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Doppio intrigo per Norman Parker -conclusione-
Venerdì 25 febbraio ore 9, 00
Ho controllato il nostro casellario giudiziario e l’uomo denominato vittima numero due non risulta essere schedato. ?"affermò Gordon- Scoprirne l’identità non sarà semplice neanche per te caro Parker.”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe anche essere più facile di quanto tu possa credere.”
“Cosa intendi dire?”
“Vedi, mio buon amico, il fatto che quell’uomo sia stato trovato morto nel palazzo di Hunter, non indica necessariamente che l’autore del delitto debba essere il maestro, ma prova senz’altro che i due si conoscevano. Tuttavia se vuoi la mia opinione, credo che la cosiddetta vittima numero due sia la stessa persona vista dal custode salire da Hunter prima che quest’ultimo sparisse. Supponiamo che Hunter avesse un movente che lo avesse indotto ad ucciderlo, supponiamo anche che non vi era alcuna premeditazione. L’uomo si presenta senza preavviso a casa del maestro, entra nella sua casa e qualche minuto dopo scoppia un violento diverbio, Hunter perde il controllo e con il primo oggetto che gli capita sottomano sferra, senza misurarne la violenza, il colpo fatale. A questo punto, resosi conto di ciò che ha fatto, cade in una totale confusione, non vuole chiamare la polizia, forse non può. Inizia a fare cose senza senso. Per prima cerca di far sparire ogni traccia della visita dello sconosciuto pulendo le sue impronte sia dall’appartamento che dal ballatoio, poi cancella la stella che l’uomo, chissà perché, aveva disegnato sulla sua porta quindi indossa il mantello del malcapitato inclusi sciarpa cappello ed occhiali scuri. Esce dal palazzo e passando davanti alla guardiola saluta il custode che non si accorge del travestimento. Una volta in strada si libera del travestimento e si reca a teatro. Con insospettabile sangue freddo dirige la sua orchestra. Chi mai potrebbe sospettare che ha appena commesso un omicidio e che la vittima è chiusa nel suo appartamento? Durante il concerto, però, accade qualcosa che nessuno poteva prevedere: l’assassinio della cantante francese. Probabilmente per il maestro fu una sfortunata coincidenza, la polizia avrebbe concentrato la sua attenzione sulla morte della Bourgueis, di conseguenza anche lui sarebbe stato interrogato; si rendeva necessario far sparire quel corpo nel più breve tempo possibile.
Probabilmente aspettò che il custode andasse a dormire e poi salì nel suo appartamento, non sapeva proprio come disfarsi di quel pericoloso fardello. Forse fu proprio il cattivo odore che gli suggerì la soluzione: la botola era un ottimo nascondiglio per il corpo dello sventurato, ma doveva fare tutto silenziosamente. Dopo aver bloccato l’ascensore con il primo oggetto che gli capitò sottomano, scese a piedi dalle scale di servizio ed aperta la botola vi lasciò scivolare il corpo. Richiuse accuratamente e salì in casa, raccolse lo stretto indispensabile che poteva servirgli e partì per chissà quale destinazione, forse la sua terra d’origine.”
“Un racconto suggestivo, -osservò Gordon- ma pieno di lati oscuri, uno di questi è il motivo della lite oppure il significato della stella disegnata sulla porta. Anche il fatto che Hunter si sia preoccupato di pulire le impronte dell’uomo mi sembra stupido ed inutile, considerando che prima o poi il corpo sarebbe stato certamente ritrovato.”
“La risposta alla tua prima domanda potrebbe trovarsi proprio nel significato della stella a cinque punte che l’uomo aveva disegnato sulla porta di Hunter. Non dimentichiamoci che quel simbolo veniva usato nell’antisemitismo per identificare le abitazioni degli ebrei.”
“Non vorrai farmi credere che un uomo con un cognome come Hunter sia un ebreo?”
“Non lo sto affermando, -rispose Parker- sto solo continuando a supporre e visto che ci siamo, supponiamo anche che Hunter non sia il suo vero nome e che la vittima conoscendo la sua vera identità, lo ricattava con la minaccia di rivelare tutto.”
“Perbacco! Se i fatti si sono svolti veramente così, il nostro amico musicista si trova davvero in un mare di guai. C’è qualcosa, però, che non riesco a collegare ed è l’omicidio della cantante. Non riesco proprio a trovare un minimo legame che possa connettere i due crimini. Tu cosa ne pensi?”
“Hai messo il dito sulla piaga, amico mio. Sembrerebbe proprio che i due casi non abbiano alcun legame tra loro, eppure il mio intuito mi dice che non è così. Vedrai che prima o poi l’elemento catalizzatore salterà fuori. Per ora dobbiamo solo sperare di rintracciare Hunter; scommetto che una volta acciuffato potrà raccontarci qualcosa di molto interessante.”
“Se non hai nulla in contrario io andrei a prendere qualcosa da mangiare, è quasi ora di pranzo. ?"disse Gordon- Vuoi che prenda un panino anche per te?”
“No grazie, preferisco fare un salto a casa, oggi c’è il mio piatto preferito. Dopo pranzo andrò a fare una visitina in casa della Bourgueis, vorrei vedere la sua camera, magari sarò più fortunato di te. Tu, intanto, cerca di sapere se le fotografie dello sconosciuto che abbiamo distribuito, hanno prodotto qualche risultato. Non so se stasera riuscirò a ritornare in centrale, mal che vada ci aggiorneremo domattina.
I signori Bourgueis erano davvero una bella coppia di aristocratici: lei sui cinquant’anni, scura di carnagione e con degli occhi nerissimi, così come i capelli: neri e lunghi ma raccolti in una impeccabile acconciatura. Snella ma non molto alta, aveva un’aria severa. Il marito dall’aria sorniona doveva avere qualche anno più di lei; un uomo robusto ma non grasso, di media statura e con un paio di baffi bianchi ben curati ma un po ingialliti dal fumo. Di sicuro tra i due era il più socievole. Quando Parker chiese di poter dare un occhiata alla camera della figlia, fu proprio la moglie a porre delle difficoltà ma il tatto di Parker vinse ogni ostilità. I due lo accompagnarono al piano superiore ed gli aprirono la porta ma non vollero assistere alla perquisizione. Preferivano evitare di vederlo mentre frugava tra i ricordi della figlia. “Meglio così, -pensò Parker- da solo potrò lavorare senza preoccuparmi di urtare la loro sensibilità.”
