FERNANDA
A 50 anni, io sottoscritto, ingegner Sergio Donise, dopo la separazione da mia moglie, mi ritrovai solo, depresso, quasi disperato.
Vivevo a Napoli, in un quartiere del centro.
Tralascio le motivazioni che mi spinsero a quel passo che credo non siano di vostro interesse.
Solo mia zia mi diede qualche consolazione. È vero che pretendeva di farmi la morale ogni volta che m’invitava a cena, lei molto religiosa, legata alla curia della diocesi, io non credente (l’eretico, mi chiamava affettuosamente), ma in compenso un piatto di minestra me lo preparava.
Sentivo molto la solitudine, avevo bisogno di contattare altri esseri umani, di distrarmi.
Così, in un momento di speranza, decisi di dedicarmi al tango.
Questo ballo mi era sempre piaciuto. Lo vedevo passionale, intenso, coinvolgente.
Avevo inoltre assistito a spettacoli del genere, dove sia la musica, sia il ballo in se, mi avevano fatto notevole impressione.
Se a questo aggiungete che i balli sono frequentati più da donne che da uomini e che quindi vi è l’occasione di fare conoscenze femminili (Dio solo sa quanto n’avevo bisogno), capirete perché m’iscrissi ad una scuola di tango.
Nella milonga (così si chiama il luogo in cui si balla il tango) mi trovai subito a mio agio.
Di donne ne conobbi tante, al ballo facevo progressi. A detta del maestro, Stefano, ero uno che prometteva bene.
Naturalmente avrete capito che la mia storia con Fernanda cominciò lì.
Una storia molto passionale e drammatica per certi aspetti, nella quale montagne d’emozioni, a volte piacevoli e dolci, a volte molto dolorose mi hanno segnato nel bene e nel male.
Conobbi dunque Fernanda nella milonga, una sera in cui non c’era lezione. In serate “normali” gli allievi affinano con la pratica le loro conoscenze teoriche, apprese a lezione.
Era sola, ai bordi della pista. La invitai a ballare. Era principiante come me, ma io ballavo decisamente meglio.
In questo primo ballo non destò in me alcuna curiosità. Ci presentammo, ma dimenticai immediatamente il suo nome. Al ballo successivo però la notai meglio e la mia attenzione si concentrò su di lei.
Fernanda era una bella donna, sulla quarantina pensai, filiforme, con molto charme e classe. Bruna, capelli fluenti, un naso ben fatto, una boccuccia. Seria, forse anche troppo.
Il volto non era però freschissimo: qualche segno l’età lo stava lasciando.
Osservandolo meglio mi accorsi che l’età contava fino ad un certo punto. C’era qualcos’altro. Una mestizia, un’ansia, un travaglio interiore, i quali le conferivano quella che io ho chiamato serietà e che quindi era anche qualche altra cosa. Era proprio quest’enigma che m’intrigava. La rendeva affascinante, ed io a questo fascino non so resistere.
Durante il ballo la vidi leggermente a disagio, tesa, imbarazzata.
In genere noi principianti adduciamo all’inesperienza, ed al timore di confrontarci con quelli più esperti questi nostri “malesseri”.
Parlammo di noi. Lei lavorava nell’azienda paterna di costruzioni, abitava in una zona “in” di Napoli, insomma una provenienza sociale di non poco conto.
Pensai che forse valeva la pena di continuare “l’avventura” anche perché percepii il suo interesse nei miei confronti.
Le chiesi, infatti, se fosse venuta a ballare la sera successiva.
“Tu ci vieni?”-chiese a sua volta
“A meno di problemi improvvisi, si”-risposi.
“Allora verrò anch’io”.
Come sempre mi capita in queste occasioni, cominciai a preoccuparmi. Di cosa, direte.
Divido le donne in due categorie: quelle che non mi dicono niente da un punto di vista sentimentale e invece quelle che percepisco con una ricchezza interiore affascinante. Fernanda apparteneva sicuramente alla seconda.
Con le prime non ho nessun problema; poiché non mi creano alcun’emozione riesco a comportarmi con loro in modo del tutto naturale. Il risultato è che talvolta queste s’innamorano di me senza che neanche me n’accorga.
Le emozioni che invece m’inducono le seconde m’irrigidiscono. L’ansia di possederle, il timore di perderle, e quant’altro mi fanno comportare in modo diverso da come sono. Divento artefatto, falso, non mi riconosco più. Il risultato è quello di metterle in fuga, com’è successo in svariate occasioni. Poi sto giorni a chiedermi cosa può essere avvenuto.
La sera successiva s’ annunciava dunque emotivamente stressante per me.
Lei venne come promesso, e qui cominciarono i guai.
Era nervosissima. Non riuscivamo neanche a ballare un qualcosa che potesse essere definito tango. Si guardava intorno agitata, si torceva le mani.
Cosa diavolo aveva? Come si può impostare un minimo di conversazione in queste circostanze?
Non sapevo cosa fare. Provai ad offrirle di bere qualcosa, cercando di rompere l’imbarazzo; rifiutò adducendo una scusa così sciocca che mi fece quasi ridere.
Io stesso mi coprii di ridicolo: iniziai una discussione sul metafisico. In una milonga, con persone che ballano e si divertono!
In ogni caso qualcosa cacciò fuori, il che mi aiutò ad inquadrarla meglio: era credente di stretta osservanza, considerava la religione cattolica l’unica nostra speranza, perché “noi viviamo nel peccato “ disse.
Per fortuna lei stessa mise fine a quella pena (mia, ma soprattutto sua) dicendo che voleva andar via. L’accompagnai all’auto e, quando partì ritenni anche io opportuno fare ritorno a casa.
In macchina mi tormentai. “Che serata, maledizione, che squallida serata..”. pensai.
Mi chiedevo se la sua fede non l’avesse scissa tra desiderio di divertirsi e d’amore (speravo in me) e un senso di colpa dovuto a quest’ipotetico “peccato”.
Il sentimento predominante era tuttavia la rabbia.
“A cosa di serve essere una bella donna --pensavo, mentre prendevo a pugni il volante?"se poi, maledizione, non te lo godi? Chissà, maledetta, quanti uomini potresti rendere felici, me per primo…e invece.. stronza.. stronza tu e le tue credenze del cazzo.. ma chi mi doveva capitare…”
La rabbia nasceva proprio dal fatto che quell’oggetto che tanto desideravo si rendeva irraggiungibile per credenze bigotte (almeno così supponevo..).
