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PAURA DEL BUIO
“Da ragazzo ero appassionato di film horror…” pensava Max percorrendo quella strada periferica e semibuia che saliva verso la collina “Non mi facevano paura… Ma adesso che è morto pure papà mi spaventa l’idea di sentirmi solo… e poi non mi va di tornare a casa dopo tutto questo tempo…”
Una consistente foschia rendeva faticosa la visibilità e tutto sembrava avvolto da un sinistro grigiore che metteva angoscia nell’anima.
“… Spiriti, zombi, serial killer, sangue, ne ero quasi ossessionato, per questo la mia mente si era ammalata, sosteneva ingenuamente mia madre…”
Si fermò. Guardò il foglio di carta che aveva in mano.
Lo informavano del decesso del genitore e che pertanto doveva recarsi a prendere possesso della casa paterna. In un pacchettino gli erano state recapitate anche le chiavi.
La lettera era scritta a penna, ma in stampatello, e questo non gli era sembrato normale, poche parole per dire che a causa di un tumore al cervello il padre aveva smesso di vivere, nient’altro. In calce il timbro di una clinica privata e uno scarabocchio a fare da firma. Strano. Dietro al foglio c’era un appunto “Nella stanza del ragazzo" e più in basso le parole “Nastro” e “Diario” il tutto scritto in pessima grafia, ebbe l’impressione che fossero parole scritte nel posto sbagliato, e questo gli sembrava ancora più strano.
Le poche abitazioni che si intravedevano andavano diradandosi sempre più e l’edificio più vicino era il piccolo cimitero, che di sera appariva anonimo e dall’aspetto abbandonato, la cui vista gli aveva evocato la sua gioventù.
“Non so neanche dove lo hanno seppellito…”
Si fermò a guardare le lapidi, i fiori e le croci attraverso il tetro cancello d’ingresso, arrugginito e cadente, chiuso appena con una vecchia catena che avrebbe dovuto sostituire la serratura rotta. Gli sembrava tutto più piccolo, forse perché i suoi ricordi si erano fermati a quando era un bambino e tutte le cose appaiono più grandi, o forse perché era così che la sua mente inferma voleva che le vedesse.
“… Sono tutti quei mostri che ti fanno venire le allucinazioni, diceva rimproverandomi quando mi accompagnava dallo psicanalista…” La madre era stata una donna semplice e spontanea, poca istruzione e tanto amore per la famiglia, per i figli soprattutto.
La catena, però, non chiudeva ermeticamente l’inferriata, lasciando uno spazio di circa mezzo metro.
“Ci passa giusto una persona non troppo grossa...” Pensava mentre rimetteva in tasca la lettera “…O un cadavere…”
- Un cadavere… " sentì ripetere alle sue spalle da una voce quasi deformata.
Si voltò di scatto, sorpreso dalla presenza di qualcun altro in quel luogo isolato.
I grossi cespugli che lambivano il muro di cinta si muovevano come se qualcuno vi si fosse appena nascosto.
- C’è qualcuno li? "
Di vento ce n’era veramente poco, eppure quelle frasche si muovevano.
- Non ho più allucinazioni e comincio a sentire le voci? " si chiese perplesso.
Ma il silenzio irreale rotto solo da echi lontanissimi e dal fruscio delle piante faceva pensare che non c’era decisamente nessuno che avrebbe potuto parlare, se ne convinse anche lui e decise di riprendere il cammino.
Voltò lo sguardo, due occhi spiritati lo fissavano, il volto deturpato era del vecchio custode del cimitero, coperto da un ruvido cappuccio, con due pupille che luccicavano come fiamme dell’inferno e con un ghigno orripilante che mostrava i pochi denti marci.
- Un cadavere… -
Una esplosione mentale gli assalì i timpani. Chiuse d’istinto gli occhi portandosi le mani a coprire la faccia ed emise un breve grido di paura.
“Impossibile che sia lui, avrà più di cento anni ormai” pensò immediatamente.
Quando riaprì gli occhi c’era solo la strada al buio davanti a se.
“Da ragazzo ero appassionato di film horror… e adesso il buio mi fa paura!” fece questa considerazione, visto lo scherzo che l’oscurità e la nebbia gli avevano fatto.
