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L'enigma della statuina di Faience -conclusione -
” Jonathan e Christopher si precipitarono di corsa verso Smith e quando gli furono accanto diressero lo sguardo in prossimità del punto indicato dall’americano. I due rimasero stupefatti: ai piedi di una piccola duna, esattamente sotto il disco dorato del sole, scintillava una piccola pozza d’acqua.
“Ho lanciato quella pietra nel punto in cui sgorga l’acqua che non disseta e che non rinfresca dalla calura. Ho mirato a quella pozza d’acqua prima che essa sparisse.”
E così dicendo Smith lanciò il sasso che aveva ancora tra le mani in direzione del miraggio che in pochi secondi sparì. Senza altri indugi Smith piantò un paletto, sul quale aveva fissato il suo fazzoletto, nel punto in cui era caduto il sasso ed un altro nel punto in cui aveva avvistato il miraggio. Subito si armarono di pale e cominciarono a scavare lungo quella linea immaginaria. Le ore passavano ed il sudore sgorgava copiosamente dalle loro fronti. La sabbia sollevata dagli scavatori di posava sui loro volti madidi e bruciati dal sole.
“Sarà meglio che tu vada a ripararti, -disse Smith- il tuo organismo non è abituato a queste torride temperature, tantomeno la tua pelle chiara. Rimanere al sole potrebbe essere molto pericoloso.”
Jonathan annuì e si diresse stancamente verso la tenda. Aveva mal di testa ed una forte nausea. Si sciacquò il viso bagnandosi i capelli poi si distese sulla sua branda.
Intanto gli altri quattro pur avendo lavorato alacremente, non avevano ottenuto alcun risultato. “Sabbia, solo sabbia... maledizione!” "esclamò Smith- Ormai la luce del giorno sta per abbandonarci, non ci resta che rimandare tutto a domani.” "concluse-
Mentre Selim e Zakaria si apprestavano ad accendere il fuoco, Smith e Christopher entrarono in tenda, dove Jonathan dormiva profondamente. Smith si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla fronte.
“Ha la febbre alta. "disse- È restato troppo tempo al sole, c’era da aspettarselo.”
Christopher prese il suo zaino, aprì un piccolo taschino ed estrasse una bustina bianca.
“Una dose di questo farmaco lo aiuterà a star meglio. -affermò- Naturalmente dovrà rimanere quì al riparo almeno per un paio di giorni. Stasera dopo cena gli somministreremo il medicinale.” All’indomani mattina Jonathan si sentiva già molto meglio, la febbre era calata notevolmente. Pertanto osservava, dall’interno della tenda, i compagni di spedizione che in lontananza continuavano a spalare sabbia senza sosta. Avrebbe voluto essere insieme a loro ma ora doveva pensare a guarire, un comportamento azzardato poteva compromettere la sua salute e, di conseguenza, la spedizione stessa.
Altri due giorni passarono prima che Jonathan si ristabilisse completamente. Le ricerche prosegui-vano a ritmo serrato, ma della tomba di Userankh neppure una traccia. La sfiducia ed il malumore stavano pian piano penetrando nei loro animi. Altri dieci giorni di faticose ricerche erano passati, l’acqua cominciava a scarseggiare, così come pure i viveri. Selim e Zakaria avrebbero dovuto raggiungere la capitale per approvvigionarsi del necessario se si voleva continuare nelle ricerche e negli scavi. Ormai la tentazione di abbandonare l’impresa era sempre più forte ma nello stesso tempo la mente di Jonathan rifiutava l’idea del suo ritorno a casa riportando una seconda, bruciante sconfitta. Non poteva immaginare di riabbracciare i suoi cari dopo aver intrapreso una spedizione che gli aveva fruttato solo l’ennesima delusione. Se in quell’immensa distesa di polvere esisteva davvero una antica tomba, egli l’avrebbe scovata.
Quando fu sera i tre esploratori si riunirono intorno al fuoco dando fondo a quel che restava delle loro provviste. Il loro morale era a terra, il silenzio regnava in quella vallata ormai scura ed impenetrabile, rotto soltanto dal crepitio del fuoco e dall’ululato di qualche coyote. Jonathan fissava il fazzoletto sull’asta piantata da Smith, dondolare al lieve vento della sera. La fiasca del Whisky passò di mano in mano e di labbra in labbra.
