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Lo strano caso della porta alchemica - conclusione -
Si tolse il soprabito e si versò un whisky poi prese la fotocopia della pergamena forata avuta da Ortis e con una forbicina cominciò ad eliminare le parti scure che nell’originale corrispondevano ai fori, facendo molta attenzione che il taglio non sbordasse. Intanto pensava a dove potesse trovarsi la frase segreta. Gli vennero subito in mente le foto scattate alla porta alchemica, forse era lì che si trovava il messaggio. Le prese dalla borsa e cominciò a provare a sovrapporre la copia forata della pergamena, ma per quante prove facesse sembrava non ottenere alcun risultato. In quello stesso istante bussarono alla porta. Probabilmente era Nora di ritorno dallo shopping.
Non si era sbagliato, infatti anche lei rientrava con le mani occupate da buste e pacchetti.
“Buonasera cara. "disse Howard- Sembrerebbe che tu abbia svaligiato un intero negozio.”
“Ho comperato qualcosa per me e qualche regalo per i nostri amici. Considerando che dovremo passare le feste insieme mi sembra il minimo che potessi fare. A proposito ho informato Silvia dell’invito del dottor Ortis ed ha accettato subito, era veramente felice di questa notizia.”
“Molto bene! "rispose Howard- Ora cosa ne diresti di scendere per la cena?”
Durante la cena il discorso cadde sulle indagini momentaneamente sospese.
“No, -disse Howard- non ho assolutamente intenzione di abbandonare le mie ricerche sul mistero degli Hortis. Purtroppo abbiamo ben poco tempo per trovare la chiave dell’enigma e, devo dire, che siamo ancora in alto mare. Poco fa ho provato a sovrapporre il foglio forato sulle foto della porta ma non vi è alcuna corresponsione.”
“Hai provato a girare il foglio, oppure a capovolgerlo?”
“Ma certo, ho provato tutte le combinazioni possibili ed ora sono certo che dobbiamo cercare altrove…… ma dove?”
“Andiamo per gradi. "riprese Nora concentrandosi- Escludendo le frasi incise sulla porta e dando per scontato che esiste un messaggio segreto, cos’altro abbiamo tra le mani che potrebbe rivelarcelo?”
“Nient’altro. "rispose Howard con amarezza- Già non ho altro che quelle inutili foto…. ma….. Ascolta" soggiunse eccitato come se all’improvviso qualcosa avesse illuminato la sua mente- Io non ho altro ma Ortis si, egli possiede le pergamene scritte da Sigismondo Hortis.”
“Potrebbe rivelarsi un’altra falsa pista, -disse Nora- ma non possiamo tralasciarla.”
Senza pensarci oltre Howard chiamò il cameriere chiedendo del dr. Ortis.
“Mi spiace, professore, -rispose Pietro- ma il titolare in questo periodo è indaffaratissimo, l’ho veduto stamani di sfuggita. Sa in questi giorni c’è tanto da fare sia qui in albergo che nei ristoranti.”
“Mi faccia un gentilezza, Pietro, non appena lo vede gli dica che ho una cosa molto importante da comunicargli. Non se ne dimentichi per favore.”
“Non si preoccupi. "rispose- Non me ne scorderò.”
Ma il buon Pietro non ebbe il tempo di scordarsene, Ortis, lupus in fabula, apparve nella sala ristorante. Pietro gli si avvicinò bisbigliandogli qualcosa all’orecchio, quindi Ortis si diresse spedito in direzione del tavolo di Howard.
“Ben trovato professore, "disse- so che voleva parlarmi, mi dica pure, spero di poter esserle utile.”
“Sono certo di si. "rispose Howard- Vede caro Ortis, ancora una volta ho bisogno del suo aiuto per le mie ricerche. Stavolta dovrebbe farmi avere, se fosse possibile, una copia degli scritti di Sigismondo Hortis, forse…….”
“Non dica altro, -disse Ortis interrompendolo- le avrà in pochi minuti ma a due condizioni: la prima è che le custodisca con la massima cura e la seconda, che le bruci una volta che non le serviranno più. Inutile ripeterle che appena vi saranno degli sviluppi significativi, gradirei che lei mi tenesse informato.”
Quindici minuti dopo, mentre Howard e Nora erano arrivati all’amaro, Pietro si fermò al loro tavolo con una busta gialla da lettera ben chiusa che consegnò nelle mani di Howard. Saliti in camera i due non seppero aspettare oltre ed aperta la busta ne estrassero le preziose copie. Erano perfette, molto chiare e della stessa dimensione degli originali. Iniziarono subito a sovrapporre la famosa copia forata su una delle copie appena ricevute da Ortis e, dopo un paio di tentativi, poterono rendersi conto di essere sulla buona strada. Dalle caselle vuote emerse una prima frase che, però, sembrava non avere alcun significato comprensibile: IN AMOR PER DONARE IN TRE CENTO TRENTA ID FU ERETTA.
“Credo sia solo una parte del messaggio, sicuramente il seguito o l’inizio si trova sull’altro foglio. "decretò Howard- Coraggio prendilo.” Bastò, infatti capovolgere il foglio forato sovrapponendolo sull’altra pergamena per far apparire l’altra parte del messaggio: BENCHÈ ORIENTALE AD OCCIDENTE ELLA NASCONDE.
“Ancora più sibillina dell’altra.” "esclamò Nora-
“Non amo le citazioni, -affermò Howard- ma è proprio vero che “ogni cosa è un enigma, persino la chiave dell’enigma è essa stessa un enigma”. Comunque sia "soggiunse- abbiamo finalmente qualcosa di concreto su cui studiare, guarda l’inizio della frase, “In amor per donare in tre cento trenta id fu eretta” a differenza della seconda parte non sembra avere un senso compiuto. Inoltre, pur essendo scritta interamente in italiano contiene il pronome id che in latino significa questo o questa: Ma i numeri tre cento trenta cosa stanno a significare? Potrebbero riferirsi al numero 330 ma anche in questo caso non ha senso. Mi pare che non dia alcuna indicazione di cosa cercare ne dove.”