L’enorme guardaroba addossato alla parete di destra conteneva decine e decine di abiti per ogni occasione, tutti di eccellente fattura e confezionati con le stoffe più costose. Modelli parigini molto elaborati che solo poche persone potevano permettersi di acquistare. Senza parlare delle scarpe che ad occhio e croce potevano essere non meno di quaranta paia, tutte diverse e di ogni tinta e pellame. Richiuse le ante del guardaroba e solo allora notò che la stanza si era sprigionato un intenso profumo di tuberosa che prima non aveva avvertito. Di certo, il guardaroba ne era impregnato. Difatti aprendolo di nuovo si accorse che l’odore veniva proprio dagli abiti. Nella camera tutto era in perfetto ordine: lo scrittoio era immacolato, non una sola macchia di inchiostro, neppure una matita spuntata o un foglio fuori posto. Nei cassetti lo stesso meticoloso ordine ma nulla di interessante per Parker. Sulla tolettina, abbellita con finissimo pizzo e raso di un azzurro tenue, delicatissimo, c’era il suo profumo ve ne erano ben cinque flaconi, l’etichetta era di una ben nota casa profumiera. Vicino al profumo un prezioso cofanetto portagioie in radica ed argento con le cifre YB in oro applicate sul coperchio. Al suo interno, alcuni fiori secchi e diverse fotografie di lei, quasi tutte la ritraevano durante gli spettacoli, molte in compagnia della sua amica Lafayette. Ad un certo punto l’attenzione di Parker fu attirata da una fotografia di gruppo, scattata in platea mentre la cantante elargiva autografi, attorniata da una folla di ammiratori. Parker estrasse la piccola lente d’ingrandimento dalla sua tasca per esaminare meglio l’immagine… non si era sbagliato. Dietro la cantante, proprio vicino ad Annabelle Lafayette c’era il misterioso uomo trovato morto nella botola; i due, nella foto, avevano tutta l’aria di conoscersi. Presa la foto, l’ispettore uscì dalla camera e raggiunse i coniugi Bourgueis mostrandogliela.
“Avete mai visto quest’uomo?” ?"chiese-
“Non mi pare, -rispose lui- no, non mi pare proprio.”
“No, -ripeté la moglie- sono certa di non averlo mai visto. Ma perché si interessa tanto a quell’uomo, forse si tratta semplicemente di un ammiratore trovatosi lì per caso nel momento in cui scattarono quella foto.”
“Può darsi, -rispose Parker- in ogni caso temo che dovrò portarla via, questa foto potrebbe essere un indizio importante. L’uomo che vedete sul ritratto è stato trovato ucciso proprio nel palazzo del maestro Hunter e non credo che questa sia una coincidenza.”
Parker era sicuro che Annabelle Lafayette e la vittima numero due si conoscessero, era quindi d’uopo una visita a quest’ultima. Stavolta, magari sarebbe emerso qualcosa di interessante.
“L’ispettore Parker, -disse Annabelle- qual buon vento?”
“Vento di incertezze. -rispose- La faccenda si fa sempre più ingarbugliata ma io non dispero. Guardi attentamente questa fotografia. -soggiunse - Immagino che lei conosca l’uomo che le è accanto vero?”
“A prima vista direi di no, ma la mia vista non è delle migliori… mi faccia mettere gli occhiali, forse andrà meglio. No! non l’ho mai conosciuto.” ?"rispose-
Ma si vedeva benissimo che la vista di quella foto la aveva profondamente scossa. Finalmente quella donna imperturbabile dimostrò un minimo di debolezza.
“Ne è proprio certa? Ci pensi bene prima di rispondere, si tratta di omicidio.”
“Certo, quello di Yvette!”
“Mi scusi l’imperdonabile inesattezza, avrei dovuto dire omicidi, anche l’uomo della foto è rimasto vittima di un omicidio.”
Il viso della donna assunse improvvisamente il pallore della morte, le sue mani cominciarono a tremare ma nonostante l’evidente emozione cercò ad ogni costo di controllare i suoi nervi e di darsi un contegno; a Parker, però era bastato guardarla in volto per capire che la morte dell’uomo l’aveva profondamente turbata.
“Lo conosceva, non è vero?”
“È così. -rispose- Lo conobbi in teatro, era un appassionato di lirica ed uno dei più ferventi ammiratori di Yvette. Era sempre in prima fila quando Yvette si esibiva, una persona perbene dai modi gentili e dal carattere mite. Aveva sempre un pensiero galante per Yvette, non si presentava mai senza un fascio di fiori. La notizia del suo assassinio mi ha sinceramente scosso.”
“Suppongo che lei lo conoscesse abbastanza bene.”
“Affatto, -rispose- lo incontravamo solo in occasione di qualche rappresentazione teatrale. Come le ho già detto non se ne perdeva neanche una.”
“Come si chiamava?”
“Steve Davies, era così che si firmava sui biglietti che accompagnavano i fiori che mandava a Yvette.”
“Mi sa dire come viveva, intendo dire se aveva una professione, un lavoro…”
“Non so che dirle, aveva l’aria di essere un benestante. Vestiva sempre in modo elegante ed era sempre molto curato ma non so di cosa si occupasse nella vita. Ora la prego non mi faccia altre domande, ho bisogno di restare da sola, per favore.”
“Va bene, -rispose Parker- ma resti a nostra disposizione. Mio malgrado dovrò importunarla ancora.”
È sorprendente come le condizioni del tempo riescano ad influenzare l’umore dell’uomo o come ne possano condizionare il comportamento. La luna piena aveva rischiarato le strade per tutta la notte e a mattino inoltrato la sfera lucente era ancora visibile, ancora per poco. Ancora poca vita per l’astro notturno che poi si sarebbe spento per far posto al sole. Così come l’assassino sparisce per dar posto al gentiluomo che cela in sé. Così come innalza le maree la luna fa emergere dall’intimo dell’uomo comune la parte più infima e malvagia celata nei recessi del suo animo?
Colpa della luna o di un innato, dannato istinto?
Sabato 26 Febbraio ore 9, 30
“Come vedi, mio caro Gordon, il puzzle comincia a prendere forma. Il maestro Hunter è stato fermato mentre cercava di imbarcarsi per l’Irlanda e in più c’è il ritrovamento del passaporto della vittima numero due. A proposito dove è stato ritrovato il documento?”
“Lo ha trovato un mendicante in un cassone dei rifiuti e lo ha portato subito alla polizia, forse sperava in una ricompensa.”
Parker prese il passaporto ed iniziò ad esaminarlo con cura.
“Stephen Davies, nato a Pittsburgh (Pennsylvania) il 12 luglio 1898, di professione giornalista.
Dunque aveva 39 anni, -disse Parker- ne dimostrava di più ma a parte ciò c’è qualcos’altro che non mi convince: come può un giornalista dare l’impressione di un benestante come afferma la Lafayette? Ma quel che mi lascia perplesso più di ogni altra cosa è la fotografia del documento: facendo fede alla data di rilascio la foto dovrebbe essere vecchia di dodici anni. Com’è possibile che in tanti anni il suo viso non sia cambiato quasi per niente? Questa foto, per me, è stata fatta al massimo tre anni fa.”
“Un passaporto contraffatto!” ?"esclamò Gordon-
“È proprio quel che penso. ?"rispose- Comunque sarà opportuna la conferma degli esperti, di questo potresti occupartene tu e, giacché ci sei, cerca di scoprire costui dove alloggiava.”
