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ma quanto è alto un albero
“Gianni scendi”
Cristo è gennaio. Che senso ha?
“Ma che senso ha?”
Sento la mia voce rimbombare all'altro filo del telefono. Gracchio.
“Voglio dire... ma che senso ha? A gennaio. Arrampicarsi su un albero”
Cammino spedito. Ansimo.
“Giulia?”
“Sì”
“Ma ci sei ancora?”
“A me hanno detto si tratta di un incidente domestico”
Poco importa di quello che dicono.
“Ah”
“Ma del tipo una scossa, il frullatore? Che intendi, si è segato una mano?”
“Ma che importa come dico, cosa dicono. Un incidente domestico. Di quelli seri”
Perché, cadere da un albero è uno scherzo? Si gioca ancora sugli alberi a 45 anni?
“Dai Gianni scendi!”
“Lo so che sei bravo a fare la scimmia lo so”
“Dì Luìs, sto solo potando i rami malati di questo faggio... Che problema c'è?”
Il due di gennaio! Cristo.
“C'è la colazione pronta sul tavolo”
Con i rami rivestiti di ghiaccio.
“Il thé si fredda”
E poi è un olmo!
“Olmo. È caduto da un olmo”
Qui la faccenda si fa dannatamente triste. È quasi vergognoso morire per essere caduto da un albero. Quante persone muoiono all'anno perché cadute da un albero? Non si vergogneranno un pochino?
“Giulia?”
...
“Ti sento a scatti”
Ho il tempo di rileggere l'articolo sul giornale.
“Sì”
“Eccoti”
“Non ci credo”
Dillo a me. Che lo sto rileggendo. Il professore stimato eccelleva bla amatissimo dagli studenti blabla lascia un vuoto per una cosa poi che faceva sempre blablabla.
Sono roba da non crederci, i fatti. Un professore di latino e greco, tu hai studiato latino e greco, li ha imparati grazie a lui. Ora scopri che potava sempre gli alberi delle sue tenute familiari, e oplà, ora cade, giù, e muore.
Sembra una cosa indecorosa.
Oh. Guarda qui. Era il nipote del podestà di Lazise.
Scorgo il lago. Si staglia al di là della siepe.
“Se si tratta solo di quello dico io, potevi curare la siepe guarda qui, quanto è disastrata”
“Insomma dai non fare l'idiota! Che cosa, se ti succedesse qualcosa di grave”
Silenzio
“Ma non lo starai mica sperando?”
Un sussurro? Cos'hai detto? Ti ho sentito, un sussurro.
“Cosa diavolo?”
È un attimo.
Ti volgi la scarpa manca l'appoggio la scarpa ti volgi e capitomboli.
Giù.
Avevi undici anni o poco più. Eri arrivato in Brasile per l'estate. La spiaggia era infinita quasi non si vedeva il mare. Tante palme attorno a noi. Ti arrampicavi sugli alberi di mango da lassù mi chiamavi quanto in alto eri tu.
Con il sole che ti stava alle spalle.
Solo quando alzavo gli occhi e mi riparavo da tanta luce mi lanciavi con forza quei frutti. Alcuni li prendevo al volo ma altri, altri si frantumavano per terra.
“Finirai anche tu così un giorno!” piagnucolai.
E la tua faccia impiastricciata di mango che mi veniva incontro. Un filo impaurita.
Si era spezzato un ramo e tu, tu non eri stato abbastanza veloce da aggrapparti ad un altro.
Quanto è alto un albero? Pensavo di continuo. Vedendoti cadere quel giorno non so, ho creduto fosse un'altezza inestimabile.
Sette metri. Hai planato per sette lunghissimi metri. Sei rovinosamente planato da un'altezza di sette metri.
Avessi undici anni e fossi caduto da un albero di mango, ora mi guarderesti distrutto: le due braccia penzoloni, l'avambraccio destro uscito di asse, il gomito sinistro frantumato, le dita bloccate in pose innaturali. Le labbra una poltiglia, incapaci di emettere un suono che non sia rantolo.
Ma ora non emetti alcun suono. Non respiri nemmeno.
Un debole sibilo mi arriva alle orecchie, il lago si sta agitando.
Non ti muovi.
Una chiazza di sangue si allunga da sotto la tua testa, aperta, e si fa rivolo.
“Giulia”
Finalmente la mia voce non gracchia.
“Andiamo?”
Getto lo sguardo intorno, ci sono poche persone, mi trovo ad osservare uno strano ragazzo dai lineamenti sudamericani.
Giulia, penso. Ti devo afferrare la mano per condurti all'interno.
È striminzita questa stanza adibita a camera ardente.
C'è una ragazzina che piange a singhiozzi.
Diverse altre donne piangono, sempre un po' a singulti.
Pochi uomini ma quelli no. Non piangono.
Ovviamente c'è una bara al centro di questa minuscola e asfittica stanza.
Dentro questa bara riposa Giovanni, non la ricordavo così piccolino professore.
La testa è inclinata a sinistra, quasi accartocciata e avvolta nel bianco, una benda ricopre il cranio e tutta la fronte. Sul viso ti è rimasto impresso un sorrisino sornione.
Cosa dicevano i greci? Muore giovane chi è caro agli dei.
Ne dicevano di cose buffe quelli là.
È proprio un peccato che si debba morire allorquando si è cominciato a capire in che modo si sarebbe dovuto vivere.
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1 recensioni:
- interessate, originale, lo definirei quasi frizzante
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