Avrei preferita vederla con un altro, almeno c’era sempre la speranza che lo lasciasse per mettersi con me. Invece con queste credenze…ti saluto.. monaca del cazzo!
Per un po’ non la rividi. Passai giorni grigi.
Poi una sera tornò in milonga.
Era più rilassata, agitata si, ma non come quella sera.
Ballammo, ci divertimmo, andò bene. In varie occasioni mi sorrise, specie quando riuscivo a farla piroettare per bene. Godeva a mostrare la sua eleganza in certe figure del tango un tantino difficili.
Forse, vanitosamente, godeva della sua bellezza accentuata da quelle coreografie di cui anch’ io ero artefice.
Mi fu grata. L’osservai: era bella e desiderabile. Man mano che si distendeva nel corso della serata, appariva sempre più amorevole. Mi sentii felice. Parlammo di vari argomenti (non di metafisica!) con una scioltezza e rilassatezza comune.
La rividi altre sere, il suo umore era alquanto oscillante, ma mai più come quella volta.
Me ne innamorai. Oramai ci frequentavamo da qualche mese e tutto quello che desideravo era di dichiararmi apertamente.
Quello che più mi attraeva in lei era, come ho detto, quel dilemma interiore. Fernanda era una donna tutta da scoprire, con una ricchissima interiorità che la rendeva attraente ed interessante. Insomma tutt’altro che banale. C’era anche la bellezza e la classe, è vero, ma io desideravo oltre ogni cosa sviscerare la sua anima, fondermi con lei in un abbraccio forse turbinoso e passionale, oppure dolce e rilassante, forse anche intriso d’estrema sensualità.
Sarebbe stato sconvolgente per me dichiararmi ed ottenere un rifiuto. Perciò rivedevo tutto il nostro rapporto, lo analizzavo per trovare conferme circa un suo interesse nei miei riguardi. Di queste ne trovai tante ed allora, una sera, mi decisi.
Era aprile. Eravamo come il solito in milonga; faceva un tantino caldo.
Le proposi di uscire di fare quattro passi. Lei mi guardò meravigliata, ma forse capì le mie intenzioni e mi seguì.
La milonga si trovava ai piedi della collina del Vomero, su una strada molto trafficata. Sul retro si affacciava su una stradina a quell’ora (era circa mezzanotte) quasi deserta, circondata da giardini su cui si affacciavano altri palazzi. Il cielo era stellato e terso.
Ai lati della strada auto in sosta in alcune piazzole; qualcuna aveva dei giornali attaccati ai vetri.
C’incamminammo: il cuore mi batteva forte.
Per qualche minuto non dissi niente. Lei sembrava respirare l’odore dell’erba; ogni tanto una brezza portava una zaffata di smog, tanto per ricordarci che in ogni caso eravamo in una delle città più inquinate d’Italia.
“Fernanda “?"le chiesi-- vuoi tornare dentro?"
“No?"rispose?"si sta tanto bene qui”
Mi sentii incoraggiato.
“È vero?"proseguii?"anche io sto bene qui…anche perché ci sei tu….”
Non disse niente, era buio non proprio fitto perché le luci della strada si diffondevano, ma sentii che arrossiva.
“Fernanda?"ripresi?"io…. scusa la mia timidezza.. volevo chiederti se ti piace uscire.. insomma stare…con me”
Abbasso la testa, poi mi guardò timidamente, fece un gesto imbarazzato.
“.. Sergio,…l’avrai capito no??"rispose ostentando una sicurezza che invece serviva a coprire l’imbarazzo---se esco con te… un motivo ci sarà. O no? Poi balli bene….” Rise.
“Sai.. intendevo.. non proprio il ballo…Fernanda…basta, non son capace!”
Diedi un calcio contro una piantina.
Rise di nuovo e fu amorevole come non mai
“Cosa vuol dirmi il mio “tanghero”?"scherzò come mai aveva fatto prima?"il mio “tanghero” timidone?”
“Fernanda ti voglio bene. Dimmi tutto quello che vuoi, dimmi pure di no, ma ti voglio bene. Scusami, te lo dovevo dire. Mandami a quel paese, ma te lo dovevo dire. Ora mi sono tolto un peso di dosso”
Ed era vero.
Forse lei si compiacque, non lo so, mi sembrò calma. Avevo messo nel conto anche una sua reazione dura, invece restò tranquilla.
Si girò verso me ed improvvisamente mi abbracciò.
Chi se lo immaginava?
La abbracciai a mia volta. No, è un sogno mi dicevo, tutto mi sembrava irreale in quel momento. Irreale fino al punto di non sentire più alcuna percezione.
Poi mi ridestai e l’eccitazione ebbe il sopravvento. La baciai. Un bacio lunghissimo a cui lei rispose con tanta partecipazione.
Provavo una felicità che mai avevo sentito prima. Il mondo scomparve, ero in estasi. Non avevo più gli anni che avevo, persi la nozione del tempo e dello spazio. Ogni problema disparve, davanti a me un futuro roseo, una strada tutta in discesa.
Avrei continuato all’infinito a baciarla, ma lei si ritrasse. Capii che si era stancata, la mia Fernandina. Forse l’avevo sfinita, forse aveva sentito l’intensità della mia felicità e n’era rimasta travolta.
L’abbracciai e la strinsi a me.
“Sei felice come lo sono io?”?"le chiesi.
“Si…”
“È l’inizio di una storia.. bellissima,.. Fernandina!”
“Speriamo…. forse si”?"sospirò
“…Qualcosa non va?”?"mi preoccupai.
“No.. no.. ma ora rientriamo”
“E perché ? Dai, non rompiamo quest’idillio…”
“Rientriamo ti prego.. qualcuno potrebbe…pensare..”.
Rimasi un tantino contrariato, tuttavia l’accontentai.
Poco dopo l’accompagnai alla macchina. Volevo entrarvi io stesso, ma lei mi disse:
“Ti prego.., si è fatto tardi…devo andare… poi comunque ci rivedremo”
“Va bene?"ero leggermente perplesso?"quando ti rivedrò? Ora non passerà giorno senza che avverta questo desiderio. Ti amo, ti amo da morire,.. oh Fernanda!”