“Hai detto dove cercare, ebbene tutti sanno che Roma letta al contrario diventa amor, se così fosse sapremmo per lo meno che è questo il luogo dove cercare.” "disse Nora-
“Può darsi che tu abbia ragione anche se l’indicazione sarebbe fin troppo generica. Roma è talmente grande…….. a meno che all’interno della frase non vi siano altre parole anagrammate.
Infatti, se la tua supposizione è giusta, credo che la frase parli di qualcosa che fu costruito in Roma, qualcosa che ricorderebbe l’oriente a quanto pare. Forse un edificio, forse una statua o addirittura un monumento.”
“Che ne pensi se rimandassimo tutto a domattina. "disse Nora- Quando si è stanchi il cervello lavora al cinquanta percento delle sue reali potenzialità.” Erano quasi le tre del mattino ed Howard convenne che forse era preferibile andare a dormire. A mente fresca, forse, sarebbe sembrato tutto più semplice.
Erano appena le nove del mattino quando lo squillare del telefono li svegliò. Howard si alzò sbadigliando ed alzò il ricevitore:
“Pronto. …. Ah è lei Carlo, mi dica……Una comunicazione per mia moglie? la signora Silvia Nobili? Va bene me la passi pure. È per te. -disse a Nora passandole la cornetta-”
Le due donne si prolungarono per almeno una decina di minuti, infine Nora riagganciò.
“Sai, -disse- Silvia deve fare le ultime compere per Natale e mi ha pregato di farle compagnia. Non ho saputo dirle di no, d’altra parte ci vediamo così di rado.”
“Non preoccuparti, hai fatto benissimo, per di più io oggi non farò altro che delle noiosissime consultazioni nelle biblioteche di Roma sperando di trovare qualcosa di interessante.
Dopo aver fatto colazione, la coppia inglese, uscita dal Byron, fermò un taxi al volo. Arrivati all’abitazione di Marco, Howard salutò Nora, che scendendo dall’auto ribadì:
“Ci vediamo stasera alle nove alla taverna del Buttero ci sarà anche Marco.”
Howard proseguì in auto diretto alla biblioteca Vittorio Emanuele.
Puntuale come sempre Howard raggiunse il quartiere di Trastevere, erano le 20, 50. Fece poche decine di metri a piedi ed arrivò alla Taverna. Il buttero era all’ingresso dell’osteria con le braccia incrociate sul petto, aveva tutta l’aria di non aver molto da fare, sembrava quasi aspettare qualcuno. Nonostante il freddo indossava solo un vecchio maglione giro collo. Quando Howard gli fu abbastanza vicino, lo saluto con tono cordiale:
“Salve professor Breadley, il vostro tavolo è già apparecchiato ma dei suoi amici non si è visto ancora nes-suno, lei è il primo ad arrivare.”
“Buonasera, -rispose Howard infreddolito- le dispiace se continuiamo a parlare al coperto, stasera fa veramente freddo. Mi stavo domandando come fa a resistere avendo indosso solo quel pullover”.
“Non soffro il freddo -disse- e non dovrebbe soffrirlo neanche lei che essendo inglese dovrebbe essere abituato a ben altro clima.”
“È vero, -rispose- ma ogni volta che vengo qui in Italia penso sempre di trovare una temperatura mite e così evito di portare capi troppo pesanti, così finisco sempre col dover comprare qualche cosa di più caldo da indossare.”
“Capisco, -rispose- si accomodi allora, si metta a sedere lì, le porterò un bel bicchiere di vino cotto fumante. Vedrà tra qualche istante sentirà il bisogno di togliersi anche la giacca.”
“Howard si sedette ed in attesa del vino estrasse dalla sua borsa il blocco con gli appunti presi in biblioteca. Aveva ricercato ed annotato alcune tra le più importanti costruzioni di stile orientale esistenti a Roma: Un obelisco egiziano sorgeva in Piazza del Popolo, un altro in Piazza della Rotonda, uno nel viale delle terme di Diocleziano, uno a Piazza Montecitorio ed altri ancora in Piazza della Minerva, in Piazza S. Pietro, in Piazza Navona ed in Piazza del Quirinale. Poi estrasse una cartellina verde con su scritto: “LA PORTA ALCHEMICA”, da questa tirò fuori un foglio sul quale era scritta la frase nascosta: IN AMOR PER DONARE IN TRE CENTO TRENTA ID FU ERETTA. BENCHÈ ORIENTALE AD OCCIDENTE ELLA NASCONDE. La rilesse alcune volte e si convinse che gli obelischi di Roma non potevano avere alcuna affinità con il mistero degli Hortis. Infatti, la frase parlava di qualcosa che fu eretto in Roma, mentre gli obelischi erano di autentica fattura egizia ed importati nella capitale italiana solo successivamente alla loro costruzione. Si convinse che bisognava dirigere le ricerche su qualcosa di orientaleggiante ma che fosse stato costruito proprio a Roma. Assorto nei suoi ragionamenti non si avvide che il buttero era lì davanti che aspettava. Howard si affrettò a mettere via tutte le sue carte che avevano invaso l’intero tavolo, tanto da non lasciare neanche lo spazio per il vassoio che l’uomo continuava tenere tra le mani.
“Mi scusi, non l’avevo vista arrivare "disse Howard- poggi pure qui.”
Intanto il buttero aveva avuto modo di notare l’etichetta della cartellina e con tono inquisitorio disse:
“Non mi dica che sta continuando ad indagare sulla leggenda della porta magica? Spero solo che non le capiti qualcosa di spiacevole. C’è qualcosa di malefico tra quelle mura cadenti.”
“Non capisco perché dovrebbe capitarmi qualcosa di brutto. "lo apostrofò Howard-
“Vede professore, lei mi dirà che sono solo coincidenze ma si da il caso che qualche anno fa un mio cliente si appassionò a quella leggenda e, così come sta facendo lei, iniziò a svolgere delle ricerche convinto che sareb-be riuscito a svelare chissà quale segreto. Era uno studente venuto a Roma dall’alta Italia e stava per laurearsi in architettura. Veniva spesso a mangiare qui e sovente scambiavamo quattro chiacchiere insieme. Un bel giorno mi disse che era sulla buona strada per arrivare alla soluzione del mistero. Era un bravo ragazzo, molto aitante, sempre allegro e circondato da belle ragazze. Rimasi letteralmente sconvolto quando due giorni dopo appresi della sua morte dai giornali. Era annegato nel Tevere, si parlava di suicidio ma io non ci ho mai creduto.”