Poco più tardi, il maestro Hunter faceva il suo ingresso nell’ufficio di Parker accompagnato da due agenti.
“Buongiorno maestro. Finalmente possiamo scambiare quattro chiacchiere. Sono l’ispettore Norman Parker e sto indagando sull’omicidio della signorina Yvette Bourgueis.”
“Cosa volete da me? perché mi avete sequestrato e condotto qui contro la mia volontà? Sono una persona rispettabile io, non sono abituato e non amo essere trattato come un criminale, me ne darete conto!”
“Si calmi, maestro… si calmi, ci troviamo di fronte a un duplice omicidio ed il motivo per cui è stato condotto qui, se non lo sa, è perché uno dei due cadaveri è stato trovato proprio nel palazzo dove abita lei.”
“Ma lei farnetica!”
“La prego di moderare i termini e la invito per la seconda volta a calmarsi, piuttosto il nome Stephen Davies, le dice qualcosa?”
“Non so proprio di chi stia parlando.”
“Sto parlando dell’uomo che abbiamo trovato morto nella botola sotto l’ascensore del suo palazzo. Aveva il cranio sfondato da un colpo infertogli con un oggetto metallico, probabilmente un portacandele. Abbiamo ragione di credere che costui venne a farle visita lo stesso giorno in cui fu uccisa la signorina Yvette. Che tipo di rapporto sussisteva tra voi due? È inutile continuare a mentire, persino Annabelle Lafayette ha ammesso di conoscerlo; era un appassionato di musica lirica ed un grande ammiratore della cantante francese, anzi la stessa Lafayette mi ha fatto intendere che forse ne era invaghito. Se ciò non dovesse bastare, abbiamo constatato che l’uomo in questione, al momento del ritrovamento, aveva le dita ancora sporche di carbone, quello stesso carbone che aveva usato per disegnare sulla sua porta una enigmatica stella a cinque punte. Cosa cercava da lei Davies?”
Hunter continuò a ripetere di non conoscerlo ma Parker era certo che il maestro mentiva.
“Non credevo che fosse così caparbio?"disse Parker- e purtroppo non ho prove concrete per trattenerla ma si ricordi che dovrà essere a mia disposizione in qualunque momento fino a che il caso non sarà definitivamente risolto. Abbandoni quindi qualsiasi programma di viaggio.”
Il maestro si allontanò a testa bassa, aveva tutta l’aria del proverbiale “cane bastonato” mentre, a sua insaputa, un agente in borghese era già alle sue calcagna.
“Crede che commetta un passo falso?” ?"chiese uno degli agenti-
“Può scommetterci, tenente.”
Un’ora dopo Gordon tornava con i risultati dell’esame del passaporto:
“Non ci eravamo sbagliati, è spudoratamente contraffatto.” ?" disse-
“Bene, ora non ci resta che attendere e, se le mie previsioni sono esatte, tra non molto avremo notizie di Hunter. È solo questione di ore.”
Le previsioni di Parker si dimostrarono esatte. Nel tardo pomeriggio l’agente in borghese che era stato messo sulle tracce di Hunter, portava notizie davvero interessanti: il maestro dopo essersi recato a casa per cambiarsi era uscito di nuovo ed aveva raggiunto con molta circospezione la casa di Annabelle Lafayette.
“Ho fatto esattamente come mi ha detto lei. ?"disse l’agente- L’ho seguito a debita distanza facendo molta attenzione a non farmi notare. Lui, infatti non si è accorto di nulla. Dopo essere stato a casa sua per una trentina di minuti è sceso di nuovo, aveva l’aria di essere molto nervoso, camminava a passo spedito e sembrava dirigersi verso una meta ben precisa. Quando è arrivato in quel palazzo mi sono avvicinato per vedere in quale appartamento entrasse: era quello di Annabelle Lafayette. Mi misi ad origliare e capii che erano rimasti a discutere proprio nella sala d’ingresso. In un primo momento colloquiarono su quanto fosse stata assurda la morte della cantante e di quanto entrambe ne fossero rimasti addolorati, ma dopo un po’ il maestro deviò il discorso su Stephen Davies, provava in tutti i modi di scoprirne l’indirizzo anche se cercava di non darlo a vedere. I suoi sforzi, però, risultarono vani, la donna lo ignorava o fingeva di non sapere. Si sono dilungati ancora per qualche minuto in banali convenevoli, poi si sono salutati molto freddamente; io mi sono allontanato rapidamente ed ho ripreso il mio pedinamento per assicurarmi che tornasse a casa.”
“E così il nostro Hunter cercava di scoprire l’indirizzo di Davies! ?"borbottò Parker-”
“A cosa può servire l’indirizzo di un morto? ?"domandò l’agente-”
“Suppongo che Hunter stia cercando qualcosa… qualcosa di molto importante di cui Davies era in possesso, forse qualcosa di compromettente visto che Hunter ha sempre negato di conoscerlo.
Nello stesso istante Gordon annunciò una visita inaspettata per l’ispettore Parker, strano ma vero si trattava di Annabelle Lafayette. La donna aveva i nervi a fior di pelle, entrò nell’ufficio con la furia di un ciclone; salutò a stento.
“Ma cosa le sta accadendo?” ?"domandò l’ispettore-
“Mi scusi per l’irruzione, ispettore ma sono molto agitata. Se ne sarà accorto, immagino.”
“La prego si segga e cerchi di calmarsi. Le farò portare qualcosa di forte, vedrà che si sentirà meglio, dopo mi dirà il motivo della sua venuta.”
Una volta riacquistato il controllo dei suoi nervi, la donna spiegò:
“Non più tardi di un ora fa ho ricevuto una visita da qualcuno che non avrei mai potuto immaginare…”
“Il maestro Hunter, suppongo.” ?"la apostrofò Parker-
“Proprio lui, ma come fa a saperlo? Già, che sciocca. Lo avrà affidato alle cure di qualcuno dei suoi angeli custodi. Come le dicevo, -proseguì- quell'uomo è venuto nella mia casa oggi, per la prima volta. Tra noi non c’è mai stato nulla di più di un semplice rapporto di lavoro, così come per Yvette. Dai giornali avevo appreso che era sparito e che era ricercato da voi della polizia, è anche per questo che mi sono tanto meravigliata di vederlo. Ad ogni modo era venuto da me con il pretesto di farmi le condoglianze per la morte della mia amica ma il suo unico scopo era carpirmi l’indirizzo di Stephen Davies, chissà a cosa poteva servirgli. Se davvero era l’indirizzo che voleva, non è riuscito ad ottenerlo e per quanto insistesse ho sempre negato di esserne a conoscenza ma mentivo. Non volevo diventare la complice inconsapevole di qualcuno che potenzialmente potrebbe essere l’assassino di Davies e che sicuramente è uno dei primi ad essere sospettato dell’omicidio, anzi, degli omicidi. L’indirizzo è scritto su questo biglietto. Se devo collaborare con qualcuno, preferisco farlo con la giustizia. Vi auguro di trovare il bandolo della matassa, ispettore.”