Mi abbracciò, ci scambiammo un lungo bacio. Io volevo rimanere, ma lei quasi mi cacciò dalla macchina. Poi ripartì ed io l’osservai felice fino a quando non sparì dalla vista.
Tutta la notte passò in preda all’eccitazione. Che vuoi dormire.
La sensazione di fondo era la felicità. Adesso avrei avuto al mio fianco una donna come quella!
Andare in milonga, al ristorante, al cinema con Fernanda! Sai che invidia!. Mi sentivo orgoglioso, soddisfatto di me. Le fantasie volarono, mi sentivo bendisposto verso il mondo, verso tutti. Mi chiesi come avevo potuto odiare qualcuno, prima.
L’unica questione che mi creava qualche dubbio era l’atteggiamento della mia amata la quale, era vero, pareva sentire quella mia stessa felicità, ma con qualche riserva.
Ma quando uno sta così bene mette da parte i dubbi, non ci pensa.
Poi ero eccitato. Sessualmente eccitato. Le fantasie riguardavano anche quest’aspetto. Pensavo al suo corpo che doveva essere stupendo, al suo seno, non grande si, ma comunque cospicuo. Immaginavo come potessero essere i capezzoli, e quando pensai a quella cosa che aveva più giù non stavo più in me.
“Domani le telefono”?"pensai?"“lo facciamo in macchina?... al cinema no.. sarebbe ridicolo.. e se la portassi qui? Ci verrebbe?”
Lei viveva con la madre.
“L’avrà?"continuai?"qualche posto in cui potremmo appartarci?”
Il giorno dopo la richiamai. La sentii strana. Mi disse che non potevamo vederci, era impegnatissima col lavoro. Neanche all’indomani. Mi assicurava per sabato.
Ci rimasi malissimo. Insomma che aveva? Quando io amo lo faccio con tutto me stesso, ci vuol altro che il lavoro per impedirmi di vedere la mia donna! Aspettare altri tre giorni!
“Cominciamo bene?"pensai--cominciamo proprio bene! Sono perplesso, che accidenti avrà?”
Il venerdì sera avevo già scordato tutto. Il mio pensiero andava solo all’indomani. Avevamo concordato un giro in costiera con la mia macchina, poi, la sera, in milonga.
Il sabato mi feci bello e volai all’appuntamento. Un bacio lunghissimo e via.
Com’era bella Fernanda! Ritrovai la felicità. La corsa in costiera bellissima. Risate, baci, un caffè.
Non si era truccata, solo un rossetto molto tenue. Non aveva bisogno di trucco.
Mi fermai in una piazzola dove si vedeva un panorama stupendo. Stemmo mezz’ora ad ammirarlo, abbracciati. Poi prima di ripartire, in auto, la strinsi a me e le toccai il seno. Lei mi lasciò fare, ma era a disagio. Ebbi un’erezione.
La baciai sul collo, s’innervosì, si torse, ma non disse niente. La mia mano scivolò sotto la gonna e qui ebbe una brutta reazione. Mi afferrò la mano e la allontanò con sgarbo, si ricompose, s’incupì.
“Fernanda…scusami?"dissi?"pensavo che già potevo…ti ho offeso?”
“No…forse non sono ancora pronta…. insomma.. dai ripartiamo”
Ripartimmo, ma tutto era cambiato. Tra noi era sceso il gelo. Mi sentii piccato della sua reazione, non me l’aspettavo. Ero mortificato, arrabbiato.
Lei stava zitta, il volto scuro, senza dire nulla.
Provai ad allentare la tensione, ma non funzionò.
Ricominciammo a parlare, ma solo frasi di circostanza. Tornammo a Napoli, in milonga fu un disastro. Nessuno di noi aveva voglia di ballare. Nessuno ebbe il coraggio di esprimere all’altro il proprio disappunto.
Ci lasciammo, senza darci un appuntamento preciso.
Ero furioso. A casa andavo avanti ed indietro cercando di prendere una decisione. Mi ero scocciato, volevo piantarla, ma non ce la facevo a rinunciare a lei.
M’imposi di non telefonarle il giorno dopo, per decidere meglio. Figuratevi se lei mi telefonò.
Poi verso sera la chiamai:
“Fernanda, ci dobbiamo vedere domani”- dissi deciso.
“Ma domani…”-balbettò
“Ti prego domani. È necessario”
“.. Va bene..”
All’imbrunire eravamo nella mia macchina nella strada dietro la milonga dove avevo visto quelle auto in sosta la settimana prima.
“Fernanda…scusami…vorrei chiederti cosa c’è che non va con me. Ti sei pentita?”
“No?"fece candidamente?"anzi..”
Era proprio questo suo atteggiamento strano che mi eccitava. La baciai, ero veramente su di giri. Lei non si sottrasse al bacio, ma non la sentii autentica.
“Brutta stronza?"pensai?"non ti sarà ritornata l’ansia del peccato? Toccamelo e ti passerà tutto”
Le afferrai la mano e la premetti sul mio turgore.
Lei mi guardò e vidi il suo volto trasformarsi. Prima in meravigliato, poi pieno d’odio, infine spaventato. Ritirò la mano mi diede uno spintone scese dalla macchina e corse verso la milonga.
“Fernanda! Fernanda!”-- le gridai dietro. Mi resi conto che non conveniva gridare, avrei richiamato l’attenzione di qualcuno. Misi in moto feci la manovra per ritornare alla milonga, ma quando stavo parcheggiando nel piazzale antistante vidi la sua auto sgusciare via e sparire nel traffico.
Provai a chiamarla sul cellulare. Non rispose. Imprecai. La appellai dentro di me con le peggiori scurrilità. Ero fuori di me. La richiamai più volte, niente. Entrai in milonga bevvi due rhum sotto gli occhi meravigliati di Mena, la barista.
“Successo qualcosa?”?"mi chiese. Neanche le risposi.
Tornando a casa stavo per provocare almeno un paio d’incidenti. Quella sera le avrò fatto dieci telefonate, niente.
Il giorno dopo piombai a casa sua. Mi fu detto che la signorina non era in casa.