Un grosso sospiro, una stropicciata ancora agli occhi: niente, davanti a se non c’era nessuno. Scosse la testa e riprese a camminare in quel silenzio che cominciava a dargli su i nervi.
“Sei andato fuori di testa perché non hai una donna, sosteneva invece mio padre, a forza di masturbarsi si diventa matti.” Camminava guardando per terra, ripensando al difficile rapporto che aveva avuto con lui “ Chissà se adesso che è morto almeno lui avrà finalmente scoperto qual è la verità!”
Aveva percorso un bel po’ di strada quando si fermò all’improvviso.
Si voltò lentamente indietro per capire chi fosse a seguirlo.
Trattenne il fiato. Guardava ma non riusciva a capire.
Fissò con insistenza il tronco di un grande albero che solitario fiancheggiava la strada; con gli occhi scrutanti cercava di scorgere chi si nascondesse dietro quel grosso fusto. L’albero stava fermo, immobile, da un momento all’altro qualcuno sarebbe sbucato fuori.
Niente.
Con aria seccata riprese il cammino e quando poco dopo riconobbe come degli altri passi che seguivano i suoi rifletté un attimo, perplesso, poi si rassegnò ad ignorarli. “È difficile guarire completamente da certi mali…”
Quando giunse davanti alla casa che lo aveva visto bambino prima, e adolescente poi, gli sembrò di tornare indietro nel tempo. Guardò le finestre al buio soffermandosi su una in particolare, quella della sua stanza. L’oscurità dietro al vetro era impenetrabile e angosciante, ebbe l’impressione che improvvisamente da essa si potesse materializzare qualsiasi cosa, ecco una mano tesa e supplichevole, poi un volto pallido e spento, il silenzio rendeva paradossalmente pesante quell’atmosfera, ma la finestra restava al suo posto, e oltre il vetro: il buio, solo e soltanto il buio.
Un urlo disperato di donna lacerò le tenebre.
L’auto passò sfrecciando rumorosa sulla strada deserta, i vetri scuri nascondevano la vista di chi occupava i sedili anteriori, sul sedile posteriore, invece, il viso sbiancato di una ragazza dagli occhi scuri e severi lo fissava con insistenza e inquietudine.
Era stata lei ad urlare?
Max la riconobbe con malinconico stupore, allungò la mano quasi volesse afferrarla e la chiamò:
- Mamma! "
Mentre l’auto si allontanava la donna articolò con ampio movimento della bocca qualche parola
“Non entrare…”
Continuando a fissarlo provò a dire qualcos’altro. Incomprensibile.
- Non ti capisco… -
Marcava le sillabe per consentire di leggere il labiale, ma erano indecifrabili. Si faceva sempre più distante e la bocca così aperta nel tentativo di farsi capire si deformò a dismisura rendendo il suo viso raccapricciante. Max rimase attonito.
“Mi devi raccontare qualcosa di strano che hai visto da piccolo, mi ripeteva il professor Morsen nel tentativo di scoprire qual era stato il trauma che mi aveva ridotto a quel modo…”
Si avvicinò al portone d’ingresso.
“Odiavo quel dottore… il suo modo di fare così autoritario mi infastidiva tremendamente!”
Mise le mani in tasca e prese le chiavi.
“Qualcosa di… anormale, che hai vissuto in passato ti ha ridotto così, insisteva. Ripensandoci da grande, un bel po’ di cose che avevo visto da piccolo mi sembravano strane…”
Tra le sue mani riconobbe il vecchio portachiavi del genitore, rammentò quando gli aveva lasciato la casa a disposizione e un po’ di soldi “Stasera trovati una femmina, falla bere e datti da fare, vedrai che poi starai meglio! Se vuoi te la chiamo io una puttana!”
- Me ne sono fatte di zoccole, caro papà, ma lo stesso al manicomio son finito… -
Entrò in casa con circospezione, come se fosse un ladro. Il buio gli sembrava ancora più profondo di come gli era apparso dalla strada. Chiuse la porta e cercò l’interruttore delle luce tastando la parete all’altezza del suo torace, non riusciva a trovarlo.