“È una storia triste "osservò Howard- e può anche darsi che lei abbia ragione a non credere ad un suicidio, potrebbe trattarsi semplicemente di un banalissimo incidente ma non vedo come la sua morte possa essere, in qualche modo, collegata alle sue presunte scoperte.”
Il buttero non fece alcun commento, disse semplicemente:
“Spero che lei abbia ragione.” Nello stesso istante, Marco Nobili e sua moglie entravano nella locanda seguiti da Nora. Dopo i saluti, Marco si scusò per il ritardo adducendolo ai suoi impegni professionali che si erano, suo malgrado, protratti oltre l’orario da lui previsto. Una volta liberatisi dagli ingombranti paletot, i tre ritardatari presero posto:
“Allora, -domandò Marco- come vanno le tue ricerche sull’enigma della porta alchemica?”
“Sono praticamente ad un punto morto. "rispose- Inoltre, pare che insistere nel voler approfondire ulterior-mente la cosa, potrebbe rivelarsi a dir poco pericoloso. Così mi dicono, almeno.”
Howard raccontò la storia appresa poco prima dal buttero, avendo cura che lo stesso non si accorgesse di quan-to stesse dicendo.
“Non mi dirai che credi a certe fandonie spero.” "esclamò Marco-
“Certo che no, -rispose Howard- anche se sarei curioso di sapere che cosa aveva scoperto, di tanto interes-sante, quello sfortunato studente.”
“Non credo che la tua curiosità potrà mai essere soddisfatta, purtroppo. "osservò Silvia- Tu, comunque, stai attento. Sebbene neanche io creda molto a certe superstizioni, non ti nascondo che tutta questa storia comincia a preoccuparmi un po’.”
“Ecco gli antipasti. "disse il buttero, facendo sobbalzare Howard che non lo aveva sentito arrivare alle proprie spalle- Il giorno dopo Howard, fermamente deciso di trovare il bandolo della matassa, preparò tutti i suoi appunti. Questa volta era diretto alla biblioteca Alessandrina. Disse a Nora di prepararsi ad una lunga e dura giornata di lavoro. Aveva la stessa sensazione di quando si perde un oggetto nella propria casa, si cerca in ogni angolo, si mettono i cassetti in subbuglio e poi quando hai perso ogni speranza di trovarlo ecco che spunta da solo, proprio dal posto in cui non avresti mai pensato che fosse. Allo stesso modo, sentiva che la soluzione era vicinissima ma non riusciva a vederla. La giornata fu proprio come Howard aveva previsto: lunga e noiosa. Infatti, nonostante avesse consultato almeno una cinquantina di testi non era riuscito a trovare alcunché di interessante. Era ormai giunta l’ora della chiusura ed Howard, assorto nei suoi pensieri, sembrava non darsene alcuna pena. In realtà aveva completamente perso la cognizione del tempo.
“Mi scusi signore, -gli disse l’impiegato con molto garbo- volevo avvisarla che mancano dieci minuti alle 18 e siamo in chiusura.“
“Ha ragione, -rispose- non immaginavo si fosse fatto così tardi ma stia tranquillo non ne avrò ancora per molto.”
L’impiegato guardò l’orologio e con rammarico soggiunse: “mi rincresce, signore e mi scusi ancora per la mia insistenza ma quel libro andrebbe restituito. Come dicevo siamo in chiusura. Però se lei ha ancora bisogno di quel testo ed è in possesso della nostra tessera, può chiederlo in prestito.”
“Purtroppo non ho alcuna tessera "disse- ma ciò che mi interessa è contenuto in queste due pagine, sarebbe possibile fotocopiarle?”
“Ma certo, dia pure a me.” Il volto di Howard esprimeva tutto il suo compiacimento. Nora si chiedeva a cosa potesse attribuirsi tanta soddisfazione. Certo aveva trovato qualcosa di molto interessante, forse la chiave del mistero, ma non gli chiese nulla e lui non fu più eloquente. Prese le fotocopie, le piegò accuratamente poi le ripose in tasca come delle preziose reliquie. Guardò quindi Nora negli occhi ed al suo sguardo incuriosito rispose: “ci siamo, mia cara, ci siamo!”
Giunti in albergo Nora continuava ad osservarlo mentre si metteva in libertà. Lo sentì addirittura canticchiare mentre si faceva la doccia. Alla fine non riuscì a trattenere la sua curiosità e prese le fotocopie che Howard aveva appoggiato sullo scrittoio ed iniziò a leggere mentalmente:
“La piramide Cestia fu costruita appunto da Caio Cestio nel 20 a. C. circa, il quale l’avrebbe voluta come sua tomba, così come facevano gli antichi faraoni d’Egitto. Essa è alta all’incirca 36 metri ed ogni suo lato ne è lungo 30. Il monumento è costituito dal nucleo centrale in calcestruzzo rivestito di blocchi di marmo bianco di Carrara. Le iscrizioni esterne del lato orientale narrano come questa fu costruita in soli 330 giorni.
Infatti, gli eredi di Caio Cestio furono costretti ad erigerla, in così breve tempo a causa di una postilla testamentaria la quale prevedeva la costruzione di una tomba a forma di piramide, da completarsi entro il termine perentorio di 330 dì, pena la perdita dell’eredità. Si accede all’angusta camera funeraria dalla volta a botte, attraverso una piccola apertura nel lato occidentale che conduce ad uno stretto cunicolo in laterizio.”
“Era alla piramide Cestia che si riferiva l’indovinello.” "disse Nora come se pensasse ad alta voce.”
“Infatti. -rispose Howard che in quel momento usciva dal bagno, con indosso l’accappatoio- Ora è tutto chiaro: se rifletti sulla frase, nel punto in cui dice IN AMOR E PER DONARE, vedrai che oltre all’anagramma amor che sta per Roma, ve ne è un altro ovvero donare che sta per denaro poiché fu proprio per denaro che la piramide venne costruita dagli eredi in trecentotrenta giorni per non perdere l’eredità, vale a dire trecento trenta “id” e cioè non il pronome latino “questo o questa” ma dì scritto al contrario ovvero “giorno o giorni.”
