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la donna nel cono d'ombra
Una stanza tappezzata di fotografie: rappresentano una donna in pose sensuali, in biancheria intima o abiti molto succinti; in altre è in compagnia di uomini, in ogni fotografia c’è un uomo diverso. La donna delle foto è seduta su una grande poltrona rossa, al centro della stanza. È molto bella, ha i capelli lunghi, scuri. Indossa un elegante tailleur scuro e gli occhiali da vista. Alla sua destra c’è una scrivania, è ricoperta di fogli di carta scribacchiati e pacchetti di sigarette. In un angolo c’è anche un posacenere ricolmo di cicche. Alla sinistra della donna c’è un piccolo frigorifero e un enorme armadio scuro. Lei fissa il vuoto, non muove un muscolo. Dopo pochi minuti si volta a destra, guarda la scrivania. Sorride con un’amara ironia, il suo sorriso esplode in una risata. Si alza e va verso la scrivania. Prende dei fogli a casaccio, li scorre, li lascia cadere a terra. Poggia le mani sulla scrivania e reclina il capo:
- “Versi sparsi, illusioni perdute…cosa ne rimane? Sono una poetessa che non scrive perché non sono ancora abbastanza in alto o…sono già sprofondata?”
Alza il capo, si guarda attorno allarmata:
- “No, sono ancora in piedi, ancora incatenata alla mia luccicante esistenza”.
Sfiora una delle fotografie attaccate alla parete, sorride, poi si dirige verso il frigorifero, si versa da bere, accende una sigaretta e torna a sedersi.
- “Sono soddisfatta della mia esistenza, della mia maschera ancora intatta. Io sono viva. Bevo vino, fumo e mi diverto giocando con i loro cuori. Bella la mia vita. Sono una donna di successo, ammirata e rispettata, corteggiata e desiderata. Vinco su tutti. Sono viva, sono ancora viva, nonostante tutto esisto ancora…no, lei esiste ancora. È lei che vive per me, è lei che mi ha portata fin qui e mi ha fatto avere questo successo. Mi ha educata, mi ha salvata. Lei è l’Altra. Ma se lei è l’Altra, io chi sono? Sono lei, si…che sciocca a fare simili pensieri! Io sono ciò che faccio vedere, ciò che gli altri credono di vedere…credono?”
Socchiude gli occhi ed inspira profondamente. Li riapre, sorride ancora:
- “Mi hai contagiata…si, mi hai contagiata…tutti i tuoi dubbi, le tue paure, mi hanno invasa. Mi scruti ancora? Lo fai sempre, con il pretesto di ammirare le mie fattezze. No, tu mi prendi in giro, tu scruti nel mio profondo e lo fai tremare. Non credere che potrai arrivarci…no, nessuno è mai giunto fin lì, nessuno mi ha mai fatto tremare…”
Nasconde gli occhi con una mano, sospira, scuote il capo. Strige forte il pugno e poi, con un gesto di rabbia, prende il bicchiere vuoto e lo scaraventa sul pavimento.
- “Perché sei arrivato? Sei stato una sciagura, una maledizione. Ti odio profondamente per quello che mi hai fatto. Perché sei salito sul mio treno? Non dovevo, non dovevo incrociare il tuo sguardo. Mi avevano messo in guardia. Avevo il mio porto sicuro e l’ho lasciato per girovagare su una distesa d’acqua, senza guida, senza punti di riferimento. Sono stata una stupida…una folle!
Si alza in piedi di scatto, si versa da bere e scola il bicchiere con un sorso; poi apre l’armadio e comincia a svuotarlo, buttando via molti capi d’abbigliamento, tutti di classe.
- “Vedi? Vedi il mio lusso, la mia eleganza? Le mie camicie, i miei cappotti, la mia biancheria…tutto testimonia l’amore che loro nutrono per me…sono regali, tutti regali: vestiti gioielli, profumi…testimonianze della loro adorazione per me! Come soffrono adesso! Sono stati deboli, troppo deboli e sono stati travolti…”
Fissa un angolo buio della stanza:
- “…ma non mi hanno mai avuta, sai? Non mi avranno mai, non sapranno cosa si nasconde dietro le mie vesti, dietro la mia pelle che trasuda desiderio…il loro desiderio che si materializza come profumo, il mio profumo. Sono avidi, sporchi cani, non meritano di avermi! Possono solo venerarmi…d’altronde sono un’immagine, una proiezione della loro lussuria, dei loro istinti più bassi! Luridi vermi che strisciano sulla merda del mondo, insinuandosi, fingendo l’amore che non hanno mai provato…sporchi bastardi!”