“Sono sicuro che è qui!”
La mano scese sul muro e quasi all’altezza delle gambe finalmente toccò qualcosa. “Eccolo! Me lo ricordavo più in alto…”
Clic.
Il botto della lampadina risuonò nella sua mente come una deflagrazione.
Nel bagliore la sagoma di un uomo dal volto sfigurato era a qualche metro da lui sotto l’arcata della porta che dava sul corridoio, poi di nuovo il buio. I pezzi di vetro caddero sul pavimento, qualche scintilla aveva illuminato per un istante l’ambiente poi tutto era ripiombato nell’oscurità.
- C’è qualcuno? "
Buio e silenzio.
Tornò a premere l’interruttore, più volte. “È saltata via la corrente, porca miseria!”
Fece qualche passo calpestando i vetri della lampadina rotta, lo stesso tipo di rumore lo sentì qualche metro più avanti, c’era qualcuno in fondo al corridoio.
- Chi è? " gridò con veemenza.
Silenzio. Ancora buio e silenzio.
“Ho dato un calcio a qualche vetro rotto…” pensò mentre frugava nelle tasche. Trovò quello che cercava. Con un colpo deciso del pollice la piccola fiamma comparve sulla sommità dell’accendino. Poca luce, ma era gia qualcosa.
Cercò di illuminare sotto l’arcata della porta, portando la debole fiammella dall’alto in basso, da destra a sinistra, guardò ripetutamente con attenzione, niente di anomalo, per terra sembrava esserci della cartaccia, o forse spazzatura, non riusciva a capirlo.
Avanzò con prudenza nel corridoio ispezionando per quel poco che poteva, voltava lo sguardo a destra e a sinistra, riconoscendo le pareti dell’appartamento e qualche vecchio quadretto appeso. Allungò il braccio nella camera dei genitori, si intravedeva il letto matrimoniale e l’armadio, Sacchetti di plastica di varie dimensioni pieni di roba popolavano il pavimento. Di fianco al letto grossi teli coprivano probabilmente il comò e qualcos’altro. Decise di non entrare.
Si spostò poi a illuminare quella che era stata la sua stanza: il letto era al solito posto, la scrivania, il televisore, le mensole al muro ancora piene di libri, videocassette e cd.
Fu preso da una forte malinconia e fece un passo deciso in avanti per entrare, qualcosa come una gamba gli fece lo sgambetto, ne fu sicuro, e cadde. Al tonfo del suo corpo sul pavimento corrispose lo spegnersi dell’accendino.
- Hey baby! " gracchiò improvvisa una voce elettronica seguita da una orrenda riproduzione di una musica da circo che ripeteva la stessa melodia.
- Hey baby! " l’insistenza di quella musica era insopportabile.
Fece luce con l’accendino e riconobbe quel giocattolo regalatogli dalla nonna. Cadendogli addosso lo aveva innestato.
- Hey baby! " un sorridente clown di plastica dal naso rosso pedalava su una bici azionando la musichetta a ripetizione.
- Hey baby! " il carillon ricominciava imperterrito, il clown muoveva la testa di qua e di la.
Un pugno sferrato con tutto lo sdegno mise fine a quella inquietante melodia. Nel rumore di plastica che andava in frantumi echeggiò un lamento dal tono umano suggellando la fine di quel regalo che aveva sempre odiato.
Si appoggiò a terra per rialzarsi e la sua mano toccò involontariamente qualcosa, un oggetto che era stato nascosto nel vecchio giocattolo. Sembrava di plastica, con forma rettangolare. Lo prese.
Poi si rialzò e a tentoni tornò verso l’ingresso.
Entrò in cucina, si guardò intorno come per cercare qualcosa, il tavolo e le sedie erano al loro posto, come del resto i mobili e i pensili. Su un piano riconobbe una candela inserita in un rozzo candelabro artigianale fatto con il Das. La raccolse e la accese, così non doveva più tenere premuto il pollice sull’accendino per farsi luce.
Finalmente vide l’oggetto che aveva in mano, una audiocassetta.
Sulla etichetta bianca c’era scritto “Prove per il processo”
Non ne capiva il senso, ma ritenne opportuno conservarla in tasca.
