L'anagrafe mi rende Ida, Sivori Ida.
Ero figlia di giostrai, mantovani, ma con parenti benestanti nel milanese. Adesso non sono figlia di nessuna.
Avevo una sorella, è morta suicida d'amore, anche un fratello avevo, ma lui è morto in Africa.
In Africa.
“Cara, in Africa”.
“Te me disei mica che el to toso el gavea el pare che el vegnea da là zo'?”
Ero anche sposata, ma poi ho divorziato.
“Eh ma mica el me porta a leto, quel lì, se no el me mantién, sfaticato!”.
Avevo una figlia, è morta di tumore, poi è venuto un figlio che è da qualche parte su in Olanda, avrei un'altra figlia, a Busto Veronese.
“Chi l'ha più rivista quela là”.
L'Africa. La prima guerra.
Credo.
Ho tanti anni non mi ricordo mica più bene le cose.
Mia sorella dovrebbe essere morta nel '27.
“Eco, abitavimo vizìn a la pasticceria de to nono”.
Viale Garibaldi. Ma all'angolo.
All'epoca della guerra, la guerra seconda, ho lavorato in fabbrica.
“Vien qua che te fao vedar... vien qua anca ti, varda...'sto qua l'è el foieto de le paghe. Lo tenio ancora sempre in borsa”.
Come faccio ancora ad avercelo, non lo so nemmeno io.
Sono sorda, porto occhiali spessi come due fondi di bottiglia, perché forse in fondo sono due fondi di bottiglia. Le infermiere mi nascondevano i dolci. Ma adesso che ci vedo bene sono io a nasconderli a loro.
Ho un naso aquilino, sfoggio una pelle bellissima ancora, da ragazza.
“Eh, cicia”.
Proprio come te.