Le strade buie del mattino, quando il cielo è scuro, sembrano nascondere in ogni angolo ombre fugaci. In un solo attimo la mente umana cerca nella logica un rifugio da quelle tenebrose apparizioni anche se il brivido ci attraversa ancora la schiena.
Un riflesso di luce…forse, un ramo mosso dal vento…magari. Non c’era nulla, ?"pensiamo- ammettere il contrario sarebbe da folli.
Ma non è forse follia cercare la ragione in qualcosa che nulla ha di razionale?
Domenica 27 Febbraio ore 7, 15
La casa di Davies in realtà era un seminterrato ai margini della periferia di Londra, un luogo abitato da poveri diavoli abituati a vivere nella più totale indigenza ma anche da loschi figuri dediti al vizio, al furto ed al gozzoviglio. Non era certo la prima volta che Parker si doveva avventurare in quei vicoli per questioni di lavoro; quel dedalo di viuzze poco illuminate era, infatti, il nascondiglio ideale per chiunque avesse compiuto un misfatto e volesse sfuggire alla giustizia. Ma sfuggire all’ispettore Parker non era certo un gioco da ragazzi, molti dei casi da lui brillantemente risolti, si erano conclusi proprio nello squallore di quei luoghi che, visti come un buon rifugio si erano rivelati una trappola per i malviventi. Una quindicina di scalini conducevano alla cantina del vecchio stabile; una porta dai battenti ingrossati dall’umidità era tenuta chiusa da un grosso lucchetto mezzo arrugginito. Bisognava forzarlo, nessun grimaldello, sebbene adoperato dalle abili mani di Gordon sarebbe mai riuscito ad aprirlo. Un calcio ben assestato e i cardini cedettero, all’interno altri tre scalini in discesa, un forte odore di chiuso ed il buio più totale. Parker accese un fiammifero e si accorse che alla sua destra c’era un candelabro con mezza candela, la accese e subito un barlume di luce rischiarò l’ambiente: un letto disfatto, un tavolo con due vecchie sedie ed un armadio addossato alla parete sinistra. Una stufa a legna su cui era appoggiata una pentola per metà piena d’acqua, faceva intuire che spesso fungeva da fornello. Sopra una mensola alcune bottiglie di liquore vuote e pochi bicchieri capovolti su un tovagliolo aperto.
“Che strano, -osservò Gordon- escludendo il letto mi sembra tutto abbastanza pulito e in ordine, anche il pavimento sembrerebbe spazzato da poco. Ma mi dici cosa stiamo cercando?”
“Una lettera, un documento, qualcosa che riguarda il maestro Hunter…qualcosa di cui egli ha paura. Sono certo che si trova qui, bisogna solo trovare il nascondiglio.”
Parker si avvicinò all’armadio e spalancò le due ante.
“Si trattava bene il nostro amico, -osservò Gordon- abiti, camicie, cravatte, tutto di ottima qualità e c’è anche un buon profumo.”
“È vero, ma non è questo che mi interessa sapere.”
Parker cercò di richiudere l’armadio ma invano le due ante urtando tra loro non consentivano più una chiusura perfetta.
“È stato spostato da poco per questo non si chiude più. Inoltre c’è quella parte più chiara sul muro retrostante. Ciò indica che l’armadio è stato portato in avanti e che quando è stato riaccostato al muro non è stato rimesso precisamente nella posizione originaria. Dammi una mano a spostarlo, sono proprio curioso di vedere cosa c’è dietro.”
Il mobile era molto pesante e i due dovettero faticare per riuscirlo a spostare quel tanto che bastava per poter esaminare il muro retrostante. Ancora una volta Parker aveva colto nel segno, una piccola parte dell’intonaco era stata rifatta di recente. I due agenti non si persero d’animo e preso un ceppo di legno dalla stufa cominciarono a battere sul muro. In breve qualcosa cominciò a cedere finché venne alla luce una piccola nicchia; al suo interno un pacchetto fatto con carta di giornale.
“Per Giove! -esclamò Gordon- Un passaporto… ma questo è il maestro Hunter.”
La foto del passaporto, infatti, era quella dell’uomo conosciuto sotto il nome di Hunter, ma sul documento il nome del titolare era completamente diverso. Parker non sembrò affatto meravigliato di questa inaspettata scoperta.
“Il maestro Hunter, -disse- in realtà si chiama Miklos Kanitz, senza dubbio è un nome ebreo, questo spiega diverse cose: Davies sapeva benissimo che il maestro Hunter aveva cambiato identità e probabilmente lo ricattava minacciandolo di rivelare le sue vere origini. Naturalmente l’altro era terrorizzato, di questi tempi per gli ebrei c’è poco da stare allegri. Ciò spiegherebbe anche la stella che Davies aveva disegnato sulla porta del maestro, quel simbolo aveva un significato preciso, quasi
una condanna a morte, senza contare che Hunter come maestro d’orchestra aveva raggiunto l’apice di una carriera prestigiosa, un personaggio costruito minuziosamente con il lavoro di anni. In fondo ho compassione di quell’uomo, chissà per quanti anni ha subito i ricatti di Davies e quanti soldi gli sarà costato il suo silenzio. L’unico che potrà dare una risposta a queste domande è proprio il nostro Miklos Kanitz alias Gustav Hunter, credo che andremo a fargli una visitina.
Quando il maestro aprì l’uscio il suo viso apparve nella penombra, era talmente pallido che sembrava invecchiato improvvisamente, i lunghi capelli grigi scompigliati e le mani tremolanti gli conferivano ancora di più l’aspetto di un vecchio debole ed impaurito eppure quell’uomo non aveva che cinquant’anni e solo qualche giorno prima era l’impetuoso direttore di una delle più prestigiose
orchestre di Londra. Appena riconobbe i due agenti balbettò qualcosa, forse un imprecazione. Parker estrasse dalla tasca l’indirizzo di Davies e lo porse al maestro.
“Buonasera signor Kanitz, era questo che cercava?”
“È stata lei a darvelo! ?"disse- Sapevo che l’aveva, che l’inferno la ingoi, maledetta arpia.”
“Spero non voglia lasciarci sulla soglia, le dispiace se entriamo?”
“Credo che siate già entrati in mia assenza e non me ne avete certo chiesto il permesso. Entrate pure, comunque.”
“Come avrà avuto modo di capire, caro maestro, siamo all’epilogo. Continuare a mentire non le servirà a nulla se non ad aggravare la sua posizione. Collabori con noi e le prometto che avrà tutto il nostro appoggio per evitare le sue origini vengano rese note, le do la mia parola.”
“Sono così confuso, -disse- mi sembra di vivere in un terribile incubo, i miei nervi sono a pezzi non riuscirei a reggere oltre questa situazione, vi dirò ogni cosa.”
Qualche attimo di esitazione, un lungo respiro poi cominciò a narrare.