Christopher ruppe quell’atmosfera tesa ed insostenibile
“Non credo che le nostre fatiche siano andate completamente perdute, "disse- forse è solo questione di qualche metro in più o in meno. D’altra parte anche coloro che costruivano le antiche tombe egizie, sapevano dove iniziavano gli scavi ma non potevano prevedere dove questi terminassero, anche a causa della diversità di consistenza delle rocce di questa valle, a tratti solidissima ed a tratti friabile e cedevole.”
“Dio mio, forse questa potrebbe essere la soluzione di tutto il mistero. -disse Jonathan come improvvisamente illuminato- Ascoltatemi dunque. Il vecchio papiro parla di una pietra lanciata in un punto da cui il costruttore della tomba avrebbe iniziato i lavori di edificazione della stessa se ricordo bene.”
“Esattamente "rispose Smith.”
“Ebbene, "continuò Jonathan- supponiamo che la parte iniziale, cioè l’ingresso della tomba fosse stata scavata in un punto in cui la roccia era di buona consistenza. Supponiamo altresì, che si fossero trovati improvvisamente di fronte ad un muro di roccia friabile, dopo aver portato l’avanzamento degli scavi ad un punto in cui il dispendio di tempo e di lavoro degli uomini era divenuto tale e tanto da non poterci più rinunciare per ricominciare i lavori in un altro luogo. L’unico tentativo logico, quindi, sarebbe stato un repentino cambio di direzione, una deviazione del corridoio nel tentativo di trovare roccia più compatta. Supponiamo ancora che colui che scrisse il papiro aveva come duplice scopo quelli di un promemoria di dove fossero iniziati i lavori di scavo annotando quei versi, mentre invece, il disegno si riferisce alla prosecuzione ed alla deviazione degli scavi della camera funeraria, dove erano custoditi il corpo e le ricchezze del sacerdote. È ovvio che tra l’ingresso descritto nei versi ed il disegno della pianta manca un pezzo dell’enigma, un corridoio crollato probabilmente.”
“È vero! "urlò Smith al massimo dell’entusiasmo- Come ho fatto a non pensarci prima? Le tue deduzioni caro Jonathan mi hanno tolto il velo che offuscava i miei occhi. Se la tua teoria è esatta, ed io ne sono convinto, come sono convinto che colui che costruì quella tomba aveva la ferma intenzione di saccheggiarla. Ebbene signori miei, guardate questa mappa ed osservate il punto evidenziato con un cerchio. Quel punto non è l’ingresso dell’ipogeo, come finora abbiamo creduto bensì l’inizio del primo tratto deviato dalla fine del primo corridoio. Non ci resta quindi che orizzontare le nostre ricerche spostandole di quarantacinque gradi ad ovest. Se la fortuna ci arride troveremo un foro che ci condurrà direttamente nella camera funeraria. Infatti è ormai noto che i profanatori di tombe non entravano mai dall’ingresso, bensì da un orifizio praticato nel soffitto della camera in cui era custodito il corpo del defunto e dove erano racchiusi i suoi averi più preziosi, per cui, amici miei, è solo questione di qualche metro in direzione ovest, come ha detto Christopher. Oramai non ci resta che aspettare l’alba. È proprio il caso di dire che il successo è dietro l’angolo.” "concluse-.
VIII
Il sepolcro di Userankh
Quella notte nessuno di loro riuscì a dormire, tanto era l’impazienza di verificare le loro teorie ma, così come accade in questi casi, la notte sembrava non finire mai. Quando le prime luci del mattino cominciarono finalmente a rischiarare l’orizzonte, Christopher era già accanto al fuoco per preparare il caffè. Gli altri due, intanto, finivano di radersi. Non c’era tempo da perdere bisognava riprendere gli scavi immediatamente.
I tre uomini avevano spalato sabbia per tutto il giorno senza concedersi neppure una piccola pausa, ormai era quasi buio ma ancora una volta senza alcun risultato.
In lontananza, tra le dune, apparvero le sagome di due uomini sui loro cammelli. Selim e Zakaria ritornavano da Luxor con il loro carico di provviste.