Ripromisi a me stesso di aspettarla, mi appostai nell’auto vicino alla sua casa. Sarebbe pur dovuta uscire! Avrei dormito in macchina se necessario.
Passarono i minuti; i pensieri mi turbinarono a lungo nella mente, infine riuscì a riordinarli.
La prima cosa che realizzai fu l’inutilità del mio stare in quel posto. Che senso avrebbe avuto forzarla?
Certo, prima o poi l’avrei rivista, ma a cosa sarebbe servito?
Solo lei poteva decidere di se stessa, le mie coercizioni l’avrebbero contrariata di più.
Ritornai a casa dicendomi:
“Io sono qui; se lei vuole sono qui. Quando vorrà e se lo vorrà. La prossima telefonata dovrà essere la sua”
Non telefonò. Passai dei giorni d’inferno, giornate dolorosissime. Quando riuscivo a liberarmi dalla rabbia, piangevo pensando a lei.
Non la rividi più, non tornò più in milonga. Passò una settimana, un mese. Un poco alla volta la dimenticai.
Passarono due anni.
In milonga avevo fatto passi notevoli, flirt con donne, ma niente di particolare. In compenso l’equilibrio era ritornato.
Una sera Stefano dopo aver tenuto il corso con i principianti per il quale mi aveva pregato di dargli una mano, scherzava con gli allievi che volevano ancora intrattenersi a ballare:
“Ma insomma, l’avete o no una casa?”
Risate. Una ragazza, con gran diletto delle altre disse:
“Questo è un luogo di perdizione. Ci tenta…finiremo tutti all’inferno!”
“A volte dalle milonghe?"sentenziò Stefano-- escono anche santi”
“Ah, si?”
“.. Da qui una donna?"riprese Stefano?"è uscita per farsi suora”
“Ma va!”
Risate, risate. Gli altri. Io No. Nella mia testa si era accesa una scintilla.
Fu tutto un susseguirsi di movimenti che non coordinavo più. Corsi da Stefano, lo afferrai per un braccio, lo allontanai dal gruppo.
“Calmati!.. scusa, cosa ti prende.. calmati…vedi che sto parlando..”--protestò.
“Stefano.. di chi maledetta donna stai parlando…”
“Ma ti calmi o no?... cosa ti prende?.. quale donna.. ah la monaca”
“Scusami, Stefano, … devi dirmi chi era..”.
“La suora?...è successo un due o tre anni fa…non ricordo il nome.. ma si, a volte la frequentavi.. vi ho visto insieme.. quella brunetta, bella donna…”
“Sei sicuro? Dove si trova.. voglio dire.. sai come posso rintracciarla?”
“Sei un po’ strano stasera. N’eri così innamorato? .. A me l’hanno detto, non mi ricordo neanche chi…mi spiace.. non so nulla di lei”.
Era successo quello che mai avrei previsto. Altro che dimenticarla! Era bastato quell’accenno per farmi ritrovare esattamente come due anni prima. Le volevo ancora bene, tutto il desiderio si era riacceso.
“Quella donna o suora che sia sarà la mia dannazione”?"pensai?"perché l’ho conosciuta?.. maledizione…proprio a me doveva capitare…dunque non me ne libererò mai? E come faccio a trovarla? E anche se la ritrovassi? Dunque non avrà mai fine la mia pena? Cosa sarà la mia vita? Ah maledetta…mille volte maledetta…il diavolo sei, altro che suora”.
Soffrivo. Era tremendo. C’era nella scoperta della sua vocazione qualcosa che mi conturbava ancora di più. Se si fosse messa con un altro forse l’avrei accettato e mi sarei messo l’animo in pace.
Nello stato monacale era come se lei si fosse ritirata dal mondo per qualche tempo, ma poteva sempre ritornare su suoi passi. Io pensavo di essere quella persona che l’avrebbe convinta al ritorno.
Ma era vero? Forse chiusa in un convento aveva trovato la pace, il sollievo a quello che dentro tanto la tormentava. Ah, se anche io fossi riuscito a trovarlo!
“Sarà pure?"mi dissi?"ma me ne devo accertare di persona. Giuro davanti a Dio che se riesco a rivederla senza che lei cambi decisione mi metterò l’animo in pace.
Passai dei giorni d’inferno. Mi venne la febbre. Stetti un paio di giorni con la temperatura alta ed in uno stato d’agitazione indicibile.
Poi la febbre scemò mi sentii un pochino meglio, e con la convalescenza giunse pure l’idea: mia zia, come non avevo fatto a pensarci!
Prima di telefonarle rifeci il punto della situazione. Molto probabilmente stavo riavviando un processo emotivo dagli esiti del tutto imprevedibili, sia per me sia per un’altra persona. Quello di cui ero certo consisteva nel fatto che sicuramente ci sarebbero state altre sofferenze, altre notti insonni e chissà cos’altro.
Ma sono fatto così: più è difficile una cosa più godo a buttarmi dentro. In milonga avevo conosciuto altre donne, belle, giovani, ma con loro la storia mi sembrava molto facile. Non mi attraeva, quindi.
Quando telefonai a mia zia, mi sentii come il capitano del sommergibile che lascia un sicuro porto per l’ignoto, dove l’attendono pericoli anche mortali. Ma lui in porto si annoia e non vede l’ora di ripartire.
Io che non sono credente invocai tuttavia Dio che, nel caso ci fossero state sofferenze, dovevano essere mio solo appannaggio, perché sarebbero state prodotte solamente dalla mia testa matta.
E così telefonai
“Zia cara, come stai? Io non bene, esco adesso da una brutta influenza”
“Povero tesoro!?"mia zia era sinceramente dispiaciuta?"non potevi chiamarmi? Sarei venuta a prepararti un piatto di minestra calda”
“Grazie zia, sei sempre buona con me e sai che non lo merito. Avevo pensato a te, ma non volevo che ti disturbassi. In ogni modo se vuoi potresti passare più tardi, quando vuoi”
“Certo Sergio mio. Sempre che l’artrosi me lo consenta, alle sei vado in chiesa. Prima ti vengo a trovare. Desideri qualcosa?”
“Zietta, sei il mio unico amore, un bacio dal tuo caro nipote..”.
“Basta, basta, altrimenti comincio a piangere, birbante” la zia rise e riattaccò.