“La mia infanzia è stata breve e molto dura, ero l’unico figlio di una famiglia medio borghese. Eravamo sempre in fuga per evitare gli aguzzini di noialtri ebrei; a volte eravamo costretti a rimanere nascosti in qualche nascondiglio di fortuna per interi mesi senza mai vedere la luce del giorno, razionando al massimo quel poco cibo che i miei genitori riuscivano a reperire in un modo o nell’altro. Questo stile di vita andò avanti per anni finché un brutto giorno, mio padre fu costretto ad uscire dal rifugio in pieno giorno, eravamo rimasti senza una briciola di pane e dopo sei giorni di digiuno avevamo fame. Io avevo diciannove anni e quella fu l’ultima volta che lo vidi. Rimanemmo soli io e mia madre e riuscimmo a sopravvivere spostandoci di notte da un paese all’altro e mangiando quel che capitava. La fortuna ci aveva aiutato ancora, ma due anni dopo, durante uno dei nostri spostamenti notturni, fummo sorpresi da un drappello di militari nazisti; mia madre cadde loro prigioniera mentre io, per puro miracolo, riuscii a dileguarmi nell’oscurità. Ormai ero rimasto solo ed ero disperato, ma fu proprio la forza della disperazione che mi aiutò ad andare avanti. Conobbi Davies mentre viaggiavo clandestinamente su un treno che conduceva qui a Londra. Mi promise una nuova identità, disse che conosceva qualcuno che mi avrebbe potuto procurarmi dei documenti falsi. Gli risposi che non avevo danaro e che non avrei potuto pagare, mi rassicurò dicendo che mi avrebbe aiutato lui. Fu lui, infatti a pagarmi i documenti falsi anzi fece di più mi diede dei soldi, ma io al momento non sapevo ne come ne quando avrei potuto restituirglieli. Mi disse che era sicuro che un giorno o l’altro avrei saldato il mio debito e che gli avrei restituito molto più di quanto lui mi aveva dato. Con la mia nuova identità mi sentivo finalmente libero e smisi di nascondermi, trovai persino un lavoro come barista in un locale notturno e con i guadagni riuscii a riprendere i miei studi al conservatorio. Non fu facile: di notte lavoravo e di giorno studiavo, dormivo solo tre o quattro ore per notte. Andò avanti così per più di cinque anni poi uno dei miei maestri mi prese a benvolere e cominciai a lavorare in piccole orchestre come direttore e talvolta anche come pianista, i guadagni salivano ed il mio stile di vita anche. Passo dopo passo il nome di Gustav Hunter diveniva sempre più popolare finchè un giorno fui chiamato a dirigere una grande orchestra in Francia, fu proprio a Parigi che conobbi Yvette e fu proprio li che cominciò la mia ascesa al successo e con essa i miei guai. Davies non tardò a farsi vivo e a reclamare il suo credito nei miei confronti, io senza batter ciglio gli restituii quanto gli dovevo ed in più gli elargii una congrua somma per ricompensarlo di quanto aveva fatto per me. Credevo che non lo avrei più rivisto ma mi sbagliavo. Qualche anno più tardi tornò a farsi vivo, era al corrente di ogni mia mossa e sapeva che ormai disponevo di molto denaro. Disse che il mio debito non era ancora estinto e mi consigliò di pagarlo senza fare storie, in fondo era merito suo se io ero diventato una celebrità. ?"disse- Assecondai la sua richiesta senza fiatare e lui per tutta risposta mi minacciò chiaramente: sarebbe tornato ancora per riscuotere ed io avrei dovuto pagare se volevo evitare guai. Lui conosceva la mia vera identità e l’avrebbe usata come arma per ricattarmi. Cercavo di sfuggirgli; cambiai alloggio tre o quattro volte ma lui riusciva sempre a trovarmi e le sue pretese divenivano di volta in volta sempre più esose, doveva vestire elegantemente per far bella figura con colei che amava e poi doveva regalarle fiori, gioielli e le cose di lusso costano?"mi disse un giorno. La donna a cui si riferiva era Yvette Bourgueis ma non so se l’amava davvero o se mirava solo ai suoi quattrini. Domenica scorsa, infine, avvenne l’irreparabile. Si presentò a casa mia con l’intenzione di spillarmi altro danaro, stavolta era una cifra davvero ragguardevole ma io ero deciso a non cedere. Ormai avevo capito che l’unica arma era tenere duro; le sue armi, però, erano ben più pericolose delle mie: mi mostrò il mio passaporto originale, quello che ora è nelle vostre mani. Non capivo come fosse riuscito ad impossessarsene, quel documento non doveva più esistere, io stesso lo avevo dato alle fiamme quando il falsificatore, dopo essersene servito per creare quello contraffatto me lo restituì. Davies mi rivelò che quella che mi fu restituita altro non era che un’altra copia del mio documento, commissionata da lui per impossessarsi di quello autentico. Risposi che non gli avrei dato nulla e sarebbe stato meglio per lui andar via dopo avermi restituito il passaporto. Con un gesto di sfida mi tirò il documento sulla faccia dicendo che anche quella era una copia e che quello autentico era ben nascosto. A quel punto estrasse un coltello dalla tasca minacciando di uccidermi: “Non ci vuole nulla a farti fuori?"disse- non è certo la prima volta che faccio fuori un bastardo, ne sa qualcosa quello che tu chiami “il mio amico falsario”. Credeva che l’avrei pagato… povero illuso. Mentre parlava continuava ad avanzare verso di me brandendo l’arma con uno sguardo allucinato e rabbioso, fui assalito dal panico ed istintivamente afferrai il primo oggetto che mi capitò… il candeliere, era proprio a portata di mano.
Lo scagliai con tutte le mie forze contro di lui, ma il suo cappello sembrò attutire il colpo, il coltello gli scivolò dalle mani mentre lentamente si accasciava sul pavimento. L’avevo ucciso, solo in quel momento mi resi conto del delitto di cui mi ero macchiato. La mia mente lavorava febbrilmente ma non riuscivo a avere il controllo del mio corpo, ero tutto un tremore, sentivo il mio cuore battere freneticamente. Presi la bottiglia del cognac e bevvi lunghe sorsate; finalmente il tremore scemò. Dopo aver pulito ogni sua traccia dalle scale e dall’appartamento mi accorsi che aveva tracciato un segno a forma di stella sulla mia porta, cancellai anche quel minaccioso simbolo di morte quindi spogliai il cadavere dei suoi panni e lo occultai sotto il mio divano. Io indossai il mio paletot e su questo il suo mantello nero gli occhiali ed il cappello, uscii di casa. Il custode mi vide uscire ma non si accorse della sostituzione. Andando a teatro mi liberai del travestimento gettandolo in un cassone dei rifiuti. Stavo riacquistando il mio autocontrollo convincendomi sempre più che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi. Anche a teatro tutto andò alla perfezione tranne l’omicidio di quella povera ragazza, questo provocò un tale scompiglio che nessuno fece caso a me che ne approfittai per lasciare il teatro dall’uscita di sicurezza. Arrivato a casa mi accorsi che il custode era ancora seduto nella sua guardiola ma, buon per me, dormiva profondamente e non mi vide salire. Attesi che giungesse l’ora della chiusura del portone poi bloccai l’ascensore con un pezzo di carboncino trovato per terra e con fatica trascinai il cadavere giù per le scale di servizio, raggiunsi la botola dell’ascensore, la aprii facendo leva con il suo coltello e lo scaraventai all’interno insieme al corpo.