Un sospiro piuttosto pesante proveniva dal corridoio.
Nel silenzio spettrale della casa si udiva perfettamente.
Rimase immobile e tese l’orecchio per ascoltare meglio e cercare di capire cosa fosse.
Era un rantolo umano, come di un uomo con l’affanno, di una persona che sta molto male.
-Se c’è qualcuno in casa che si faccia vedere!- urlò, più per darsi coraggio che per altro.
Chiunque fosse smise di ansimare.
“Il buio mi rende nervoso, i fantasmi non esistono, questo è sicuro, e papà ormai è morto… forse aveva ragione la mamma, troppi film dell’orrore!”
Uscì dalla cucina e si portò nell’ampio salone. Rivide il vecchio divano, coperto da ampie lenzuola e da vestiti e altri oggetti che al buio non riconobbe. La cristalliera e il mobile bar erano anch’essi al solito posto. Sul vasto pavimento c’era una gran confusione, come quando si deve fare un trasloco. Alzò istintivamente il braccio per fare luce verso il soffitto.
Una donna impiccata pendeva dal plafone, gli occhi semichiusi quasi fuori dalle orbite, la bocca aperta nella sua ultima espressione di sgomento, la gola stretta nella morsa di quella corda legata al lampadario.
- No, mamma, ti prego! " urlò ritraendo il braccio, sul vetro davanti a lui vide riflessa l’ombra di un uomo alle sue spalle che si allontanava verso la cucina.
Si voltò troppo rapidamente, la candela si spense. Ansimando pesantemente recuperò l’accendino e riaccese la candela. Alzò la testa e riconobbe il maestoso lampadario in stile antico voluto dalla madre. Il lenzuolo che lo ricopriva solo a metà pendeva da un lato assumendo una sembianza quasi umana. “Sembra la vestaglia della mamma, quella che aveva addosso quando si è impiccata” pensò. “Ecco, una delle cose che non ho mai capito è perché la mamma si è uccisa dopo aver scoperto papà che faceva il bagnetto a mia sorella… era una bambina, aveva solo cinque anni…”
Fece luce sul resto della stanza: regnava il caos.
“Io lo sapevo che quando la mamma non c’era lui le faceva il bagnetto, lo avevo visto tante volte!”
Cartoni, pacchi e sacchetti pieni di oggetti erano sparsi un po’ dappertutto.
“Mi ricordo che la mamma gli urlava come un’ossessa… non si capiva quello che diceva…”
Rovistò all’interno di uno scatolone ancora aperto e pieno di libri.
“Era come impazzita, lo riempì di parolacce e insulti, e accennò a qualcosa come ai suoi pantaloni… o ai suoi slip…”
Prese un libricino lo guardò appena e poi istintivamente lo ripose dov’era.
“Effettivamente mi era apparso strano che li teneva abbassati… ma perché?”
Spostò la candela con ampi gesti del braccio per illuminare il più possibile l’ambiente, poi fece luce verso un angolo in basso. In mezzo a vari oggetti un viso paffuto lo stava fissando, la fiamma della candela era riflessa nelle sue pupille.
- Mary!- gli scappò il nome della sorella.
Gli occhioni della piccola continuavano a fissarlo.
- Mary… ma papà ti ha fatto del male mentre era in bagno con te?-
Si avvicinò.
- Ti stiamo ancora aspettando, perché sei scappata di casa?-
La luce illuminò per bene il suo viso, e il resto del corpo. La bambola, che era stata della sorellina, mosse la testa e lo guardò come per dirgli qualcosa. Era seduta per terra in una posizione così corretta da sembrare una bambina in carne e ossa. Era, una bambina. Una bambina che lo guardava con gli occhi supplichevoli, troppo grossi, così come devono essere gli occhi di una bambola. Era, una bambola. Una lacrima di sangue le solcava una delle guance. Le labbra si inarcarono in una smorfia di pianto.
Max tese la mano. “Non avevi neanche 18 anni… Chissà dove sei adesso.”
Afferrò la bambola per poterla ammirare meglio da vicino, la testa si staccò dal collo e ruzzolò per terra finendo la sua corsa contro qualcosa.