Torna a fissare il vuoto, ma il suo sguardo è ora rabbioso:
- “Ne ho annientati tanti…le fotografie lo dimostrano. Lui?" indica le fotografie della parete una ad una?" si è reso pubblicamente ridicolo per me, lui ha perso il senno, lui ha mollato la moglie, lui ha lasciato la sua città…potrei continuare a lungo. Dovevano spegnersi, maledire la loro anima marcia di desiderio, desiderio che non lasciava loro tregua, che non sarebbe mai stato appagato…”
Sfila gli occhiali e nasconde il volto tra le mani:
- “È dura, sai, la vita di un personaggio. Quando ti rendi conto di non essere altro che questo rimani smarrito, in preda ad un dubbio angoscioso: chi c’è dietro questa maschera? Se mai c’è stato qualcuno…o qualcosa…”
Fissa ancora l’angolo in ombra; il suo sguardo è colmo di dolore:
- “Non puoi saperlo…o forse lo sai già? Non ricordo, le parole che ti ho detto sono state talmente tante che faccio fatica a ricordarle tutte. Ero poco più che una bambina…cominciava così? È sempre la stessa storia che si ripete all’infinito nella mia memoria. Le parole di quel cane sussurrate al mio orecchio…non credevo di sentirle, avevo troppa paura…tremavo”
Dall’esterno si sentono delle voci:
- “Puttana!”
- “Sporca puttana!”
- “Stai ferma, porca!”
- “So che ti piace!”
- “Devi farmi godere!”
- “Senti? Sono ancora qui quelle voci, tutte dentro il mio cervello. Le sento ogni giorno da otto anni…rivedo il mio corpo, un pezzo di carne buttato su un tavolo…stava tremando; rivedo i miei occhi immobili, sbarrati…occhi che non piangono; il sangue, vedo anche quello…il mio sangue che macchia i miei pantaloni sfilati solo a metà…non sono mai riuscita a toglierla quella macchia…”
Il suo volto assume una strana espressione: i suoi occhi piangono, ma le labbra sono dischiuse in un timido sorriso.
- “Non c’è nulla che potrà cancellarlo, la mia anima è irrimediabilmente compromessa. Non funziona…non funziona! E tu? Cosa fai ancora qui? Perché mi fissi? È tutto inutile, non potrai mai conoscermi. Sei come tutti gli altri che si illudono di avermi, ma che non possono: non puoi afferrare il nulla! Avevo deciso: non avrei più tremato, mai più, dovevano essere loro a farlo, loro a temermi, quei cani! La mia anima era talmente colma d’odio da accecarmi. La finzione è diventata la mia arma più efficace. Li facevo miei fin nel midollo, per poi buttarli via, soli e disperati. Era quello che si meritavano…per me non c’era pace, non sarei mai guarita…”
Si alza, si sfila la giacca e comincia a girare intorno alla stanza. Accende un’altra sigaretta, la fuma nervosamente:
- “Ti odio. Al mio odio c’è un motivo preciso. Tu mi hai fatto tremare. Dopo otto anni ho tremato, ma non di quella stessa paura, no…era una paura diversa, dolce, sottile…non ridere di me, anche tu hai le tue testimonianze, le tue fotografie…mi hai avuta, come pochi hanno potuto fare, hai scrutato il mio animo e vi sei entrato. È stato in quel momento che ho tremato. So cos’era, era il timore della perdita. Tu non te ne accorgi, no, non puoi…sei troppo preso da te stesso, dai muri che quotidianamente costruisci per tenere il mondo lontano, dai tuoi ideali illusori. Sono tutte farse. Sono crudelmente sincera con te. È la mia piccola vendetta.”