“Non so voi, "disse Smith- ma io ho fame e sono sfinito. Voi due se volete continuate pure, io darò una mano a scaricare le provviste ed a cucinare qualcosa di caldo.”
Jonathan, dal canto suo, sebbene scoraggiato, non aveva alcuna intenzione di mollare e ripreso il piccone continuò a scavare sfruttando quegli ultimi minuti di luce che ancora rischiarava la valle.
Il sordo rumore dei colpi nella sabbia echeggiavano fiocamente mentre il sole man mano scompariva dall’orizzonte ma Jonathan continuava rabbiosamente a scavare era stremato dalla fatica ma nella sua mente comparivano inesorabili i volti di Elisabeth e di Rosemary. Questa volta non poteva fallire, doveva riuscire ad ogni costo. In quel preciso istante la punta del piccone provocò una scintilla ed un rumore secco e metallico. L’arnese aveva incontrato qualcosa di duro non c’era alcun dubbio. Smith non perse un solo attimo, il suo orecchio esperto aveva captato il rumore provocato dal piccone. Abbandonò ogni cosa e corse da Jonathan.
“Ci siamo, -gridò- ci siamo finalmente. Selim, presto, porta qui delle lampade.”
Alla luce delle lanterne si continuò a scavare nel punto in cui Jonathan aveva incontrato l’ostacolo. In poco tempo si resero conto che si trovavano di fronte ad una formazione rocciosa piuttosto estesa. Le mani degli uomini erano diventate gonfie e screpolate, quelle di Jonathan cominciavano addirittura a sanguinare ma sembrava che nessuno avvertisse il dolore ed il peso delle pale e dei picconi. Un colpo secco di Smith e qualcosa cedette, poi uno strano rumore di pietre.
“Hai sentito? "disse Smith- Il rumore di quei sassi non lascia dubbi, qui sotto c’è una camera, forse proprio quella che noi cerchiamo.”
Le lampade furono avvicinate alla grande fossa, effettivamente c’era un buco nella roccia che dava accesso ad un ambiente sottostante.
“Datemi una corda ed una lanterna "disse Jonathan- voglio essere il primo ad entrarci.”
Smith cercò di dissuaderlo, poteva essere pericoloso per lui che era alla sua prima esperienza di quel genere ma non vi fu modo di indurlo a desistere.
“Ti prego di non muoverti non appena tocchi terra, -disse Smith- almeno finché non scenderò anch’io. Queste antiche tombe sono disseminate di tranelli e non vorrei che ti capitasse qualcosa di spiacevole.”
Dopo essersi assicurato ad una robusta corda Jonathan iniziò la sua emozionante discesa. L’aria all’interno della camera aveva un odore strano, la luce della lanterna non riusciva ancora ad illuminare nulla. Finalmente diede uno strattone alla corda per avvisare i compagni che aveva toccato terra. Uno per volta scesero anche Smith e Christopher. La camera sembrava essere perfettamente quadrata e relativamente grande. Sulle pareti finemente dipinte si potevano ammirare scene di vita quotidiana e di offerte agli dei. Tutto era perfettamente conservato ma la camera era completamente vuota tranne un cumulo di detriti e macerie addossati su una delle pareti.
“Quello dev’essere tutto ciò che resta dell’ingresso, forse crollato nel corso dei secoli.” "disse Smith-
“Non dirmi che siamo entrati in una tomba vuota.” "esclamò Jonathan angustiato-
“Non preoccuparti, "disse Smith- sono certo che esiste un passaggio che conduce alla vera camera sepolcrale, questa e solo l’anticamera.”
Smith cominciò a percuotere lievemente le mura circostanti.
“Ascoltate "disse dopo aver sondato minuziosamente ogni angolo della camera- deve esserci qualcosa qui dietro, osservate bene questa parte di muro, noterete che l’intonaco e più recente rispetto al resto.”
cominciò subito a spicconare accorgendosi che la parete era molto sottile e fragile. Introdussero una lampada nel piccolo foro praticato da Smith e la prima cosa che videro furono le ossa di due scheletri distese sul pavimento. Il foro fu quindi allargato abbastanza da potervi entrare. Quando la luce delle lampade invase la nuova camera, lo spettacolo che si offrì ai loro occhi era quantomeno stupefacente: Un grande sarcofago troneggiava al centro della camera e tutt’intorno centinaia di oggetti di ogni genere, dei quali molti d’oro e d’argento. I tre si abbracciarono senza dire una sola parola, i loro occhi brillavano di gioia. Per Jonathan era molto di più del sapore della celebrità e del danaro. Ora poteva ritornare a testa alta dai suoi cari. Cominciava a credere che tutto quel che gli era accaduto, facesse parte di un disegno ben preciso. Uno strano destino lo aveva voluto al centro di una bizzarra vicenda da cui difficilmente si sarebbe potuti uscire vincenti. Eppure, lui cel’aveva fatta!