Alle cinque in punto era in casa mia.
“Zia, grazie per essere venuta. Ed io che da te non vengo,,,”
“.. Eh…poveri noi vecchietti…. se aspettassimo voi….”
Dovevo trovare il modo di chiedere un aiuto a mia zia. Pensai che se le avessi detto tutta la verità su quello che avevo in mente, lei si sarebbe scandalizzata ed avrebbe rifiutato. Decisi quindi per una spudorata menzogna.
“Zia, ascoltami bene. Conosci il parroco della chiesa del sacro cuore in via Manzoni?”
Mia zia mi guardò stranamente. Sapeva che non avevo mai avuto interessi per il clero.
“No, non lo conosco. Perché t’interessa?”
“Una sua parrocchiana, Fernanda Cortese si è fatta suora”.
“Ah, si?”
“Zia, ero amico di Fernanda, vorrei ritrovarla”
Mia zia era nel pieno della perplessità. Forse cominciava a subodorare qualcosa.
“Rivedere una suora? Non credo ci sia nullo di scandaloso, dipende dallo scopo…”
“Niente di quello che pensi. Quando l’ho conosciuta aveva già intrapreso un percorso…ehm.. vocazionale. Nel momento in cui mi sono separato da Rossella mi è stata vicino. I discorsi spirituali che mi teneva mi hanno recato gran conforto”
Mia zia mi guardò torcendo il muso, molto perplessa.
“Sergio, forse non lo sai, ma la chiesa considera peccato assai grave il distogliere qualsiasi religioso dalle proprie sacre funzioni. E poi non vedo come potrei aiutarti”
“Dai, zia, lo puoi benissimo. Ti assicuro che vorrei ritrovarla solo per ascoltare dalle sue labbra quelle sante parole che mi diceva……per ringraziarla di quello che ha fatto per me. Tu certo, con le tue amicizie, potresti sicuramente sapere, attraverso il suo parroco, dove si trova”.
“Caro, non potresti rivolgerti ad altri, voglio dire preti, diaconi ecc, per trovare questo conforto di cui apprendo adesso, con mia meraviglia, tu hai cercato in passato? Conosco un padre cappuccino…”
“No, zia, ho parlato anche con altri religiosi?"mentii ancora una volta?"ma non è stato come con lei”
La zia stette pensando per alcuni minuti.
Col suo intuito femminile forse aveva già capito. Credo che il legame di sangue che ci univa ebbe tuttavia il sopravvento su qualsiasi questione morale. Le preparai frattanto una menta.
“Va bene, ti aiuterò. Ma non voglia il cielo che tu mi caccia in qualche guaio. L’ultima cosa che mi auguro è vivere questi ultimi anni gravata di una colpa contro la chiesa.”.
La abbracciai, senza ipocrisia.
Mi ripetei ancora una volta che mai, ammesso che riuscissi a rincontrarla, avrei forzato Fernanda ad un’azione che non fosse da lei pienamente accettata e che in ogni caso questo sarebbe stato l’ultimo tentativo.
In capo ad una settimana la zia, non senza rifarmi una paternale, mi comunicò che Suor Virginia, alias Fernanda Cortese, aveva preso i voti sei mesi fa e che si trovava nel convento delle suore adoratrici di Maria in quel di Ferrara dove prestava servizio presso il locale ospedale pediatrico, occupandosi di bambini abbandonati.
“Ti avverto, però, caro il mio eretico?"disse la zia dopo la solita paternale?"che è molto difficile avvicinare una suora senza il permesso della superiora o una dispensa del vescovo. Un convento non è mica una milonga. Su questo non potrò aiutarti, mi dispiace”
La salutai e la ringraziai.
“Giudizio”-mi disse gravemente, e andò via.
Il giorno dopo presi un congedo di una settimana per ferie e mi accinsi a raggiungere Ferrara. Cosa avrei fatto colà non sapevo proprio.
Fu facile trovare il convento; proprio di fronte ad esso c’era un albergo.
La mia gran fortuna fu trovare una camera da cui era possibile guardare il portone di quel vecchio palazzo.
Il primo giorno stetti per ore ad osservare. Il portone si apriva raramente per far transitare auto o furgoni che credo portassero derrate o merci varie. Qualche persona bussava, un citofono gracchiava, una porta si apriva. Sulla tarda mattinata vidi una suora uscire, ma certo non era lei. Da come si muoveva doveva essere anziana, tuttavia fu per me l’occasione di entrare in una sorta di confidenza con quell’ambiente.
Studiai l’abito: era completamente bianco. La suora era avvolta in un mantello però nero.
“Povera Fernanda?"pensai?"tu, donna di gran classe, con quella sorta di saio.. chi te lo ha fatto fare…”
Pranzai in albergo ed ebbi modo di scambiare quattro chiacchiere col proprietario, il quale m’informò che nel convento c’erano una ventina di suore, quasi tutte anziane, sì qualcuna più giovane, di cui un paio di novizie.
Mi confermò che alcune lavoravano come infermiere all’ospedale pediatrico e m’informò dettagliatamente che era situato a tre chilometri dal convento. In genere di mattina presto usciva un pulmino con le suore che si recavano in ospedale.
Dopo pranzo andai di corsa a comprare un binocolo che mi servì il mattino dopo.
Alle sette in punto il pulmino uscì dal portone. L’inquadrai col binocolo. Il veicolo si era fermato per dare le precedenze. La vidi. Non n’ero sicuro al cento per cento, figuratevi con tutti quei cappucci sulla testa, ma ero certo che era lei. Parlava con una consorella.
La visione mi turbò e mi diede nuovo slancio. Dovevo vederla a tutti i costi.
Andare in convento e chiedere esplicitamente di lei? Figurarsi quante domande, no non ero così ingenuo. Andare in ospedale? Figuratevi, i bambini, i parenti, e poi lei doveva lavorarci, in quel posto.
Cercando di non destare sospetto, chiesi all’albergatore dove quelle suore assistessero alle funzioni religiose.
“Hanno la loro cappella interna, il proprio confessore, ma mi e capitato qualche domenica di incontrarne qualcuna nella chiesa che si trova nella piazza qui, cento metri sulla destra.