Rimane in piedi, appoggiata contro la scrivania. Si accarezza il volto ed i capelli:
- “Tu mi hai avuta…tremavo tra le tue braccia! Dio mio…tremavo! Paura ancestrale, paura immotivata forse, ma paura concreta di quello che sarebbe successo dopo quel momento di piacere…paura della distanza, paura di vederti andare via, paura di essermi data inutilmente. No, non parliamone più…sei salito sul mio treno e non so a quale fermata scenderai. Il caso ha voluto il nostro incontro, ma saremo noi a decidere quando prendere strade diverse. Mi sbagliavo, non sei come gli altri: sei stupendamente diverso e ti odio per esserlo. Come un bambino curioso hai svelato il trucco del prestigiatore…”
Va verso l’angolo in ombra, ha un’aria di sfida:
- “Sei come me, un cane randagio…un essere mai guarito, ma adesso sarò io a pagarne le conseguenze. Tu hai avuto me, ma io non ti avrò mai. Perditi pure nelle tue utopie, nei tuoi sogni, fa pure! Non ti rimarrà nulla, vedrai! La vita non è un gioco, le persone non sono bambole di pezza, io lo so bene. Cosa mi è rimasto? Versi sparsi, abiti di classe, involucri di un’esistenza senza senso…sospesa sul nulla, su un mondo miserabilmente meschino?" sospira. La vita è come un viaggio in treno. Ci sono diverse stazioni, coincidenze, deviazioni; passeggeri che salgono, scendono…condividendo una breve parte del viaggio. Tuttavia, ci sono quelli che arrivano a destinazione con te; non per un caso o perché hanno la tua stessa meta, ma solo per condividere il viaggio con te: qualsiasi sia la loro destinazione, essi rimangono seduti accanto al tuo sedile. Queste sono le persone che vedrai quando sarai arrivato a destinazione e ti appresterai a scendere dal treno; saranno pochissime, oppure non ce ne sarà nessuna, dipende solo da te. Io ho già qualcuno che mi accompagnerà fino alla fine…tu? Tu chi hai con te? È questo che rende una vita degna …è tutto ciò che ci resta…”
Si inginocchia, nasconde il volto tra le mani e scoppia in lacrime:
- “Tieniti pure le tue utopie…tienile pure, insieme alle tue prese di posizione, ai tuoi ideali, fanne una barriera contro tutti, contro…me! Il mio destino è già segnato, guardati intorno, non c’è nulla al di fuori delle apparenze! Era tutto perfettamente illusorio prima che tu arrivassi, prima che mi strappassi la maschera! Ti odio, ti odio!”
Si alza in piedi, corre verso la poltrona, vi si accovaccia e sussurra sottovoce:
- “…et l’eau qui coule et s’écoule la couleur de tes yeux dans mes souvenirs…blessures encore blessées, sanglotants encore, vie qui survive et toi…rinasce da ceneri un cuore di donna, arde di pure passioni! sono ancora in vita, c’è ancora speranza…i miei versi! si…ho sentito…sulle mie carni affamate ho sentito la tua pelle, la tua bocca, la tua lingua insinuarsi…ecco la realtà : io sono ancora io e te lo dimostrerò!”
Si alza, si dirige nuovamente verso l’angolo oscuro:
- “Vaneggio da folle e come tale ti dico che è tutto sbagliato…le mie scarpe hanno i tacchi alti perché agli uomini piace la figura slanciata?" si sfila le scarpe?" la camicia è di seta, molto aderente, è per mettere in evidenza il seno?" sbottona la camicia bottone dopo bottone, lentamente, per poi togliersela?" anche la gonna è aderente, per sottolineare i fianchi morbidi…ogni uomo impazzisce all’idea di sfiorarli?" abbassa la cerniera della gonna e la lascia scivolare a terra?" il reggiseno? Serve per avere un seno più alto, per sbatterlo in faccia agli sguardi famelici?" si libera del reggiseno?" e queste…sono l’ultima barriera, quelle che nascondono la mia intimità, rendendola più appetibile?" si spoglia anche degli slip - . Eccomi…sono qui e sono io. Sono come mi vedi, senza accessori, senza fronzoli…sono io e non ho più la maschera, lo vedi dai miei occhi lucidi quanto sono sincera. Sono state le maschere a tenermi lontana dalla realtà, che mi hanno resa così falsamente forte. Ti metto di fronte la mia fragilità femminea, disposta a mettermi a rischio, perché stavolta non metto il cuore al sicuro…è qui sotto al mio petto…e tu? Tu sei disposto a togliere la maschera?”.
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