Le autorità Egiziane furono tempestivamente informate della scoperta ed in breve tempo i pezzi più importanti furono trasferiti nel Museo del Cairo, mentre alcuni manufatti furono concessi in dono dalla sovrintendenza alle antichità ai tre esploratori i cui nomi apparvero sui quotidiani di tutto il mondo.
Jonathan inviò a Stadelmann il suo diario di viaggio con tutti i particolari dei lavori di scavo fino alla scoperta della tomba, quest’ultimo pubblicò in esclusiva la notizia dell’importante ritrovamento archeologico che dilagò a macchia d’olio per tutta l’Europa.
Dai circoli culturali più quotati ai bar più malfamati non si parlava d’altro. I tre avventurieri erano alle soglie della celebrità. Le autorità londinesi attendevano trepidanti il loro ritorno mentre fervevano i preparativi di una grande festa per accogliere in patria i protagonisti della straordinaria impresa.
La loro avventura volgeva ormai al termine, i tre infatti stavano per prepararsi al viaggio di ritorno, quando ricevettero una inaspettata, gradita sorpresa.
Jonathan sentì bussare più volte alla porta della sua camera, il cameriere dell’albergo lo pregò di scendere nella Hall.
“Ci sono visite per lei.” "disse l’uomo-
“Visite? "chiese- chi sono? Non vi hanno lasciato i loro nomi?”
“Sono spiacente, dottor Newberry "rispose- mi hanno solo detto di essere dei suoi cari amici, si tratta di una signora accompagnata da un nobiluomo, è tutto quel che so.”
“Va bene, fateli accomodare e ditegli che scenderò tra pochi minuti.”
Dopo essersi annodato la cravatta Jonathan bussò alla porta di Smith per dirgli che sarebbe sceso nella Hall per ricevere delle persone.
“Và pure, -disse Smith- ti raggiungerò subito.”
Jonathan scese alla reception e consegnò le chiavi della sua camera quindi chiese dove fossero i suoi amici.
“La aspettano in salotto.” "rispose l’impiegato-
Il gentiluomo inglese, incuriosito da questa misteriosa visita si diresse a passo veloce verso il grande salotto dell’Hilton. Sul grande divano vide una donna seduta di spalle che chiacchierava allegramente con un uomo il cui profilo aveva qualcosa di familiare.
“George! "esclamò- George... ma è proprio vero?”
Nel frattempo anche la dama si era voltata e lo stupore di Jonathan fu ancora più grande quando la guardò in volto. Ella non era una delle tante fiamme occasionali del suo amico George, come per un attimo aveva creduto. La donna che ora gli sorrideva era sua moglie Elisabeth. Quasi ignorando il suo vecchio amico, Jonathan si precipitò verso di lei e la abbracciò trepidante e commosso. “Finalmente "disse sottovoce- non puoi neanche immaginare quanto mi sei mancata.”
“Mi sei mancato anche tu, "rispose Elisabeth- ma ora tutto ritornerà come prima. Noi due, la nostra bambina, la nostra vita insieme, la nostra vecchia casa.“
“Sono felice di queste tue parole, anche se qualcosa mi sfugge… "rispose Jonathan- forse c’è qualcosa che dovrei sapere?”
“Molte cose -rispose- ma non avere fretta, ti spiegherò tutto con calma. Nel frattempo anche Smith, che era appena entrato nel salotto, rimase gradevolmente stupito di quella visita inattesa.
“La Signora Newberry e Lord Pinkerton, -disse- mancava solo la vostra squisita presenza per far sì che questo giorno divenisse il più gaio della nostra vita. Quanto poi al nostro amico Jonathan, vedo i suoi occhi illuminati di felicità.”