Riconobbe la radio con cui il padre ascoltava le partite di calcio, con il lettore per le cassette. Posò per terra il corpo decapitato della bambola e prese immediatamente la cassetta che aveva in tasca, la inserì nel vano per ascoltarla. Premette il tasto play. Un lamento umano che somigliava a un “no” pronunciato da un vecchio o da un malato. La cassetta non era partita. Per forza, la spina non era inserita. E poi era saltata via la corrente elettrica. Le batterie, dovevano essere scariche. Aprì lo sportellino, le pile non c’erano per niente. Cosa aveva udito?
Si guardò in giro come per scorgere qualcuno con lui nella stanza, ma al di la della poca luce della candela non vide che il buio. Quel buio che adesso gli metteva ancora più paura.
“Il giocattolo della nonna! Andava con le pile!” pensò mentre si spostava verso la sua stanza.
Si arrestò all’improvviso. “Prima, però devo fare pipì, mi scappa…”
Entrò in bagno e si diresse direttamente verso la tazza. Appoggiò la candela sulla lavatrice lì di fianco e poi espletò il bisogno emettendo un sospiro di sollievo. Tirò su la zip del pantalone e riprese la candela. La fiamma illuminò appena la vasca da bagno. L’uomo dal viso sfigurato era sdraiato nella vasca avvolto da una asciugamano scura. Lo fissava.
Un urlo di terrore, la candela gli cadde per lo spavento e si spense.
La riafferrò in fretta, era ormai in preda alla agitazione, non riusciva a riaccenderla, quando vi riuscì fece subito luce verso la vasca, ma lo spostamento repentino spense di nuovo la fiamma.
-Porca puttana, accenditi!- imprecò
La fiamma riapparse sulla sommità della candela. Fece luce. Nella vasca c’era adagiato l’accappatoio blu scuro che era stato di suo padre. Era steso in modo da esibire le forme umane di una persona, il cappuccio sembrava la testa, le maniche tese sembravano le braccia.
-Io sono guarito!- urlò disperato mentre tirava via l’accappatoio. " Non ho più allucinazioni da due anni! Me lo ha detto il dottor Morsen!- Nel fondo della vasca si intravedevano degli attrezzi tra cui un coltellaccio da macellaio e un grosso martello. Erano forse serviti per qualche lavoro.
Uscì dal bagno ed entrò nella sua stanza per recuperare le pile. Si abbassò per cercarle sul pavimento. Il respiro affannoso di una presenza nella stanza si confondeva con il suo. Si guardò intorno. La candela illuminava solo pochi centimetri di spazio. Riuscì a scorgere un’ombra che si muoveva. Si mise a riflettere brevemente. “Non è possibile che riesca a vedere delle ombre anche dove tutto è così scuro!” Fu costretto a convincersi da solo che andava tutto bene, altrimenti voleva dire che non era guarito.
Trovò le pile, le raccolse e tornò nel salone.
“Quanta musica ho ascoltato con questa…” pensò mentre introduceva le pile nell’apposito vano della radio. Chiuse lo sportellino e mise la cassetta nel lettore. Premette il tasto play. Si sentiva il cigolio del nastro che avanzava.
- Ormai mi sto fottendo…- la voce del padre, stanca e appena deformata " Prima di perdere completamente la ragione ho pensato che è meglio registrare questo nastro… -
La parola nastro echeggiò nella mente di Max, prese la lettera della clinica e rivide quella parola scritta sul retro del foglio.
- L’esperimento lo aveva già fatto con Bartolomeo… lo ha ripetuto su di me perché l’altro gli era riuscito a metà…- Il respiro affannoso e qualche colpo di tosse accompagnavano le parole.
- Se si deve fare un processo le prove sono tutte scritte nel suo diario, quello con la copertina marrone…- una serie di convulsi colpi di tosse misero fine alla voce.
Max guardò ancora la lettera della clinica, come nel messaggio c’era anche la parola diario.