Passai il giorno girando attorno a quella chiesa, ma oramai cominciavo a scoraggiarmi.
Era sabato. Verso sera un colpo inaspettato di fortuna (il secondo).
Non era ancora buio. Stavo per uscire dall’albergo per comprare qualche rivista e mi trovavo a circa 50 metri dall’ingresso del convento, quando questo si aprì e tre suore uscirono.
Ero troppo lontano per distinguerle.
Tornai dentro, feci di corsa le scale, entrai in camera ed afferrai il binocolo. Guardai. Era lei, non v’era alcun dubbio. Una delle tre era sicuramente lei. Anche se non riuscivo a distinguerne bene il volto, chiuso nel soggolo bianco, l’incedere di classe era il suo.
È in queste occasioni che la mente umana si aguzza. Di fronte alla necessità riusciamo ad escogitare cose che mai ci saremmo sognati di fare.
Afferrai un biglietto e vi scrissi delle cose. Mi precipitai giù, e, calcandomi il cappello in testa, mi misi al loro inseguimento. Come avevo intuito entrarono in chiesa.
Entrai pure io e qui il terzo colpo di fortuna. Forse il destino esiste davvero.
Le suore si erano sedute nelle ultime file, in attesa della celebrazione eucaristica (supposi). Lei occupava il posto esterno.
Ci sono dei momenti in cui uno deve giocarsi il tutto per tutto o se ne pentirà per tutta la vita. Quello era il mio momento.
Per un istante fui preso dallo scoraggiamento. E se non fosse lei? E se provocassi uno scandalo?
Eppure osai.
Mi sedetti in quello stesso banco accanto a colei che cercavo. Il cuore mi batteva all’impazzata, ero in trance, solo la disperazione mi dava un barlume di lucidità.
Era lei, ora ne vedevo bene il profilo. Si girò verso di me, la riconobbi, mi riconobbe. Sbiancò. Temetti che volesse gridare o svenire, non lo so. Le afferrai la mano che aveva al fianco e le misi dentro quel biglietto che già tenevo nella mia.
Mi alzai e scappai via. Salii in camera, mi buttai sul letto e un po’ alla volta ripresi contatto con la realtà.
Avevo sognato? Portai la mano al naso e mi parve di sentire un odore che non era il mio. Era il suo? Era lei la suora che cercavo? Quel volto che avevo visto ora era scomparso dalla mia mente, rimosso. Perché?
Sul biglietto avevo scritto:
“Fernanda,
Ho bisogno di vederti. Ti prego, abbi pietà di me. Voglio solo vederti, poi, se lo richiederai me n’andrò”
Seguiva il mio numero di cellulare.
Non vi descrivo l’ansia dell’attesa.
“Basta--mi dissi?"basta o morirò. Non posso vivere così. Basta. Giuro su mia madre che se entro domani non avrò notizie da parte sua, lunedì riparto”
Questa determinazione mi calmò e mi donò persino una serenità.
Ma era destino che durasse poco.
Il giorno dopo, domenica, nel pomeriggio ricevetti un paio di telefonate da un numero anonimo. Era lei?
Verso sera guardai la facciata del convento. Tutto era buio. Che posto tetro! All’improvviso una finestra al primo piano s’illuminò, dentro un’ombra. Ebbi un sesto senso, quando il cellulare squillò. Prima ancora che parlasse sapevo già che era lei.
“Perché sei venuto fin qui?”?"mi chiese.
No, non era una voce reale. Era una voce che avvertii lontana. Una voce calma, dolce, vellutata, flebile. Una voce di cui m’innamorai all’istante. Ecco, pensai, l’ultraterreno deve essere così.
Era la voce della donna che una volta avevo baciato?
Non ricordo dopo quanto tempo risposi
“Fernanda.. sei tu?.. sei proprio tu, amore mio?”
“Se cerchi quella Fernanda, ora non c’è più. Io sono Virginia, sposa di Cristo, il Dio, e l’unico che amo”.
Come la sentii distante! Ma era lei? Era lontana mille miglia da me. Pareva una voce proveniente da un altro mondo.
“Fernanda…. sono confuso, scusami.. come stai? Mi hai mai pensato in quest..”
“Non ne ho avuto tempo.. Sergio…. il Signore ha voluto che andasse così. Mi auguro che tu stia bene. Non posso dirti nient’altro…”
Adesso percepivo in lei un’agitazione che di colpo me la fece avvertire terrena. Mi aveva chiamato per nome. Benedetta l’ansia e l’angoscia se ci umanizzano, se ci avvicinano ad altri esseri umani. Questo mi fece tornare in me.
“Fernanda, devo vederti. Dimmi tu come. Solo vederti, poi me n’andrò, te lo giuro e non mi vedrai mai più”
“È impossibile?"disse freddamente, di nuovo come un’aliena?"non se ne parla neanche”
Poi aggiunse:
“Noi suore siamo molto sorvegliate. La madre superiora veglia su di noi affinché nessuna tentazione ci distolga dal nostro compito di spose di Cristo”
Ecco, era il merito delle sue parole che mi fece scorgere in esse, in realtà, un desiderio di trasgressione. Le parole “sorvegliate”, ”spose di Cristo” erano, secondo me, il richiamo di una tentazione che si voleva esorcizzare.
Per cui insistetti.
“Fernanda…in nome di tutto quello che c’è stato tra noi…in nome del nostro amore.. che non sarà come quello per Cristo, ma pur sempre un amore, ti prego,.. vediamoci per l’ultima volta”
Si, stavo ancora mentendo, lo sapevo bene
“Sergio…. non posso.. non possiamo…ti prego.. va via…lasciami in pace”
Mi ero ripromesso che non l’avrei forzata. Invece lo stavo facendo, ma era più forte di me.
“Fernanda.. cosa ti costa. Considerala un’opera di bene verso chi per te sta soffrendo…tantissimo…dolorosamente”
Sarò anche uno squallido seduttore, ma quelle cose le sentivo realmente. Lei cominciò a cedere
“Come potrei fare a vederti? Non sono libera… è vero,…vado in ospedale.. ma”
“Potrei venire lì…”
“Non se ne parla neanche…per carità!”
La sua voce adesso era quella che ben conoscevo. In quel momento la ricordai com’era due anni prima.