“Proprio così, -rispose- non si può immaginare quel che provo nel rivedere la mia Elisabeth. Dopo il grigiore di questi ultimi tempi, ho come l’impressione di essere rinato. È come svegliarsi da un brutto sogno e posso assicurarvi che quella che provo ora è una gran bella sensazione. Ma non ho certo dimenticato il caro George, amico mio, come potrei fare a meno di ringraziarti? È proprio grazie a te ed a Robert se sono riuscito a trovare la forza per andare avanti, per credere ancora in me stesso e per ricominciare da zero una nuova vita. Infine concedetemi di ringraziare anche il prezioso Christopher che con la sua esperienza e la sua tenacia ci ha aiutato a far si che questa spedizione avesse il successo sperato. Non dimenticherò mai la sua determinazione anche nei momenti in cui tutto pareva esserci avverso."
Fu Robert che a questo punto intervenne ad evitare che la gioia sfociasse nel patetico:
“Vi prego basta con i ringraziamenti e le malinconie. Credo che i nostri ospiti abbiano appetito, vogliamo accomodarci in sala da pranzo?”
“Con vero piacere "rispose George.”
IX
L’ipnotizzatore
Dopo aver consumato un raffinatissimo pranzo Elisabeth e George si congratularono con i tre esploratori.
“Siete diventati delle autentiche celebrità, -disse Elisabeth- i vostri nomi a Londra sono sulle labbra di tutti.”
“…e per te caro Jonathan, -disse George- si prospetta un futuro a dir poco roseo. Centinaia di editori, da ogni parte d’Europa, ti daranno la caccia per avere del materiale inedito. Credo proprio che diventerai molto ricco, amico mio.”
“Caro George, -rispose Jonathan " credo che tu ed Elisabeth abbiate qualcosa da dirmi, qualcosa di molto importante, l’ho capito dal primo momento che vi ho visti. Parlate pure liberamente, Robert e Christopher sono persone degne di tutta la mia fiducia e riconoscenza, questa impresa senza di loro non sarebbe stata possibile, lo ribadisco.”
“Comprendo la tua impazienza, -disse Elisabeth- e ti capisco perfettamente quindi preparatevi ad ascoltare questa strana storia:
Tutto cominciò il giorno stesso in cui Rebecca Anderson rifiutò il tuo ultimo romanzo. Avevo già letto il tuo manoscritto ed era sicuramente una delle opere più belle che tu abbia mai scritto. C’era qualcosa di strano nel comportamento della Anderson ma non capivo cosa. Decisi quindi di andare da lei per chiederle qualche spiegazione in più. Purtroppo gli eventi negativi si successero uno dietro l’altro, le tue perdite al gioco mi distrassero dal mio intento. Fu così che lasciai la nostra casa e, quando seppi che George e Robert avevano deciso di aiutarti mi sentii veramente sollevata e pronta per agire. Il caso volle che prima di arrivare davanti alla porta del suo ufficio sentii la voce di Rebecca pronunciare queste parole:
“Ottimo lavoro signor Low, lo abbiamo ridotto sul lastrico, sono proprio curiosa di sapere come se la caverà ora, senza un centesimo, senza una casa e senza l’aiuto del suo editore.”
Mi fermai sulle scale per non farmi vedere poi sentii la porta chiudersi ed i passi di qualcuno che scendeva. L’uomo mi passò accanto senza quasi accorgersi della mia presenza. Mi sembrò che avesse una certa premura, infatti armeggiava nel suo portafogli mentre scendeva le scale. Lo seguii con lo sguardo e vidi che qualcosa svolazzò dietro di lui. Aspettai che uscisse dal palazzo e la raccolsi. Un biglietto da visita su cui era scritto: “ José Castillỡ - Illusionista e ipnotizzatore”. Che strano, -pensai- lo ha chiamato Low ed era al corrente delle disgrazie del mio povero Jonathan. Anche qui c’era qualcosa che non quadrava. Immediatamente pensai al famoso Jeremy Low, il ricco banchiere, nonché il giocatore di pocker con cui mio marito aveva perso casa e danaro. Mi sembrò strano che i due si conoscessero ma era evidente che avessero architettato qualcosa ai danni di Jonathan. Quindi, per non destare sospetti, decisi di soprassedere all’incontro con la Anderson e di raccogliere informazioni su Low.”