Ritornai su in casa e presi la valigia nella quale avevo messo tutto ciò che mi sarebbe potuto servire e scappai, il resto della storia lo conoscete. ”
“Un essere abietto. In fondo se la è proprio voluta. ?" disse Parker- Stia tranquillo, maestro, -soggiunse mettendogli le manette- terremo conto delle attenuanti.”
Il desiderio della scoperta nasce con l’uomo, è parte dei suoi istinti e con ogni probabilità è uno dei più forti. Il desiderio di scoprire la verità risale alla notte dei tempi ed è il motore che muove l’ingegno dell’uomo.
La sete di giustizia, in fondo è parte del desiderio di scoprire la verità. Ma quante volte si è fatta “giustizia” mentre la verità non era ancora svelata?
Lunedì 28 Febbraio ore 0, 10
Nel suo ufficio Parker commentava col fedele Gordon gli ultimi avvenimenti del caso.
“Cosicchè il maestro sarebbe del tutto estraneo alla morte della cantante? Io sarei propenso a non crederci.”
“Fai male, mio buon amico. Il nostro maestro è colpevole, ma di uno solo degli omicidi, potremmo dire che Hunter o meglio Kanitz sia diventato un assassino solo per caso, in effetti era lui ad essere la vittima e l’altro l’aguzzino. Per quanto riguarda l’omicidio della cantante, ho idea che la morte della Bourgueis sia opera di ben altra persona. A proposito, domattina arriverò in ufficio due o tre ore più tardi, tu nel frattempo farai un giro dei vari negozi di fiori che si trovano nelle vicinanze del teatro e chiedi se il giorno 20 qualcuno di loro ha ricevuto qualche richiesta inusuale come ad esempio una varietà di fiori particolare o una composizione fuori dal consueto.”
“Ma che significa tutto questo, cosa c’entrano i fiori?”
“Mio caro Gordon, fino ad ora abbiamo concentrato le nostre indagini sulla morte di Davies facendo luce solo su una delle due morti ma il caso principale ovvero il delitto Bourgueis non è stato ancora risolto. A questo proposito sto riesaminando gli appunti presi durante il mio sopralluogo effettuato a suo tempo nel camerino della cantante e ti posso garantire che i fiori c’entrano ma ti dirò di più: l'assassino di Yvette non potrà mai essere messo in manette, egli è già uscito dalla scena.”
Il giorno dopo Parker arrivò in ufficio alle diciassette e quarantacinque.
“Alla buon ora!” ?"esclamò Gordon vedendolo arrivare-
“È stato meno semplice di quanto pensassi, ma ne è valsa la pena.”
Parker si tolse cappotto e cappello e li appese all’attaccapanni accanto alla sua scrivania sulla quale appoggiò la sciarpa ed i guanti, quindi si avvicinò alla vecchia stufa per riscaldarsi le mani, poi con tutta calma si avvicinò alla sua poltrona da lavoro e finalmente si sedette. Gordon osservò nervosamente quei movimenti flemmatici ma non riuscì a trattenere oltre la sua impazienza.
“Insomma, ti decidi a parlare? Avevi annunciato di arrivare con due o tre ore di ritardo ed invece arrivi in ufficio a sera inoltrata. Dici che però ne è valsa la pena e intanto ti metti a gironzolare per l’ufficio senza aprir bocca. Si può sapere cosa hai scoperto?”
“Calma Gordon, calma. Ora siedi e rilassati, un po’ di pazienza e saprai tutto. Sto aspettando qualcuno che troverà il mio racconto molto interessante, tu intanto dimmi com’è andata.
Pochi minuti dopo, infatti, un agente annunciò l’arrivo di Annabelle Lafayette.
“Buonasera ispettore, spero che il motivo per il quale mi ha fatto accompagnare da lei sia per lo meno “un buon motivo” visto che ero nella mia vasca da bagno. Tanto più che non avevo alcuna intenzione di uscire questa sera.”
“Il motivo lo capirà quando avrà ascoltato quel che è emerso dalle indagini che stiamo svolgendo sul caso Bourgueis e precisamente di quanto ho appreso in queste ultime ore. Ma la prego si sieda poiché il mio racconto non sarà troppo breve.”
“Cominci pure, sono pronta per ascoltarla.”
“Per prima cosa devo dire che la mia visita al medico della signorina Yvette è stata a dir poco illuminante. Ascoltatemi con attenzione: tre anni or sono ella si trovava in campagna per una breve vacanza che rischiò di tramutarsi in tragedia per una semplice puntura d’ape. La sua amica ebbe la fortuna che proprio nel suo albergo alloggiava uno dei più noti medici di tutta Londra che la soccorse immediatamente salvandole la vita. Un minuto più tardi e per lei non ci sarebbe stato più nulla da fare. Più tardi si scoprì la sua ipersensibilità a quella particolare tossina. Yvette, da allora, fu costretta ad evitare nel modo più categorico tutti gli ambienti dove l’insetto poteva essere presente, in particolare le campagne e le zone lacustri, non solo ma era talmente terrorizzata da un probabile attacco di qualche ape che prima di andare a letto usava cospergersi di creme repellenti. Una ossessione divenuta quasi paranoica quindi, che però contrastava fortemente con un’abitudine di cui non riusciva a fare a meno, quella di usare un fortissimo profumo a base di tuberosa.
Quando andai nella sua casa per un sopralluogo ne trovai diversi flaconi. Il giorno della prima al Royal, la signorina Yvette tra gli altri fiori ricevette una particolare qualità di orchidee: Ansellia africana, più comunemente nota come orchidea leopardo. È una varietà molto rara dalle nostre parti, ma si da il caso che il proprietario del negozio dove sono state acquistate, possegga una serra dove le coltiva personalmente e dove ha creato il clima ideale per la loro crescita. L’acquirente le volle in una confezione davvero singolare: una scatola di cartone completamente chiusa con centinaia di minuscoli fori del diametro di una capocchia di spillo. I fiori furono acquistati solo un’ora prima dell’inizio dello spettacolo e l’acquirente non volle incaricare un fattorino per la consegna, come si fa di solito, ma li portò via personalmente. Stamattina presto sono ritornato a teatro per riesaminare il camerino della Bourgueis. Ho osservato ogni angolo e mi è sembrato che la prima volta non mi era sfuggito nulla, avevo annotato ogni cosa sul mio taccuino ma mi sbagliavo. In un angolo del guardaroba c’era qualcosa di veramente inconsueto per un camerino e maggiormente per quello di Yvette: un’ape morta e ad un attento esame dell’insetto abbiamo potuto constatare che era priva del pungiglione.