“Credo che le tue deduzioni siano giuste, "disse Nora- ma ora quale sarà la prossima mossa?
“La prossima mossa dovrò giocarla senza il tuo aiuto ed in piena libertà di movimento.”
“Cosa intendi dire?”
“So che non ti piacerà, "rispose Howard- ma dopo cena dovrò compiere un’escursione notturna dalla quale preferisco tenerti fuori, non per timore o per superstizione ma perché da solo sarà più facile riuscire ad entrare all’interno della camera sepolcrale della piramide. D’altronde anche la scritta sulla porta invita ad andare avanti SI SEDES NON IS e cioè se siedi non procedi. E se provi a leggerla al contrario ti accorgerai che è una frase palindroma: SI NON SEDES IS vale a dire se non siedi procedi. Tutto sembra quindi invogliare il lettore a non abbandonare l’impresa ed io non ho nessuna intenzione di sedermi.” Nora cercò in tutti i modi di dissuaderlo dal suo intento ma Howard riuscì a convincerla che non c’era alcun pericolo e che sarebbe stato via soltanto lo stretto necessario. Al suo ritorno, era certo, avrebbe potuto svelarle la soluzione del mistero.
Erano passate soltanto un paio d’ore dal momento in cui Howard, finita la cena, si era allontanato. Nora, in vestaglia, camminava nervosamente nella camera d’albergo con il televisore acceso. Era appena mezzanotte ma ella non si sentiva affatto tranquilla, l’ansia non le permetteva di addormentarsi. Di tanto in tanto si sedeva sul lato destro del letto coprendosi le ginocchia con la coperta. Cercò di convincersi che Howard aveva ragione nel dire che non correva alcun pericolo compiendo quella stravagante uscita notturna ciononostante, involontaria-mente, le ritornavano in mente i vari episodi inspiegabili e le storie degli strani avvenimenti che secondo la tradizione sarebbero avvenuti nel corso dei secoli intorno alla famiglia degli Hortis. Si ricordò all’improvviso delle pillole che Howard era solito prendere per la sua insonnia, erano lì sul comodino. Forse una di quelle l’avrebbe aiutata a prender sonno così da evadere l’angosciosa attesa. Al suo risveglio avrebbe certamente trovato Howard addormentato al suo fianco. Il medicinale fu rapido ed efficace, in meno di dieci minuti la giovane donna dormiva profondamente ma il suo respiro era ansimante come quando si fa un brutto sogno.
L’ambiente era buio, si trattava di un corridoio molto stretto. Howard avanzava illuminando con la torcia elettrica il pavimento polveroso. Finalmente il lungo cunicolo terminò, davanti a lui si apriva una piccola camera anch’essa buia e polverosa, al suo centro un grande sarcofago di marmo circondato da bassorilievi di epoca romana. L’uomo girava intorno al sepolcro illuminando qua e la alla ricerca spasmodica di qualcosa. Poi un tenue bagliore sembrò scaturire dal centro del soffitto. Un piccolo puntino di luce bianca, quasi fosforescente che pian piano, ingrandendosi, prendeva forma, una forma sempre più chiara e definita quella di una donna ma il suo corpo non era reale ci si poteva vedere attraverso. L’ectoplasma si avvicinò scivolan-do verso Howard che, atterrito, si era rannicchiato in un angolo della angusta camera. Poi si diresse dall’altro lato della stanza passando attraverso il sarcofago. Si pose di spalle contro il muro e con la mano sinistra indicò un punto preciso della parete quindi sparì e l’ambiente ricadde nella semioscurità rotta soltanto dal fascio di luce emesso dalla torcia di Howard.
“Mio Dio, -pensò Nora svegliandosi- era solo un sogno, un orribile sogno.” Allungò la mano verso il co-modino ed acceso il lume ebbe un’amara sorpresa: il posto di Howard era ancora intatto. Dalla finestra, attraverso uno spiraglio tra le spesse tende entrava un sottile raggio di luce. Guardò l’orologio, segnava le 8, 30. L’angoscia la assalì ma cercò, per quanto le riuscisse, di mantenere la calma ed afferrato il telefono chiese la linea esterna. Compose nervosamente il numero di Marco Nobili più volte ma il segnale dava occupato. Dopo l’ennesimo tentativo, finalmente, la linea si era liberata e la voce di Silvia le rispose. Nora le spiegò veloce-mente quanto era accaduto ed infine che era in preda al panico e che non sapeva cosa fare.
“Ora calmati, -disse Silvia con voce rassicurante- sono certa che Howard sta bene e che non gli è accaduto nulla di male. Solo il tempo di vestirci ed io e Marco saremo da te poi insieme andremo a cercarlo.”
Purtroppo, dopo aver passato l’intera mattinata nell’affannosa ricerca del professore inglese, Nora e i due amici non erano riusciti a trovarne traccia. Marco somministrò un tranquillante alla povera Nora ormai preda di una crisi nervosa. Avevano ripercorso tutti i probabili movimenti di Howard dal momento in cui si era allontanato dall’albergo per recarsi alla piramide Cestia ma questa non era aperta alle visite del pubblico. Avevano chiesto nei vari bar aperti anche di notte ma nessuno lo aveva notato.
“Ora voi due resterete qui in albergo "disse Marco alle due donne- e cercate di riposare un po' mentre io andrò a fare il giro delle varie stazioni di polizia. Non appena avrò notizie vi chiamerò.”
Sembrava impossibile ma Howard era come sparito nel nulla. Dopo aver girato quasi tutti i commissariati di polizia del centro, Marco era veramente scoraggiato, non sapeva più cosa pensare. Ma come gli era venuto in mente di uscire di notte per cercare di introdursi di nascosto nella piramide? Poteva almeno avvertirlo prima di agire così sconsideratamente. Ormai era quasi buio e Marco si trovava nei pressi del Tevere, era molto preoc-cupato per le sorti del suo amico tanto che inconsciamente stava quasi per pensare al peggio, quando al-l’improvviso ricordò che nei paraggi doveva trovarsi l’ennesima stazione dei carabinieri, forse l’unica che non aveva ancora visitato.
“Buonasera, -disse all’uomo in divisa- dovrei denunciare una scomparsa.”