“Il giorno dopo Elisabeth venne a casa mia -continuò George- e mi raccontò quel che aveva sentito e visto il giorno prima in Barrymore street. Spiegai a Elisabeth che avevo conosciuto Low soltanto da poco tempo. Fu in casa di amici, mi era stato presentato ad un torneo di pocker come banchiere e, sebbene non ne avesse l’aspetto, non mi sono mai preoccupato di sapere dove fosse questa ipotetica banca e come ne fosse venuto in possesso. Ma Elisabeth mi parlava di un biglietto da visita con un altro nome…possibile che Jeremy Low e José Castillỡ fossero la stessa persona? avevamo quindi giocato con un ipnotizzatore di professione? Mi venne in mente di una strana sensazione provata durante la famigerata partita. All’improvviso ebbi come un’intuizione che mi fece accapponare la pelle. Decisi che avrei aiutato Elisabeth ad andare a fondo.
Feci subito un telegramma a Jack Simon, mio fraterno amico nonché ispettore capo dell’FBI.
Un investigatore federale fu messo sulle tracce di Low, da quel momento in poi ogni sua mossa sarebbe stata controllata. Nel giro di quaranta giorni il mio amico Simon mi fece sapere che il presunto banchiere Jeremy Low altri non era che un ex prestidigitatore ricercato da tempo dalla polizia per essersi specializzato nell’ipnosi. Si era arricchito con la truffa del pocker, facendo cadere i suoi avversari, durante le partite, in uno stato di semincoscienza in modo da poterli depredare di ogni loro avere senza che questi potessero minimamente sospettare l’imbroglio. Si trattava di uno spagnolo anagraficamente schedato, presso gli archivi della polizia, con il nome di José Castillỡ. Pare che avesse mietuto vittime in tutta la Francia ed ora probabilmente avrebbe fatto altrettanto anche qui a Londra. Ormai sapevamo che eravamo stati tutti vittime dell’ipnosi di Castillỡ.”
“Io, nel frattempo non ero rimasta inattiva. "continuò Elisabeth- George mi teneva informata di ogni progresso delle indagini ed io nell’ombra conducevo le mie. Perché l’ipnotizzatore aveva scelto come vittima proprio te che in fondo tra George e Smith eri il boccone meno succulento? Questo era il mio principale interrogativo. Intanto, pur non avendo un motivo preciso per pensarlo, continuai a credere che Rebecca costituiva il bandolo della matassa. Forse per un’intuizione puramente femminile, forse per un pizzico di gelosia. Le parole di quella donna mi risuonavano nella mente, non potevo accettare l’idea che la vita di un uomo e della sua famiglia potesse essere sconvolta solo per capriccio. La conferma a questa mia ipotesi arrivò solo per caso: una lettera di Jonathan per Rebecca Anderson che ritrovai tra le cose prese dalla nostra casa coniugale quando quella mattina andai via per stabilirmi da mio padre. Era tra le pagine di un romanzo di Jonathan che Rosemary prese dal suo studio prima di andar via. Il testo recitava più o meno così:
Cara Rebecca,
sono veramente lusingato del tuo interesse per me, anch’io ricordo con nostalgia i bei tempi, quando sui banchi di scuola, ancora ragazzini, ci infatuammo l’uno dell’altra. Ma avevamo appena quindici anni. Poi il tempo ci divise e ci ritrovammo, io sposato e tu vedova. È vero mi hai aiutato molto e forse, come scrittore, devo a te gran parte del mio successo. Ciononostante sai bene quanto io ami mia moglie Elisabeth e quanto sia difficile per qualunque uomo sottrarsi al tuo fascino, per cui ti prego di non ritornare più su questo argomento e di accontentarti del nostro semplice rapporto di lavoro e della nostra bella amicizia, poiché non potrei offrirti nulla di più.
Tuo affezionatissimo Jonathan.”
“Contemporaneamente mi arrivò la notizia dell’arresto di Castillỡ -proseguì George- stava consumando la sua ennesima truffa, questa volta, ai danni di un vero banchiere londinese, ma il mio amico Simon lo aveva colto in flagrante. Ormai in manette non poteva che confessare.”