Il negoziante di fiori è riuscito a fare una descrizione precisa dell’acquirente ed io non ho dubbi, si tratta di lei, signorina Lafayette.”
A questa affermazione l’accusata cominciò e protestare violentemente, Gordon intervenne tempestivamente riuscendo, a malapena a farla tacere.
“Mi lasci finire, -l’apostrofò Parker- dopo sarò pronto ad ascoltare tutte le sue obiezioni. Il pomeriggio del 20 febbraio scorso lei si recò al negozio di fiori del signor Patton per ritirare delle orchidee; per la precisione orchidee leopardo, una varietà molto costosa e non facilmente reperibile qui a Londra, tranne che in quel negozio, dove vengono coltivate in speciali serre. Lei, infatti, si era già prenotata diversi giorni prima per non correre il rischio di non trovarle. La signorina Bourgueis amava riceverle ogni volta che si esibiva in pubblico. Era quasi un rituale, una ossessione scaramantica alla quale non riusciva a sottrarsi. Erano anni ormai che le trovava nel suo camerino prima di ogni sua esibizione e, naturalmente, era la sua amministratrice nonché amica del cuore che si interessava di farle trovare i fiori sul tavolo da trucco, sempre allo stesso posto: davanti allo specchio. Il fioraio, Patton, le aveva già preparate varie volte ma questa volta la sua richiesta fu davvero originale: una scatola di cartone che gli aveva procurato lei stessa. Una scatola di cartone con dei piccoli fori su tutte e quatto le pareti. Patton le chiese il perché di una scatola chiusa che, avrebbe impedito di poter ammirare la bellezza di quei costosissimi fiori, senza contare che la mancanza d’aria avrebbe potuto sciuparli. Lei rispose che era uno scherzo, voleva fingere di non aver trovato le orchidee, facendo credere alla sua amica che nella scatola vi fosse un’altra varietà di fiori. Per quanto riguardava l’aria, non c’era da preoccuparsi, la scatola era tutta forata. ?"affermò-
Ma ora facciamo un passo indietro nel tempo: da quando lei iniziò a lavorare con Yvette Bourgueis molte cose sono cambiate. All’inizio le era molto riconoscente ma pian piano qualcosa stava mutando in lei. Probabilmente, a causa del suo passato, aveva maturato una profonda avversità verso il sesso opposto, in lei cominciò a crescere giorno dopo giorno una innaturale attrazione verso la sua benefattrice. Non le bastava più tutto quello che aveva ottenuto: un bellissimo appartamento, gioielli e danaro; ora voleva di più... molto di più: voleva lei... il suo amore. Ma Yvette era una vera donna e non aveva alcuna intenzione di cambiare, accettò passivamente le sue attenzioni per anni senza mai concedersi completamente. Solo negli ultimi anni Yvette le lasciò intravedere che i suoi sentimenti stavano cambiando, dandole così nuove speranze ma la comparsa di Davies sovvertì l'andamento degli eventi. Il signor Davies era diventato un rivale pericoloso, lui non mirava all'amore della Bourgueis, come voleva far intendere, bensì ai suoi soldi. Si era costruito un personaggio indubbiamente affascinante che era riuscito a far innamorare la Bourgueis con un lavoro di indicibile perseveranza e grande pazienza. Davvero ammirevole per un volgare malvivente.”
“Moderi i termini, ispettore.” -interloquì inaspettatamente Annabelle-
“Mi aspettavo questa sua reazione. -affermò Parker- Devo ammettere che era un trabocchetto, dovevo avere la conferma ad un mio sospetto. Come dicevo, Stephen Davies si era ingraziato la signorina Yvette con una corte spietata, ma portata avanti con una classe insospettabile, decine e decine di lettere in cui manifestava i propri sentimenti; poesie sdolcinate ma di sicuro effetto su un animo gentile e nobile e poi i fiori che lei amava tanto, non dimenticava mai di mandarglieli almeno una, due volte al mese. L'uomo aveva portato avanti questo tipo di comportamento per svariati mesi ma solo dopo più di un anno la bella Yvette cominciò a nutrire un certo interesse, fu allora che i due iniziarono a frequentarsi sporadicamente anche se il loro rapporto rimase ad uno stato squisitamente platonico. Yvette non amava che la cosa divenisse di dominio pubblico ed i loro incontri avvenivano sempre nel più rigoroso riserbo, ecco perché nessuno ne sapeva alcunché. Tranne lei signorina Annabelle e naturalmente i signori Bourgueis, ai quali il signor Davies piaceva ben poco. Il signor Stephen Davies... ma forse sarebbe più giusto dire il signor André Lafayette, vale a dire suo fratello.”
Seguirono attimi di interminabile silenzio, l'atmosfera si incupì improvvisamente, l'unica fonte di luce quella del lume della scrivania di Parker si spense, forse a causa di un lampo; intanto il temporale imperversava tra il fragore dei tuoni e lo scrosciare della fitta pioggia che il forte vento faceva ondeggiare a destra e a sinistra sotto i lampioni della strada appena riaccesi, quasi come il grigio sipario di un palcoscenico sotto le luci dei riflettori all'ultima scena della commedia.
“Mio fratello! -disse la donna rompendo il silenzio- Ci siamo sempre odiati fin da bambini, dopo tutto non eravamo dei veri fratelli e per lui sono stata sempre un'intrusa, un usurpatrice, colei che aveva preso il posto della sua vera sorella. I signori Lafayette mi avevano adottata quando la loro figlia di appena cinque anni morì per una banale caduta. Il dolore fu tale che pochi mesi dopo l'accaduto decisero di adottarmi. Speravano che affezionandosi a me avrebbero potuto dimenticare la perdita della loro figlia diletta ma non fu mai così. Crebbi in un clima di ostilità e di tensione, André non sopportava la mia presenza e non perdeva mai l'occasione per rinfacciarmi le mie origini, anche sua madre era contro di me; solo il vecchio padre mi dimostrava un poco di affetto, ma era un uomo debole e malato e non visse abbastanza a lungo per potermi difendere. Decisi di scappare via da quella vita d'inferno e lo feci quando avevo appena quindici anni ma ciò mi fece cadere dalla padella alla brace. Finii per vendermi sulla strada, vittima del mio nuovo aguzzino.
Andai avanti così per anni finché non incontrai Yvette, fu la mia ancora di salvezza, con lei riuscii a dimenticare il mio passato ed a ricostruirmi una nuova esistenza: avevo denaro ed ero rispettata da tutti. Nella mia vita non avevo mai amato e forse fu per questo che finii per innamorarmene ma lei, all'inizio, non mi accettava ed io, pur soffrendone, mi sentivo sempre più attratta. Quando, finalmente, il nostro rapporto stava per concretizzarsi ecco apparire André, che in tutti quegli anni si era dato alla brutta vita ed al crimine. Aveva cambiato identità e da qualche tempo ricattava il maestro Hunter, ma quando scoprì della mia amicizia con Yvette, cominciò a corteggiarla spietatamente.”