“Mi dia le generalità del soggetto.”
“Il suo nome è Howard Breadley, nato a Kingston, è un professore inglese di storia dell’arte.”
“Ha detto Breadley vero?... inglese. Lei lo conosce bene?”
“Certo, -rispose Marco- lo conosco da vari anni. Ma perché mi fa questa domanda? Forse sapete dove si trova?”
“Già, -disse l’appuntato- l’abbiamo trovato vicino al fiume, stava per buttarsi di sotto, l’abbiamo preso giusto in tempo. Ora è di là, il commissario lo sta interrogando.”
“Sia lodato il cielo. "esclamò Marco risollevato- Mi permette una telefonata? "soggiunse- vorrei chiamare sua moglie per tranquillizzarla.”
Il rilascio di Howard non fu semplice come Marco pensava, infatti anch’egli fu chiamato nell’ufficio del commissario e sottoposto ad una sorta di interrogatorio finché non fu ben chiara la sua identità. Per il povero Howard che continuava a sostenere la tesi di essersi sentito male e di essersi affacciato al muretto del ponte senza alcuna intenzione di suicidarsi, si dovette scomodare addirittura l’Ambasciata Britannica per accertare la sua posizione e fu solo a sera ormai inoltrata che i due furono, alfine, rilasciati. Una volta in strada, Marco chiese ad Howard come si sentisse.
“Non mi sono mai sentito così stanco, -rispose- riesco a stento a tenere le palpebre aperte.”
“Lo credo bene, -disse Marco- non chiudi occhio da almeno due giorni e una notte. Ora ti accompagno in al-
bergo così potrai mandar giù qualcosa di caldo ed andare subito a letto ma adesso mi vuoi spiegare cosa ti è successo?”
“Ti prego, non chiedermi nulla ho bisogno di rimettere ordine nella mia mente. L’esperienza di stanotte è stata davvero agghiacciante e come se non bastasse un’intera giornata al commissariato a reso i miei nervi a pezzi. Mi hanno tempestato di domande e nello stato di confusione in cui mi trovavo c’è mancato poco che non rivelassi della mia intrusione nella piramide, per fortuna sono riuscito a tacerla. Tutto sommato è grazie a quei carabinieri che sono ancora qui a parlarne. Se non mi avessero fermato in tempo sarei certamente finito in fondo al fiume.”
“Non vorrai dirmi che eri veramente intenzionato a suicidarti. "disse Marco- Che motivo avevi per fare un
simile gesto?”
“Nessun motivo. "rispose- Non so neanche come sono arrivato dalla piramide al Tevere, é uno spazio di tempo che sembra essersi cancellato dalla mia memoria. Grazie a Dio è tutto finito ed io posso ritenermi davvero fortunato.”
Arrivati in albergo, i due, oltre alle loro mogli trovarono ad attenderli anche Gianluca Ortis e sua moglie Isabella. Howard raccontò ancora una volta quanto gli era accaduto dal momento in cui i carabinieri lo avevano trovato sul fiume fino all’arrivo di Marco. A quel punto, però, tutti volevano sapere cosa fosse accaduto nella piramide e cosa avesse scoperto.
“Domani è la vigilia di Natale, "disse- e se non sbaglio saremo tutti a cena qui in albergo, propongo quindi di vederci un’ora prima di cena così da potervi raccontare tutto quanto, compresa la soluzione del mistero……. Si, l’enigma è ormai svelato!
Marco annuendo salutò l’amico abbracciandolo, così fece anche Silvia.
“Vi mando subito una buona cena per due "disse Ortis prima di uscire dalla camera di Howard- ma si ricordi che domani dovrà raccontarci tutto, pendiamo dalle sue labbra.”
Finalmente soli Howard e Nora si abbracciarono lungamente.
“È stato terribile, -disse lei- ho avuto tanta paura, paura di non rivederti più. Ma dimmi che cosa è successo dentro il sepolcro, cosa hai visto.”
“Calmati cara ora è tutto finito, se avrai un attimo di pazienza saprai ogni cosa.”
Il flacone delle compresse di Howard era ancora lì sul suo comodino e lui, quasi meccanicamente ne prese una e la ingoiò anche se forse, quella sera, non ne aveva alcun bisogno. Nel frattempo la cena era arrivata ed il profumo che veniva dal vassoio era a dir poco invitante mentre il calore dei termosifoni cominciava a far sentire il suo tepore. L’effetto del sonnifero abbinato alla stanchezza non tardarono a farsi sentire. Gli occhi di Howard tendevano a chiudersi ma si sforzò così da riuscire a consumare la sua cena. Infine scusandosi con Nora rimandò ogni discorso al giorno dopo, quindi fece l’unica cosa che in quel momento riuscisse a fare: sdraiarsi sul letto e dormire.
Erano le cinque del pomeriggio della vigilia di Natale e Nora decise che era ora di svegliarlo. Fino a quel momento non ne aveva avuto il coraggio, non lo aveva mai visto dormire così profondamente ma ormai mancavano solo due ore alle sette ed Howard aveva ancora indosso gli abiti del giorno prima. Cercò di rendergli il risveglio gradevole con il suo tea preferito, lo aveva portato lei stessa dall’Inghilterra.
“Credo di non aver mai dormito tanto in tutta la mia vita, "disse- benché ne avessi proprio bisogno.”
Si alzò pigramente dal letto e si portò davanti allo specchio stiracchiandosi. Nora era dietro di lui già vestita di tutto punto.
“Sei stupenda, come sempre. "disse- Guarda io, invece, come sono ridotto ho proprio bisogno di rimettermi in ordine, accidenti è già tardi.” " esclamò guardando l’orologio- In realtà ebbe tutto il tempo di fare ogni cosa con la massima calma, contemporaneamente Nora insieme a Silvia e ad Isabella stavano organizzando gli ultimi preparativi per il cenone e lo scambio dei regali. Alle sette precise Howard scese giù in salotto.
“Auguri professore.” "dissero tutti in un coro per niente sincronizzato-
Dopo gli auguri e qualche battuta di Ortis, quest’ultimo propose il suo ufficio come il luogo più indicato per quella “mini conferenza”, come la definì lui. Laggiù avrebbero potuto bere un buon bicchiere di Whisky completamente appartati e lontani da eventuali orecchie indiscrete.