Egli era stato ingaggiato proprio da Rebecca Anderson che, per pura ripicca, gli aveva promesso di procurargli un nome falso e dei “polli da spennare” che non gli avrebbero dato problemi di sorta. Primo tra tutti Jonathan Newberry, un uomo tranquillo, con una buona posizione economica ma non tanto ricco da creargli problemi, quindi un candidato ideale per l’ipnotizzatore, e per Rebecca Anderson la realizzazione di una vendetta maturata nel tempo contro l’unico uomo che aveva osato rifiutare il suo amore.”
“Ora tutto ciò che il losco figuro ti aveva sottratto con l’inganno è ritornato di nostra proprietà, a cominciare dalla casa. -continuò Elisabeth- Egli era in possesso di decine di appartamenti avuti in donazione da altrettante vittime del suo impeccabile raggiro. La polizia stà indagando per identificarli e restituire loro il maltolto.”
“E Rebecca? "chiese Jonathan- Cosa ne sarà di lei?”
“Anche Rebecca sconterà la sua pena, dai tre ai cinque anni di reclusione.”
“Incredibile "disse Jonathan- mi sono fatto abbindolare come un adolescente e non soltanto io ma anche Robert e George.”
“Già "rispose Smith- quell’uomo è riuscito a manovrarci come tre burattini. Ma senza volerlo ha contribuito al tuo successo, mio caro Jonathan, senza contare che grazie a lui abbiamo potuto consolidare la nostra amicizia con questa entusiasmante avventura.”
X
La chiave dell’enigma
“A proposito… "intervenne Elisabeth rivolgendosi a suo marito- ma come mai hai intrapreso questa spedizione così originale ed inconsueta?”
Jonathan le raccontò di come, per puro caso, avesse acquistato la statuina nel negozio di Ferguson e della scoperta del papiro in essa contenuto. A questo punto intervenne Smith:
“Dopo averlo esaminato, potei constatare che il papiro era autentico ed una volta decifrato il contenuto ci trovammo di fronte a qualcosa di veramente inconsueto, la potremmo definire “una mappa in versi”, oppure le indicazioni per una caccia al tesoro. Comunque sia non potevo resistere alla tentazione di recarmi sul posto per verificare di persona. Il problema che mi si poneva era quello di convincere Jonathan a seguirmi nell’impresa. Dopo tutto il papiro era suo e se la tomba esisteva davvero mi sembrava giusto che fosse lui a fregiarsi per primo di tale scoperta. Senza alcun indugio gli palesai le mie intenzioni, lui finse di essere titubante ma si leggeva chiaro nei suoi occhi che ne era entusiasta, aveva solo bisogno di organizzare, in qualche modo, i suoi impegni con il giornale e lo fece velocemente ed al meglio delle sue possibilità. Non mi dilungo nel raccontarvi i particolari di quel lungo viaggio ma preferisco soffermarmi sul nostro morale dopo lunghe giornate trascorse a spalare sabbia sotto un sole bruciante che non mostrava alcuna clemenza per i nostri vani sforzi. Eravamo veramente scoraggiati e lo eravamo ogni giorno di più. Nessuno di noi lo aveva mai ammesso apertamente ma più di una volta siamo stati sul punto di abbandonare ogni cosa. Nonostante tutto andammo avanti con l’unica forza che ci rimaneva, quella della disperazione. Fu allora che Jonathan ebbe l’intuizione che il luogo indicato nel papiro poteva aver subito una deviazione a causa della diversità di consistenza della roccia, incontrata dai costruttori del sepolcro.
Non si sbagliava. Grazie al suo acume, infatti, trovammo un foro che probabilmente fu praticato dai primi profanatori che però caddero vittime della maledizione di Userankh “Colui che è forte e vitale”. Con ogni probabilità fu la volta dell’ingresso alla camera del sarcofago che crollando lo uccise, solo uno di loro riuscì a salvarsi dalla trappola mortale. È evidente che il superstite cercò di far man bassa di tutto quello che riusciva a portar via. Ben poche cose considerando che ormai era rimasto da solo, tra queste la famosa statuina che Jonathan aveva avuto la fortuna di acquistare all’emporio di Ferguson. Forse il trafugatore aveva pensato di far ritorno alla tomba per completare il saccheggio dei tesori ma qualcosa non dovette andare per il suo verso.