“Un corteggiamento che piano piano cominciò a dare i suoi frutti: -interloquì Parker- Yvette se ne stava innamorando e lei lo odiava sempre di più, avrebbe voluto ucciderlo e forse l'avrebbe anche fatto se il caso non avesse voluto che il maestro lo facesse prima di lei, ma torniamo a suo fratello; quell'uomo non nutriva alcun sentimento verso la povera Yvette, quel che voleva raggiungere era ben altro che il suo cuore. La signorina Yvette aveva accumulato un capitale davvero ragguardevole ed era proprio a quello che l'uomo mirava. I soldi che riusciva ad estorcere a Kanitz gli servivano per pagarsi la lussuosa camera d'albergo che usava per i suoi incontri galanti con la vittima e per farsi confezionare abiti costosi. Il sottoscala alla periferia era solo un rifugio che usava quando voleva sparire per qualche tempo dalla circolazione. Il giorno della morte della Buorgueis, lei ordinò le orchidee con quella particolare confezione perchè quella stessa scatola doveva contenere oltre ai fiori, anche delle api che avrebbero aggredito Yvette nel momento in cui la scatola sarebbe stata aperta. Ecco a cosa servivano i fori: per dare ossigeno agli insetti che, altrimenti sarebbero morti in pochi minuti. Le api una volta liberate sarebbero state attratte dal profumo di tuberosa che la donna usava indossare in abbondanza Ma non era sua intenzione ucciderla infatti, dalle mie indagini risulta che si era procurata un medicinale che opportunamente iniettato avrebbe reso inerte il veleno. Tutto ciò per dimostrarle il suo amore e, forse, per tentare di riavvicinarla a se. Ogni cosa avvenne secondo i suoi piani, e quando Yvette aprì la scatola delle orchidee venne subito assalita da uno dei temibili insetti, prontamente intervenne lei con il suo antidoto ottenendo così la sua riconoscenza, era certa di averle salvato la vita e sperava con tutta se stessa in un ritorno di fiamma. Yvette si vestì per andare in scena e lei la aiutò amorevolmente... come sempre. Yvette Bourgueis era sul palco da quasi un'ora e stava dando ancora una volta il meglio di se stessa quando all'improvviso si accasciò al suolo priva di vita. Il terrore di averla uccisa si impossessò di lei immediatamente. Cos'era accaduto? L'antidoto non aveva funzionato? Si precipitò nel camerino per cercare di far sparire qualsiasi prova che potesse far luce sul suo piano ma era terrorizzata e suo malgrado le sfuggì qualcosa: l'insetto morto, ecco il piccolo indizio che mi ha permesso di ricostruire gli avvenimenti. Tutto questo le costerà qualche anno di prigione per tentato omicidio anche se lei, forse, era l'unica persona a non ricavare alcun beneficio dalla sua morte. Colui che ne avrebbe ricavato grande giovamento era il suo compianto fratello che, riuscì ad essere nominato nel testamento della defunta, per il quale sarebbe venuto in possesso di circa il settanta percento dei suoi averi.”
Parker fece cenno a Gordon di evitare alla donna l'umiliazione delle manette; Annabelle lo capì.
“Credo che dobbiate portarmi via vero?” -chiese-
“Si Purtroppo, si renderà conto di ciò che ha fatto. Ammetterà che è stata una follia?”
“È vero, a volte i sentimenti ci offuscano la mente impedendoci di usare la ragione facendoci comportare oltre i limiti della pazzia. Ma chi l'ha uccisa, ispettore? Se lei mi sta accusando di tentato omicidio vuol dire che l'assassino è qualcun altro... ma chi?”
“Qualcuno che ha già pagato per il crimine commesso, suo fratello signorina Lafayette. Egli aveva sfruttato una delle tante fobie della Bourgueis: lei era convinta che sarebbe morta molto giovane, ecco perché aveva fatto testamento in così prematuramente.”
“E in che modo l'avrebbe uccisa?” -chiese Gordon-
“Con un semplice regalo. Une bellissima collana di perle, una delle quali aveva solo l'aspetto di una perla, in realtà si trattava di una piccola ampollina di vetro munita di una punta acuminata pronta a iniettare una buona dose di curaro: un estratto vegetale ricavato da numerose piante della foresta amazzonica utilizzato dagli indigeni della zona per avvelenare la punta dei loro dardi da caccia.”
“Ma perchè complicare tanto le cose? -si interrogò Gordon- non sarebbe stato più semplice propinarle il veleno in una bevanda, magari in un bicchiere di Porto, visto che la Bourgueis era solita berne almeno due o tre al giorno?”
“Non avrebbe potuto. -rispose Parker- poiché per fare come dici, egli si sarebbe dovuto recare di persona a teatro prima che iniziasse la serata. Il suo alibi, invece, era quello di non essersi mai mosso dalla sua camera d'albergo come avrebbe confermato anche l'addetto alla reception. Infatti quando André si ritirò disse al portiere di non voler ricevere nessuno poiché non si sentiva bene, si sarebbe messo a letto e non sarebbe uscito di casa prima del giorno successivo. Invece uscì dalla scala di servizio con il travestimento con il quale è stato visto dal custode di Hunter la sera stessa in cui fu ucciso. La collana, invece, avrebbe funzionato anche in sua assenza poiché egli l'aveva regalata ad Yvette facendosi promettere che l'avrebbe indossata solo prima di entrare in scena. Quando la donna avrebbe fatto scattare la chiusura del collier, avrebbe involontariamente attivato il minuscolo congegno che le avrebbe iniettato il veleno. Veleno che non è stato di facile individuazione neanche con l'autopsia a causa della presenza di un altro veleno, quello dell'insetto e del medicinale iniettato da lei. Tutti questi elementi si erano confusi nel sangue della vittima fuorviando le analisi del Coroner che solo stamattina è riuscito a darmi un responso definitivo.”
“E la collana? Quella era il corpo del reato!” -intervenne Gordon-
“La collana era volutamente troppo stretta per il collo di Yvette ed il nodo che teneva insieme le perle si sarebbe sciolto subito dopo lo scatto e fu proprio ciò che accadde, ecco perchè non fu indossata. È stato facile per me ricostruire la collana raccogliendone i vari pezzi sparsi sul pavimento del camerino ed accorgermi che mancava una perla, al suo posto trovai quel che rimaneva della piccola sfera di cristallo.”
“Che menti contorte.” -bisbigliò Gordon con voce sgomenta-
“È vero. -rispose Parker- ma non credere che questo sia un caso particolarmente singolare ho visto di peggio in vita mia e, se vuoi il mio parere, tra qualche tempo crimini del genere saranno considerati banali se non addirittura ridicoli. Fra meno di cent'anni il crimine avrà assunto forme ben più agghiaccianti e la mente degli uomini ben più contorta nella sua cruda follia. Saranno brutti tempi, amico mio quelli cui si va incontro.”
“Per fortuna noi non ci saremo.”
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