“Non potresti andare in ospedale da sola…. voglio dire senza pullmino?”
Silenzio.
“Si…forse potrei.. domani ho il pomeriggio…ma che farai..”
“Ti prendo su in macchina, ti accompagno, parleremo”
“Sei pazzo!!?"quasi urlò?"te l’immagini, una suora che sale in macchina con uno sconosciuto? Non sei cambiato per nulla!”
Si ricordava di me dunque. Non aveva mai smesso di pensarmi. Che sofferenza, poveretta!
Provai una pena che mi fece ardentemente desiderare d’averla tra le braccia.
E come il solito mi venne l’idea dirimente.
“Non sarò io a prenderti”
“Sergio…che dici?”
“Sarà …un prete”
“Un prete??”
“Fernanda ascoltami…mi travestirò da prete. Potrai ben salire su una macchina condotta da un religioso, o no?”
Rimase silenziosa per un po’.
“Come farai a …travestirti?”
“In questa città ci sarà pure un negozio che affitta costumi teatrali, vero?”
Sospirò.
“Bene…Sergio…ho paura…perché sei venuto…va bene domani, alle 14 uscirò.. lungo corso Trieste c’è uno spiazzo non tanto frequentato.. che Dio abbia pietà di me.. di noi..”.
Mi sentii felice come mai da due anni a questa parte.
“Fernanda.. abbi fiducia in me.. preferirei morire se ti accadesse qualcosa.. te lo prometto”
Sentivo che piangeva. Piansi anche io ma lei non se n’accorse, credo.
“Devo andare ora.. a domani.. Dio, aiutami tu”
“A domani.”
Riagganciò. Ero pimpante adesso.
Cenai con un certo appetito, poi organizzai la giornata successiva.
Mi procurai l’indirizzo del negozio degli articoli teatrali ed il giorno dopo ci andai. Non fu difficile avere l’abito.
Alle 13 uscii dall’albergo, l’abito lo avevo in macchina. Andai in un posto appartato e mi cambiai. Mi andava stretto, quasi mi soffocava. Come prova scelsi di andare in un bar a prendere un caffé. Gli sguardi ossequiosi che gli astanti mi rivolsero mi fecero capire che il travestimento era ottimo.
Tornai di fronte all’albergo ove potevo vedere il portone del convento, senza scendere dall’auto.
Passarono le due, cominciai a preoccuparmi. Alle 14 e 10 il portone si apri e lei uscì, ma…. maledizione.. con un’altra suora. Imprecai. Ci ha ripensato, la stronza.
Sotto il mio sguardo allibito fecero un centinaio di metri, poi la consorella la lasciò cambiando direzione. Tirai un sospiro di sollievo.
Lei camminava sola a passo spedito senza girarsi, io la seguivo in auto.
Succede stranamente che quando certi momenti tanto agognati stanno per avverarsi uno si augura che un imprevisto li rinvii. Tale era la mia situazione in quel momento. Tra qualche minuto saremmo stati faccia a faccia, e se da una parte lo desideravo tantissimo, dall’altra voleva che ciò non avvenisse. Forse mi rendevo conto che il carico emotivo che si appressava poteva avere esiti sconvolgenti.
Ad un certo punto lei si girò. Era in corrispondenza di una sorta di piazza sul corso. La raggiunsi e lei salì in macchina. Ripartii velocemente senza neanche guardarla in faccia.
“Andiamo in autostrada”-dissi
“Signore iddio…solo mezz’ora.. Sergio…”-
“Basterà”-dissi
Guidavo, la tenevo accanto, e neanche la guardavo tanta era la foga. Avevo atteso quel momento per due anni, e adesso neanche la guardavo. Ero attento solo alla strada.
Lei era accanto a me e non diceva niente. Sentivo solo quell’odore, come dire, di convento. A fianco a me forse c’era un ectoplasma?
Finalmente giungemmo all’area di servizio e parcheggiai in una piazzola lontana da occhi indiscreti. In ogni caso il mio travestimento costituiva una sufficiente garanzia.
Spensi il motore e prima di girarmi verso lei passarono alcuni secondi. Avevo paura di quel momento.
Si, era cambiata. Ora era pallida. Il volto si era allungato e affilato la bocca era una fessura.
Il pallore era accentuato dal bianco soggolo che la serrava, la costringeva come uno strumento di tortura.
Sul soggolo un cappuccio altrettanto bianco, che si allargava sulle spalle a forma di mantello.
Le mani bianche e diafane.
Ma quel pallore ne accentuava la bellezza. Adesso era una bellezza proibita e pertanto più desiderabile.
“Fernanda.. quanto tempo ho atteso questo momento!”
“Ricordati…mezz’ora…che potrò giustificare in qualche modo.. non oltre…guai a me se…sai.. la regola”
Ebbi di nuovo l’impressione di trovarmi con un’aliena.
“Fernanda, ti ricordi di me? Ricordi il tango, la milonga? E i baci che ti ho dato? E le sofferenze che mi hai inflitto? Ricordi quella sera…”
Scoppiò a piangere. Pianse come mai l’avevo vista. Singhiozzava. Aveva estratto dalla tonaca un fazzoletto pur’esso bianco e con esso cercava di contenere i singulti.
D’istinto l’abbracciai, ma lei mi respinse.
“No, no, no…ti prego…vai via.. perchè sei venuto? Hai riaperto tutte quelle ferite. Pensavo d’averle coperte…ma no ci sono ancora.. ti prego..”?"piangeva, piangeva disperatamente.
“Fernanda, bene mio…non ti disperare, ti prego, non sopporto vederti soffrire così. Ah, se l’avessi saputo. Su calmati. Si, me n’andrò, ti lascerò in pace..”
“Non dovevi, non dovevi venire.. ora è tardi.. Signore, ti prego, abbi pietà del mio soffrire, chiamami a te, non ne posso più..”
Quelle parole mi straziarono. Scoppiai a piangere anch’io e forse questo la calmò. Piangevo come un bambino. Lei mi accarezzò.
Quella mano inconsistente scivolava dolcemente sul mio volto. Io la presi e la baciai più volte.
Mi rivolsi verso lei. Aveva gli occhi rossi e gonfi, ma sembrava ripresa.
