Sulla vetta, sull’ultima propaggine di quella collina.
Rannicchiato quasi fetale sotto il ciliegio solitario che domina la valle.
Il ciliegio custode, il ciliegio re, il ciliegio padrone dell’ultimo orizzonte.
E in basso la valle volgare, sopraffatta dalle sue miserie, tumultuosa e arrogante, come un inferno di vite sporche e grette, gorgoglio di bituminose essenze e fetidi liquami
Da qui la guardo, solingo, triste.
Il vento, qui, ancora accarezza l’erba bassa, e fa fremere il mio corpo con un alito leggero e rinfrescante.
Il silenzio, qui, ancora pervade il mio corpo, liberandolo e spingendolo verso lontani ed elevati orizzonti di purezza.
Per nulla cederei questi momenti di solitario egoismo, di beatificazione dell’animo.
Per nulla cederei questi attimi di travaglio intellettuale e fisico, di purezza ritrovata.
Per nulla cederei questi secondi meravigliosi in cui scorgo la mia essenza.
Ma anche qui giunsero.
Urlanti e sbraitanti.
Con le radio a transistor, a portare rumore e morte di ogni bellezza.
Eccoli là, che giungono a gran passo, festosi e ridenti, eccoli che si avvicinano, irrispettosi di quanto c’è di bello.
Una donna, un uomo, e fanciulli urlanti nel mattino.
Ed ella, chiassosa, si rivolse a me dicendo:
“cosa fa?”
Raccolsi alcune larghe foglie, appena toccate dalla rugiada del mattino, le soppesai pensoso tra le mie mani e volsi il guardo verso colei che mi parlava e così risposi:
“caco solitario”.
E fu la fine di ogni bellezza.
PS
Il racconto è ispirato dalla poesia "caco solitario" di marta niero. Ovviamente la bella poesia di marta niero non ha nulla a che fare con lo scritto demenziale che avete appena letto.
Non me ne voglia l'autrice di "caco solitario" se ho utilizzato il titolo di una sua opera che m'ha fatto ridere parecchio (il titolo non l'opera) per ricavarci questa popo di ode alla natura.