“Nastro…” pensava “… e diario…”
-Il nastro è questo! E il diario?”-
Appoggiò la candela sul libricino nel grosso scatolone, quello che aveva preso precedentemente, si accorse che aveva la copertina marrone. Lo prese e lo aprì, era una agenda. La parola diario era riferita sicuramente ad essa. La sfogliò velocemente notando che per ogni giornata c’erano degli appunti.
- Questo lo nascondiamo qui…- ancora la voce del padre, sul nastro c’era inciso dell’altro
" A nessuno verrà in mente di cercarlo a casa mia… - Max ripose l’agenda e guardò la radio, la registrazione non era stata fermata. Il rumore di qualcosa che striscia, i gemiti di chi fa uno sforzo, infine il tonfo della porta di un mobile che si chiude.
Uno scatto decretò la fine della registrazione sul nastro.
Fece qualche passo nel buio. Si avvicinò al mobile bar. La porta si aprì improvvisamente e il cadavere di un uomo con la testa fracassata gli rovinò addosso. Si spostò con un balzo all’indietro emettendo un gemito di terrore e di schifo. Avvicinò la candela al corpo finito ormai sul pavimento. Aveva la faccia così orrendamente frantumata da non poter capire chi fosse. ”Ma questo è papà!” pensò meravigliato e al tempo stesso disgustato “ Ha il pigiama che gli aveva regalato la mamma…”
Fece luce per scorgere nel viso qualche somiglianza, ma la vista di quella orribile testa maciullata glielo impedì, provocandogli anche dei conati di vomito.
“Non è possibile!” pensò disperandosi.
Prese ancora l’agenda e cominciò a sfogliare le pagine nervosamente, leggendo nella poca luce quello che gli capitava. Termini ospedalieri, nomi di farmaci. Decise di cominciare dall’inizio.
“In data odierna si dà inizio all’esperimento, è questo il secondo tentativo, rispetto al primo modificherò sia la terapia di preparazione che quella da iniettare nel cervello…”
Non ci capiva molto.
“Il paziente ha acconsentito affinché l’esperimento abbia luogo, anche se per convincerlo ho dovuto dirgli che il primo è perfettamente riuscito, ma il tumore al cervello di Bartolomeo era più esteso, forse solo per tale causa si sono verificate le note problematiche post-intervento.”
Era stata effettuata una terapia sperimentale, per salvare il padre, non era andata a buon fine, però.
“Stamattina abbiamo installato nella camera da letto le apparecchiature necessarie, nel pomeriggio provvederò a portare i ferri, l’anestetico, le garze e i tamponi, e tutto l’occorrente.”
“Hanno fatto l’esperimento qui a casa!” pensò ricordandosi di aver visto in camera da letto dei teli che coprivano non so cosa.
“La terapia di preparazione ha avuto inizio. Ho cercato inutilmente di rintracciare Bartolomeo, nessuno sa dove sia. Speriamo non giri ancora da queste parti, sarà necessario neutralizzarlo per evitare complicazioni.”
Iniziò a percepire qualcosa di losco. Sfogliò l’agenda andando avanti.
“La terapia di preparazione è terminata, i parametri sono nella norma, unico problema l’apparizione di chiazze cutanee su parti del corpo e sul viso. Potrebbe essere una forma di allergia.”
Leggeva ad alta voce, il respiro affannoso tornò a farsi sentire nella stanza.
“Questa mattina effettuerò l’intervento chirurgico, i parametri sono sempre ottimali. Le chiazze cutanee mi impensieriscono, non sono scomparse e alcune mi sembrano più estese.”
“Lo hanno operato nonostante l’allergia…” Qualcosa finalmente cominciava ad essergli chiaro.
“L’intervento sembra riuscito. La massa tumorale esterna è stata asportata. Per quella interna è stato iniettato il farmaco sperimentale. Ho deciso di aumentare ancora di qualche milligrammo la dose in quanto trattasi di tumore più aggressivo del previsto.”
Quel sospiro che udiva si faceva più pesante. Alzò lo sguardo dai fogli e si voltò indietro. Tornò il silenzio.
“Il decorso operatorio è piuttosto positivo, i parametri sono sempre nella norma, ma le chiazze sul volto vanno accentuandosi. Proverò ad iniettare degli antistaminici.”
“Cosa gli hanno combinato, povero papà…” andò avanti di qualche pagina.