Lo studio era gelido, Ortis si affrettò ad aprire la manopola del radiatore mentre gli altri prendevano posto sul divano. L’atmosfera si fece tesa e silenziosa. Howard bevve ancora un sorso del suo Whisky poi prese la parola: “Forse vi sembrerà strano per un uomo abituato a parlare di fronte a platee di parecchie centinaia di persone, trovarmi stasera di fronte a voi cinque ed essere emozionato ma probabilmente questa mia emozione è dovuta alla straordinarietà di ciò che sto per dirvi.
Per chi non conosce gli ultimi sviluppi delle mie ricerche, dovrò spiegare che la famosa frase segreta che non riuscivamo a trovare era celata negli scritti di Sigismondo Hortis. Devo dire che non fu facile capire che erano proprio quegli scritti a contenerla e che, se ci sono arrivato, è stato più per caso che per intuizione. Quando sovrapposi la pergamena forata sugli stessi, vidi emergere una frase priva di senso: “IN AMOR PER DONARE IN TRE CENTO TRENTA ID FU ERETTA. BENCHÈ ORIENTALE AD OCCIDENTE ELLA NASCONDE.” L’aiuto di mia moglie Nora fu determinante nella soluzione degli anagrammi contenuti nella frase che infine scoprii andava letta in tal modo: “IN ROMA PER DENARO FU ERETTA IN TRECENTOTRENTA GIORNI E BENCHE ORIENTALE ELLA NASCONDE AD OCCIDENTE.” Cominciai a consultare gli antichi testi delle biblioteche pubbliche di Roma nella speranza di scovare un monumento orientale che si trovasse qui a Roma ma tutto ciò che riuscii a trovare fu una miriade di obelischi egiziani. Questi, però erano da escludere poiché fabbricati in Egitto e solo successivamente traspostati a Roma. Quel che io cercavo, invece era qualcosa di orientaleggiante ma che fosse stato co-struito qui. Dopo lunghe e noiose ricerche avevo quasi perso ogni speranza di riuscire, quando all’improvviso, sfogliando l’ultimo libro mi balzò agli occhi la piramide Cestia, leggo dai miei appunti quanto era letteral-mente scritto: “La piramide Cestia fu costruita appunto da Caio Cestio nel 20 a. C. circa, il quale l’avrebbe voluta come sua tomba, così come facevano gli antichi faraoni d’Egitto. Essa è alta all’incirca 36 metri ed ogni suo lato ne è lungo 30. Il monumento è costituito dal nucleo centrale in calcestruzzo rivestito di blocchi di marmo bianco di Carrara. Le iscrizioni esterne del lato orientale narrano come questa fu costruita in soli 330 giorni. Infatti, gli eredi di Caio Cestio furono costretti ad erigerla, in così breve tempo a causa di una postilla testamentaria la quale prevedeva la costruzione di una tomba a forma di piramide, da completarsi entro il termine perentorio di 330 dì, pena la perdita dell’eredità. Si accede all’angusta camera funeraria dalla volta a botte, attraverso una piccola apertura nel lato occidentale che conduce ad uno stretto cunicolo in laterizio.” A questo punto mi fu tutto chiaro. Vi renderete conto che per me era ormai impellente un sopralluogo, decisi che lo avrei effettuato quella stessa sera, avevo un unico ostacolo, mia moglie che sicuramente e giustamente avreb-be osteggiato questa mia iniziativa. Ma non fu tanto difficile convincerla che non c’era alcun pericolo per me. So bene che non era tranquilla ma pur di accontentarmi fece finta di crederci mascherando la sua angoscia. Mi armai di alcuni attrezzi, quelli che secondo la logica sarebbero potuti servirmi e li misi nella mia borsa porta-carte, quindi uscii per affrontare quella eccitante avventura. Arrivai alla piramide e mi diressi alla parte oc-cidental, scrutai tra le erbacce e con la mia torcia elettrica individuai quasi subito l’ingresso del cunicolo. La e parte difficile fu riuscire ad entrarvici. Dovetti ricorrere al mio coltello multifunzioni ed usare la piccola sega per eliminare alcuni rami che ne ostruivano il foro d’entrata. L’interno era angusto e maleodorante, la mia tor-cia riusciva ad illuminare un’area molto limitata ma riuscivo almeno a vedere ciò che calpestavo e ad evitare i topi che disturbati dalla mia intrusione sfrecciavano ai due lati dei miei piedi, senza contare le centinaia di altri piccoli esseri che marciavano come piccoli, neri soldati, ai due lati delle difformi mura. Tutto ciò era solo un divertente preludio a ciò cui avrei assistito poco dopo. La camera sepolcrale era piccola ed il sarcofago marmoreo, al centro di essa, era ornato di bassorilievi di epoca romana che denotavano chiaramente l’influenza dell’arte greca. Stavo contemplandolo per dargli una datazione approssimativa ma non ne ebbi il tempo, una piccola fiammella comparì dal nulla, la vidi ingrandirsi sempre più e prendere forma fino a diventare chiara e precisa, quella di una donna, il fantasma di Fiorenza Hortis. Il suo corpo emanava una luce bianca così intensa da illuminare chiaramente l’intera camera. Rimasi impietrito in un angolo mentre lei galleggiava a mezz’aria. Mi osservò per qualche istante poi mi voltò le spalle per dirigersi verso la parete opposta, puntò l’indice della mano sinistra in un punto preciso del muro poi così com’era apparsa sparì nel nulla. Tutta la scena avrà avuto la durata di cinque, sei minuti al massimo ma a me parve interminabile. La camera era di nuovo in penombra, con la torcia illuminai il punto indicato da Fiorenza e vidi che un mattone era decisamente sconnesso, provai a tirarlo via ma al primo tentativo non venne. Feci ricorso ancora una volta al mio coltello e rimossi alcuni residui di malta. Stavolta cedeva!! Illuminai l’interno del foro con la torcia, questo era profondo circa un metro ma conteneva solo polvere e fuliggine. Che senso aveva tutto questo? Con timore introdussi una mano all’interno e cominciai a palpare finché ebbi l’impressione di aver spostato qualcosa, qualcosa che probabilmente la polvere aveva nascosto al mio sguardo. Era di forma rettangolare, del tutto simile ad un libro. Pensai subito al diario degli Hortis ma non ci