Ricordo che quando noi tre entrammo nella sala del sepolcro, dopo aver superato il lungo corridoio, ci trovammo al cospetto del sarcofago e notai che stranamente il coperchio non era perfettamente chiuso, era la prova evidente che qualcuno aveva tentato di forzarlo, ma la cosa ancora più strana fu constatare che gli oggetti più preziosi erano rimasti intoccati. Avvisammo tempestivamente le autorità egiziane del ritrovamento le quali, in breve tempo, inviarono i loro tecnici per catalogare ed estrarre i reperti dal loro nascondiglio sotterraneo.
Quando tutto il lavoro fu espletato scoprimmo che il sarcofago conteneva non uno ma due corpi: il primo perfettamente conservato e mummificato mentre l’altro era ridotto alle sole ossa. Lo scheletro presentava ancora la stessa posizione che aveva assunto nel momento in cui morì: le gambe erano piegate, mentre le braccia erano rivolte verso l’alto cioè verso il coperchio del sarcofago, sembrava proprio che tentasse di sollevare il coperchio dall’interno nell’estremo tentativo di uscire dal quel letale tranello. Chi era quell’uomo, perché fu chiuso nella tomba di Userankh e da chi? Forse l’ultimo dei profanatori, il superstite, ma chi lo aveva ucciso in quel terribile modo?
Quando ogni reperto fu catalogato e numerato si scoprì che dal corredo funeraio non mancavano che pochi pezzi d’oro, probabilmente di scarso interesse storico mentre dallo scrigno che conteneva gli ushabti risultò contenere solo 364 statuine in Faience azzurro… ne mancava una, tutte le altre erano sorprendentemente somiglianti a quella acquistata da Jonathan.
Non tutti sanno che gli egizi usavano inserire tra le bende della mummia numerosi oggetti preziosi. Si trattava di amuleti il cui compito era quello di proteggere l’anima del defunto nel suo viaggio verso la sua vita ultraterrena. Semplici amuleti ma di grande valore ed era proprio a questi che l’uomo mirava. Con l’aiuto di alcune leve e con grande sforzo riuscì a sollevare il pesantissimo coperchio ed a penetrare nel sarcofago. Un altro terrificante congegno, a quel punto, entrò in funzione, facendo richiudere velocemente il coperchio imprigionandolo.
Poco a poco, l’ossigeno venne a mancare, l’uomo dovette vivere ore di terrificante angoscia… cercava in ogni modo di liberarsi da quella infame trappola ma i suoi sforzi non bastavano, il lastrone di arenaria era troppo pesante per un uomo solo.
Intanto cercava di attingere anche il più piccolo zefiro d’aria dalle fessure disconnesse.
Infine chiese perdono agli dei pregandoli di rendere meno lenta quella atroce agonia, chissà mai se venne esaudito.
Ecco, questa è la mia ricostruzione di ciò che forse accadde più di tremila anni fa alla morte di colui che fu chiamato forte e vitale, ma anche voi avrete capito che tutto ciò è frutto della mia modesta conoscenza in materia ma anche e soprattutto della mia, per così dire, fervida mia fantasia. Diciamo pure che mi sono avvalso di questo pretesto per darvi una ricostruzione suggestiva ma del tutto gratuita di questa storia. La verità, in questi casi, è tanto più difficile da riconoscere quanto più ci si avvicina al mistero.
Forse la chiave di tutta questa vicenda è da ritrovare in un’iscrizione all’interno della tomba di Userankh. La trovai incisa nella prima camera, per la precisione sull’ingresso del corridoio che conduceva al suo sepolcro Fino ad oggi ho preferito tacere su questa mia scoperta, per non impressionare Jonathan ma ora che tutto è finito mi sembra giusto che lui sappia.
Ricordo ancora ogni parola.
Un giorno lontano millenni un uomo venuto dal lontano cielo del nord varcherà questa soglia. Sarà l’unico in grado di farlo, perché egli è colui che è uscito dal mio corpo per vivere negli anni a venire. Chiunque altro tenterà di violare la mia casa dell’eternità troverà qui la sua fine.”
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