“Le chiazze sono diventate ormai delle piaghe, fuoriesce del pus e altro liquido biologico. Proverò con altri farmaci. Il paziente non sa ancora di questo effetto collaterale, ma domani dovrò metterlo in piedi per testare definitivamente il decorso post-operatorio.”
“Lo hanno rovinato, prima di morire…” Max scuoteva la testa mentre leggeva.
“Il paziente ha reagito negativamente alla scoperta della propria situazione. Nella sua rabbia ho anche intravisto segni di squilibrio. Sto valutando l’ipotesi di liberarmene e diffondere la notizia del suo decesso causato dal tumore, per non lasciare tracce ulteriori.”
“Che figlio di puttana!” Max voltò la pagina e si accorse che era vuota, anche quelle immediatamente successive. Per qualche giorno non era stato annotato nulla. Qualche pagina più avanti trovò altre frasi, le parole erano scritte con una grafia diversa, in stampatello. Lesse.
“Il dottor Morsen è una brava persona, ma col suo esperimento mi ha trasformato in un mostro, non me lo doveva fare. Io, però, l’altro giorno gliel’ho fatta pagare. E l’ho fatto solo per il suo bene.”
Max spalancò gli occhi. “La stessa scrittura della lettera! Papà aveva l’abitudine di scrivere in stampatello! L’ha spedita lui, allora! Ma perché?” Anche il nome del medico gli destò stupore. “Il dottor Morsen… il mio psicanalista…” Lesse sulla pagina successiva.
“Il dottore è sistemato, gli ho fatto indossare il mio pigiama, adesso dormirà per sempre. Ma non ha voluto prendere la camomilla.”
Max avvertì il velo di una crescente pazzia presente in quelle frasi. Spostò il braccio e illuminò il cadavere sul pavimento col pigiama del padre. Finalmente capì chi fosse. Ma non riusciva a capire dov’era finito il corpo del padre. Tornò a leggere.
“ Il martello che ho usato è nascosto sotto l’accappatoio, così non lo troverà nessuno. Adesso non ho più voglia di scrivere.”
Depose l’agenda nello scatolone e si diresse verso il bagno. Entrò e illuminò il fondo della vasca, il grosso martello era ancora al suo posto. “Credevo ci fosse anche un coltello…”
Si voltò per uscire dal bagno. Il mostro era davanti a lui. La mano destra impugnava il coltellaccio da macellaio.
- Adesso devi dormire anche tu.- la voce deformata e rauca sibilò nei suoi timpani.
- No, papà! " urlò disperato.
Il mostro tentò di colpirlo, ma i suoi gesti erano troppo lenti, Max gli bloccò il braccio e lo disarmò. Dalla bocca di quella orribile creatura fuoriuscì del vomito verdastro.
- Non ce la faccio più… - disse ansimando " Volevo vederti ancora una volta, prima di andare a dormire… Dammi la camomilla…-
Max comprese che il padre stava soffrendo atrocemente, doveva fare qualcosa.
Sferrò il colpo il più forte possibile. La lama del coltello si infilò completamente nel petto dell’uomo all’altezza del cuore, il sangue che usciva era misto ad un liquido giallognolo. Il padre lo guardò con occhi pietosi per l’ultima volta. Poi si accasciò. L’ultimo rantolo del mostro fece ripiombare la casa nel silenzio.
Max non sapeva che fare, voleva solo andare via da quella casa. Gettò con sdegno il coltello per terra. Fece un cenno di solenne saluto al corpo del padre e si diresse verso l’uscita.
Aprì la porta. Due occhi spiritati lo fissavano, il volto deturpato era coperto da un ruvido cappuccio, le pupille luccicavano come fiamme dell’inferno, un ghigno orripilante mostrava i pochi denti marci. Era Bartolomeo, il vecchio custode del cimitero.
FINE
Nota.
Da questo racconto sarà tratta, dallo stesso autore, una sceneggiatura cinematografica per la realizzazione di un cortometraggio indipendente. Chiunque fosse interessato al finanziamento del progetto o comunque a parteciparvi lo può contattare all’indirizzo mail mariomottola@libero. it
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