prima, stavolta più forte e battendo quella che sembrava una mano sul petto, strisciandola sugli stracci che aveva indosso.
E fu allora che dentro di me qualcosa morì per lo shock, un freddo glaciale si impossessò della mia pelle e, forse per la paura, non sentii più nemmeno il mio respiro: quello straccio unto e sporco mi era familiare, il suo tessuto, la sua trama... Era una delle camicie da notte di mio padre, una di quelle che mia madre con dovizia gli cambiava giorno dopo giorno, nell'ultimo periodo della sua malattia!
La testa iniziò a girarmi, mentre quella cosa iniziò a strisciare verso di me, trascinandosi sulle braccia, riducendo sempre più i pochi metri che ci sepavano; ero paralizzato, mentre la poca ragione che era in me cercava di confutare le prove che quell' essere era mio padre, ma era tutto inutile. I lineamenti, seppure grottescamente modificati, erano i suoi, e riconobbi i suoi occhi, quegli stessi occhi che un tempo mi davano sicurezza e appoggio, ora erano due vitrei barlumi di umanità, gemme preziose incastonate in un involucro grezzo e blasfemo.
Cercando di distogliere lo sguardo, osservavo il laboratorio, e capii tutto: i libri di medicina scomparsi, un tavolo improvvisato come quello di un chirurgo, i tagli ricuciti su mio padre, i furti di organi, la putrefazione che avvolgeva la cantina; mio padre era tenuto in vita, sostituendo ciò che la malattia divorava in lui. E fu in quel momento che la porta della cantina si spalancò: la figura di mia madre mi illuminò lo sguardo, ma non durò che un'istante, perchè capii che lei era li non a caso, era lei l'autrice di quel male perverso e contro natura, era lei che teneva in vita mio padre, rimpiazzando gli organi avizziti e putrefatti con quelli di ignare vittime. E la dimostrazione di ciò era la valigetta frigorifera che si portava sempre per far la spesa, ora imbrattata di sangue tra le sue mani, ed il suo sguardo ora impietrito, ora colmo di rabbia.
"Tu! Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non scendere, mai e poi mai! Perchè? Perchè l'hai disturbato?"
L' orrore strisciante, intanto, si era fermato, e fissava anche lui mia madre.
Puntai la luce sul corpo di mio padre, e con dolore aprii bocca: "Io... Sono confuso... Perchè? Perchè è vivo? Perchè lo hai trasformato nella caricatura di se stesso? Questo essere non è mio padre, forse lo è stato, ma non ora, non più. È un'orrore, un aborto nei confronti di madre natura!"
Ora, quella creatura immonda mi fissava, e non potei non piangere dopo aver incrociato il suo sguardo: lui era li dentro, lo sapevo io e lo sapeva lui. Emise un gorgoglio lungo e complesso, quasi come se si sforzasse di pronunciare un discorso serio ma, dopo aver capito che non era comprensibile, rimase a fissare il pavimento antistante, preso dallo sconforto. Afferrò con la rozza mano una vecchia scheggia di vetro, ed iniziò a pugnalarsi, senza però ottenere grossi risultati, vista la poca forza che doveva essergli rimasta. Comprendendo il significato di quel gesto, non potei far altro che versare un'altra lacrima per lui, ed infine puntare la vecchia pistola verso la sua testa, mentre una lacrima usciva dai suoi occhi deformi.
Non sentivo più nulla, ne capivo qualcosa, vidi solo mia madre correre verso di noi, mentre il mio indice azionava il grilletto della pistola.
A seguire, partì l'urlo straziante di mia madre, che si accasciò su quella sacca purulenta e ormai priva di vita, che, in lacrime, iniziò ad accarezzare e a stringere a sè, nonostante le sfigurazioni della malattia e della morte.
Ma si sa, il destino è beffardo, e ama prenderci in giro. Perchè se mio padre era morto due volte per me, ora intravidii i segni della malattia anche sul collo di mia madre, mentre i capelli si scostavano per via della posizione.
Soffocando un singhiozzo ed il dolore della gola, riuscii a malapena a sussurrare: "Anche tu... Anche tu sei malata?"
Rimase ferma per alcuni secondo, poi ripose il cadavere, cercando di dargli una compostezza, dopodichè si voltò e si alzò, con lo sguardo carico di odio e rabbia: "Tu... Mi hai condannata! Lui, lui mi avrebbe salvata! Avrebbe ricambiato le mie cure, le mie attenzioni! Una volta guarito, avrebbe guarito anche me! E saremmo tornati ad essere la famiglia di un tempo! Invece no, hai rovinato tutto, mi hai condannato a morte certa e ti sei condannato alla solitudine!". Detto questo, prese di scatto un alambicco e me lo scagliò con forza in faccia; stordito dalla botta e dal liquido maleodorante che bruciava la mia pelle, riuscii solo a scorgere la figura sfocata di mia madre che, imbracciando un'ascia usata un tempo per tagliare la legna, si abbatteva su di me. Non so se fu un bene per la mia salute mentale che il mio braccio e la mia mano furono più veloci, riuscendo a scaricare i cinque colpi rimasti della colt su mia madre, che stramazzò al suolo.
Quello che successe dopo lo potete leggere sui giornali: avvertii la polizia e fui inizialmente accusato dai parenti di mia madre di essere impazzito ed averla uccisa in un raptus di follia; il cadavere di mio padre fu fatto sparire, così come l'accusa di duplice omicidio. Si disse invece che l'altra carcassa ritrovata in casa era solo un cane di grossa taglia morente, ucciso con un colpo di pistola mentre litigavo con mia madre.
Il processo fu più veloce dei quello che pensai e, senza rendermene conto, si concluse con la mia dichiarazione di "mentalmente instabile e soggetto ad allucinazioni", e la conseguente reclusione nell'istituto psichiatri di St. Germain.
Questa è la realtà dei fatti, e spero che giunga a chi di dovere, anche se oramai non ha più importanza: ciò che è realmente importante, è che tra poco gli incubi che mi hanno tormentato avranno una fine. O almeno questo è quello che prego da ogni notte.
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- Un gran bel racconto, inquietante e macabro... complimenti
- i miei più sinceri complimenti.. credo sia inutile aggiungere altro^_^...;mi piacerebbe avere un tuo parere su uno dei miei racconti, quello suddiviso in 2 puntate, ne sarei onoratissimo!!! Complimenti comunque... continua così!!!
- Forse è vero il finale è un po' affrettato ma per il resto decisamente bello e inquietante. Complimenti.
- Complimenti! sai comunicare quello che scrivi! Un buon racconto che fa rabbrividire. avrei scritto un finale più dettagliato e meno affrettato ma a parte questo complimenti davvero!
- A metà tra Lovercraft e Poe.
Non particolarmente originale, ma scritto molto bene.
Forse solo il finale è un po' affrettato.
- wow
- un racconto veramente inquietante complimenti! nonostante il soggetto non sia nuovo sei stato in grado di tenere comunque alta la tensione di chi legge. bravo continua così... spero di leggerti ancora!
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