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Farfalle nello stomaco
Artemisia si svegliò con il “Ti amo” che il marito le sussurrava all’orecchio tutte le mattine.
Aspettò il trillo della sveglia abbracciata a lui.
Si sentiva il corpo, ancora addormentato, carezzato dai suoi occhi.
Consapevole di quanto la desiderasse, si compiaceva quando lui si eccitava al pensiero del suo muoversi lento, di quello strano stringere dal di dentro, di quella pausa frenetica, ed al tempo stesso, immobile, simile all’attimo infinito che c’è tra l’inspirazione e l’espirazione.
Quel ritmo, mai sentito prima in altre donne.
Ma quella mattina, ed in quella stanza, illuminata appena da uno splendido sole, Artemisia non vide però il marito, ma l’uomo conosciuto in palestra.
Ne era stata folgorata, e da quel giorno aveva impressa nell’anima l’immagine armoniosa di quei muscoli, di quel viso altero, di quel cranio rasato che racchiudeva un’intelligenza pronta e fascino, tanto fascino, e decise, quel pomeriggio sarebbe andata a trovarlo.
Ricordò con imbarazzo, e solo per un istante, di essersi già presentata, vestita solo con due gocce di profumo, nel negozio del suo precedente amore.
Quella volta si accontentò però di fare solo del sesso, e per giunta fatto male, sul tavolo ingombro di scartoffie e cazzate varie, in un luogo puzzolente e privo di luce naturale.
Fu veramente delusa di quell’uomo, e, in attesa che il poveretto trovasse il coraggio di una erezione degna di questo nome, si perse nella lettura dei post-it appesi come fazzolettini sulla mensola che aveva davanti a sé.
Tornata al presente, Artemisia, prese comunque la decisione di andare dall’uomo conosciuto in palestra.
Domandò al marito dove si sarebbe trovato quel pomeriggio e alla sua risposta sorrise, lo baciò, e scese dal letto.
All’ora di pranzo coraggiosamente fissò un appuntamento e, poco più tardi, si presentò allo studio di lui.
Fu ricevuta dalla segretaria che, cortesissima, l’annunciò.
Quando entrò nella stanza e lo vide, Artemisia capì che quell’uomo, e solo quell’uomo, era in grado di amarla e rispettarla veramente.
Lei non indossava nessuno degli orpelli atti alla seduzione, come quei volgari vertiginosi e un po’ grotteschi spacchi che malcelano lingerie tristi e costosissime che Artemisia vedeva troppo spesso su donne non più giovanissime indaffarate ad impacchettare corpi molli ed in declino.
No, lei non era così, sapeva di possedere altro, aveva intatta la sua innata passione per il ritmo.
Si spogliò senza dire nulla, con la semplicità e sensualità che sentiva crescere sempre più e che stava permeando l’aria rimbalzando sul corpo perfetto di lui fino a ritornarle amplificato.
Tutti gli oggetti sulla scrivania cambiarono di colpo di posto, come fossero coriandoli accumulati dal vento in angoli di strada il primo giorno di quaresima.
Fu una danza di emozioni, fantasia innocente e senza limiti.
Quando il terremoto cessò si abbracciarono esausti, felici ed innamorati.
Il pomeriggio volgeva ormai al termine.
Artemisia di colpo tornò in sé.
Si ricordò del bucato in lavatrice, dimenticato da giorni, della casa abbandonata dopo il passaggio di tori e cavalli camerguegni, della coccola non ancora fatta alla sua amica gatta, dei compiti da far fare ai bambini e poi ancora farsi la doccia e…. aspettare il ritorno del marito per l’aperitivo.
Si rivestì di fretta, prese tra le sue mani il viso splendido dell’amato, gli baciò entrambi gli occhi, la punta del naso e le labbra e gli sussurrò all’orecchio:
“Che ti faccio stasera per cena?”
Lui le lanciò un’occhiata beffarda e le rispose:
“Riso in busta e Nero d’Avola ovviamente. Ma prima c’è il nostro aperitivo nella nostra casa e … domani pomeriggio si va in palestra, altrimenti, e ne avrei di diritto, chiedo il divorzio.”
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