speravo molto e quasi stentavo a crederlo ma scoprii che non mi ero sbagliato. Lo appoggiai per terra e lo aprii mentre con l’altra mano reggevo la torcia, temevo che da un momento all’altro svanisse. L’emozione era tanta da non riuscire a frenare il tremore che mi pervadeva. Mi sedetti per terra ed aprii il libro in un punto dove le pagine erano divise da qualcosa che aveva uno spessore di qualche millimetro, era un frammento di specchio, talmente vecchio e consunto da non riflettere quasi più nulla. Lo misi in tasca pensando di esaminarlo più accuratamente in seguito. Ora dovevo scorrere le pagine del diario per scoprire il segreto che mi aveva coinvolto in quella assurda avventura. Sfogliavo febbrilmente le pagine per trovare la chiave del dilemma e finalmente trovai ciò che cercavo, la maledizione di Flotentia Hortis. Ora vi prego di prestarmi la massima attenzione e se ciò che dirò da questo momento in poi vi sembrerà assurdo fate conto di non averlo mai ascoltato. Seguirono alcuni, interminabili, attimi di silenzio, poi Howard riprese:
“Devo ammetterlo, -scrive Florentia- ero ossessionata dalla ricchezza e dal potere, avevo grandi aspirazioni ed ogni giorno la mia sete di denaro e potere cresceva a dismisura. Io, una donna venuta dalla strada, mi trovavo all’improvviso a sostenere la parte di una nobile cortigiana con tutti i vantaggi che una simile posizione può dare. Nella mia mente era ben chiaro che avrei giocato fino all’ultima carta per sfruttarli al massimo. Ero venuta in possesso del diario di Francesco Borri nel quale è contenuta una formula magica capace di tramutare i vili metalli in prezioso oro ma la mia bassa cultura non mi permetteva di decifrarla e quindi di utilizzarla. L’uomo che mi promise di aiutarmi era un grande conoscitore delle pratiche magiche, dell’alchimia e della negromanzia. Egli mi chiese il diario per poter effettuare gli esperimenti che avrebbero dato ricchezza e potere ad entrambi. Avevamo una relazione sentimentale da quasi due anni ed egli é il vero padre di mio figlio anche se, astutamente, feci in modo che il marchese Massimiliano lo credesse suo, solo così avremmo potuto raggiungere i nostri scopi. Avevo riposto tutta la mia fiducia nell’uomo che mi aveva resa madre ed ero certa delle sue capacità alchimistiche ma dopo tre mesi circa di presunti fallimenti la mia fiducia cominciò a vacillare, anzi iniziai ad aver paura, paura che volesse uccidermi così da eliminare l’unica persona che era a conoscenza di quel segreto. Il mio unico cruccio, in quel frangente era il futuro di mio figlio, che fine avrebbe fatto il bambino se, malauguratamente, sua madre fosse venuta a mancare? Mi affrettai a fare testamento lasciando quasi tutti i miei averi a lui ed una cospicua somma alla sua nutrice con l’obbligo da parte di questa ultima di accudirlo fino all’età di 18 anni. I miei sospetti si rivelarono fondati. All’improvviso l’uomo sparì dalla scena. Lo cercai lungamente ma sembrava che la terra lo avesse inghiottito. Promisi una somma di denaro a chiunque mi avesse fornito sue notizie e la voce si sparse nei bassifondi della città in men che non si dica e altrettanto velocemente riuscii a sapere dove era nascosto.
“A questo punto, -disse Howard- il racconto di Fiorenza si interrompeva, per riprendere dalla mano di Lorenzo Hortis, il quale cent’anni dopo venne in possesso del diario e che nel corso di una seduta spiritica invocò la sua antenata alla quale chiese della sua misteriosa sparizione.-
“Fui battuta sul tempo, -raccontò Fiorenza parlando tramite la bocca del medium- era evidente che la notizia del fatto che lo stessi cercando, era giunta anche al suo orecchio. Alla luce delle informazioni ricevute, stavo studiando un piano per scoprire i veri risultati dei suoi esperimenti e nello stesso tempo sottrargli il prezioso diario. Mentre ero assorta in tali pensieri, non mi avvidi che qualcuno arrivava di soppiatto alle mie spalle. All’improvviso sentii qualcosa stringermi alla gola, qualcosa di molto lungo e di resistente, come una lunga sciarpa di seta. La stretta si serrava sempre di più intorno al mio collo ma ebbi il tempo di vedere la sua mano destra, al mignolo portava un anello sormontato da una piccola testa di leone con due brillanti al posto degli occhi, lo riconobbi subito, era il suo anello. In punto di morte e con l’ultima riserva di fiato riuscii a lanciargli contro la mia maledizione: anche dopo morta l’avrei raggiunto e perseguitato per il resto dei suoi giorni fino a renderlo pazzo. Poi il mio corpo si accasciò sul pavimento privo di vita. In quello stesso istante sentii un campanile lontano battere dodici rintocchi, mentre una parte di me stava lasciando quel corpo per librarsi leggero come fumo verso il soffitto della stanza. Ora dominavo la scena dall’alto e vedevo chiaramente ciò che accadeva sotto di me: l’uomo prese le mie spoglie e le avvolse accuratamente nel mio mantello, poi mi mise le scarpe e prese il mio cappello preferito dalla cappelliera, fece tutto con molta calma e senza tradire la minima emozione. Quando ebbe finito la macabra operazione mi sollevò di peso e mi portò giù in strada dove una carrozza lo attendeva. Mi caricò nell’abitacolo e poi si mise a cassetta. Il trotto dei cavalli d’un tratto si fermò, eravamo nei pressi di Castel Sant’Angelo, proprio sopra il ponte. Si guardò intorno con circospezione e quando fu certo di non essere visto mi afferrò e come un misero fagotto di stracci fui gettata tra le nere, gelide acque notturne del Tevere. Quell’uomo spregevole, soddisfatto del suo operato, lasciò lì la carrozza e si allontanò velocemente sicuro che, quando il mio corpo sarebbe riaffiorato, tutti avrebbero pensato ad un suicidio e così fu
ma ciò che lui non poteva immaginare era che poco tempo dopo anche lui avrebbe subito la mia stessa sorte.