“Fernanda, ti ho rivista. Era quello che volevo. Il mio egoismo non m’aveva fatto intendere che potessi nuocerti. Ti chiedo scusa, perdonami. Ti lascio così. Ricordati di me…anche nelle tue orazioni”
Non si aspettava queste ultime parole. Mi sorrise, finalmente. Era un sorriso che mi ricompensò di tutto.
Poi si rifece seria e con la serietà ritornò quell’aspetto tormentato che aveva sempre avuto.
La riaccompagnai a quella piazzetta. Nel salutarla provai un dolore indicibile
“Addio--le dissi?"e che il Signore ti protegga”
“…Chissà…addio.. chissà”. Mi sarei aspettato che si commuovesse. Scese dall’auto come un’automa. Cosa significava quel “Chissà”?
Ora il mio unico desiderio era di mettere quanti più chilometri tra me e quel posto che oramai odiavo.
Ritornai in albergo dopo aver restituito l’abito.
Il dolore era immenso. Credevo che dopo averla rivista e soddisfatto un desiderio mi sarei calmato. No, ero addoloratissimo. Francamente avevo sognato un epilogo diverso per quella storia. Ora che tutto era finito me lo potevo riconoscere.
Fu una notte terribile. Soffrivo e la odiavo. La odiavo per quel dolore che mi dava.
Ma dovevo rassegnarmi. Decisi di ripartire all’alba. Dovevo andare via, correre e non ritornare più.
“Devo procurarmi un macigno?"pensai?"e metterlo sopra a questa maledetta storia”
Non era ancora giorno che ripartii. In autostrada correvo come un pazzo. L’ebbrezza della velocità mi rinfrancava.
Erano circa le dieci quando giunsi verso Firenze. Mi fermai in un’area di servizio a prendere un caffè.
Squillò il cellulare. Forse mia zia?
“Pronto? chi..”
Un silenzio, poi una voce calma
“.. Sergio…vienimi a prendere”
Lei!!
“Fernanda, ma sei tu??"il caffè stava andandomi di traverso?"ma che cosa…”
“Puoi venirmi a prendere?”
“A.. a.. a Ferrara?”
“Si, certo. Ma dove sei adesso? Bussa al convento e chiedi di me”?"disse con molta flemma, anzi quasi con serenità.
“Tra due ore sarò li…”?"ero allibito
“Ti aspetto”?"e chiuse.
Sull’autostrada a duecento l’ora. Cos’era successo?
M’imposi di non tormentarmi oltre a cercar una spiegazione, me l’avrebbe data lei. La meraviglia superava la speranza in quel momento.
Alle undici e trenta bussai al convento.
Non ebbi neanche bisogno di chiedere, perché il portone si aprì e lei uscì.
Era in borghese. Un abito demodè che mi strappò un sorriso. Un cappellino che chissà dove aveva preso le copriva i capelli una volta lunghi adesso male accorciati. Niente trucco ovviamente.
In mano una valigia nera.
Non disse niente, ed io feci altrettanto.
Ripartimmo. Aspettai che mi spiegasse.
Provai a dire qualcosa, ma lei mi fece cenno di tacere. Guardava fisso davanti a se come per concentrarsi.
Guidavo ad andatura normale. Passammo mezz’ora così, poi si decise a parlare
“ Sergio.. ho preso una decisione. Non sarò più monaca. Stamattina ho chiesto la dispensa alla madre superiora che, dopo una telefonata al vescovo, l’ha concessa. Non sono più suora…. Sciolta dal vincolo…”?"sorrise ironicamente.
“Fernanda, ieri..”
“Zitto, ti prego…Che non fossi una buona suora l’avevo ben capito. Certi dilemmi nessuno te li può togliere. Una suora necessita di una fede che io non ho, non ho mai avuto. Queste cose le avevo ben presente quando sei venuto ieri e quando ti ho lasciato. La tua venuta ha evidenziato i miei dubbi ed in un certo qual modo li ha risolti. Poi c’è stata Fatù.”
“Chi?”-chiesi
“Fatù è una bambina nigeriana. Sta in ospedale da circa un mese, ha avuto un intervento serio. Ora è convalescente, tra una settimana ripartirà”
“E che c’entra..”
“Dopo che ti ho lasciato sono andata in ospedale. Ho cercato di buttarmi nel lavoro per non pensare. Fatù stava piangendo, non so bene cosa volesse. Voglio tanto bene a quella bambina, ma a volte fa i capricci”
“E allora..”
“Ho cercato di consolarla.. Le ho detto che noi suore siamo per lei come una mamma. E lei mi ha gelato”
“Fernanda…”
“Mi ha detto che le altre suore si, ma io non sembravo proprio una mamma….. Mi ha fatto piangere, ma mi ha fatto capire tante cose. Le sono grata come lo sono a te.”
“Brava Fatù!”?"esclamai
“La sera sono andata dal mio confessore. Lo stimo tanto. Gli ho parlato di te, che c’eravamo rivisti”
“Fernanda, che determinazione…”
Sorrise. Si era tolta il cappello. Con quei capelli corti tagliati malissimo e quel visino sembrava Audrey Hepburn in “Vacanze romane”. Era adorabile.
“Lui ha capito tutto. Mi ha consigliato di andare subito dalla superiora a chiedere la dispensa”
“Cosa avrebbe capito?”
“Che ti voglio bene e che voglio vivere con te per sempre”
Mi sentii quasi venir meno dalla felicità. Mi fermai sulla corsia d’emergenza e lascio a voi immaginare gli abbracci e i pianti.
La storia era finita bene.
A questo punto si potrebbe mettere la parola fine al racconto. Ma è giusto raccontare l’epilogo che non è del tipo “.. E vissero felici e contenti”
Si sa, queste cose avvengono solo nelle fiabe. Noi siamo esseri umani.
La nostra storia d’amore riprese non senza le solite difficoltà. Fernanda a volte provava forti sensi di colpa verso quel mondo monacale che aveva abbandonato o verso chissà quale altra cosa che teneva dentro.
Questo appariva evidentissimo soprattutto nelle effusioni sessuali.
Per fortuna la convinsi a fare un’analisi che è ancora in corso e che ha dato ottimi risultati.
La situazione è molto migliorata, il nostro rapporto ora è solido e soddisfacente per entrambi.
Certo ogni tanto…..
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