Dopo queste ultime parole il medium si ridestò dal trans, era evidente che lo spirito, era andato via.
Lorenzo Hortis per conoscere il seguito della storia dovette ricorrere alla sua governante, figlia della fedele nutrice di suo padre: ella narrava che l’uomo si era suicidato gettandosi nel Tevere, indossava una camicia da notte ed era scalzo, quasi come se l’uomo avesse raggiunto il fiume in stato di sonnambulismo. Ma per quale motivo, un uomo divenuto ormai ricco e potente, si sarebbe tolto la vita, rinunciando a tutto ciò che aveva ottenuto seppur disonestamente? La vecchia donna, pare fosse convinta che fu la mano di Fiorenza a spingerlo verso quella fine assurda, così come ella aveva annunciato lanciando il suo estremo anatema. "seguirono alcuni attimi di silenzio, poi Howard concluse: Questa è la leggenda degli Hortis così come è stata tramandata.”
“Molto affascinante, -disse Ortis con un pizzico di incredulità- ma il diario? che fine fece il diario?
“Aspettavo che me lo domandaste. -rispose- Fiorenza Hortis fu assassinata il 31 giugno 1675 e, da questa data ai successivi 50 anni, in questa storia, c’è una vera e propria eclissi. Non si conosce nulla della vita dell’unico figlio di Fiorenza e della sua nutrice, ne tantomeno del diario che ricompare sulla scena solo con il secondo Lorenzo degli Hortis, il quale afferma di aver trovato il diario nella soffitta della sua villa di Cerveteri il 31 giugno 1775, in un forziere della soffitta e che tale ritrovamento fu guidato da alcune misteriose impronte lasciate nella sua casa, impronte di piedi nudi bagnati che dall’ingresso conducevano fino in soffitta. Lorenzo lesse la parte del diario che tutti noi conosciamo e lo ripose nello stesso forziere in cui lo aveva trovato ma quando il giorno dopo, ritornò in soffitta con l’intenzione di riprendere il diario, trovò ancora delle impronte di piedi bagnati ma questa volta erano state lasciate da piccole scarpe femminili, il diario, però, era sparito. La leggenda finisce qui, -proseguì Howard estraendo dalla tasca del suo cappotto un vecchio libro- e questo è il famoso diario che tanto ci ha fatto penare. L’ho rinvenuto nel sepolcro della piramide in un foro della parete che lo spirito di Fiorenza mi aveva indicato. Tra le sue pagine ho trovato questo frammento di specchio. Credo fosse stato fabbricato dall’amante di Fiorenza che, con i suoi esperimenti era riuscito ad ottenere il famoso electrum magicum grazie al quale divenne ricco e famoso come mago e veggente. Infatti pare che in questi specchi si potessero vedere cose e persone al di là del tempo e dello spazio. Una attività che all’epoca bisognava esercitare con la massima discrezione ma che godeva di grande considerazione presso le case dei ricchi.”
Intanto il ristorante andava riempendosi di festosi di clienti che avevano prenotato per il cenone della vigilia di Natale, l’ora di cena era ormai prossima ed i camerieri cominciavano a girare tra i tavoli con i primi vassoi colmi di antipasti. Tra il mormorio dei commensali ed il tintinnio delle stoviglie nessuno si accorse della misteriosa figura seduta al tavolo in fondo alla sala: una bellissima donna dai capelli corvini e dal corpo avvolto in un grande mantello di seta amaranto. Intanto, al tavolo di Howard, gli occhi di tutti erano puntati sul diario. Ognuno di loro fu come assalito da un incontenibile desiderio di toccarlo. Passò di mano in mano e quando, finalmente arrivò in quelle di Ortis disse:
“È proprio lui. Non rischierò di perderlo una seconda volta, lo metterò subito al sicuro, siatene certi.”
La donna dal mantello rosso si diresse con passo leggero verso Ortis, nel suo incedere sembrava quasi che pattinasse e quando furono l’uno di fronte all’altra, lei lo fissò dritto negli occhi finchè l’uomo non rimase come ipnotizzato. Lui porse il libro alla donna che con un sorriso lo prese per poi farlo sparire sotto il lungo mantello. Tutti guardavano incuriositi quella strana scena ma l’espressione di Howard non era di curiosità ma di sgomento. Tutto si svolse in un baleno e prima ancora che qualcuno dei presenti potesse dire o fare qualcosa, la donna era già sparita e con lei il diario.
“Era lei vero? "chiese Ortis-
“Si! "rispose Howard- Credo che nessuno sentirà più parlare ne di lei ne del diario. Qualcuno doveva consegnare quel libro nelle sue mani senza opporre resistenza e spontaneamente per far si che il suo spirito potesse riposare in pace ed è proprio ciò che lei ha fatto, mio caro Ortis. Ora non ci resta che dimenticare tutta questa storia e far finta di non averla mai conosciuta.”
“Ma ci sono dei promemoria, -l’apostrofò Ortis- le mie pergamene ed il pezzo di specchio che lei ha ancora nella sua tasca.” Howard mise la mano nella tasca della sua giacca ed estrasse il pezzo di specchio che appena fu alla luce si sgretolò in minuscoli granelli di sabbia. Ortis si precipitò nel suo studio per accertarsi che le sue pergamene fossero ancora al loro posto, ma al suo ritorno……...
“Nulla, -disse - null’altro che polvere.”
“Si è convinto ora, -replicò Howard- che la maledizione di Fiorenza è giunta alla sua conclusione?
“Guardate. "disse Nora indicando il pavimento-
Le piccole scarpe bagnate della misteriosa signora dal mantello di seta avevano lasciato una lunga fila di impronte.
“Ad ogni modo non possiamo permettere che questa magnifica cena si freddi ma prima sarà opportuno che qualcuno si occupi di asciugare quell’acqua dal pavimento prima che qualcuno si faccia male scivolando. Chiamerò il cameriere…lei giovanotto, si dico proprio a lei, potrebbe incaricare qualcuno di asciugare quell’acqua dal pavimento? Qualche cliente potrebbe scivolare.”
“Ma quale acqua, signore?”
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